tag:blogger.com,1999:blog-74543194038854857622024-03-13T03:57:52.631+01:00tracciatore di cerchiritagli di sola scritturaarrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.comBlogger79125tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-70901021231636688962018-02-17T19:48:00.002+01:002018-02-17T19:58:41.255+01:00La canzone della piramide<div style="color: #cc0000; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal; text-align: center;">
<br /></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal; min-height: 13px;">
<br /></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Angeli dagli occhi neri nuotavano con me</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Una luna piena di stelle e macchine astrali</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Tutte le figure che ero solito vedere</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Tutte le mie amanti erano lì con me</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Tutto il mio passato ed il futuro</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: "times new roman"; font-stretch: normal; line-height: normal; min-height: 15px;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">E andammo tutti in paradiso su una piccola barca a remi </span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Non c'era nulla da temere e niente di cui dubitare</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Mi sono tuffato nel fiume</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: "times new roman"; font-stretch: normal; line-height: normal; min-height: 15px;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Angeli dagli occhi neri nuotavano con me </span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Una luna piena di stelle e macchine astrali </span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Tutte le figure che ero solito vedere </span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Tutte le mie amanti erano lì con me </span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Tutto il mio passato ed il futuro</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: "times new roman"; font-stretch: normal; line-height: normal; min-height: 15px;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">E andammo tutti in paradiso su una piccola barca a remi</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Non c'era nulla da temere e niente di cui dubitare </span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Non c'era nulla da temere e niente di cui dubitare </span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Non c'era nulla da temere e niente di cui dubitare</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal; min-height: 13px;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span style="font-size: large;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: x-small;">Radiohead</span><i><span class="Apple-style-span" style="font-size: x-small;">, Pyramid song</span></i><span class="Apple-style-span" style="font-size: x-small;">, Amnesiac</span></span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal; min-height: 13px; text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">1.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Dalle carte di Niccolò Steno. Egitto, 4 ottobre 1582</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: "times new roman"; font-stretch: normal; line-height: normal; min-height: 15px;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">L’aria è cupa e densa di tenebra, mi sembra di essere sul fondo limaccioso di un pozzo, fa freddo e ho paura. C’è qualcosa fuori dal mio campo visivo che mi paralizza: credo di essere sveglio, provo a muovermi ma non ci riesco, provo a parlare ma non succede niente. Avverto la presenza, il suo odore di terrore si avvicina lentamente, fino a quando mi sveglio con un senso di angoscia inesplicabile. è il mio sogno ricorrente, mi accompagna come gli uccelli marini hanno seguito la nave che mi ha portato fin qui. </span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">L’ho sentita la prima volta, bambino, in un paese della Provenza, in viaggio con mio padre verso il convento. Durante una processione per scongiurare la peste, un vecchio - lo dicevano cataro - aveva avuto la sconsiderata idea di uscire di casa. La folla rumorosa, scomposta, furibonda aveva dato fuoco alle sue vesti tra insulti rabbiosi, risate volgari e battute oscene. Corsi via, scosso dai conati di vomito, per perdere i sensi in un fosso poco fuori dal centro abitato. E nel regno delle ombre l’avevo incontrata. Risvegliarsi per gli scrolloni di mio padre, ritrovare il sole e l’odore sgradevole e familiare degli uomini, degli animali e dell’erba e delle strade sporche, scoprire di essere ancora vivo e in questa dimensione, mi era sembrato meraviglioso. Da allora la sua ombra ha sempre camminato non troppo lontano. Per questo posso dire che ho sempre avuto paura e dubitato di tutto. L’ho intravista così tante volte che con il tempo ha cominciato a far parte dello sfondo della mia vita. In ogni paese, ogni luogo, ogni stanza. Così ho iniziato a ignorarla. È come recitare il rosario fino a quando stremato non ti addormenti, avendo cura di non lasciare spazi tra una parola e l’altra e senza mai aprire gli occhi né sporgere testa, mani e piedi fuori dalla coperta. Funziona. Allora la sua immagine si è ripresentata sotto forma di sogno. Sogno di sognare di sognare, svegliarmi è come chiudere alle spalle le porte di tanti ambienti che sembrano non finire mai. La sento avvicinarsi, allora comincio ad agitarmi e poi mi sveglio. L’ho evitata. Ma so che da qualche parte c’è qualcosa che mi aspetta per fare a pezzi la mia anima, trascinarla negli abissi del buio e del dolore, dove è pianto e stridore di denti.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Per questo adesso sono qui: avere il coraggio di rimanere immobile e aspettare che la Presenza manifesti il suo volto. Altri sono stati con me, ma oggi sono solo. Oggi è il 4 ottobre 1582. Domani per i Signori del tempo sarà il 15 ottobre. Da mesi si prepara la riforma del nostro calendario per rimediare agli errori di calcolo degli equinozi. Miserabili. Come se fossero questi gli errori da emendare. Nei Dieci-giorni-che-non-sono, io ho la possibilità di essere: mi aspetta l’ingresso della Piramide. Dieci giorni per scendere le scale degli Arconti e stare da solo a solo con il Rettile la cui testa è Paura e la coda Dubbio.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal; min-height: 13px;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">2.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Roma, gennaio 1600</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: "times new roman"; font-stretch: normal; line-height: normal; min-height: 15px;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Il freddo buio e silenzioso che pungeva e trafiggeva le sue ossa fu per un attimo interrotto dalla lama di luce che filtrava attraverso la porta. Dopo una lenta esitazione lo riconobbe sotto il pesante mantello con il cappuccio, il suo portamento era sicuro e rapido, silenzioso e circospetto. Gesti scolpiti come nella pietra, scatti perentori di chi da lungo tempo non si permette indecisioni, attutiti e sommessi nel fruscio delle vesti: «Abbiamo poco tempo, tieni questo. È tutto quello che sono riuscito a fare.»</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Nonostante la lunga permanenza al buio e gli occhi ridotti a strette fessure, Niccolò vide il nuovo venuto tenere in una mano un lume ad olio dal fioco bagliore, alto sopra la testa, l’altro braccio ospitava una coperta. La mano gli porse un involucro.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">«Signore benedetto, come sei ridotto», commentò Zenone, «pazzo incosciente che non sei altro.»</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Con la lentezza delle membra provate dalla tortura, ma che pure in piena salute non avevano mai conosciuto il guizzo e la rapidità, Niccolò trasse fuori un soffio di lente e faticose parole: «strano vederti, frater, sono anni.»</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">La figura, solenne come un Arconte del Settimo cielo, lo zittì rapido sussurando: «Lascia perdere, non siamo fratelli. Sei spacciato e lo sai, la tua autodifesa ha irritato anche quei pochi che avrebbero voluto evitarti la morte. Non posso fare nient’altro che portarti queste poche cose. La coperta la riprendo, la sua presenza qui desterebbe troppi sospetti.»</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">«Sei venuto solo per dirmi questo?» fluì lento Niccolò.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">«Non farmi perdere le staffe anche quando stai per morire», staffilò Zenone. Avvolgendosi dentro la coperta, rimanendo sdraiato sull’asse di legno, il prigioniero rispose: «questa mi serve, ti ringrazio, del cibo non me ne faccio niente. Quanto alla mia sorte, non mi dici nulla di nuovo. Ho incominciato a camminare verso questo momento fin dai primi giorni delle nostre letture».</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">«Taci!» Interruppe secco l’altro. «Se ti sono stato compagno nell’errore è stato per un istante, e sono passati lustri. Ho rimediato ai miei errori da tempo.»</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Il ridestarsi di Niccolò era completo e le parole uscirono maliziosamente insinuanti anche nel suono, ma senza rabbia: «Questo è vero, visto che sei tu che decidi quali libri devono essere bruciati.»</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Occhi di collera avvamparono perforando il buio. Si percepiva un enorme sforzo di autocontrollo: «Sentiamo che cosa avrei dovuto fare? Offendere i sacramenti, irridere i fondamenti dell’ordine come hai fatto tu negli ultimi quindici anni – e qui la voce si fece un sussurro appena udibile - o andarmene in Oriente a praticare culti blasfemi e demoniaci?»</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Niccolò, dopo una lunga pausa che sottolineò lo scarto tra la formulazione delle parole nel pensiero e la loro espressione, disse: «Ho celebrato Colui-che-forse-È e spinto la mia osservazione fin dove si poteva, cercando il sapere che viene dalle cose. Pietre, metalli, fuochi e acque – sembrava intonare una struggente litania – materie e forme, pesci e uccelli, rettili e quadrupedi, epoche trascorse e vizi sempre uguali. Ho fatto come Talete che ha misurato l’ombra della Piramide dopo avere osservato l’ombra del suo corpo nell’ora in cui è uguale alla sua altezza.»</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">L’impazienza e il nervosismo dell’altro erano sempre più difficili da trattenere, un sibilo tra denti stretti: «Me lo dicevano che eri completamente pazzo. Parli come uno stregone.»</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">«Amo quello che tu e i tuoi amici calunniate, assassini di animali migliori di voi. Sei tu che hai dimenticato il geroglifico vegetale che nutre l’animale universo e metti i tuoi sigilli al fondo di documenti che invitano a crocefiggere i gatti…»</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: "times new roman"; font-stretch: normal; line-height: normal;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: xx-small;"> </span></span><span class="Apple-style-span" style="font-size: xx-small;">La furia di Zenone ormai era evidente in ogni gesto: «Miserabile pazzo, la tua poesia non ha mai sfamato nessuno, né potrà fermare gli eserciti. L’unico Dio Uno e Trino garantisce l’ordine, gli incolti sono feccia incapace di capire. Il nostro dovere è arginare la marea. Ora devo andare. Sei perduto. Di te non resterà traccia.»</span></span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Niccolò si lasciò lentamente cadere, senza più guardare il suo interlocutore; mentre la guardia armeggiava con la serratura, disse con voce ferma: «Ma come può a Malta un dente di pescecane trovarsi dentro uno strato di roccia?»</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Ma l’altro era gia fuori e il sinistro clangore della porta richiusa si portò via le ultime parole. Nel buio il silenzio faceva compagnia al respiro di Niccolò. La coperta, comunque, era rimasta lì. Ormai la Paura e il Dubbio non potevano nulla contro di lui.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: "times new roman"; font-stretch: normal; line-height: normal; min-height: 15px;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">3.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Roma, 16 febbraio 1600.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Quando Niccolò Steno entrò con le catene ai polsi, rivestito di una tunica bianca e accompagnato da un drappello di guardie armate e preceduto dal crocefisso, l’aula del palazzo arcivescovile era già gremita di prelati in abito talare, notai con i loro scranni per la cancelleria, nobili e dame con i loro seguiti e armigeri ai lati per tenere a bada una folla di borghesi e popolani che erano riusciti a entrare. Molti altri attendevano fuori vociando scompostamente, sotto lo sguardo severo di soldati duri e legnosi come stoccafissi. La magrezza estrema, dovuta ai patimenti subiti durante la carcerazione e al rifiuto di prendere cibo, la cerchiatura violacea degli occhi e l’aspetto da animale ferito che caratterizzava quell’eretico lunare e curvo suscitava non poca compassione tra gli astanti di ogni rango. Un lusso che da anni pochi si potevano permettere. Nessuno osava tenere il suo sguardo, dolce, liquido e febbrile al tempo stesso. Il cardinal Zenone **********, costantemente incappucciato tra i membri del Collegio inquisitoriale, serrò involontariamente la mandibola, pensando alla distanza e alla posizione che lo separava dall’accusato; il suo giudizio sui testi di Steno aveva confermato le richieste di una condanna severa. La lunga cantilena iniziale in latino e la serie di locuzioni in volgare che elencavano le accuse rivolte al condannato, perché di fatto lo era già per tutti e da tempo, era per tutti priva di qualsiasi significato, considerato che le accuse, le testimonianze e anche le logiche retrostanti la denuncia erano false. Servì solo per aumentare la tensione fino a quando il tono stesso sembrò suggerire una conclusione. Niccolò udiva il suono remoto della voce come se fosse la medesima di Ade, solo meno fragorosa.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal; margin-bottom: 6px;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Per il che essendo stato visto e considerato il processo contra di te formato e le confessioni delli tuoi errori ed eresie con pertinacia e ostinazione, benché tu neghi essere tali, tutte le altre cose da vedersi e considerarsi: proposta la tua causa nella Congregazione nostra generale e quella votata e risoluta, siamo venuti all’infrascritta sentenzia. Invocato dunque il nome di Nostro Signore Gesù Cristo e della sua Gloriosissima Madre Sempre Vergine Maria, per questa nostra definitiva sentenzia, quale di consiglio e parere dei Reverendi Padri Maestri di Sacra Teologia e dottori de l’una e l’altra legge, nostri consultori, proferiamo in questi scritti, diciamo, pronunziamo, sentenziamo e dichiariamo te fra’ Nicolaus Steno predetto essere eretico impenitente pertinace ed ostinato e perciò essere incorso in tutte le censure ecclesiastiche e pene dalli sacri canoni, leggi, costituzioni. E come tale te dichiariamo dover essere scacciato, si come ti scacciamo dal foro nostro ecclesiastico e dalla nostra santa e immacolata Chiesa della cui Misericordia ti sei reso indegno; e dover essere rilasciato alla corte secolare per punirti delle debite pene. Di più condanniamo e proibiamo tutti gli sopradetti ed altri eresie ed errori, ordinando che tutti quelli che sin d’ora si sono avuti, e per l’avvenire verranno in mano del Santo Officio, siano pubblicamente guasti ed bruciati sulla pubblica piazza, e come tale che siano posti nell’indice de libri proibiti, sì come ordiniamo che si faccia’.</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">La lettura della lista dei firmatari del documento, si perse mentre il brusio aumentava di volume, fino a diventare protesta per la strada, mentre gli armigeri serravano le alabarde con cui trattenevano la folla, le dame sussurravano concitatamente tra loro e alle orecchie delle damigelle, i cardinali rigidie seduti muovevano solo gli occhi gli uni alla ricerca di quelli degli altri, i segretari assorti nell’inchiostro delle loro pagine.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Niccolò dal canto suo era già altrove da tempo. Pensava, se può essere pensiero uno stato di coscienza così diverso da quello che l’aveva fatto grande, tagliente e rapido come una lama nel buio, caldo e generoso come un fuoco nella notte, all’incontro con la Presenza notturna da cui non si era mai più separato dopo il viaggio in Egitto. Al silenzio, alla ricerca, alla notte oscura, alla catena dei maestri, alle scale e alle soglie. Al Rettile la cui testa è Paura e la coda Dubbio davanti a lui nel cerchio tracciato intorno a sé, che gli sussurra insistente e crudele: «Sei come me.»</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span style="font-size: large;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: xx-small;">Al fondo della Piramide aveva scoperto che l’orrore non era niente più delle forme con le quali gli pareva di averlo intravisto. Non aveva conosciuto sua madre, morta di parto, e il padre, un banchiere al servizio del duca di §§§§§§§, non aveva tardato molto ad affidarlo al convento domenicano per la sua educazione. La Presenza l’aveva sentita in paesi spettrali stando vicino ai malati di peste, riducendo fratture e cucendo ferite senza chiedere come erano state procurate, nei bambini malnutriti che se andavano via senza un lamento, nelle bestie stremate rese pazze dalla fatica, nella figlia del conte aiutata a sbarazzarsi di un fardello che le sarebbe costato la vita. Nelle tonache luride dei conventi, nelle storie oscene dei viaggiatori, negli sguardi privi di espressione dei villani, negli zibellini e nelle dita inanellate, nella sale gremite di pedanti delle università, nelle piazze solenni e tremanti, eccitate e oscene delle pubbliche esecuzioni.</span><i><span class="Apple-style-span" style="font-size: xx-small;"> </span></i><span class="Apple-style-span" style="font-size: xx-small;">Era stato come essere davanti a uno specchio e avere davanti a sé tutti i giorni di tutti gli uomini di tutti i tempi. Ora infine i rapporti tra le cose e l’ombra si erano invertiti. Adesso era quest’ultima a dominare la scena, e il mondo era un paesaggio distante e incolore con molteplici forme indefinite che si agitano senza posa parlando lingue sconosciute. </span></span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Quasi solo il cardinal Zenone, membro eminente del Collegio inquisitoriale, lesse sulle labbra esangui dell’eretico, parole distinguibili in una frase, che peraltro sarebbero risultate incomprensibili ai più in ogni circostanza. Le stesse che risuonavano da qualche parte nella sua mente, come provenienti dall’oltretomba, rimbalzando dalla memoria di segreti scambiati vent’anni prima. Dopo le lezioni, poi sussurrati tra piacere, timore e sorpresa, all’alba in boschi brumosi e poi ritrovati su pagine meravigliose e terribili stampate all’estero da qualche editore coraggioso.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Di come i denti di pescecane possano trovarsi nella roccia e cosa leghi ombre delle piramidi alle ombre umane sarebbe stato il fuoco a decidere. </span></div>
