giovedì 27 dicembre 2012

Feste di riposo, convalescenza e riflessione









nelle quali ho (ri)scoperto l'importanza di Bourdieu,

fondamentale, perché l'avevo- come dire - dimenticato e non è tra le priorità metodologiche di chiunque si occupi di scienze umane?

è Lévi-Strauss + Foucault senza svolazzi,
meglio è Bourdieu

partire da qui: 
Pierre Bourdieu, Il campo religioso
con due saggi dei curatori, Roberto Alciati e Emiliano R. Urciuoli (grazie)
aAccademia UP, 2012

e poi per una indispensabile metasociologia, che indaghi le ragioni e le posture di chi studia qualcosa
Pierre Bourdieu,
Questa non è un'autobiografia, Feltrinelli, 2005









questo invece sono io: 5.6.1 La critica del linguaggio
L’ideologia è lo sfondo intellettuale comune a più ambiti della cultura di una società o di un’epoca: ogni forma di sapere, lungi dall’essere neutre, incorporano visioni del mondo e si configura in termini storici come paradigma il cui successo deve essere letto in rapporto al potere dominante, il quale potrà servirsi del monopolio di quel sapere come forma di legittimazione del proprio dominio. Mentre Lévi-Strauss e Dumézil hanno costruito sistemi teorici separando la morfologia della cultura dalla sua genesi e dalla sua funzione di dominio, in un approccio marxista forma, origine e funzione di un’ideologia appaiono sovrapposte e coincidenti: uno dei presupposti della «teoria della riproduzione socio-culturale» è che gli elementi ideologici riproducano in forma larvata il campo sociale in cui sono prodotti, servendo gli interessi dei gruppi che costituiscono la società1.
Si è già visto come nell’indagine sul mito svolta da Jesi siano presenti: la ricerca di una genesi storica dei fenomeni dal dichiarato valore anti-metafisico; la delineazione di una teoria metapsicologica che implica la rielaborazione di materiali cognitivi da parte di soggetti culturali immersi nel dinamismo storico; l’individuazione di una storia della ricezione che ne privilegia la funziona politica. In questo senso Jesi ha elaborato la sua via personale alla sintesi di marxismo e di antropologia che ha caratterizzato i suoi anni sfociando in una semiolinguistica critica il cui intento è stato quello di costruire una «controcultura»2. L’analisi del linguaggio significa critica al pregiudizio naturalistico e conservatore che assuma come ipostasi extrastoriche quelle che sono istituzioni culturali specifiche di una determinata organizzazione sociale3: congiungendo Marx con Sapir e Benveniste la stessa canonizzazione della cultura europea diventa il luogo di trasformazione della metafisica classica in volto necessario della verità. Lo studio della significazione mette capo al valore d’uso dei saperi che si determina storicamente e quindi alla loro decostruzione ideologica: obiettivo è lo svelamento dei presupposti materiali per i quali alcuni significati si sono sedimentati nel codice linguistico di una comunità istituzionalizzandosi attraverso il linguaggio. Contro il sapere che limitandosi alla descrizione della realtà amplifica l’ideologia dominante la teoria critica mette in evidenza i processi di costruzione ideologica associandola alle strutture economico-sociali che ne spiegano la diffusione.
Con il concetto di ‘logotecnica’ Barthes ha designato le categorie costituenti l’impalcatura di un determinato sistema culturale, trasformando tutti i fatti significanti in oggetti della semiotica4: il sistema sociale si regge sugli individui, i parlanti nella cui lingua e nel cui agito i codici prendono vita e si modificano, all’interno di rapporti comunicativi, permettendone la riproduzione. Barthes teorizza una «nuova scienza linguistica» volta a indagare «il progresso della solidificazione», «l’ispessimento lungo il discorso storico» delle parole, che sarebbe stata «sovversiva» nella misura in cui avrebbe mostrato «molto più che l’origine storica della verità: la sua natura retorica, di linguaggio»5. La demistificazione ideologica traccia la specificazione storica dei codici culturali: tematizzare le produzione sociale che li ha originati, mostrandone gli elementi di interesse attraverso l’individuazione dei motivi di canonizzazione. Nonostante tutte le prese di distanza da ogni corrente o prospettiva metodologica e le dichiarazioni di volersi attenere a un basso profilo, la teoria jesiana appartiene al suo tempo. La miticità in un sistema di segni è l’aura di valore prodotta dalla macchina mitologica in virtù della sua circolazione, secondo un processo che politicizza e porta alle estreme conseguenze quanto era implicito nel programma strutturalista: «Tutte le opere individuali sono miti in potenza, ma è la loro assunzione in chiave collettiva che attualizza all’occorrenza la loro “miticità”»6.
Così Jesi in uno degli ultimi scritti:

