lunedì 31 maggio 2010


Torino, lunedì

Questa mattina ho discusso la mia tesi di dottorato, e quindi, dal mio punto di vista, avendo chiuso un lavoro di tre anni, posso finalmente dedicarmi al mio blog, desiderio che accarezzavo da tempo, senza peraltro avere il tempo materiale di farlo.

Tralascerò il fatto che è andata benissimo e che ho la sensazione di aver varcato la soglia del mondo degli adulti, cancellando l'orribile gusto amaro che mi aveva lasciato la discussione della tesi, qualche anno fa.

Decido di iniziare da qui, oggi, postando questo (si dice così) prima di andare ai giardinetti con Caterina, la bimba che, oltre a essere uno splendore, mi ha salvato dall'autismo in questi ultimi due anni.

Parlo di Furio Jesi, l'autore che ho studiato negli ultimi anni, e a cui è dedicata la mia tesi.

Questo è più o meno quello che ho detto oggi.

Il mio lavoro ha voluto storicizzare la posizione di Jesi a trent'anni dalla morte, ed è un tentativo di interpretare filosoficamente in modo complessivo la sua opera, mettendo insieme i diversi ambiti del suo lavoro intellettuale, a partire dalla scrittura.

Oltre i problemi di definire il corpus testuale, di lettura e interpretazione di testi editi, maggiori e minori, inediti, lo straordinario epistolario lettere, che ho compulsato con un lavoro nell’archivio domestico la questione è trovarsi di fronte a un'opera così complessa e al rifiuto dichiarato dell'autore stesso di voler procedere verso una teoria generale della cultura. In questo senso ho voluto essere jesiano nel senso di andare in esplicito contrasto con quanto dice il proprio autore di riferimento, facendo parlare ciò che nel testo è taciuto.Ho cercato di superare i punti di maggiore difficoltà teorica lavorando sulle serie e sulle ricorrenze attraverso il tempo che uniscono anche ambiti molto differenti. Ho cercato di uscire dalla tante difficoltà di approccio attraverso la restituzione della fitta trama di citazioni dell'autore, mostrando innanzitutto le difficoltà della sua scrittura, per poi concentrarmi sulle interpretazioni fin qui stratificate, in almeno tre stagioni di lettura dai primi ottanta, a oggi.

L'unico fuoco filosofico possibile è quello della macchina mitologica di cui ho cercato di mettere in luce genesi, formulazioni e conseguenze, andando a mettere Jesi in relazione con le proprie fonti e con la propria epoca, per poi tentare di mostrare alcuni motivi di attualità.

Se c'è qualcosa di originale nel mio lavoro è in particolare il tentativo di inquadrare Jesi in una più ampia Mythos Debatte, mostrandone la vicinanza teorica con Blumenberg (è l'ambito di studi sui cui mi sono formato), ma anche con tutta la teoria decostruzionista o nominalista del mito, che a Detienne, Veyne e altri fa riferimento, fino a trovare una singolare vicinanza con il concetto di interruzione del mito di cui parla Nancy.

Nel finale faccio intravvedere che Jesi ha praticato una forma di antropologia della cultura che può essere definita sociocostruttivista, che egli viveva innanzitutto come critica della metafisica.

Nel dettaglio: una prima sezione è dedicata a cogliere fonti e formazione di Jesi, dove compare lo Jesi storico della religioni e critico letterario.

Dagli studi egittologici e grecisti fino alla saggistica emergono il rapporto con Jung, Kerényi, Cassirer, Eliade, Giedion, Dumézil e il tentativo di interpretare in senso materialistico gli archetipi junghiani servendosi di Propp; Nietzsche, Bachofen, Rilke, Pavese, Mann, Brecht e tutta la cultura tedesca. Penso che sia peculiare lo spazio dedicato a Lévi-Strauss, che Jesi considerava un suo maestro, e su cui nessuno si era ancora soffermato. Di sicuro dello strutturalismo c'è il progetto di una metapsicologia e l'idea di meccanismo e di automatismo, che però Jesi supera in senso critico, prima rifutando qualsiasi sistemazione generale e secondo evitando di ontologizzare tanto la struttura quanto di ipostatizzare l'ésprit.

Di qui si arriva allo Jesi germanista, che è la figura che tiene insieme tre assi: il rapporto con l'antico, la letteratura, e la politica.