<div style="color: #666666; font-family: "times new roman"; font-stretch: normal; line-height: normal; min-height: 15px;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">4.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Per tutta la giornata i martelli avevano scandito il tempo, con il loro sinistro rintoccare. Tutti sapevano che quello che era stato montato con energica solerzia era un palco per il rogo previsto. Inutilmente le acque del cielo avrebbero ostacolato le fiamme ravvivate dalla pece. La notte del carcere era popolata di silenzi pesanti, nell’ora che precede la morte. La cella sembrava più piccola rispetto all’ultima volta. Due uomini e il condannato la occupavano.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Mi sono tuffato nel fiume, cosa ho visto?</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">I nostri cuori saranno due grandi fiaccole</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Ma tu chi sei?</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">«Ha la febbre alta, magister.» La voce del giovane speziale era rotta dall’emozione. «Non siamo qui per curarci della sua salute», rispose la figura incappucciata, famigliare a quei sotterranei, incapace nonostante tutto di pensare agli insetti che si agitavano nel buio senza provare un doloroso senso di nausea.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal; margin-bottom: 6px;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Negli animali le loro parti sono in continua alterazione e moto, ed hanno un certo flusso e reflusso, dentro accogliendo sempre qualche cosa dall’estrinseco e mandando fuori qualche cosa dall’intrinseco.</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">«Ho paura magister», ed era vero; le mani tremavano nel cercare di aprire il sacchetto nascosto sotto lo scapolare.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">«Avrai la tua assoluzione, se è quello che temi.»</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">«Non è quello, sapete voi cosa è opportuno, non sono uso a discutere con un gigante di Nostra Madre Chiesa cosa è cristiano e cosa non lo è. Il posto… mette i brividi.»</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">«Ora taci e fai in fretta», intimò severo Zenone.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Angeli dagli occhi neri nuotavano con me</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Essendo che ogni cosa partecipa della vita molti ed innumerevoli individui vivono non solamente in noi ma in tutte le cose composte.</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Una sera di rosa e azzurro mistico ci scambieremo un unico bagliore simile a un lungo singhiozzo risonante di addii</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Io sono l’Intelletto della Sovranità Assoluta</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Gli occhi del prelato alla fioca luce del lume cercarono di abbracciare la figura del condannato, simile alla sua in giorni in cui i destini sembravano intrecciati. Erano tempi diversi, pensò Zenone, in cui il fossato che separa l’errore dalla verità non era ancora stato scavato, e in cui giocare agli infiniti mondi e leggere libri proibiti si poteva ancora fare.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Tutte le figure che ero solito vedere, al di sopra degli stagni, delle valli, delle montagne, dei boschi, delle nubi, dei mari, oltre il sole e l’etere, al di là dei confini delle sfere stellate</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Chi ben considera saprà che giovani non abbiamo la medesima carne che avevamo quando eravamo fanciulli e vecchi non abbiamo quella medesima quando eravamo giovani, perché siamo in continua trasmutazione</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">So quello che tu vuoi e sono con te dappertutto</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">«Non ci sente, magister. È dalla condanna che le guardie riferiscono uno stato catatonico e nessuno dei confessori mandati a parlargli è riuscito a cogliere lumi di intelletto.» Zenone aveva profondamente amato quel corpo, la lingua tagliente e lo spirito arguto, altrettanto sottile ma diverso da quello proprio, incline alla mediazione e poco avvezzo al conflitto. Li aveva uniti il disprezzo per la mediocrità, la passione per le lettere, la fede sentita come impegno e ricerca interiore. L’abbandono di quella vita gli era costato non poco, ma non si rinuncia a una sede vescovile e a una carriera di inquisitore se porti il nome che porti.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Fuggi lontano da questi miasmi pestiferi</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Una luna piena di stelle e macchine astrali</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal; margin-bottom: 6px;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Il principio ordisce la tela, intesse le fila, digerisce e distribuisce gli spiriti, infibra le carni, stende le cartilagini, salda l’ossa, ramifica li nervi, incava le arterie, infeconda le vene, fomenta il core, inspira i polmoni.</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal; margin-bottom: 6px;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Guarda bene nel tuo intelletto tutto quello che vuoi sapere</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal; margin-bottom: 6px;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Io ti istruirò</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal; margin-bottom: 6px;">
<span style="font-size: large;"><span class="Apple-style-span" style="font-size: xx-small;">Bisogna pur sapere crescere, Signore Iddio, e riconoscere le sacre verità della fede dalle schermaglie dialettiche e dagli incantamenti del maligno che suole irretire le menti migliori facendo leva sull’orgoglio che scatena le menti. Lo aveva amato, ma era un altro tempo, decisamente</span><i><span class="Apple-style-span" style="font-size: xx-small;">.</span></i></span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">«Procedi allora Teofilo, abbiamo poco tempo. Sarà difficile giustificare alla Congregazione quanto sta per accadere.» Dopo aver fissato intensamente il superiore, lo speziale estrasse dalla sacca un cucchiaio. Lentamente lo immerse nel sacchetto che teneva con l’altra mano.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Tutte le mie amanti erano lì con me </span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Gli egizi sanno che sono nel grembo della natura, la quale come dal mare e fiumi dona i pesci, da gli deserti gli animali selvatici, da le miniere li metalli, dagli alberi le poma.</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">La fonte da cui procede il corpo individuale è la somma oscurità, da cui viene la natura umida</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Niccolò continuava a essere privo di coscienza, immerso in un sonno scosso da brividi e brevi schiocchi delle labbra e contrazioni involontarie. Non sentì il cucchiaio che lo speziale Teofilo, sotto lo sguardo vigile e attento di Zenone, gli appoggiò alle labbra socchiuse, aiutandosi con l’altra mano per far arrivare il contenuto alla gola. «Non soffrirà magister, se ne andrà senza svegliarsi, come avete chiesto», la voce di Teofilo era un sussurro.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Tutto il mio passato ed il futuro</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal; margin-bottom: 6px;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Ciò che era seme si fa spiga, da che era spiga si fa pane, da pane chilo, da chilo sangue, da questo seme, da questo embrione, da questo uomo, da questo cadavere, da questa terra.</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Se potessi tenerti tra queste braccia</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Attraverso la natura umida il corpo è costituito nel mondo sensibile</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Dove si abbevera la morte</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">I due uomini in piedi fissavano il terzo disteso, finalmente rilassato, per un tempo interminabile. Se c’erano rumori nel sotterraneo, loro non erano in grado di sentirli. Dopo un po’ il più giovane osò parlare: «Ormai non ci sente più. Il veleno deve essere giunto al cuore.» Insieme fecero il segno della croce, mentre una muta preghiera attraversava la mente del più anziano. Il gesto estremo era compiuto, è tutto finito. Doveva solo dimenticare. Ma la luce che filtrava come da una porta chiusa dietro cui splenda una fiamma intensa si accese nella sua mente, impedendo il buio desiderato. Lampi più luminosi dei fuochi greci che avevano progettato insieme si accesero molesti, senza che fosse possibile allontanarli. Era stato lui a iniziare tutto. Quando suo padre aveva ricevuto in dono quel prodigio da Malta, il dente di pescecane incastrato nella roccia, non sapeva che l’ossessione d'infanzia sarebbe stata condivisa con il compagno di gioventù. Insieme avevano iniziato a cercare di capire come un corpo solido possa stare all’interno di un altro corpo solido. Di lì alla prima dissezione clandestina il passo non è poi così lungo. La via era aperta e ogni cosa parlava di ogni cosa. Il segno dell’aria che bagna le geometrie arboree, il fuoco che danza e trasforma ciò che sta in basso e ciò che sta in alto, la metamorfosi che esplora i mondi. Dubitare di tutto e cercare nuove strade. Ma era stato l’altro a continuare. Lui aveva dimenticato la posizione che cambia. Aveva scelto la definizione, e di non essere più né muto pesce del mare né fanciulla. Di non avere paura e di non dubitare. Lui non c’era stato più a un certo punto, perché per lui dopo il 4 ottobre 1582 era seguito il 15. Ma sapeva che c’era un’uscita dalla Piramide.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Ave Maria, gratiae plena hoc est meum corpus</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Si noi fossimo ne la luna o in altre stelle non saremmo in loco molto dissimile a questo. Non più è imprigionata la nostra ragione coi ceppi de fantastici mobili e motori otto, nove e dieci</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Una la forma una la materia una la cosa</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">E così porta i fratelli, i suoi tesori e i suoi figli, fragoroso di gioia, in seno alla madre che attende</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Angeli dagli occhi neri nuotavano con me </span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Zenone si rivolse a Teofilo. «Inginocchiati, ti assolvo», ordinò mentre l’altro obbediva.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">«Ora te ne andrai.»</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">«Ma magister, non devo fare altrettanto con voi? Non venite…» proruppe stupito dal cambiamento di programma.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">«Fai come ti ho detto. Ora vai via,» lo interruppe secco.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Sai Sofia sei sei Sofia</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">La mutazione non cerca altro essere ma è altro modo di essere</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Nessun corpo nel suo luogo è assolutamente grave o lieve</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Tu stai con il cuore inesplorato aperto e impenetrabile sopra il mondo attonito</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Sospeso sull’acqua e sulla terra simile agli dei</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Una luna piena di stelle e macchine astrali</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Tutto il mio passato ed il futuro</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">I loro coltelli non avranno potere su di me</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Perché conosco i loro nomi</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<i><span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Andremo in paradiso su una piccola barca a remi</span></i></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Lo sapeva perché Niccolò aveva voluto raccontarglielo al ritorno dall’Egitto. Poco prima che si separassero per diciassette anni, dopo una lite furibonda. L’uscita dalla Piramide la trova solo chi ha guardato a lungo in faccia il Rettile.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Rimase a lungo in silenzio mentre la sua mente traboccava di immagini e parole che credeva cancellate, il cuore martellante in petto. Poi decise. Non volle tracciare il cerchio, né pronunciare la formule di rito. Non perché non ne avesse il tempo, ma perché lo ritenne superfluo, o forse inutile. </span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Come Talete misurò l’ombra della Piramide dopo aver osservato l’ombra del suo corpo nell’ora in cui è uguale alla sua altezza, prese le misure delle sua esistenza, sottratta all’infinito processo e all’ininterrotta espansione. Allora pianse, a lungo, e piangendo, non gli rimase che estrarre il rasoio nascosto nel saio. Si asciugò le lacrime e senza solennità, con gesti precisi e netti si recise le arterie all’altezza dei polsi e delle caviglie. Poi si lasciò cadere dolcemente sul giaciglio a fianco delle spoglie di Niccolò, mentre il liquido caldo sgorgava dolcemente come da una fonte stillante miele.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: garamond; font-stretch: normal; line-height: normal;">
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;">Non c’era più nulla da temere e niente di cui dubitare.</span></div>
<div style="color: #666666; font-family: "trebuchet ms", trebuchet, verdana, sans-serif;">
<br /></div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-62657518457147902542016-03-20T09:24:00.001+01:002016-03-20T09:24:07.746+01:0019 marzo<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-379Rn1I4WMc/Vu5d4NNC2-I/AAAAAAAAAWE/cqlHoBBW-hoXWMc_9VFKqrjRya16Br6LQ/s1600/Pietro-Nice_1959.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-379Rn1I4WMc/Vu5d4NNC2-I/AAAAAAAAAWE/cqlHoBBW-hoXWMc_9VFKqrjRya16Br6LQ/s320/Pietro-Nice_1959.jpg" width="226" /></a></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><br /></span></div>
<div style="text-align: center;">
<i><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: x-small;">Costa azzurra, 1959</span></i></div>
<br />
<div class="p1">
<span class="s1"><i><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></i></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><i><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></i></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><i><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Padre, se anche tu non fossi il mio</span></i></span></div>
<div class="p1">
<br /></div>
<div class="p1">
<br /></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Padre, se anche tu non fossi il mio </span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Padre se anche fossi a me un estraneo,</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">per te stesso egualmente t'amerei.</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Ché mi ricordo d'un mattin d'inverno</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Che la prima viola sull'opposto</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Muro scopristi dalla tua finestra</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">E ce ne desti la novella allegro.</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Poi la scala di legno tolta in spalla</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Di casa uscisti e l'appoggiasti al muro.</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Noi piccoli stavamo alla finestra.</span></span></div>
<div class="p1">
<br /></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">E di quell'altra volta mi ricordo</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Che la sorella mia piccola ancora</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Per la casa inseguivi minacciando</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">(la caparbia aveva fatto non so che).</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Ma raggiuntala che strillava forte </span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Dalla paura ti mancava il cuore:</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">ché avevi visto te inseguir la tua</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">piccola figlia, e tutta spaventata</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">tu vacillante l'attiravi al petto,</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">e con carezze dentro le tue braccia</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">l'avviluppavi come per difenderla</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">da quel cattivo che eri il tu di prima.</span></span></div>
<div class="p1">
<br /></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Padre, se anche tu non fossi il mio</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Padre, se anche fossi a me un estraneo,</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">fra tutti quanti gli uomini già tanto</span></span></div>
<br />
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">pel tuo cuore fanciullo t'amerei.</span></span></div>
<div class="p1">
<span class="s1"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"><br /></span></span></div>
<div class="p1">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: x-small;">Camillo Sbarbaro</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: x-small;"> </span></div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-90071876558263049652016-03-04T09:09:00.000+01:002016-03-05T18:48:04.928+01:00<br />
<br />
<br />
<span style="font-size: large;">Ho ripescato una recensione del 2012, che si è persa in un paio di redazioni per tornare qui, nel vecchio blog trascurato</span><br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-5bFfZoLWN2A/VtlBGjBLWoI/AAAAAAAAAVs/ZvPisSou1ws/s1600/german_soldier.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="489" src="https://4.bp.blogspot.com/-5bFfZoLWN2A/VtlBGjBLWoI/AAAAAAAAAVs/ZvPisSou1ws/s640/german_soldier.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