La scienza del mito nella mia prospettiva tende ad attuarsi come scienza delle riflessioni sul mito, dunque come analisi delle diverse modalità di non-conoscenza del mito. La scienza della mitologia, per il fatto di consistere nello studio dei materiali mitologici in quanto tali, tende ad attuarsi innanzitutto come scienza del funzionamento della macchina mitologica, dunque come analisi della intera e autonoma circolazione linguistica che rende mitologici quei materiali. Uso la parola mitologia per indicare appunto tale circolazione linguistica e i materiali che la documentano. [...] Sono invece convinto che, per me oggi, il modo migliore di collocarmi di fronte ai meccanismi e alle produzioni mie e degli altri, antichi o contemporanei, consista nel riconoscere in alcune di quelle proposizioni un linguaggio non riducibile ad altri, assolutamente autonomo “riposante in se stesso” (Bachofen), dotato di alcune caratteristiche definibili con approssimazioni estremamente vaghe se – com’è inevitabile per definirle – si ricorre ad altro linguaggio7.



–––––––––––– note______________

1 Bourdieu, che in tal senso può essere considerato paradigmatico, scrive: «I sistemi ideologici che gli specialisti producono attraverso e in vista della lotta per il monopolio della produzione ideologica legittima, riproducono sotto una forma irriconoscibile, attraverso la mediazione dell’omologia tra il campo di produzione ideologica ed il campo delle classi sociali, la struttura del campo della classi sociali [...]. La funzione propriamente ideologica del campo di produzione ideologica si svolge in forma quasi automatica sulla base dell’omologia di struttura fra il campo di produzione ideologica ed il campo della lotta delle classi». P. Bourdieu, Sur le pouvoir symbolique, «Annales E.S.C.», 1977, 3, pp. 409-410. Cfr. D. Dubuisson, Mitologie del XX secolo, cit., pp. 74 ss.
2Cfr. M. Solimini, Scienza della cultura e logica di classe, Dedalo, Bari, 1974, pp. 10 ss. La premessa teorica di questo progetto diffuso e dai vasti contorni consiste nella concezione per cui la funzione politica della lingua è individuata nel «realizzare una particolare organizzazione del mondo naturale-sociale, di ordinarlo in categorie di oggetti, di distinguerlo in maniera specifica [...] in azioni, funzioni, ruoli, istituzioni» (p. 135).
3 F. Rossi Landi, Il linguaggio come lavoro e come mercato, Milano, 1968, p. 215-216: «Sostenere che in un soggetto c’è qualcosa di extrastorico significa operare un privilegiamento fondato sul passato» che è il «punto essenziale per l’interpretazione di qualsiasi ideologia conservatrice, o reazionaria. [...] Gli oggetti che vengono detti oggi extra-storici altro non possono essere che oggetti costituiti dall’umanità in qualche fase precedente del suo sviluppo sociale. Sono questi oggetti che si vogliono difendere e conservare – e tanto meglio se il processo storico del momento ha istituito una macchina sociale che li conserva automaticamente».
4 Cfr. R. Barthes, Elementi di semiologia (1964), ed. it. Einaudi, Torino, 1966.
5 R. Barthes, Il piacere del testo (1973), ed. it. Einaudi, Torino, 1975, p. 42.
6 C. Lévi-Strauss, Luomo nudo (1971), cit., p. 590.
7 F. Jesi, «Così Kerényi mi distrasse da Jung», (auto)intervista su un itinerario di ricerca, in «Alias», n. 30, luglio 2007, p. 21 (Testo inedito parzialmente pubblicata in MM, pp. 365, 367-369).




giovedì 20 dicembre 2012

Natività







Iside allatta Horus bambino, Louvre



Celebriamo le feste.