Fin qua ciò che emerge è una teoria delle secolarizzazione del mito che consegna le sue immagini alla letteratura e alla dimensione politica dell'ideologia, poiché fin dall'inizio Jesi prende in considerazione il rapporto tra sacro e potere, che diventa poi presunzione del sacro e potere, ma anche fascino estetico e critica del potere.Il tema che emerge su tutto è quello del rimpianto e della melancolia, che sono i motivi che caricano di aura specifica la risignificazione dei mitologemi (il flusso mitico, il movimento dei miti nel tempo). Fino a creare il mito del mito, di più di senso che nasce dalla distanza e dalla mancanza.

La seconda sezione è quella specificamente dedicata alla macchina mitologica, che segna lo spostamento al ‘come’ del mito, in quanto mitopoiesi, nei testi dal 1972 al 1979-80.In questo caso ci sono tre linee di sviluppo, storico-cronologica; teoretico-epistemologica; pragmatico-linguistica: in cui ho cercato di unire filologia jesiana, ricezione jesiana e intepretazione filosofica.

In ognuno dei capitoli si è scelto di confrontare Jesi con altri autori, che ho scelto come paradigmi:con Benjamin, Caillois, Barthes e Foucault per stare nelle sue letture; con Detienne, con Blumenberg, per quanto riguarda le possibili consonanze;

Direi che i punti più interessante della macchina mitologica sono:

un’epistemologia della scienza del mito minimalista, ovvero caratterizzata dal rifiuto dell'ipostatizzazione del mito e la sua concezione come materiale mitologico. Il metodo - dice Jesi - meno coraggioso possibile che unisce accettazione del mito, in nome della sua autonomia significante, e spiegazione in termini di un’antropologia materialista. Le condizioni storiche e sociali, sono quelle che spiegano la commozione e l’emozione connesse al senso e all’uso dei miti nella vita delle persone, ambito che Jesi sottolinea continuamente. Anche in termini materiali, dall’interpretazione dell’architettura delle piramidi come trasposizione dei raggi solari nel paesaggio egizio, fino alla considerazione finale che considera i libri come i miti incarnati, di cui sono letteralmente intessute le intelligenze degli studiosi contemporanei. Non esiste un mondo ideale senza il suo sostrato pietrificato, che trova nella scrittura la sua vita postuma.

Un’ontologia finzionalista, ovvero l'idea di macchina mitologica come congegno operativo che opera sul linguaggio e presiede ai processi di costruzione identitaria: funzione di costruzione della realtà e del sacro nel mondo antico; finzione e narrazione nel mondo moderno; naturalizzazione della realtà e simulazione aperta in ambito politico, in una sfera di ideologia che ha diversi gradi di intensità dalla cultura borghese alla tecnicizzazione fascista, di quella che Jesi chiama religione della morte, il riferimento fondazionale al passato per la legittimazione del presente, la costruzione del continuum storico dello storicismo e delle scienze dello spirito di matrice borghese (Benjamin). Ma uno sguardo più generale ci sono almeno tre accezioni di religio mortis in Jesi: la prima è la cultura che nasce dal rapporto con i morti, poi è passato che si fa morte, perdita e dunque melancolia e infine la sua interazione con la tanatofilia fascista, il tentativo di usare il passato nel senso di un’esplicita tecnicizzazione, ben oltre la normale costruzione del presente tramite il passato. Ma la differenza è solo di grado.

Un abbozzo di definizione della mitopoiesi come trascendentale. Tutto si complica quando Jesi subisce la tentazione della filosofia trascendentale, nel momento in cui dichiara che la macchina non è solo il dispositivo sociale, ma è la modalità stessa di operare del pensiero. Ogni soggetto è una macchina mitologica, ogni mente umana elabora immagini del passato facendole proprie e risemantizzandole in concetti e agiti esistenzialmente personali, a sua volta inseriti nelle macchine mitologiche della cultura (sacro, letteratura, politica).

La macchina traspone all’interno dell’io l’inganno della tecnicizzazione del mito: vuol dire che non esiste un mito fonte, genuino e originario. Macchina è oggetto del pensiero e modo di pensare, ogni mitologia è ricezione e rielaborazione, ripetizione senza origine che si modifica in corso, ma con la centralità della soggettività che rielabora a partire dal suo presente e dal suo vissuto. L'effetto di ricorsività di certe pagine di Jesi è dovuto a questa continua meta-riflessione, che sfocia nella dichiarazione di aver cercato di fare una sorta di auto-biografia culturale, psicoanalisi-scritturale direi, secondo cui tutta la propria opera non è che una narrazione autobiografica cifrata, e infine, non è che un unico ininterrotto romanzo.

Per questo Jesi è soprattutto scrittore. Per questo inizio con lui, che il 17 giugno 1980, mentre io finivo la prima elementare, scompariva tragicamente per un assurdo incidente domestico.