soldati tedeschi, WW1.</div>
<br />
<br />
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<b><span style="font-size: large;">La<i> Germania segreta </i>di Kantorowicz</span></b></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="font-style: normal; font-weight: normal; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">
Enrico Manera</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">La raccolta di scritti di
Ernst Kantorowicz, <i>Germania segreta </i><span style="font-style: normal;">(Marietti,
2012)</span> curata e introdotta da Gianluca Solla, aggiunge
numerosi elementi di chiarezza alla definizione della galassia
intellettuale conservatrice che all'indomani della prima guerra
mondiale ha finito in parte per confluire nel nazionalsocialismo
contribuendo alla sua affermazione nel dodicennio nero 1933-45. Se
gli studi del celebre medievista di Princeton su <i>I due corpi del
re </i><span style="font-style: normal;">(1957) sono assai noti, meno
lo è l'itinerario biografico e culturale dello studioso tedesco
(nato in Posnania nel 1895) che ha scritto pagine fondamentali sulla
storia della sovranità, capaci di ispirare ancora oggi riflessioni
sulla simbolica del potere e sulla corporeità dei potenti.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="font-style: normal; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">Uno
dei pregi del lavoro del curatore è mostrare tutto questo a partire
dal confronto tra il giovanile studio su Federico II di Svevia
(1927), che risente di una mitografia nazionalistica e germanizzante,
e il capolavoro della maturità in cui l'approccio dello studioso
diventa analisi del mito: studio della funzione politica del mito e
della finzione mitica del potere.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-style: normal;">La
distanza tra i due approcci nella produzione di Kantorowicz è
innanzitutto un prodotto delle vicende storiche in cui si ritrova
coinvolto. </span>Intellettuale raffinato e culturalmente vicino a
Stefan George e al suo circolo intellettuale, Kantorowicz è un ebreo
laico, conservatore e omosessuale che ha combattuto la Grande guerra
come volontario e ha partecipato con i <i>Freikorps</i> alla
repressione delle rivolte comuniste del dopoguerra a Berlino e a
Poznan. Negli anni successivi non rinnega il suo nazionalismo,
rivendicando anzi una differenza tra l'autentica Germania, 'segreta'
e poetica professata dal <i>George-Kreis </i><span style="font-style: normal;">sul
terreno mitologico della cultura classica</span><i>, </i><span style="font-style: normal;">e
la Germania nazista, populista e triviale, alla quale aderirono
alcuni suoi sodali di un tempo</span><i>.</i></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-style: normal;">Nel
1933, risparmiato grazie al suo status di ex combattente
dall'epurazione in Università che gli sarebbe spettata in quanto
ebreo, Kantorowicz protesta ufficialmente contro l'antisemitismo, di
cui non capisce le ragioni peraltro senza avvertire come propria
alcuna appartenenza all'ebraismo. La lettera al ministero con la
quale si autosospende dall'incarico di 'Professore ordinario di
storia medievale e moderna e scienze documentarie della storia' è un
capolavoro, di fede nei valori dell'umanesimo e di fraintendimento di
quanto stava avvenendo. Ebreo assimilato, continua a pensare nei
termini del diritto conquistato durante la Grande guerra combattuta
in nome del II Reich tedesco e poi con l'impegno anticomunista: allo
stesso tempo manifesta tutta la cecità della contestazione elitaria
del nazismo, incapace – sottolinea Solla – di comprendere il suo
carattere totalitario e razzista, e quindi destinata al fallimento,
come nel caso dell'attentato a Hitler del luglio 1944 da parte del
gruppo facente capo a von Stauffenberg. Tale contestazione avveniva
nel nome di un'élite legata alla Wehrmacht, alla nobiltà e alla
Chiesa confessante, la stessa élite che anni prima aveva preferito
il patto con il diavolo e con la feccia </span><i>lumpen</i><span style="font-style: normal;">
piuttosto che il consolidamento della socialdemocrazia e l'emergere
delle masse socialiste.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="font-style: normal; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">Kantorowicz,
che nella maturità riconosce come il «nichilismo nazista» abbia
deciso di «abolire programmaticamente l'idea di umanità», ha
coltivato la visione abbagliante di una Germania spirituale, gnostica
e intellettuale per pochi e sofisticati eletti; una Germania intesa
come il cuore dell'Europa, mediterranea e solare, greca e siciliana
come solo un medievista studioso del Sacro romano impero poteva
pensare. Un miraggio che altre menti, con analoghe risorse
intellettuali, avevano saputo evitare: Mann, principe borghese che
aveva perorato l'alleanza di borghesi e socialisti per scongiurare
l'avanzata nazista e che dall'esilio americano rappresentava la
cultura tedesca resistente e la speranza di una futura rinascita
democratica del paese; Benjamin, ebreo laico e marxista che in
posizioni di marginalità estrema e in qualità di vittima della
sorte e della sua fragilità aveva già visto che in realtà la
'Germania segreta' era «in ultima analisi soltanto l'arsenale della
Germania ufficiale, nella quale la cappa magica che rende invisibili
è appesa accanto all'elmetto d'acciaio del soldato».</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="font-style: normal; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-style: normal;">All'indomani
della Notte dei Cristalli Kantorowicz lascia la Germania per Londra e
da lì raggiunge gli Stati Uniti, per insegnare a Berkeley fino al
1949 e poi a Princeton, dove vedrà la luce lo studio su </span><i>I
due corpi del re</i><span style="font-style: normal;">. Da questa
«disfatta personale e professionale», che include la tragica sorte
della deportazione di parte della famiglia e la scomparsa di cari
amici, emergerà una reale comprensione della questione tedesca e
delle radici del carattere escatologico del nazismo. La nuova fase
dello studioso si mostra, non solo negli appunti degli anni quaranta
su </span><i>Nazism and Rebarbarisation, </i><span style="font-style: normal;">ma
in controluce nelle scelte teoriche e di politica universitaria.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="font-style: normal; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">La
selezione di saggi mostra come le dinamiche della migrazione diano
luogo dalla trasformazione dell'identità culturale
dell'intellettuale: allo sradicamento che modifica la stessa nozione
di Germania nella diaspora privata della lingua si affianca l'analisi
della «genealogia delle forme del potere e delle sue formule» che
prende forme inaspettate come l'impegno politico a favore
dell'insegnamento nell'America paranoide del Maccartismo.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="font-style: normal; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">Quando
l'Università della California chiede il giuramento anticomunista ai
suoi professori l'autodichiaratosi «conservatore autentico»
Kantorowicz è tra i primi a condurre una rigorosa battaglia
culturale in nome della libertà di coscienza e di insegnamento che
terminerà con le sue dimissioni e il trasferimento a Princeton.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-style: normal;">Ne
</span><i>La questione fondamentale</i><span style="font-style: normal;">
(1950) scrive di essersi impegnato in tal senso «probabilmente
perché la mia esperienza di storico e quella personale della
Germania nazista mi hanno insegnato a stare in allerta quando sento
risuonare certi toni che mi sono familiari. […] Per due volte ho
combattuto attivamente, con la pistola e il fucile, la sinistra
radicale in Germania, arruolandomi come volontario; tuttavia sono
anche consapevole che, aderendo all'esercito bianco, anche se
indirettamente e contro ogni mia intenzione, ho preparato la strada
che ha condotto al nazionalsocialismo e alla sua ascese al potere.
[…] Il problema, così spesso ignorato, è quale generazione di
vipere può provenire dai 'battaglioni bianchi', una volta che
indossano le camicie marroni. […] Il mio rispetto per l'Università
della California e per i suoi compiti è tale che non posso non
accondiscendere a che l'inquisizione politica, che paralizza
l'attività universitaria sia contemplata all'interno delle sue
attività».</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-style: normal;">I
saggi di</span><i> Germania segreta</i><span style="font-style: normal;">
mostrano i problemi ermeneutici che accompagnano le varie fasi del
lavoro di Kantorowicz: all'inizio contro lo storicismo positivista,
in nome della consapevolezza del coinvolgimento storico di ogni
studioso, e in direzione della messa a fuoco di una metodologia per
un'archeologia dell'immaginario sempre più consapevole dal punto di
vista metodologico; ma il segreto prezioso che il libro dischiude è
la vicenda di impegno dell'esule sradicato che dal pianeta degli
intellettuali e del passato prende la parola nella forma di
«interrogazione al presente e ai presenti» (Solla) per difendere
nell'“ora” la dignità della 'professione' intellettuale contro
l'asservimento al potere o al mercato e contro i correlati di
precarizzazione, banalizzazione, impoverimento dell'insegnamento e
dell'apprendimento.</span></span></div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">Parole
importanti che sono un antidoto contro la tentazione ricorrente nel
potere che, ieri come oggi, mira a neutralizzare l'Università come
«istanza di emancipazione» nata dalla «comunanza degli studenti e
dei docenti».</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Germania, 1956.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-FfF11kfSpuI/VtlBxiotpdI/AAAAAAAAAVw/_thqpbQpLCc/s1600/Germania%252C%2B1956.Perlmutter.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" height="625" src="https://4.bp.blogspot.com/-FfF11kfSpuI/VtlBxiotpdI/AAAAAAAAAVw/_thqpbQpLCc/s640/Germania%252C%2B1956.Perlmutter.jpg" width="640" /></a></div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-16987059133307076242015-03-07T14:13:00.002+01:002015-03-07T14:15:38.623+01:00Antropo-tecnici, pastori e specialisti del soma<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">Per graziosa concessione dell'autore rendo disponibile qui la versione di un intervento di Emiliano Rubens Urciuoli tenuto a Venezia, 6-7 settembre 2014 nell'ambito del master in Yoga Studies, all'interno del ciclo di lezioni </span><i style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: x-large;">Teoria e storia della governance religiosa dei viventi.</i></div>
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-style: italic;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-style: italic;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">Emiliano Rubens Urciuoli</span></div>
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-style: italic;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: 700;">Antropo-tecnici, pastori e specialisti del soma. Ovvero: come la religione cattura, stilizza e
mette in scena la vita umana</span></div>
<br />
<div>
<div class="column">
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: bold;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: bold;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">PRIMA SESSIONE (sabato 6 settembre; h. 16-19.30)</span></div>
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: 700;">Introduzione: definizioni di parole (e poco più...)</span></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Il titolo che ho escogitato per questo modulo sarà al centro di questa sessione introduttiva perché
non è immediato e richiede una spiegazione. La presenza in sequenza di tanti paroloni-feticci
nasconde a malapena l’assenza di un termine forse atteso, tra i più inflazionati del discorso colto e
pseudo-colto contemporaneo: biopolitica. La biopolitica è un po’ il “convitato di pietra” di tutto il
modulo. Nascosta nel marmo delle parole di cui si parlerà, la biopolitica, come appunto il
personaggio del Don Giovanni, il Convitato di Pietra, incomberà quasi muta e imperscrutabile su
tutto il nostro incontro, sempre più inquietante, sfingea, per rivelarsi solo alla fine, durante l’ultimo
mortale banchetto. Come insegna la storia letteraria e linguistica di questa figura di Molière e di
Mozart, che è usata ormai a sproposito, a nominare qualsiasi presenza incombente ma invisibile,
anche poco spaventevole, vedremo il convitato di pietra della biopolitica secolarizzarsi: cioè,
conservando il suo <span style="font-style: italic;">significato, </span>mutare e laicizzare i suoi <span style="font-style: italic;">significanti: </span>conservare il suo potere e la
sua presa sugli uomini a spese dell’originario, ostentatamente cupo, aspetto religioso. Ma questo,
appunto, lo vedremo alla fine.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Il titolo e il sottotitolo del corso contengono due termini tecnici e altri due di significato generico e
uso corrente. I termini tecnici sono:
</span></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: 700;">a) Antropotecnica</span></div>
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: bold;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: 700;">b) Specialistadelsoma</span></div>
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: bold;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">I termini di significato generico e uso corrente sono:</span></div>
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: 700;">c) Pastore</span></div>
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: bold;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: 700;">d) Religione</span></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Bisogna sempre diffidare dei termini di significato generico e di uso corrente, come “religione” e
“pastore”, ed è bene trattarli come se non fossero chiari. Come se li sentissimo per la prima volta e
ci risultassero estranei o opachi esattamente come i termini tecnici. Estraniare ciò che è generico e
corrente è fondamentale per riappropriarsene analiticamente (o per rifiutarlo, se il termine risulta
inservibile o inappropriato e dunque inappropriabile). Bisogna quindi assumere la distanza dal
familiare, allontanarlo da sé come da una prospettiva astronomico-satellitare. Questo metodo è stato
chiamato dal filosofo tedesco Peter Sloterdjik “astronomia <span style="font-weight: 700;">culturale”, </span>è stato inaugurato
probabilmente da Nietzsche (in un passo bellissimo e famoso tratto dalla Terza Dissertazione della
</span></div>
</div>
<div class="page" title="Page 2">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="font-style: italic;">Genealogia della Morale) </span>e consiste nell’osservare il nostro corpo celeste, il mondo in cui viviamo,
da un punto di vista simil-spaziale e nel leggerlo attraverso immagini di formazioni culturali carpite
da grande altitudine. Immagini troppo lontane per abitarle, immagini troppo aliene, troppo poco
familiari per riconoscervisi. Questo mio modulo, da questa siderale altezza, si presenta dunque
come un tentativo – rapido e sbrigliato per quanto possibile – di mappare e di circoscrivere, di
vedere dove si separano, dove si congiungono e dove si sovrappongono i territori semantici di
quattro continenti culturali denotati non più da due, ma da quattro termini tecnici: antropotecnica,
pastorato, <span style="font-style: italic;">expertise </span>del soma e religione. A che scopo? Per provare in ultimo a capire e carpire ciò
che il sottotitolo promette, cioè come qualcosa come una religione possa “stilizzare, catturare e
mettere in scena la vita umana”. Il corso avrà una fisionomia un po’ meticcia, un po’ ibrida. Un po’
diacronica, un po’ sincronica, a metà tra il racconto storico e la mappatura concettuale.
Prefiguratevelo in generale come una mappa, che descrive un territorio (o meglio: quella somma di
territori di cui ho detto), ma su cui ogni tanto si aprono delle finestre temporali che gettano luce
sulla storia di quello specifico punto della mappa.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Ora vorrei definire e presentare brevemente le matrici delle quattro parole tecniche che compaiono
nel titolo e nel sotto-titolo:
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">a) “Antropotecnica” è parola tecnica ora molto <span style="font-style: italic;">à la page, </span>come lo è il suo ideatore, il già
citato filosofo tedesco Peter Sloterdijk. Definisce – cito dal bestseller sloterdijkiano <span style="font-style: italic;">Devi
cambiare la tua vita </span>– “l’insieme delle fisiotecniche e delle psicotecniche, delle dietologie e
degli allenamenti, incluse tutte le forme di esercizio e di lavoro [umano] sulla propria
vitalità” (2009, p. 43). La Yoga è un eccellente esempio di antropotecnica. Ma lo sono anche
il salto in lungo, la preghiera continua dei monaci del Monte Athos, la ginnastica e il digiuno
religioso. Più precisa e utile è però forse un’altra, bellissima e astutissima, definizione di
antropotecnica, quella cui faremo sempre riferimento, secondo la quale le antropotecniche
designano “le condotte fisiche e mentali basate sull’esercizio, con le quali gli esseri umani
delle <span style="font-style: italic;">culture più svariate </span>hanno tentato di ottimizzare il loro status <span style="font-style: italic;">immunitario </span>sia cosmico
sia sociale, dinnanzi a vaghi rischi per la propria vita e a profonde certezze di morire”.
Premetto subito che questa categoria <span style="font-style: italic;">interpretativa, satellitar-siderale, </span>di antropotecnica è
una nozione piuttosto narcisistica e dispotica. Nelle intenzioni di S., infatti, essa da un lato
contiene in sé e chiarisce alcuni aspetti particolarmente vistosi delle cosiddette “religioni”,
che per S. costituiscono addirittura la “base”, il “contenuto reale” delle sedicenti religioni
(precisamente: il fenotipo ascetico-acrobatico). Il loro scheletro formale. Allo stesso tempo,
però, l’antropotecnica servirebbe a svelare la vacuità astratta della nozione di religione,
nozione <span style="font-style: italic;">nativa </span>e <span style="font-style: italic;">ambientale, </span>legata alla sua pretesa (infondata) di denotare una realtà
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 3">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">eccezionalmente separata dalla quotidianità degli stati ordinari: cioè qualcosa di molto più
sgargiante e superiore, potente e coinvolgente del semplice scheletro acrobatico. Mi spiego.