Festeggiamo chi ci ama, le stagioni, le lune.
Ciascuno ritroverà la certezza che quaggiù c'è posto per lui.
Forse è questo, l'essenziale.
La festa crea un ordine solenne in cui ciascuno è confermato, nel proprio ruolo, nel proprio posto rispetto al tutto.
E' questo, credo, ciò che manca agli uomini del nostro tempo: la certezza di avere il proprio posto nella festa esuberante e tragica del mondo e della storia.
Ancor più dell'uguaglianza, è di questa sicurezza che gli uomini hanno bisogno.
Senza, prendono a mettere in dubbio il senso della vita, e vivere nell'immensità senza forma è insopportabile.
Perché tutto, nell'assenza di senso, si dissolve. E' il regno della grande noia dell'uomo, è il contrario della festa.

jeanne hersch



sabato 1 dicembre 2012

di un certo modo di narrare per immagini



dalla tesi di dottorato, a volte ritornano.




5.3 Potere (visivo) della letteratura

«Una grande entelechia con inclinazione mitologica, anzi con indole mitologica, che è lecito considerare come vera e propria forma fondamentale, con i tratti maliziosi di un essere ermetico»1.

L’importanza che Thomas Mann ricopre per Jesi si trova compendiata in questa descrizione del praeceptor Germaniae fornita da Kerényi, nella quale la dimensione mitologica appare centrale, e dalla quale si ricavano importanti considerazioni di ordine teorico: il romanziere è il paradigma della macchina mitologica della scrittura, capace di produrre materiali durevoli, cioè ad alto tasso di significatività, e di generare il sentimento dell’eterna presenza che costituisce la qualità principale della ‘miticità’.
Così Jesi:

La tecnica della citazione servì [...] a Thomas Mann per contrapporre alla storia [...] la sua scrittura stessa, in sé e per sé come il virtuosismo del violinista non rinvia al pezzo eseguito e tanto meno a ciò che il pezzo potrebbe comunicare, ma tende in fondo a distogliere dal pezzo per rinviare alla tecnica del suonare il violino2.

L’autore con «freddezza ascetica», «mediazione manieristica», «operata dalla scrittura di un virtuoso fra i materiali storici dell’io», diventa una macchina letteraria che ricompone e ricombina frammenti di natura eterogenea, trovati nella miniera della tradizione e della sua memoria. «Begeisterung»3 (‘ispirazione’) coincide con l’«involontaria citazione di luoghi comuni», che il critico potrà anche riconoscere, ma il cui valore e significato appaiono nuovi a partire dal contesto della loro riproposizione e dal loro accostamento. Jesi ha continuamente professato il valore della tecnica ‘per citazione’, in base alla quale la creazione si presenta come ricezione e rielaborazione inconscia e ‘automatica’: si veda questo commento sulla propria esperienza poetica, in cui è possibile riconoscere lo stesso approccio del critico.

Analoga situazione di “esilio” [ Jesi si riferisce alla «tradizione culturale e religiosa ebraica» n.d.c.] in termini di religione di cultura, di morale si configura nel linguaggio e nelle metrica di queste poesie. Nei confronti dei ritmi e degli stilemi tradizionali, l’atteggiamento del poeta ‘in esilio’ non è solo di parodia: egli si permette di usare i luoghi comuni di una tradizione composta di echi, brandelli e parole-chiave della poesia degli ultimi centocinquant’anni (o di proporne dei nuovi, coniati per imitazione e “simpatia”), al fine di entrare in contatto con l’unica poesia moralmente lecita durante l’ “esilio”: la poesia che è nella voce umana recitante secondo un determinato rituale e secondo una cadenza rituale, alcuni luoghi comuni.
A The Waste Land (per citare un esempio illustre) T. S. Elliot fece seguire sette pagine di note, denunciando almeno una parte delle innumerevoli citazioni intrecciate del poema. Lesilio non ha alcuna nota poiché l’autore intende sottolineare l’usufruibilità di ogni precedente poetico quale repertorio di anonimi luoghi comuni – i quali possono apparire bizzarrie estremamente soggettive, ma in realtà sono proprio luoghi comuni di una koiné che – in termini cronologici – principia con Ugo Foscolo e si chiude con Ezra Pound4.