Secondo S. l’“antropotecnica” contiene, ad esempio, tanto le olimpiadi contemporanee che
l’ascesi cristiana e buddhista, ma denuncia i fallimenti tanto dell’Olimpismo (secondo la
visione ufficiale, romanticamente grecofila del barone De Coubertin, l’inventore delle
olimpiadi moderne) che del Cristianesimo che del Buddhismo come fantasmagorie utopiche,
smargiassate enfatiche che alla fine, in un modo o nell’altro, si sgonfiano e si rivelano tali,
insomma miraggi progettuali di una religione intesa come “categoria specifica dell’agire e
del vivere umano” (p. 115). Per così dire: i fondatori consapevoli e inconsapevoli delle
religioni storiche, così come i semplici impresari delle nuove religioni, progettano una
religione e si ritrovano con degli esercitanti impegnati in moduli di allenamento gelosamente
sorvegliati da gerarchie di funzionari. Per ora mi fermo qui: trattasi, come molti di voi
avvertiranno, di una visione personale e parziale della religione, che non condivido fino in
fondo. Quindi terrei il concetto, preziosissimo, di antropotecnica, lasciando da parte le sue
pretese un po’ totalitarie e distruttive. Dell’antropotecnica di S. vi avrà forse detto qualcosa
Roberto Alciati nel suo corso di gennaio sull’ascetismo. Non so se vi ha anche detto che a
questa nozione e al suo inventore è stato interamente consacrato un numero recente
dell’importante rivista di filosofia Aut Aut (luglio-settembre 2012), che vi consiglio
vivamente. Sull’antropotecnica e i suoi svariati (e apparentemente incommensurabili)
interpreti, gli antropo-tecnici, cioè coloro che vi si esercitano, torneremo più avanti nel corso
del modulo. Per ora ritenete tre elementi della definizione di antropotecnica: “esercizio” –
ovviamente –, “culture più svariate” e “status immunitario”.
</span></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">b) </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: 700;">“Pastorato”, </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">a differenza di antropotecnica, è termine d’uso piuttosto comune che va
quindi, secondo il metodo dell’astronomia culturale prima abbozzato, “sideralizzato”,
estraniato e reso tecnico per essere qui utilizzato. Il suo significato tecnico è preso da un
altro filosofo, ben più importante di Sloterdijk, forse il più influente pensatore continentale
del secondo Novecento: Michel Foucault. F., nel suo corso al Collège de France del 1977-
1978, precisamente durante la lezione del 1o marzo 1978, definisce il pastorato come un
“insieme di tecniche e procedure” che configurano uno specifico “tipo di potere che ha per
oggetto la </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-style: italic;">condotta degli uomini. </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">Come </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-style: italic;">strumento </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">si avvale di metodi che permettono di
condurli, come </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-style: italic;">obiettivo </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">interviene sulla maniera in cui si conducono e si comportano”
(2004, p. 144). Vedremo che per F. il potere pastorale è all’origine di quella che egli stesso
definisce come la “governamentalità” occidentale moderna, cioè l’arte propriamente
moderna di “governo dei viventi” – per citare sempre il titolo di un suo corso, di due anni</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 4">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">successivo, appunto “il governo dei viventi”. Il pastorato quindi designa una realtà storica
singolare e definita, che inizia a delineare i suoi tratti nelle chiese <span style="font-style: italic;">proto-cristiane </span>sotto
l’impero romano nel II-III sec. e.v.; un tipo di potere che si struttura compiutamente, si
dispiega e trova il suo apice nell’Occidente medievale <span style="font-style: italic;">cristiano; </span>un tipo di potere che entra
in crisi alle soglie della modernità <span style="font-style: italic;">post-cristiana, </span>esplodendo, disperdendosi e prendendo
appunto la dimensione secolarizzata della “governamentalità” statuale moderna. Ovvero –
cito sempre da F. – quella “forma specifica e assai complessa di potere” che si distingue
dalla più antica “sovranità” perché ha “nella popolazione il bersaglio principale,
nell’economia politica la forma privilegiata di sapere, nei dispositivi di sicurezza lo
strumento tecnico essenziale” (p. 88). In breve, secondo F., la medievale tecnica pastorale
cristiana, una volta entrata in politica, adattati alcuni tratti, espansi e potenziatine altri, darà
luogo al governo modernamente inteso. Tenete a mente, in questo caso, le parole-chiave
“governo”, “condurre” e “condotta”, perché torneremo, naturalmente, anche su questa
categoria tecnica di “pastorato” e di “pastore”, che si collega direttamente a quella
successiva:
</span></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">c) </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-style: italic; font-weight: 700;">Expertise </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: 700;">del soma </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">(o appunto “pastorato del soma”). Questa dell’esperto somatico è una
figura tratta dal vocabolario tecnico del sociologo e – cominciate a farci l’orecchio... - bio-
politologo britannico Nikolas Rose. Designa un tipo di autorità presente e operante nelle
cosiddette “democrazie liberali avanzate” e competente su questioni concernenti la nostra
esistenza somatica. È un esperto dello “stile di vita” che, in quanto tale, pretende di sapere e
di istruire su come si dovrebbero vivere vite migliori. Si distingue dal semplice medico per
l’estensione (al di là della diagnosi e della terapia) delle sue raccomandazioni e del suo
intervento in un’epoca ed entro un contesto politico, sociale e culturale in cui la salute è
diventata essenziale come </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-style: italic;">telos </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">consapevole della vita di quei tanti esseri umani che sono la
sua clientela. Nel suo libro </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-style: italic;">La politica della vita </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">(2007), Rose raduna sotto questa
denominazione una pletora di figure professionali attuali, che vantano competenze le più
svariate, aventi per oggetto la gestione di aspetti specifici della nostra esistenza somatica: tra
cui “infermiere, ostetriche, assistenti domiciliari ... terapeuti psicologici, logopedisti,
ergoterapisti, arteterapeuti, fisioterapisti ... ci sono nutrizionisti, dietologi, promotori
sanitari, esperti di ginnastica correttiva, di esercizi corporei e di fitness, e tanti consiglieri di
stili di vita salutisti. E ci sono i consulenti – consulenti per le dipendenze, consulenti
sessuali, consulenti familiari e relazionali, consulenti per la salute mentale, educativi,
genetici, consulenti per la pianificazione familiare, per la fertilità e per la riproduzione” (pp.
42-43). Ora, a differenza sia dell’antropotecnica sloterdijkiana, che è categoria trans-storica</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 5">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">e trans-culturale (attraversa le epoche e fende le culture), sia del pastorato foucaultiano, che
è invece categoria locale e storica di lunga durata (riguarda una cultura e presenta una certa
periodizzazione), l’expertise del soma e i suoi specialisti compaiono solo in epoca
contemporanea e contestualmente alle sofisticate “tecnologie di sicurezza” e ai pervasivi
meccanismi di “governo bio-politico delle vite” delle società a democrazia liberale avanzata.
Tutte queste nebulose entità concettuali verranno adeguatamente chiarite in seguito. Qui le
parole da cerchiare in rosso sono: “politica della vita”, che traggo direttamente dal titolo del
libro di Rose, ed “esistenza somatica”.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">A questo punto, prima di alzare il sipario sul quarto termine tecnico del titolo, cioè “religione”, e
quindi anche prima di spiegare chiaramente in che senso e fino a che punto l’antropotecnica, il
pastorato e gli specialismi del soma, questi tre macro-tipi o classi di fenomeni produttori e gestori di
forme di vita, sono “religiosi” (o comunque connessi alla “religione”), voglio soffermarmi
brevemente su un secondo elemento generale di differenza tra le tre formazioni culturali già
introdotte. Il primo, come ho già detto, è di carattere <span style="font-style: italic; font-weight: 700;">spazio-temporale: </span>se dovessimo geo-
localizzare e datare i tre fenomeni, diremmo che trans-storiche e trans-culturali sono le
antropotecniche, epocale e culturalmente localizzato il pastorato, specificamente contemporanee,
per incubazione e sviluppo occidentali ma a trazione mondiale le varie <span style="font-style: italic;">expertise </span>somatiche. Il
secondo, vistoso elemento di differenza è di <span style="font-style: italic; font-weight: 700;">agentività </span>(o di <span style="font-style: italic;">agency, </span>se si preferisce la parola
anglosassone che designa la capacità di un soggetto di agire in base a scelte libere e consapevoli).
Cosa voglio dire? Mentre le antropotecniche sono apparentemente volontarie e il pastorato è
oggettivamente direttivo, i nuovi esperti somatici operano entro una società che induce e, in alcuni
casi – pensiamo ai malati e alle donne –, obbliga ad assumersi la responsabilità del futuro sanitario
individuale e collettivo. Peraltro questi esperti abitano e definiscono una società in cui sono alcuni
decisori socio-politici a stabilire cos’è una questione bioetica e cosa no, quali aspetti della vita delle
popolazioni e dei singoli devono essere presi in carico e quali no. Vedremo che questi esperti, la cui
<span style="font-style: italic;">expertise </span>è richiesta, consultata e negoziata (quanto agli effetti) dai singoli che a essi si rivolgono,
operano in una specie di zona di confine e di indistinzione tra costrizione e consenso. Tra
volontarietà e obbligo. Questo è un punto importante. Qui si apre la prima “botola”, il primo varco
extra-temporale che collega le tre nozioni tra loro e queste alla religione. Non abbiamo ancora
illustrato l’economia generale dei rapporti tra i vari protagonisti concettuali del corso, tra le
antropotecniche, le strutture del pastorato e le <span style="font-style: italic;">expertise </span>smoatiche; non abbiamo ancora nemmeno
presentato la “religione” e spiegato in che modo qualcosa come la religione sia implicata in
determinati processi di presa in carica e gestione, di <span style="font-style: italic;">dressage </span>e di messa in scena delle vite.
Tuttavia abbiamo già intuito che uno dei punti di accesso e di osservazione strategici dell’oggetto
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 6">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">del corso (appunto: “come la religione cattura, stilizza e mette in scena la vita umana”) sarà una
<span style="font-weight: 700;">teoria dell’individualizzazione, </span>cioè della costituzione dei soggetti attraverso pratiche sia di
assoggettamento sia di libertà. Questo andirivieni tra passività e attività, tra eteronomia e
autonomia, tra coazione e scelta, ci porta dritti dritti al fenomeno bio-culturale della “religione”.</span></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">d) </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: 700;">Religione</span></div>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">“Che cos’è la religione?” è il titolo o l’argomento di almeno una dozzina di libri di introduzione alle
scienze delle religioni. In varie lingue. È d’obbligo, nei nostri studi, introdurre l’argomento
celebrando il carattere storicamente auto-riflessivo della disciplina e quindi ricordando che, un
secolo fa, nel 1912, lo psicologo americano James Leuba aveva enumerato giù una cinquantina di
differenti definizioni tecniche di “religione”. Il numero, nel frattempo, sarà perlomeno raddoppiato
e le varie definizioni sono andate assiepandosi sotto due grandi classi: quelle <span style="font-style: italic;">essenzialiste, </span>che
vertono appunto sull’essenza della religione (che cos’è la religione?), e quelle <span style="font-style: italic;">funzionaliste,
</span>interessate piuttosto a carpirne i codici operativi (come funziona la religione? A che cosa serve e a
chi?). Negli ultimi decenni, poi, anni segnati dalla critica decostruzionista (post-modernista e post-
coloniale) del concetto di religione, il quesito “che cos’è la religione?” ha come cambiato natura: da
rito interrogativo di ingresso del discorso tecnico sulle religioni si è trasformato nella domanda
provocatoria, tutt’altro che retorica, degli studi volti a suggerire e promuovere il ridimensionamento
e persino la dismissione dell’uso tecnico della parola “religione”. In quanto parola che è tanto più
analiticamente incapace e inopportuna quanto più è satura di potere e violenza: autentica “punta di
lancia” delle pratiche e dei discorsi missionar-coloniali dell’Occidente moderno. Storie grigie, storie
nere e storie nerissime, storie connesse inestricabilmente alla parola, al suo uso politico e sociale,
storie che raccontano del suo rapporto viscerale e singolare con “cristianesimo” e poi, via via, del
sua coloritura universale, stesa grazie al <span style="font-weight: 700;">colonialismo. </span>Storie, dicevo, di potere e violenza, la cui
riedizione, secondo alcuni, va esorcizzata <span style="font-weight: 700;">bandendo e tabuizzando </span>la parola. Al riguardo, se siete
interessati, posso segnalarvi i testi più significativi e influenti di questa impresa intellettuale di
liquidazione concettuale. Ma il nostro modo di aggirarci criticamente nel labirinto della religione
sarà diverso dall’esorcismo e dalla tabuizzazione dei decostruzionisti, banalmente perché io userò e
definirò la religione. Mi spiego. Quando prima ho parlato <span style="font-style: italic;">en passant </span>di <span style="font-weight: 700;">fenomeno </span><span style="font-weight: 700;">“bio-culturale
</span><span style="font-weight: 700;">della religione” </span>stavo alludendo a una precisa concettualizzazione della religione che, senza
bypassare la questione definitoria, anzi proprio nell’atto stesso di definirla, ci fa fare un passo in
avanti nella direzione giusta –che poi è quella che io ritengo tale e che ho intrapreso per questo
corso. Questa concettualizzazione può essere ricondotta al religionista cognitivista Armin Geertz,
che, nel suo saggio-manifesto per una “teoria bio-culturale della religione”, riprende una sua più
antica definizione del concetto, per noi molto utile. Questa: “religione è ogni sistema culturale e</span></div>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">
</span></div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 7">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">istituzione sociale che <span style="font-style: italic;">governi </span>e promuova interpretazioni ideali dell’esistenza e prassi ideali in
riferimento a poteri o esseri transempirici (culturalmente) postulati” (2010, p. 305). Più avanti,
citando il neuroscenziato cognitivo Merlin Donald, Geertz parla della religione come del più
potente “sistema di <span style="font-style: italic;">governance </span>cognitiva mai sviluppato” (p. 312), laddove con “sistema di
<span style="font-style: italic;">governance </span>cognitiva” si intende uno strumento per “accedere a menti collettive e individuali e
influenzare il modo in cui vedono il mondo e si vedono l’un l’altra”. Parafrasando e assemblando le
due definizioni, possiamo decretare che le religioni <span style="font-style: italic;">sono </span>dei sistemi di rappresentazioni e di
pratiche che fanno appello a degli esseri sovraumani e che <span style="font-style: italic;">servono </span>a attivare determinate visioni del
mondo e della società per <span style="font-style: italic;">condurre </span>determinate condotte nella società. Per dirla con meno caratteri
di un tweet: le religioni sono modelli di mondo che governano azioni sfruttando divinità.
Fermiamoci qui. Abbiamo introdotto i personaggi principali della mappa storica che ho allestito per
il modulo. Personaggi concettuali che saranno più o meno ricorrenti, più o meno ubiqui, ma che
rappresentano comunque snodi, soglie e indici essenziali del discorso che faremo. Quanto fin qui
detto si può riassumere, per ora, dicendo che l’oggetto del modulo sarà una sorta di <span style="font-style: italic; font-weight: 700;">vademecum
</span><span style="font-weight: 700;">essenziale per provare a capire tre cose:
</span></span></div>
<ol>
<li style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">come le religioni come modelli <span style="font-style: italic;">teorici </span>di mondo dotati di eccezionale forza <span style="font-style: italic;">pragmatica
</span>arrivano a – termine cruciale – <span style="font-style: italic;">governare </span>le nostre vite;
</span><br />
</li>
<li style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">come questo governo si è storicamente prodotto, analizzando alcune formazioni culturali
particolarmente eloquenti come l’antropotecnica, il pastorato e l’expertise del <span style="font-style: italic;">soma;
</span></span><br />
</li>
<li style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">intravedere se e come si possa uscire dal regime religioso dei cervelli e dei corpi per andare
dove.
</span><br />
</li>
</ol>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">[PAUSA]
</span></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: 700;">PRIMA PARTE: ovvero il regime religioso dei cervelli. Esseri sovraumani, finzioni
memorabili, informazioni strategiche</span></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">In questa prima parte non mi occuperò ancora di come le religioni effettivamente governano le
nostre vite, ma di come <span style="font-style: italic;">si siano poste le condizioni </span>perché vi riescano con un certo agio. Ora, che la
maggior parte degli esponenti attuali della nostra specie sia credente, che la stragrandissima
maggioranza delle generazioni precedenti lo sia stata, che anche chi oggi si dichiara ateo o
agnostico attivi più o meno consapevolmente, nella sua esistenza quotidiana, atteggiamenti e
aspettative, prassi e desideri del tutto indistinguibili da quelli dei credenti sono dati di fatto in sé
indiscutibili. L’esperienza comune qui suggerisce, immediatamente, molte più cose di quanti
argomenti io possa addurre ed esempi proporre. Non vale troppo la pena insistere su questa
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 8">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">evidenza empirica se non per sottolineare un aspetto su cui gli studi cognitivi sulla religione hanno
giustamente battuto, perché si presta e si è prestato a fin troppi equivoci: ciò che ci viene <span style="font-style: italic; font-weight: 700;">naturale,
</span>ciò per cui sembriamo <span style="font-style: italic; font-weight: 700;">predisposti </span>e, in parte, persino <span style="font-style: italic; font-weight: 700;">programmati </span>non è “la <span style="font-weight: 700;">religione” </span>come
sistema, ma qualcosa che per il momento ci accontenteremo di chiamare “il <span style="font-weight: 700;">religioso” </span>e di
qualificare come atteggiamento e comunicazione di questo atteggiamento. Questa prima distinzione
tra la religione, come sostantivo, e <span style="font-style: italic;">il </span>religioso, come aggettivo sostantivato, è molto più che
retorica. È fondamentale e sostanziale per due ragioni. La prima, intuitiva – che possiamo
cominciare a visualizzare, perché anche su questo l’esperienza quotidiana è di nuovo eloquente, più
delle mie parole – è che, mentre tratti comportamentali e culturali definibili come religiosi si
trovano anche al di fuori di ciò che convenzionalmente rientra nel dominio della religione
(pensiamo agli scongiuri, alle imprecazioni, ai piccoli rituali domestici, sportivi, sociali), le religioni
da parte loro incorporano anche elementi non strettamente religiosi (artistici, architettonici, legali
ecc.). La seconda ragione, che spiega anche la prima, quella intuitiva, è che tra il religioso e la
religione ci passa un bel pezzo di quella che tecnicamente si chiama la “storia <span style="font-weight: 700;">profonda” </span>e che
designa la storia, convenzionalmente preistorica, di come si è costituita ciò che un tempo si sarebbe
detta la “struttura umana”: il software fisico e psicologico che oggi noi esibiamo. Diciamo, in breve,
ma lo vedremo subito, che l’atteggiamento e la comunicazione religiosi compaiono assai prima
delle religioni e che la comparsa di un regime religioso delle menti e dei corpi precede logicamente
e cronologicamente l’affermazione delle religioni come sistemi strutturati di governo delle vite. Il
punto per noi fondamentale, per cui ci rivolgiamo alla storia profonda, è che non si può capire come
una religione come “sistema di governance cognitiva” – per riprendere la definizione di Geertz –
effettivamente ci governi, se non capiamo come si è creata e sviluppata la nostra cognizione
religiosa: quel modo propriamente religioso di vedere il mondo, noi stessi e gli altri, che è in larga
parte naturale, perché basato su meccanismi cognitivi che la selezione ha plasmato e premiato, e che
le religioni storiche, vecchie e nuove, hanno tutte cooptato ai loro fini. Si tratta di capire, in pillole,
come si sia formato il nostro modo religioso di pensare e perché proprio questo nostro credulo
cervello, col suo set formalmente molto ampio ma grammaticalmente assai standardizzato di
convinzioni e azioni in merito al divino, sia stato premiato rispettivamente da due tipi di selezione:
la <span style="font-style: italic; font-weight: 700;">selezione naturale </span>e la <span style="font-style: italic; font-weight: 700;">selezione culturale. </span>Cioè, in sostanza, la selezione che decide quali
esemplari fisici riescono a riprodurre e trasmettere a quanta più discendenza possibile il proprio
patrimonio genico e quali no (selezione naturale), e la selezione che determina quali idee e
rappresentazioni hanno più possibilità di essere ricordate, comunicate, immagazzinate e trasmesse e
quali no (selezione culturale). Per dirla con uno slogan: noi, esemplari attuali di HS siamo “nati per
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 9">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">credere”, ma i nostri antenati hanno probabilmente creduto per sopravvivere. L’atavismo
superstizioso di oggi potrebbe – dovrebbe – essere stato l’asso cognitivo nella manica di ieri.
Immagino che su questi temi Giorgio Vallortigara abbia speso molte e più precise parole delle mie.
Mi limiterò pertanto all’essenziale e al pacifico in questa mia spiegazione della genesi del
comportamento religioso come atteggiamento naturale. Diciamo che esiste oggi una sorta di
consenso di fondo tra tutte le cosiddette “teorie <span style="font-weight: 700;">biologiche (o darwiniane) della religione” </span>su una
mini-storia dell’origine delle credenze religiose. Farò riferimento a quella. In sostanza, <span style="font-weight: 700;">le teorie
biologiche </span>si distinguono da quelle <span style="font-weight: 700;">non biologiche </span>per il fatto che cercano di spiegare la religione
come modo per risolvere problemi evolutivi in ambienti ancestrali. Ebbene, le varie teorie
biologiche della religione sostengono concordemente che il fatto credere in alcuni <span style="font-weight: 700;">esseri
minimamente controintuitivi, </span>capaci di agire e di farci agire bene, fornendoci cioè <span style="font-weight: 700;">informazioni
esistenzialmente strategiche, </span>sia stato fondamentale per risolvere alcuni cruciali problemi
evolutivi in un ambiente preistorico oggettivamente ostile. Ossia, in fondo, per sopravvivere e
riprodursi in quelle condizioni. Potrei azzardarmi a dire che la formula magica, non <span style="font-style: italic;">delle religioni,
</span>ma <span style="font-style: italic;">del religioso, </span>è questa:
</span></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: 700;">R = HADD + MCIC + SI</span></div>
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: bold;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">Una cosa alla volta. </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: 700;">HADD </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">è la sigla inglese di “Hyperactive </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: 700;">agent detection device”, </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">cioè
“sistema </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: 700;">di riconoscimento di agenti iperattivo”. </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">L’ha ideata, se non sbaglio, lo psicologo
cognitivo Justin Barrett ed è una cosa molto più semplice di quello che il suo nome fa temere. Si
tratta di un impulso (output) che dà luogo a un atteggiamento che è oggi naturale e innato,
automatico e universale e che consiste nell’interpretazione di stimoli (input) ambigui e di origine
oscura come effetti di azioni attribuibili alla volontà di agenti razionali invisibili. Questa è la
ragione per cui noi ancora oggi tendiamo ad attribuire di primo acchito attività, intenzionalità e
razionalità pratica a qualunque cosa in movimento violento, inatteso o improvviso. Il nostro sistema
percettivo si è sviluppato in modo tale da dotarci di una disposizione spontanea iperattiva ad andare
in cerca di </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-style: italic;">agenti, </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">capaci come noi di volontà, sentimenti e razionalità, ovunque percepiamo </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-style: italic;">azioni
</span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">e movimenti. In altri termini, come ha detto il “mitico” filosofo della biologia Telmo Pievani: </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-style: italic;">Homo
sapiens </span><span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">è una macchina costruita per attribuire stati intenzionali al mondo esterno. Siamo portati a
pensare che tutto ciò che si muove abbia una causa, e se qualcosa che non dovrebbe muoversi, o il
cui movimento percepiamo ma non abbiamo visto partire o comunque non sappiamo identificare,
improvvisamente si muove, allora vuol dire che è agito da qualcuno che, come noi, vuole, sa e
spera. Nulla è per caso: il caso non ci piace. Ora voi capite che le energie spese per ogni falso
allarme (il fruscio della foglia invece del respiro del predatore, il vento invece della freccia) sono il</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 10">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">prezzo pagato per ogni pericolo effettivo scampato. Il principio che regola l’HADD, il “meglio salvi
che dispiaciuti”, è costoso perché ci porta, prima che alla superstizione, all’ipersensibilità per i
“falsi allarmi” Ma si dà il caso che proprio questi falsi allarmi, come è stato scritto dal filosofo
americano Daniel Dennett, siano come “gli irritanti attorno a cui si sono formate le perle della
religione”. Vediamo come.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Di per sé l’HADD è in grado di riconoscere agenti invisibili, agenti segreti: non divinità. Perché
l’atteggiamento religioso possa nascere dall’atteggiamento intenzionale serve che almeno alcune di
queste azioni volontarie tendano a venire attribuite ad alcune entità, aventi determinate
caratteristiche. Ed è qui che entra in gioco il secondo elemento della formula magica del religioso,
l’MCIC, il <span style="font-weight: 700;">concetto minimamente controintuitivo. </span>In questo caso lo studioso di riferimento è
senz’altro l’antropologo francese Pascal Boyer. Pare che il nostro cervello abbia un debole, oltre
che per captare intenzioni, anche per le proposizioni contro-intuitive, che impieghiamo di più a
memorizzare ma che, una volta stoccate, si fissano meglio e decadono più lentamente di quelle
intuitive, ovvie, banali. Ma, a dire il vero, quelle che predilige di più non sono i guazzabugli
assurdi: sono determinati tipi di combinazioni concettuali non intuitive ma più facili da ricordare
delle combinazioni astruse, perché, appunto, <span style="font-style: italic;">minimamente controintuitive. </span>Cosa vuol dire? Si tratta
di idee composte che si caratterizzano per il fatto di violare solamente una o due delle assunzioni di
base che tutti noi abbiamo naturalmente in relazione ad alcune categorie <span style="font-style: italic;">ontologiche, biologiche e
psicologiche </span>fondamentali, come persona, animale o pianta, e strumento. Una pietra che parla è, ad
esempio, una nozione minimamente controintuitiva perché viola solo una delle assunzioni
spontanee di base relative a quella categoria: si tratta di una pietra che in più, come una persona,
parla. STOP. Una pietra invisibile fatta di pane e che parla è un’informazione assai interessante,
certo più della pietra fatta di pietra e che sta ferma, ma è troppo difficilmente classificabile e troppo
insensata perché la nostra attenzione, che è sempre stata una risorsa dispendiosa e finita, abbia il
potere di registrarla; è un’informazione troppo lussuosa perché il nostro ricordo possa trattenerla per
un tempo sensibilmente superiore a quello dello stupore e del divertimento che ci provoca; troppo
sgargiante perché si trasmetta da mente a mente senza sgretolarsi. Insomma, troppo cognitivamente
<span style="font-style: italic;">costosa </span>in un ambiente ancestrale e poco rilassante, in cui i costi vanno centellinati.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">A questo punto dovrei riferire tante altre cose, che preciserebbero, sfumerebbero e
complicherebbero la traiettoria fin troppo lineare e rozza del nostro ragionamento. Ad esempio – ne
dico solo una – va precisato che quando l’essere umano, nel suo sviluppo tecnologico, arriverà a
disporre di memorie esterne, supporti che alleggeriscono i costi della memorizzazione interna, le
combinazioni più incredibili conosceranno la loro rivincita: sono infatti quelle che rendono più
saliente, più interessante e quindi più replicabile una storia la cui sopravvivenza a questo punto non
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 11">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">dipende più solo dalle mie prestazioni mnemoniche “interne”. Questo spiega perché in tutte le
narrazioni religiose attualmente disponibili e verificabili la rilevanza dei concetti minimamente
controiuntuitivi diminuisce. Ma non posso dilungarmi oltre su questo, perché devo correre a
introdurre il terzo ingrediente della formula magica del religioso: quello che fa sì che da una
tendenza iperattiva ad andare in cerca di agenti e da un dispositivo per la produzione di entità
fittizie fascinosamente ricordabili si generi qualcosa come un atteggiamento religioso. Cioè appunto
una <span style="font-style: italic;">credenza, </span>ossia un investimento, oltre che di attenzione, anche di fiducia, di speranza, insomma
un’apertura reale di credito verso alcune di queste idee-agenti. Torniamo all’esempio di prima. Una
pietra che parla per raccontare barzellette e una che parla per avvertirti che domani diluvia e che tua
madre è in pericolo non sono due pietre dallo stesso valore. La prima comunica un fatto spassoso
ma inutile, la seconda fornisce un’informazione <span style="font-weight: 700;">strategica (SI </span>= <span style="font-style: italic;">strategic information). </span>Alla prima
non ha senso <span style="font-style: italic;">credere, </span>credervi non è una reazione pertinente, alla seconda sì. Dal successo della
credenza nella seconda può significativamente dipendere – per riprendere le parole di Sloterdjikk –
la possibilità di immunizzarmi dinnanzi a rischi per la propria vita e a profonde certezze di morte.
Ne va, in altre parole, della mia vita, o per dirla in termini darwiniani, della mia <span style="font-style: italic;">fitness </span>come
“abilità di sopravvivere e riprodurmi in un dato ambiente”. A quella pietra parlante è opportuno,
pertinente, vivamente consigliabile che io creda. E quanto più opportuno allora, scegliendo sempre
tra i concetti minimamente contrintuitivi, è credere all’anima parlante di mio nonno morto, che
conosce la mia storia, mi ama e mi dà consigli, esattamente come faceva in vita.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Mi fermo qui. Perché mi pare che da qui in poi il consenso, nelle teorie biologiche, cominci a
sgretolarsi, le teorie stesse si fanno intricate e discordi: si divaricano allorché il peso esplicativo
dell’organizzazione sociale, della differenziazione sociale, della divisione sociale del lavoro, della
strutturazione politica del potere interviene pesantemente a complicare e a diversificare il contesto
ambientale in cui si formano le credenze: un <span style="font-style: italic;">milieu </span>che non c’è più in nessuna parte del mondo e
che non può essere ricostruito se non tramite delicati esercizi ed esperimenti di <span style="font-weight: 700;">ingegneria inversa:
</span>i più famosi sono quelli sulle credenze dei bambini per vedere in opera quelle strutture ataviche
della percezione e della cognizione che ho detto e immaginarsi il perché e il come della loro
insorgenza e della loro riproduzione. Dicevo che mi fermo qui, appena varcata la soglia delle
informazioni strategiche fornite dagli agenti invisibili, perché da questo momento in poi, la pesante
struttura di <span style="font-style: italic;">governance </span>delle religioni, il loro <span style="font-style: italic;">hardware, </span>comincia a premere e a pesare sempre più
fortemente sul <span style="font-style: italic;">software, </span>il regime religioso dei cervelli; di qui in avanti i vincoli della selezione
culturale si impongono su quelli della selezione naturale confermandoli o contraddicendoli; di qui
in poi le teorie biologiche della religione, fondate sul darwiniano <span style="font-style: italic;">problem solving </span>in ambienti più o
meno ancestrali, richiedono di essere integrate con spiegazioni non biologiche, che presuppongono
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">scenografie sociali già più diversificate e complesse: quelle che, ad esempio, si focalizzano su come
alcuni individui (o categorie di individui) di prestigio socio-religioso o socio-politico, sfruttando
<span style="background-color: white;">precisi meccanismi cognitivi, possano diffondere e imporre le proprie rappresentazioni a scapito
di altre a loro meno favorevoli.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Pertanto, per quanto riguarda il regime religioso dei cervelli, quel software atavico che ci rende
macchine naturalmente programmate per credere a degli agenti invisibili e segreti, mi fermerei qui.
R = HADD + MCIC + SI. Questa formula si limita a descrivere quella che possiamo definire come
la <span style="font-weight: 700;">posizione cognitiva ottimale </span>che una data rappresentazione è chiamata a occupare se vuole avere
buone possibilità di generare un atteggiamento religioso in chi l’ha concepita, ascoltata, riferita.
Essa ci rende sensibili, esposti alla credenza come atteggiamento naturale. Il risultato è che la
finzione che la occupa può sperare di riprodursi come finzione religiosa. La finzione religiosa che si
riproduce può sperare di essere integrata, se non funzionalmente cooptata, convertita e riciclata in
una religione. La religione che la integra, addomesticandola all’interno di una determinata struttura
di potere, ha ottime possibilità di addomesticarci e di <span style="font-style: italic;">governarci.