In una lettera inedita ad Andrea Zanzotto, lo stesso tema emerge laddove Jesi individua per la scrittura

il dovere di esaurire la tradizione poetica fino a ridurla a una combinazione di luoghi comuni nel pieno rispetto delle sue intrinseche linee storiche di metamorfosi, e la convinzione del valore estetico del luogo comune in sé e per sé: del luogo comune lessicale, metrico, fonico, ecc. ridotto alla cosa passiva che effettivamente è. Si tratterà poi di sfruttarlo per il giusto verso5.

Se la macchina mitologica funziona nelle creazione, essa è operativa anche nella ricezione: ogni critico letterario ha di fronte sempre tutta la letteratura universale in una «sorta di solidarietà universale tra i documenti letterari»6. La macchina opera dunque nello spazio dell’immaginazione letteraria: «Bisogna supporre [...] l’esistenza di una sorta di “specchio” in cui si riflette tutta la letteratura universale per cui un critico, anche quando si occupa di una sola poesia, ha idealmente davanti tutta la letteratura prodotta nel mondo, che lo specchio gli riflette»7.
Questo mondo, che pare sovraumano e dietro il quale affiora la tentazione del tout se tient, è il più umano che ci sia: la letteratura è cosa di uomini e donne che condividono esperienze simili e che imparano a conoscere se stessi e gli altri attraverso i libri: significatività è anche trovare in un testo ciò che si è letto in altri, concependolo come luogo ideale, un altrove che mitologicamente qualcuno potrà assimilare al mondo archetipico o all’eterno ritorno dell’uguale8. Il linguaggio mitologico implica l’ipotesi della solidarietà universale tra tutti i documenti letterari e tra tutto l’avvenuto, perché l’immaginazione è indissolubile dal linguaggio mitologico, ma senza che per questo si dia il mito-sostanza, presunto «motore immobile del meccanismo del linguaggio mitologico»9.
Muovendo da questo considerazioni e in virtù della sua attenzione per l’immaginario collettivo e l’inconscio culturale, Jesi può essere ancora una volta avvicinato alla critica post-psicanalitica e post-strutturalista. In questo senso negli anni ottanta Deleuze, scegliendo il cinema come paradigma, avanzava l’idea di «automa spirituale», termine che definisce un pensiero che procede per innesco automatico su base inconscia e che mette in crisi la presunta completa autotrasparenza del soggetto10. Su questa concezione della narrazione-immagine Gianni Celati scrive che

non esiste nessuna immagine che si chiuda in sé, nella propria oggettività realistica; dietro ogni immagine ce n’è un’altra, che a sua volta si collega ad altre già viste; e ciò che forse determina la loro durata d’effetto, è la permanenza di una loro riconoscibilità, in cui si concentrano ere di figurazioni immaginative11.

I testi scritti con la sistematica pratica del montaggio e della citazione creano un’analoga rete di rimandi, di rinvii e di connessioni ad alto potenziale di significato, che implica un’attivazione dell’interpretazione di grado superiore a quella presente nella comunicazione, decodificazione e lettura ‘tradizionali’. Sono qui portate alle estreme conseguenze le premesse di Benjamin, «l’attualità di Proust, Kafka, Brecht, ma anche del surrealismo e del cinema» relativamente alla riflessione sugli «effetti anacronistici di conoscenza»12: con conseguenze valide per ogni ‘testo’ nella sua nozione più ampia, nel contemporaneo l’«immagine-movimento sembra essere in se stessa un movimento fondamentalmente aberrante, anormale» ma al contempo l’unica fondazione possibile, in quanto è «il montaggio stesso a costruire il tutto e darci in tal modo l’immagine del tempo»13.
Seppure l’immagine e l’emozione siano temi centrali del suo discorso su letteratura e teatro, Jesi non fece in tempo, o non volle affrontare la questione del cinema che era e sarebbe diventata invece oggetto di riflessione sistematica della critica estetica e politica. Il cinema d’avanguardia, mostrando la sua artificialità fino a diventare meta-cinema, non fa che riprendere quella riflessione sulla letteratura: invoca la necessità di una scrittura ironica, esibisce il segno della sutura e dell’autorialità, disinnescando così l’effetto ipnotico del mito-sostanza senza soffocare l’ emozione che l’immagine suscita14.