</span></span></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-style: italic;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">[PAUSA]</span></div>
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: 700;">SECONDA PARTE: dal regime dei cervelli alla disposizione dei corpi. Lo sciamanesimo e la
divisione del lavoro religioso</span></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Adesso, con un passaggio che può sembrare brusco ma che è inevitabile, passerò ad analizzare una
configurazione religiosa particolare, che tutti conoscete almeno di nome. Essa per costituirsi ha
certamente goduto dei presupposti cognitivi di cui abbiamo appena detto, e forse di altri ancora. Ma,
oltre ad aver cooptato alla perfezione quel regime dei cervelli, evoluzionisticamente premiato e
geneticamente trasmesso, che abbiamo appena abbozzato, ha orchestrato anche un <span style="font-weight: 700;">regime dei
corpi: </span>una disciplina degli statuti, delle posizioni e delle prestazioni corporee. Per mostrare come la
disposizione (e differenziazione) religiosa delle menti ingrani perfettamente con la disposizione (e
differenziazione) religiosa dei corpi, mi servirò dello <span style="font-weight: 700;">sciamanesimo.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Ho scelto di utilizzare come esempio lo “sciamanesimo” per almeno tre motivi. In primo luogo
perché, come per il concetto di “religione”, si tratta di un caso eccellente di concetto “analitico
<span style="font-weight: 700;">comparativo e transculturale”: </span>cioè di una nozione entrata nel linguaggio specialistico della
disciplina scientifica per comprendere e comparare tra loro fenomeni religiosi formalmente
analoghi riscontrabili in culture tanto lontane quanto differenti (dalla Groenlandia al Mesoamerica,
dal Giappone all’Africa centrale). Pensate che “sciamanesimo” è stato additato già nel 1903 da
Arnold van Gennep, etnologo francese tra i padri canonici dei <span style="font-style: italic;">Religious studies, </span>come parola “tra le
più pericolose” del lessico nascente delle scienze religiose. Tuttavia, proprio per questa sua comoda
</span></div>
</div>
</div>
<div class="section">
</div>
<div class="section">
</div>
<div class="section">
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 13">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">vaghezza, come religione, sembra non se ne possa fare a meno per descrivere <span style="font-style: italic;">comprensibilmente </span>e
<span style="font-style: italic;">comparativamente </span>determinate fattispecie religiose. In secondo luogo, lo sciamanesimo è
interessante come esempio, perché è stato per molto tempo e ogni tanto è ancora (temerariamente)
considerato come una sorta di <span style="font-style: italic; font-weight: 700;">Ur-religion, </span>di “religione primordiale”, per quella sua ubiquità e per
quella sua elementarietà dei tratti che tutti voi potete facilmente figurarvi se pensate a uno
sciamano. Quando una volta si andava febbrilmente in cerca delle “religioni elementari” per capire
l’origine, la formazione, insomma la verità delle religioni storiche complesse, lo sciamanesimo,
insieme al totemismo, erano i candidati d’eccellenza. Ma c’è un famoso e astuto detto di Marx che
mi piace molto e che quasi deride questo radicato primitivismo (e populismo) etnografico. Recita
così: “l’anatomia dell’uomo è la chiave dell’anatomia della scimmia”, a voler significare che, a
differenza di quel che si è portati a credere, sono talora le forme più complesse della vita sociale a
racchiudere il principio di comprensione delle più rudimentali. Dunque, se volete capire il principio
di funzionamento dello sciamanesimo, prendete il sacramentalismo cristiano e non viceversa!
Guardate allo sciamano, che vi presenterò per ragioni di priorità logica e cronologica, oltre che per
esigenze di organizzazione del discorso, avendo in mente il magari più familiare prete cattolico. Vi
risulterà molto più utile e inoltre questo procedimento di “ingegneria inversa” (dal complesso al
semplice) è un esercizio mentale che, se usato con cautela e rigore, non smentisce il principio
metodico dell’“astronomia culturale”. Guardandolo dall’alto, il prete sfuma nello sciamano e fa
capire qualcosa dello sciamano che altrimenti non si vedrebbe. Infine – terzo motivo – ho scelto lo
sciamanesimo perché e soprattutto perché mi consente di mostrare, con una certa semplicità e con
altrettanta evocatività, come un’antropotecnica – ecco che iniziamo a giocare con questa parola... –,
cioè un’acrobazia estatica insieme fisica e mentale, funzioni anche come un <span style="font-weight: 700;">dispositivo di realtà:
</span>ossia come uno strumento per disporre, collocare, sistemare, ordinare gerarchicamente dei corpi nel
modello di mondo che essa configura. Un modello di mondo che solo in minima parte è ricopiabile
e scaricabile dai nostri cervelli, ma che per il resto è plasmato, rappresentato, fissato nelle <span style="font-style: italic;">strutture
sociali </span>e quindi, a quel punto, incorporato, duplicato e fatto operare come <span style="font-style: italic;">struttura mentale, </span>schema
di visione e divisione della realtà disponibile a essere replicato <span style="font-style: italic;">ad libitum.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Ora ho scelto una lunga definizione/descrizione del fenomeno sciamanico che aiuta moltissimo a
visualizzare tutto ciò. Benché l’abbia tratta da un articolo iper-specialistico, firmato da uno dei
massimi esperti attuali sull’argomento, è molto semplice. Recita così:
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">“Lo ‘sciamano’ è uno specialista religioso che, nel contesto di un rituale, ha l’abilità di viaggiare verso un
mondo non-umano (soprannaturale) per entrare lì in comunicazione diretta con esseri sovrannaturali
(divinità, spiriti ecc.) e quindi ritornare nel mondo umano. Un mondo soprannaturale costituisce uno spazio
che gli esseri umani ordinari, cioè gli individui privi di un dono speciale e di una conoscenza esoterica, non
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 14">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">possono normalmente raggiungere in vita. Lo spazio sovrannaturale (non-umano) non designa
necessariamente un mondo superiore o inferiore; può anche riferirsi ad altre categorie spaziali culturalmente
definite alle cui gli esseri umani di norma non hanno accesso. In ogni caso, lo sciamanesimo presuppone che
l’‘anima’ o qualche sorta di sostanza contenuta nel corpo dell’essere umano possa lasciare il corpo per
viaggiare in queste regioni sovrannaturali durante stati di incoscienza di vario genere (sogno, sonno o
malattia). Questo viaggio è pericoloso perché i non specialisti religiosi non conoscono la geografia del
mondo sovrannaturale o possono essere rapiti da esseri sovrannaturali ostili, cosa che impedirebbe
all’‘anima’ di fare ritorno. In questi casi essa deve essere recuperata dalle regioni non-umane e salvata da
uno specialista religioso, cioè dallo ‘sciamano’. Il viaggio extra-ordinario dello sciamano è di conseguenza
intrapreso per il bene di altri individui o della comunità”
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Non so davvero da dove cominciare per commentare questo brano che, forse anche a sua insaputa, è
davvero densissimo. È una specie di <span style="font-style: italic;">aleph </span>del mondo religioso: come nel racconto famoso di
Borges, è come aver trovato un punto nascosto in cantina dove si trovano “tutti i luoghi della terra
(religiosa), visti da tutti gli angoli”. Comincerei col segnalare tutte <span style="font-weight: 700;">le opposizioni </span>che questo testo
attiva o presuppone, sapendo che potrei essermene persa qualcuna per strada. Il sistema di
opposizioni che la configurazione sciamanica presuppone e dispiega. La prima, subito fortissima:
<span style="font-weight: 700;">specialista religioso vs. uomo ordinario. </span>La seconda: <span style="font-weight: 700;">azione rituale vs. atto quotidiano. </span>La terza:
<span style="font-weight: 700;">comunicazione diretta vs. comunicazione mediata. </span>La quarta: <span style="font-weight: 700;">esseri sovrannaturali vs. esseri
naturali. </span>La quinta: <span style="font-weight: 700;">mondo umano vs. mondo non-umano. </span>La sesta: <span style="font-weight: 700;">anima vs. corpo. </span>La settima:
<span style="font-weight: 700;">individuo vs. comunità. </span>Per tornare un secondo al discorso di prima, faccio notare che, mentre la
quarta, la quinta e probabilmente la sesta opposizione (l’idea di qualcosa come un’anima, distinta e
autonoma dal corpo) hanno probabilmente una forte base naturale e biologica, e laddove al
contrario la prima e l’ultima presuppongono l’esistenza di una (perlomeno embrionale)
differenziazione strutturale della società, che non è risolvibile ed esplicabile col <span style="font-style: italic;">focus </span>biologico, la
distinzione azione rituale – atto quotidiano è proprio l’esempio perfetto di crocevia e di <span style="font-style: italic;">feedback </span>tra
<span style="font-style: italic;">output </span>dell’evoluzione biologica ed effetti dell’evoluzione culturale. Le teorie naturali (darwiniane)
del rito ci sono, ovviamente, e sono assai più recenti di quelle socio-culturali, che sono letteralmente
alla base della storia canonica della disciplina “scienze delle religioni”. Ma il punto decisivo è che
nessun rito religioso attualmente praticabile e osservabile, e nessun rito documentato in generale, è
significativamente esplicabile se non si ricorre a entrambi i tipi di spiegazioni. Chiusa parentesi.
Tornando alla definizione di sciamano, faccio notare che gli esseri sovraumani, che prima abbiamo
visto semplicemente muoversi nello spazio, ora <span style="font-style: italic; font-weight: 700;">assumono uno spazio; </span>gli esseri sovrumani, che
prima abbiamo visto semplicemente agire, ora <span style="font-style: italic; font-weight: 700;">prendono servizio. </span>All’interno della configurazione
sciamanica gli esseri sovraumani extra-ordinari vengono <span style="font-style: italic; font-weight: 700;">disposti </span>nel mondo non-umano e possono
essere <span style="font-style: italic; font-weight: 700;">consultati </span>dagli esseri umani ordinari, che stanno nel mondo umano e che consultano, per il
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 15">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">tramite essenziale dello “sciamano”, essere umano extra-ordinario. Guardate come opera lo
sciamanesimo sul doppio e correlato piano del regime dei cervelli e della disposizione dei corpi: se
credi nello sciamano – come fa per primo lo sciamano medesimo, che crede in se stesso, secondo
quel meccanismo circolare che Claude Lévi-Strauss, il grande antropologo, ha chiamato il
“complesso sciamanico” – <span style="font-weight: 700;">ti disponi su tre livelli, </span>coordinati e correlativi: 1) ti disponi come essere
umano che sta <span style="font-style: italic;">al suo posto </span>nel mondo umano; 2) ti disponi come essere umano ordinario (privo di
status sciamanico) che sta <span style="font-style: italic;">al suo posto </span>nello spazio sociale; 3) infine ti disponi come “cliente” (non
specialista) che sta <span style="font-style: italic;">al suo posto </span>nello spazio rituale. Una triplice scaffalatura religiosa della realtà
(io uomo, io uomo comune, io uomo comune bisognoso di servizi religiosi) si delinea, si irradia e si
struttura a partire da questa semplice <span style="font-weight: 700;">divisione del lavoro religioso: </span>io sciamano, tu no. La
verticale dello sciamanesimo è quindi un’antropotecnica <span style="font-weight: 700;">differenziale, </span>una prestazione acrobatica
che può congiungere i mondi e gli esseri dei mondi solo assicurandone la corretta distinzione, e
viceversa. Osservato come antropotecnica, lo sciamanesimo si rivela come <span style="font-weight: 700;">dispositivo </span>che assegna
posti, ruoli, statuti, opportunità, limiti. Mostra anche che l’ottimizzazione dello status immunitario
del praticante (lo sciamano), cioè il potenziamento del suo benessere, della sua possibilità di
preservare la vita e differire la morte, dipende direttamente dalla possibilità di immunizzare gli altri,
una volta convinti di non potersi immunizzare da sé. Dietro un’antropotecnica – questo ci insegna
lo sciamanesimo – ci può essere una divisione del lavoro religioso e dunque un autentico furto di
risorse religiose: uno spossessamento originario di condizioni religiose di esistenza, cui segue una
ripartizione e una rassegnazione iniqua. Vedremo verso la fine del corso che è vero anche il
contrario, ossia che, per reagire ai monopoli e spezzare i dispotismi religiosi, cioè per ri-
spacchettare il lavoro religioso e rifare la scaffalatura del mondo, si muoveranno delle
antropotecniche.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Lo sciamanesimo mi serviva fondamentalmente per dire questo. Spero a questo punto di aver
centrato almeno in parte il duplice obiettivo di questa prima giornata: a) spiegare, in primo luogo, in
che senso le religioni possono integrare e magari cooptare e convertire ai propri fini un regime
cognitivo universale, che è <span style="font-style: italic;">geneticamente ereditato, </span>è <span style="font-style: italic;">programmato per fabbricare </span>un certo tipo di
credenze ed è dunque <span style="font-style: italic;">predisposto a ospitare </span>determinati contenuti culturali di tipo religioso – ora
quanto e fino a che punto questo sfruttamento, da parte della religione, di meccanismi religiosi
configuri una vera e propria operazione di cooptazione, conversione e riciclaggio funzionale
(exaptation); e se questa operazione sia avvenuta e avvenga ancora a vantaggio o a detrimento
dell’individuo e dei gruppi sono due esempi classici di questioni ancora ampiamente dibattute e
comunque non affrontabili in termini generali; b) in seguito, si trattava di mostrare, tramite
l’esempio dello sciamanesimo, come un’antropotecnica religiosa elementare, esercitata da pochi
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 16">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">virtuosi, sia anche un potentissimo strumento per disporre e collocare al loro posto, nello spazio
cosmico, nello spazio sociale e nello spazio rituale, molti individui ordinari. Ora, nel tempo che
resta, ripartiremo da qui, riprendendo e precisando questa azione della religione come <span style="font-style: italic;">dispositivo;
</span>con un flash, grazie a una semplice immagine, vedremo il dispositivo religioso manifestarsi
brevemente nella forma del rito. Si tratta di un’anticipazione, dato che domani ci toccherà
approfondire la gamma dei dispositivi religiosi, andando ad analizzarli più dettagliatamente con gli
esempi della <span style="font-style: italic;">legge, </span>della <span style="font-style: italic;">regola </span>e della <span style="font-style: italic;">verità su di sé. </span>Prima di congedarci, dirò qualcosa di – spero
– non platealmente banale sulla <span style="font-weight: 700;">forza dei dispositivi.
</span></span></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: bold;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large; font-weight: 700;">TERZA PARTE: il dispositivo e la scenarizzazione religiosi.</span></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Riprendiamo il nostro discorso esattamente dove l’avevamo lasciato: sulla concettualizzazione e
sull’analisi dell’azione della religione come dispositivo. Il termine di “dispositivo”, oggi
letteralmente esploso nel discorso tecnico e comune, come spesso è capitato con le parole inventate,
o più spesso recuperate, declinate e ridefinite in senso problematico e critico da Michel Foucault, è
stato così definito dal filosofo italiano Giorgio Agamben. Filosofo nostrano tra i più letti e tradotti
all’estero, che ha insegnato peraltro proprio qui a Venezia. Questa la definizione di Agamben:
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">“Io chiamo dispositivo tutto ciò che, in un modo o nell’altro, ha la capacità di catturare, orientare,
determinare, intercettare, modellare, controllare e fissare i gesti, le condotte, le opinioni e i discorsi degli
esseri viventi. Non solo dunque le prigioni, gli asili, i panottici, le scuole, la confessione, le fabbriche, le
discipline, le misure giuridiche [qui <span style="font-style: italic;">A. sta elencando tutti i dispositivi effettivamente studiati da F.], </span>la cui
articolazione con il potere è in un certo senso evidente, ma anche la penna, la scrittura, la letteratura, la
filosofia, l’agricoltura, la sigaretta, i computer, i telefoni cellulari e, perché no, il linguaggio stesso, forse il
più antico dispositivo nel quale, ormai da molte migliaia di anni, un primate, probabilmente incapace di
rendersi conto delle conseguenze che lo attendevano, ebbe l’idea di farsi prendere”.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Una bellissima definizione, degna di quell’eccellente pensatore che è Agamben. Come intuirete,
però, l’eccellenza della definizione, che è anche la ragione per cui A. l’ha forgiata, sta nella sua
fondamentale vaghezza, che la ridondanza sia dei verbi all’infinito che determinano la capacità del
dispositivo sia dei nomi comuni che esemplificano i vari dispositivi non fa che accentuare.