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1 K. Kerényi, Considerazioni preliminari, in Id. Felicità difficile, cit., p. 29, in Jesi, Materiali Mitologici, p. 17. Nelle stesse pagine Kerényi nel suo «ricordo» associava il «nitore dolce, quasi tendente all’oscuro» di una statua greca (un Ermes psicopompo dell’isola di Andros), alla «radiazione» o «aura» che incanta nei romanzi di Mann; Ivi, pp. 21-22; in MM, p. 9.
2 MM, p. 206.
3 MM, p. 209.
4 F. Jesi, Lesilio, nota editoriale, in «Cultura tedesca», cit., pp. 107-108. Il testo, risalente al 1969, doveva servire, su richiesta dell’editore Silva, da comunicato stampa per la raccolta di poesie Lesilio, cit.; di contenuto sostanzialmente analogo la Lettera a Piancastelli (in «Uomini e idee», nn. 23-25, Napoli, 1970, pp. 249 ss.) con cui Jesi interveniva in un ambito dibattito sulla poesia d’avanguardia suscitato dal direttore della rivista Corrado Piancastelli. Entrambi in Riga 31_Jesi, 2010.
5 Lettera a Zanzotto del 29 ottobre 1970, Archivio privato di casa Jesi.  Ora in Riga, 2010. Cfr. H. Bloom, Langoscia dellinfluenza. Una teoria della poesia (1973), ed. it. Feltrinelli, Milano, 1983, manifesto dei cosidetti Yale critics e dell’inevitabilità del mis-reading nella ricezione storica e testuale.
6 Jesi, Ermetismo e Linguaggio Mitologico, p. 189.
7 L. Piantini, Furio Jesi: tempo del segreto e tempo della storia, in «Il ponte», La Nuova Italia, Firenze, n. 6, giugno 1990, pp. 95-96.
8 Cfr. O. Pamuk, La valigia di mio padre (2006), ed. it. Einaudi, Torino, 2007, pp. 19-20, «La mia fiducia viene dalla convinzione che tutti gli esseri umani si somigliano, che altri portano ferite come le mie e che quindi capiranno. Tutta la vera letteratura nasce da questa certezza fiduciosa e infantile che tutti gli individui si somiglino. Quando uno scrittore si chiude per anni in una stanza, evoca con il suo gesto l’esistenza di un’umanità unica, un mondo privo di centro» (ora anche in Id., Altri colori, Einaudi, Torino, 2008, pp. 496-7); si vedano anche le pp. 46 ss. sul «lettore implicito» e sulla teoria di W. Iser. Cfr. MM, pp. 38-50 sulla stanza del mitologo l’hortus conclusus che apre mondi.
9 ELM, p. 190.
10 «Il movimento automatico suscita un automa spirituale, cha a sua volta reagisce su di lui», esso designa «il circuito nel quale» i «pensieri entrano con l’immagine-movimento». G. Deleuze, Cinema 2. Limmagine-tempo (1985), ed. it. Ubublibri, Milano 1989, pp. 175-176.
11 G. Celati, Quando ho visto “Nel corso del tempo”, in «Riga», 28, 2008, p. 124.
12 G. Didi-Hubermann, Storia dellarte e anacronismo delle immagini, cit., p. 27; cfr. pp. 52-53.
13 G. Deleuze, Cinema 2., cit. pp. 48, 51.
14 Cfr. il cap. 2.