Agamben ci vuol dire che, a prender sul serio la parola che sta definendo, l’essere umano si trova
letteralmente immerso in dispositivi, il più ancestrale dei quali è quello con cui nomina tutti gli altri:
il linguaggio. Non dice però “immerso” in dispositivi, dice giustamente “preso”, cioè “ghermito”,
“catturato”. E non a caso. I dispositivi prima <span style="font-style: italic; font-weight: 700;">ci catturano </span>(primo verbo), poi <span style="font-style: italic; font-weight: 700;">ci orientano </span>(secondo
verbo) e quindi <span style="font-style: italic; font-weight: 700;">ci fissano </span>(ultimo verbo) in azioni, pensieri e discorsi. Noterete che, venendo a noi,
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 17">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">di tutti gli esempi fatti solo uno, cioè la confessione – su cui torneremo e che è stata ampiamente
studiata, direi dissezionata da Foucault – ha una chiara e riconoscibile matrice religiosa. Noterete
anche che l’elenco meriterebbe di essere integrato con un esemplare di dispositivo che A. non
nomina ma la cui costituzione è, se non precedente, perlomeno correlativa e parallela a quella del
linguaggio: sto alludendo al nostro ipertrofico cervello quale clamoroso dispositivo che, come un
utilissimo perché flessibile coltellino svizzero, adatta ancora a ogni evenienza, e alla bisogna, lame
e lamette ataviche, di centomila anni fa, impostate per risolvere altri problemi. Il nostro cervello
tuttora preferibilmente ci <span style="font-style: italic;">cattura </span>in alcune percezioni, visioni e pensieri (escludendone di primo
acchito altri), preferibilmente <span style="font-style: italic;">ci orienta, </span>ad esempio, verso determinate interpretazioni e letture
della realtà (escludendone in prima battuta altre), possibilmente <span style="font-style: italic;">ci fissa </span>in determinati
comportamenti (perlomeno complicando e svantaggiando la stabilizzazione di altri). Perché dico
questo? Perché quando il cognitivista Robert McCauley, in un suo famoso libro di tre anni fa,
titolava che la religione – ma io direi, capite, il “religioso” – è naturale e la scienza (cioè
l’atteggiamento scientifico) non lo è, intendeva proprio mostrarci come lavora il dispositivo
religioso <span style="font-style: italic;">che è </span>il nostro cervello, rifiutando di primo acchito le spiegazioni di tipo scientifico.
Dunque, aggiungiamo pure il cervello umano all’elenco dei dispositivi fatto da Agamben e
qualifichiamo pure come religiosa una delle principali scene in cui da millenni ci cattura, ci orienta
e ci fissa. Una scena alquanto minimale, si intende, un canovaccio religioso piuttosto vago, perché
in tutto il resto, come ha mostrato già il nostro sciamano, ci siamo felicemente o tragicamente
infilati da soli, battendo altre strade che l’evoluzione per selezione naturale di suo non prescriveva.
Ora per mostrare all’opera un dispositivo di tipo religioso, posso fare l’esempio piuttosto canonico
di un rito, di un’antica cerimonia pubblica greca (poniamo: ateniese), un rituale all’incirca di fine V
secolo a.C. Diciamo l’età di Socrate, per intenderci. Socrate, il giorno delle Panatenee, la principale
festa religiosa della sua città, che se non sbaglio cadeva a ogni fine luglio, vedeva grossomodo
questo spettacolo:
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">“Un nugolo di uomini si avvia con passo cadenzato verso il tempio per onorare gli dei. Il loro procedere è
scandito dall’intonazione di una preghiera, le loro voci si confondono nel canto. Non sono ancora individui,
sono piuttosto un flusso, un ritmo, una melopea di parole. Un solo inno, che celebra la Gloria divina, li
muove insieme (li com-muove). Come in una danza, ogni movimento del corpo, ogni gesto, si ripete in
un’armonica modulazione, segnando l’incedere comune, un passo dopo l’altro. Poi, improvvisamente,
giunge la Domanda. Cade come un fulmine. Secca, oltraggiosa, tremenda: “Perché andate a onorare gli
dei?”. È una voce fuori dal coro, un’interferenza nel salmodiare, una perturbazione lungo il cammino. Al suo
sopraggiungere, il gruppo do uomini si arresta all’improvviso e, come di contraccolpo, fa un passo indietro.
La Domanda interrompe il canto, spezza il ritmo, sospende la prassi”
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 18">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">C’è un termine da poco inventato da un filosofo politico francese di nome Yves Citton che
visualizza molto bene il processo in atto: è “scenarizzazione”. È termine un po’ barocco ma utile
perché è iper-teatrale, come si addice a questa immagine, e perché contiene insieme l’idea di una
<span style="font-style: italic;">sceneggiatura, </span>di una <span style="font-style: italic;">scenografia </span>e di un effettivo potere di induzione all’assunzione <span style="font-style: italic;">scenica </span>di
ruoli, posizioni e comportamenti all’interno di cornici narrative; cornici che permettono, una volta
attivate, di condurre le condotte degli esseri umani. Diciamo quindi che una cerimonia religiosa,
come quella qui descritta e fittiziamente interrotta, è un ottimo esempio di come un rito religioso (in
questo caso, un rito inerente alla religione civica della <span style="font-style: italic;">polis </span>greca Atene) funzioni da <span style="font-style: italic; font-weight: 700;">dispositivo
religioso di scenarizzazione. </span>Dico “dispositivo religioso di scenarizzazione” e non “dispositivo di
scenarizzazione religiosa”, perché, come l’esempio dello sciamano ha mostrato, la scena in cui sono
posto e fatto agire non è necessariamente e unicamente una scena religiosa, come una processione o
una messa: anche dentro una processione come questa, o una messa, le scene in cui la mia religione
mi pone sono molte di più: sono antropologiche (gli animali sono esclusi), sono di genere (donne e
uomini in posti diversi), sono sociali (i dominanti davanti, i dominati dietro), ecc. Prima di passare
domani ad analizzare tre dispositivi strategici di scenarizzazione religiosa, tre strumenti assai
familiari con cui le religioni catturano, orientano e fissano, voglio solo premettere due cose che
questa scena mi ha suggerito. Perché il quadro non risulti più plumbeo del dovuto. La prima: il fatto
che Socrate – immagino conosciate la sua vicenda, che in questa descrizione è stata come riassunta
e “romanzata” – possa estraniarsi dalla scena, osservarla da un ipotetico, osceno fuoriscena, persino
criticarla (appunto: “perché onorate gli dei?”), significa banalmente che ai dispositivi religiosi si
può sfuggire. Si può resistere. La loro presa non è né totale, né implacabile, né incondizionata. Il
fatto che Socrate, scampato al dispositivo religioso, incappi mortalmente in quello giuridico
(condannato a morte per empietà), dipende appunto dai rapporti, storicamente determinati, tra
dispositivi religiosi (cerimonia religiosa pubblica) e dipositivi giuridici (leggi). Seconda
osservazione, più articolata: quando mi capita di dire, per comodità ed esigenze di sintesi, che <span style="font-style: italic;">una
religione (o un rito) dispone, </span>cioè cattura, orienta e fissa comportamenti e pensieri, ovviamente non
intendo assegnare al soggetto “religione” o al soggetto “rito” il ruolo di un vero e proprio soggetto
agente. Non c’è nessun signor “rito” e nessuna signora “religione” che <span style="font-style: italic;">ci </span>dispone. Ci sono invece
dei signori – più raramente, delle signore – che dispongono la religione e i suoi riti in modo tale che
questi dispongano, in modo e in misura diversa, loro e noi. Intendo dire che, quando, come in
questo caso, lo spazio e il lavoro religiosi appaiono strutturalmente differenziati, quando cioè la
verticale della differenziazione ontologica e attributiva tra esseri umani e sovraumani, tra azioni
umane e azioni divine, tra vicende umane e vicende divine, risulta connessa e raddoppiata dalla
gerarchia delle differenze qualitative tra persone (specialisti religiosi e non specialisti) e tra sfere o
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 19">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">luoghi (spazi sacri e profani), allora vuol dire che qualcuno, qualche <span style="font-style: italic;">addetto </span>alla religione che
guarda caso è anche uno <span style="font-style: italic;">adatto </span>a gestirla, ha cominciato a disporre della religione per conto terzi e
a beneficio in prima istanza suo e di altri. Nel caso di religioni territoriali o universali <span style="font-style: italic;">consolidate
</span>(pensiamo all’Atene e alla Roma antica, all’India vedica, alle chiese confessionali di età moderna),
questi altri sono, in genere, quelle che, con termine antico ma mai desueto, si chiamerebbero “classi
dominanti”. In alternativa, nel caso di <span style="font-style: italic;">nuovi </span>movimenti religiosi (religioni new age, religioni di
internet e in internet, ma anche il cristianesimo e l’islam delle origini) sono perlopiù clientele sociali
specifiche e strategiche. Insomma, come ebbe a dire un grande sociologo e filosofo francese del
secolo scorso, Pierre Bourdieu, le religioni e le loro teo-dicee sono sempre delle “socio-dicee”, cioè
dei sistemi di pratiche e rappresentazioni pensati e fatti ora per affermare ora per consolidare,
sempre per provare <span style="font-weight: 700;">a </span><span style="font-style: italic; font-weight: 700;">giustificare </span><span style="font-weight: 700;">e a consacrare </span>le proprietà specifiche e il potere sociale di una o
più platee sociali. Non è necessario che chi amministra la religione sia consapevole di questa sua
funzione di <span style="font-weight: 700;">rafforzamento simbolico </span>di un ordine sociale costituito o comunque di un’istanza
sociale costituentesi. La struttura del sistema religioso tradisce l’identità dei suoi principali
beneficiari o dei suoi esclusivi referenti di più e meglio di quanto non faccia la parola pubblica o
l’operare privato dei suoi amministratori. Tutto ciò, in definitiva, è stato rapidamente aggiunto solo
per dire che dalle religioni, che qualcuno ha storicamente modellato e formattato come mistiche
cassette degli attrezzi che catturano, orientano e fissano stili di condotta e di pensiero, <span style="font-weight: 700;">si può per
principio sfuggire, resistere, opporre un altro racconto, un’altra storia, un altro modello di
mondo e di condotta. </span><span style="font-style: italic;">Per principio </span>non vuol dire poterlo o volerlo <span style="font-style: italic;">per forza. </span>Il come sfuggire, il
come resistere è un’altra storia.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Bene. A questo punto mi fermo. Domani, come promesso, analizzeremo brevemente due dispositivi
religiosi: la <span style="font-style: italic;">legge </span>e la <span style="font-style: italic;">regola. </span>Nell’operare questa scelta ovviamente trascureremo l’analisi di altri
dispositivi generalmente inerenti ai sistemi religiosi di <span style="font-style: italic;">governance </span>cognitiva e sociale: il linguaggio
<span style="font-style: italic;">in primis, </span>il mito e il rito (che abbiamo visto solo di sfuggita con l’esempio delle Panatenee). Ci
concentreremo sulla legge e sulla regola non solo perché in sei ore e mezza non si può dire tutto, ma
anche per delle ragioni meno triviali, meno burocratiche, che attengono all’itinerario scelto per il
nostro viaggio. Partiremo studiando le differenze e i rapporti tra legge e regola come dispositivi
religiosi di cattura, orientamento e stabilizzazione dei pensieri e delle azioni umane in riferimento a
una coppia di sistemi religiosi specifici. Perché dobbiamo necessariamente lavorare su degli esempi
e perché sono gli esempi che personalmente conosco meglio. Mi riferisco al giudaismo antico e al
cristianesimo antico. Domani ci occuperemo anche di che cosa accade quando un dispositivo
religioso, anzi una <span style="font-style: italic;">summa </span>di dispositivi religiosi, assurge non solo genericamente ed
estensivamente a governo delle vite, ma propriamente e tecnicamente ad <span style="font-style: italic;">arte di governo </span>delle vite;
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 20">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">vedremo infine cosa succede quando un sistema integrato di meccanismi e procedure di governo
religioso dei viventi, cioè un’arte religiosa di condurre gli uomini, entra in crisi di identità, si
dissemina, si sperde, si secolarizza.
</span></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">FINE PRIMA SESSIONE</span></div>
<br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">SECONDA SESSIONE (domenica 7 settembre; h. 9-12)</span></div>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">
</span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-weight: 700;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">PRIMA PARTE: due dispositivi della religione: la legge e la regola
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Legge e regola sono parole spesso usate nel gergo comune o semi-colto come sinonimi. Basta aprire
un giornale o ascoltare un notiziario per accorgersene. In realtà sono parole che possono designare
realtà diverse, pezzi di mondo diversi che costruiscono diversamente mondi più o meno simili.
Lasciando da parte le etimologie, di cui sono zeppi gli studi filosofici e filosofico-giuridici sul tema,
diciamo per iniziare che la legge rimanda primariamente alla sovranità, la regola alla vita. Detta
così, la questione pare un po’ rozza, schematica e astratta. Meglio ricorrere agli esempi.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Un’antico ebreo, abitante a Gerusalemme all’epoca in cui il tempio era ancora in piedi, prima che i
romani lo distruggessero nel 70 d.C., se era un pio ebreo, osservava la Torah. Torah significa
“insegnamento”, ma per lui quella era molto di più di una dottrina per quanto autorevole. La Torah
aveva valore di legge. Era <span style="font-style: italic;">la legge. </span>La Bibbia greca, usata dai giudei di lingua greca nel mondo
mediterraneo antico, non a caso traduce il complesso di libri della Torah con <span style="font-style: italic;">Pentateukos, </span>ma la
Torah, in quanto insieme di precetti divinamente posti, con <span style="font-style: italic;">nomos, </span>cioè appunto “legge”. Il perché è
presto detto. La legge è qualcosa di più di un complesso di regole. La legge emana da un’autorità
personale o impersonale, individuale o collettiva (in questo caso, personale e individuale: Dio) che
decide e dice ciò che è <span style="font-style: italic;">vietato </span>e ciò che è <span style="font-style: italic;">permesso </span>e, all’interno di quest’ultimo, ciò che è
<span style="font-style: italic;">obbligatorio </span>per un determinato numero di persone. La legge presuppone direttamente un’autorità
che se non ha nulla sopra di sé è “sovrana”, se ha qualcuno sopra di sé è “subordinata”, ma che in
ogni caso suddivide le cose secondo il codice preliminare del lecito e del vietato e dalla prospettiva
del vietato. La legge, certo, oltre a vietare di fare, comanda di fare e concede di fare. Ma è
nell’istituire il vietato che la legge entra nel mondo. Non a caso il Decalogo inizia con
l’instaurazione di un divieto, quello dell’idolatria: “Non avrai altri dei di fronte a me”. Il
monoteismo, cuore e motore della Legge ebraica, non è una regola: è un divieto. La Legge, anche
quella religiosa, si caratterizza per tre prestazioni fondamentali:
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">a) <span style="font-style: italic;">Ostativa. </span>L’abbiamo appena visto, la legge <span style="font-style: italic;">vieta. </span>“Questo no!”. Esempio già menzionato:
“Non avrai altri dei di fronte a me!” (primo articolo del Decalogo).
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 21">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">b) <span style="font-style: italic;">Iussiva. </span>La legge <span style="font-style: italic;">comanda. </span>“Questo devi!”. Un buon esempio è il secondo articolo del
Decalogo: “Onora il Padre e la Madre!”, oppure quel precetto del Deuteronomio che
diventerà una preghiera principe della liturgia sinagogale e che per Gesù di Nazareth
costituiva addirittura il primo di tutti i comandamenti: “Ascolta Israele (Shemà <span style="font-style: italic;">Israel). </span>Il
Signore Dio nostro è l’unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo
cuore, tutta la tua mente e con tutta la tua forza” (Mc. 12,29). Questo esempio dello <span style="font-style: italic;">Shemà
</span>mostra chiaramente un comando (quello dell’amore incondizionato) seguire un divieto
(quello che fonda il monoteismo, escludendo dalla venerazione altri dei)
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">c) <span style="font-style: italic;">Metaforica. </span>È la prestazione forse meno immediata della legge, perché è trasversale alle
altre due, ma, secondo alcuni giuristi, è quella specifica della legge, che la distingue, ad
esempio, dalla regola di un regolamento, dalla misura politica di un governo, dall’atto di
imperio di un tiranno. La legge <span style="font-style: italic;">sposta, </span>cioè “trasporta un oggetto o un soggetto in un
diverso dominio di rilevanza metafisica, legale e politica” (Monateri 2014). Grazie alla
legge, quest’uomo è schiavo, quell’altro è suddito; questi è un bandito, lui è un combattente
regolare; io sono un direttore, tu un funzionario, egli un impiegato. Per la legge questa
uccisione è un assassinio, questa è nutrimento, quest’altra è un atto di eroismo. In funzione
della legge questa panchina è un bene mobile, questo “coccio aguzzo di bottiglia” è un
confine. Per fare un esempio di sfruttamento religioso della prestazione metaforica della
legge, possiamo citare il quarto precetto del Decalogo: “Ricordati del giorno di sabato per
santificarlo!” (Es. 20,8). Il settimo giorno della settimana è rimosso dalla sua irrilevanza
astronomica di giorno qualunque, è spostato su un piano metafisico e assurto a “sabato”,
giorno del riposo del Signore e del suo popolo.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Unendo queste tre prestazioni elementari, si può dire che la legge opera come segnatura e
ordinamento del mondo tramite segni e suoni, cioè parole. Si può dire anche che la cessazione
improvvisa dell’intera attività di denotazione della legge, la fine o la sospensione prolungata della
sua <span style="font-style: italic;">logo-nomia </span>come potere di governare il mondo tramite parole, determinerebbe il crollo
dell’intera ontologia sociale del mondo. In altre parole, noi tutti dipendiamo, nelle nostre vite, da
equazioni legali come questa: x (edificio) vale come y (chiesa) in S (nel nostro Sistema giuridico).
È la formula dell’ontologia sociale secondo il filosofo americano John Searle, ma diciamo pure che
è la grammatica (legale) di tutte le nostre relazioni sociali. Alcune di queste, naturalmente,
altrimenti non ne staremo parlando, sono di tipo religioso. Ad esempio, è la violenza ordinaria e
legale di una qualche legge che fa sì che io o tu (individuo qualunque x) non possiamo salire
sull’altare della Chiesa dei SS. Apostoli e predicare e dare l’ostia improvvisandoci preti (cioè y).
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 22">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Se questa, a grandissimi tratti, è la grammatica fondamentale della <span style="font-style: italic;">legge, </span>come dispositivo anche
religioso di cattura, orientamento e fissazione delle vite, in che cosa si distingue la <span style="font-style: italic;">regola? </span>La legge
non è forse un insieme di regole? Le regole non operano come legge, vietando e permettendo,
comandando e spostando cose e uomini da un ambito all’altro? Certamente sì. La legge religiosa (la
Torah, ad esempio), come molte altre leggi, si escarna dalla sua fonte, si scandisce in e si compone
di regole: il <span style="font-style: italic;">Levitico, </span>libro della Legge per eccellenza, è una sequenza di regole cultuali, alimentari,
igieniche, sociali che soddisfano tutte le caratteristiche ontologiche e pragmatiche fondamentali
degli enunciati legali (sono sequenze di parole armate, cioè assistite dall’uso potenziale di una
forza, che vietano, comandano, spostano). Ma l’istituto religioso della Regola – questo è il punto di
divaricazione concettuale –, il dispositivo religioso della Regola funziona diversamente dalle regole
della legge. Vediamo come.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Per capire cosa sia e come funzioni il dispositivo religioso “regola” diverso dal dispositivo religioso
“legge”, fatto di regole, passeremo attraverso il dispositivo religioso “mito”. Prendiamo il mito
arcinoto del vitello d’oro, che immagino conosciate tutti. Il popolo ebraico, dato che Mosè tardava a
scendere dal Sinai dove stava ricevendo le tavole della Legge, si stufa e decide di costruirsi la statua
aurea di un dio dalle fattezze di un vitello per venerarlo, offrirgli sacrifici di comunione (pretesto
per mangiare e bere) e darsi a sfrenati divertimenti. Mosè finalmente scende, assiste alla scena,
spezza le tavole appena scritte sul Sinai, scatena un massacro, ottiene la grazia divina sui membri
rimanenti del popolo e ottiene che quelle stesse parole di legge, infrante nell’ira, siano re-inscritte
tali e quali da Dio su un nuovo supporto roccioso. Perché mi interessa questo mito? Perché mostra
plasticamente, grazie a una serie di immagini sequenziali, qual è il punto di vista della legge:
l’idolatria del vitello d’oro è infatti quell’infrazione che offre (subito) alla regola principale della
legge, il monoteismo, l’occasione di agire da regola di legge: generando cioè 1) una condanna, 2)
una punizione tramite uccisione forfettaria di amici, parenti, fratelli, 3) l’entrata in vigore effettiva
dell’ordine legale tramite il ripristino materiale del suo dettato (Dio riscrive le leggi). L’infrazione,
per dirla un po’ kantianamente, è la condizione di possibilità della regola/legge come esperienza
della regola/legge. La legge, per vigere davvero, ha bisogno dell’infrazione come percezione dei
suoi confini e dunque della sua possibilità di oltrepassamento. Non a caso i miti che descrivono stati
non normati, e che quindi in un modo o nell’altro non danno alla regola della legge alcuna
possibilità di agire, reclamano sempre la loro fine: i miti ricorrenti in molte culture e religioni
“dell’età dell’oro” e del “caos primordiale”, cioè rispettivamente i miti della regolarità/legalità
selvaggia senza esperienza e coscienza della legge (età dell’oro) e i miti della regolarità/legalità
negata senza esistenza della legge (caos primordiale), descrivono stati impermanenti, stati del
mondo che devono finire. L’età dell’oro non dura mai e il caos deve uscire di scena perché il mondo
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 23">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">inizi a funzionare come cosmo segnato, nominato e ordinato da leggi. Il normativo come pensiero e
come ordine inizia sempre con un’infrazione, che, come scriveva il filosofo e storico della scienza
francese Georges Canguilhem, è al contempo <span style="font-style: italic;">logicamente </span>posteriore alla legge (perché l’infrazione
è violazione di un divieto posto) e <span style="font-style: italic;">storicamente </span>anteriore alla legge (perché è l’esistenza precedente
di quello che diverrà infrazione che suscita l’intenzione normativa). Tutto ciò per spiegare meglio,
tramite un mito, quello che di fatto si era già detto prima: e cioè che la legge è un pensiero negativo
che muove dal punto di vista del vietato.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Tenendo presente quest’ultima affermazione, guardiamo invece questo altro testo:
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">“L’ozio è nemico dell’anima. Per questo in alcuni determinati momenti i fratelli devono essere occupati nel
lavoro manuale e in altri determinati momenti nella lettura divina. Crediamo dunque che questi due tempi
possano essere ordinati secondo la seguente disposizione: che da Pasqua fino al 1o di ottobre al mattino,
uscendo da prima, lavorino quasi fino all’ora quarta là dove ce ne sarà bisogno. Dall’ora quarta, poi, fino
quasi alla celebrazione dell’ora sesta abbiano tempo per la lettura. Dopo sesta, alzatisi da tavola, riposino sui
loro letti in assoluto silenzio; oppure, nel caso in cui qualcuno voglia leggere per conto proprio, legga in
modo da non disturbare gli altri ... [seguono <span style="font-style: italic;">istruzioni valide dal 1o di ottobre fino alla Quaresima e per la
Quaresima] </span>La domenica, allo stesso modo, tutti si applichino alla lettura, tranne coloro che sono stati
incaricati dei diversi compiti. Se però qualcuno fosse così negligente e pigro da non volere o da non potersi
applicare a imparare o a leggere, gli si assegni un lavoro da fare, in modo che non resti in ozio... ”.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Questo brano è tratto dal cap. 48 della <span style="font-style: italic;">Regula Benedicti, </span>la più importante e influente collezione di
norme di vita ascetica dell’occidente monastico. È stata scritta in Sabina da un oscuro
antropotecnico cristiano alla metà del VI d.C., postumamente quanto artificiosamente assurto a
fondatore del movimento monastico che prende il suo nome (i benedettini). La regola, per dirla
proprio tutta, è stata redatta riciclando ben sei capitoli, sui tredici complessivi, da una più lunga
regola, di poco precedente, detta la <span style="font-style: italic;">Regola del Maestro. </span>Di che si tratta? Questa regola è definibile
come “una norma che non si riferisce a atti ed eventi, ma all’intera esistenza di un individuo, alla
sua <span style="font-style: italic;">forma vivendi” </span>intesa appunto come “vita regolare”. “Una vita” – ha scritto ancora Giorgio
Agamben – “che sembra confondersi senza residui con la regola” (2011, p. 15). Senza residui. <span style="font-style: italic;">Vita
vel regula, et regula et vita: </span>sono formule con cui alcuni testi regolari medievali rendono o
tradiscono questa ambiguità di fondo della vita religiosa regolare. Vediamo brevemente in che
senso una vita <span style="font-style: italic;">interamente </span>regolata è vita ed è vita diversa da quella <span style="font-style: italic;">localmente </span>normata dalla
legge.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Per mostrare la differenza esistente tra il tipo di dispositivo religioso della legge e il tipo di
dispositivo religioso della regola come strumenti differenti di cattura, orientamento e stabilizzazione
delle vite, potremmo collocare i comandamenti del <span style="font-style: italic;">Decalogo </span>e le istruzioni per il lavoro manuale e
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 24">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">la preghiera della <span style="font-style: italic;">Regola di Benedetto </span>ai due poli estremi di un continuum normativo. Il che
significa che il <span style="font-style: italic;">Decalogo </span>e la <span style="font-style: italic;">Regola di Benedetto </span>non sono i migliori rappresentanti del loro
genere, i tipi medi della legge religiosa e della regola religiosa: sono piuttosto i tipi estremi, gli
esemplari più sgargianti che ci permettono di tracciare meglio i confini tra specie altrimenti
difficilmente distinguibili di dispositivi religiosi. Si possono così identificare almeno tre elementi
che, incarnati per modo di eccellenza in questi due esempi estremi, divaricano i generi e aiutano a
fissare una soglia qualitativa tra la legge e la regola.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">a) <span style="font-style: italic;">Il punto di vista. </span>Se il punto di vista della legge è quello del <span style="font-style: italic;">vietato, </span>il punto di vista della
regola è quello dell’obbligatorio. Non nel senso che la legge vieta soltanto e la regola
obbliga soltanto, ovviamente. Anche la legge mosaica obbliga e anche la regola benedettina
vieta. E vieta tantissimo. Il punto di vista coincide piuttosto con il trattamento di ciò che è
indeterminato: per il sistema della legge tutto ciò che rimane indeterminato è
<span style="font-style: italic;">tendenzialmente </span>lecito, per il sistema della regola tutto ciò che è indeterminato è
<span style="font-style: italic;">tendenzialmente </span>vietato. La legge, come pensiero negativo, tende a dire tutto <span style="font-style: italic;">ciò che non va
fatto. </span>La regola, come pensiero positivo, prova a esplicitare tutto <span style="font-style: italic;">ciò che va fatto. </span>Ad
esempio: nella regola di Benedetto non si fa menzione della danza. Anche nel Decalogo o
nel Levitico non si fa menzione della danza. Ma tutti noi, da questa doppia assenza,
intuitivamente deduciamo che nei monasteri benedettini, almeno secondo le intenzioni della
Regola, non si danza, mentre nella Palestina antica gli ebrei, almeno secondo le intenzioni
del Levitico, potevano danzare. A questo si collega immediatamente un secondo elemento di
distinzione.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">b) <span style="font-style: italic;">Dimensione e qualità del non-detto. </span>Mentre la legge può permettersi di essere <span style="font-style: italic;">eterea </span>e al
contempo <span style="font-style: italic;">esaustiva, </span>perché il commento e l’interpretazione ovviano alla sua sideralità e alla
sua astrattezza, la regola è tanto più riconoscibile come tale quanto più è <span style="font-style: italic;">pulviscolare </span>e
punta alla <span style="font-style: italic;">saturazione </span>disciplinare delle vite dei suoi sottoposti. Sull’esegesi della Torah non
si sono solo riempiti degli scaffali delle biblioteche: sulla sua intenzione e sulla sua
estensione si sono affrontati e separati gruppi, si sono prodotte religioni. Nel caso esemplare
del regime monastico benedettino, tutta la vita del monaco è regolata h. 24 da quanto è detto
nel testo regolare. Non solo tempi e spazi, forme e contenuti di parole e azioni, ma persino la
qualità e la cronologia dei silenzi sono prescritte. C’è un passaggio del cap. XLII della
<span style="font-style: italic;">Regula Benedicti, </span>nemmeno dei più bizzarri, che precisa persino il numero di pagine
(quattro o cinque) che un monaco a digiuno può leggere dopo la celebrazione dei Vespri, e
non da libri qualunque, ovviamente, ma solo dalle <span style="font-style: italic;">Conferenze </span>di Cassiano, dalle <span style="font-style: italic;">Vite dei
Padri </span>e da qualche altra opera di edificazione. Il risultato di tutto ciò è che delle regole non
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 25">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">ci sono glosse scritte. L’interpretazione è essenzialmente risolta nell’esecuzione (quattro o
cinque pagine? Me la vedo io; cos’è opera di “edificazione”? Faccio io). Quindi, mentre nel
sistema della legge, il non-detto, che è anche non vietato, è una <span style="font-style: italic;">lacuna fisiologica che va
scritta, </span>per il sistema della regola il non detto, che è anche non vietato, è un <span style="font-style: italic;">residuo
patologico che va eseguito. </span>Vale anche il contrario: laddove la legge corre il rischio della
superfetazione, e la sua patologia è il pleonasmo, la regola non deve mai preoccuparsi di
dire troppo perché nella sua fisiologia rientra la lungaggine.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Ciò detto, si insinua già il sospetto che, se la vita eccedente, non catturata e non disposta (ma anche
non protetta) da nessuna legge, è designabile come <span style="font-style: italic;">pura vita, </span>o come <span style="font-style: italic;">vita stessa, </span>la vita come
integralmente istituita nella forma della regola <span style="font-style: italic;">non è più veramente </span>vita: o meglio, non è <span style="font-style: italic;">la stessa
vita </span>che è presa in carico dalla legge. Che cosa sia questa vita lo vediamo subito introducendo un
terzo elemento che, oltre a quello relativo al punto di vista e alla qualità del non-detto, divarica
definitivamente le figure della legge e della regola. È un elemento decisivo, che chiama in causa la
difficile questione della <span style="font-style: italic;">legalità della regola. </span>Proviamo a riassumerlo.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">c) Che corrisponda a un atto ufficiale del senato romano sulla proibizione dei baccanali o a una
prescrizione del Levitico interna al capitolo sugli animali commestibili, il testo della legge e
delle regole legali riceve e rimanda a una <span style="font-style: italic;">struttura della sovranità: </span>c’è un potere (divino,
umano, divino e umano in sodalizio di incarnazione o di rappresentanza), un potere
legittimo di fatto prima che di diritto, da cui la legge promana e che questa legge emana. Un
sistema legale funziona così, il Decalogo funziona così. La regola regolare e il sistema
regolare, invece, non funzionano così e, invece che dalla <span style="font-style: italic;">struttura della sovranità </span>e dalla
<span style="font-style: italic;">forma della legge, </span>sono segnati dalla <span style="font-style: italic;">struttura dell’esemplarità </span>e dalla <span style="font-style: italic;">forma dell’arte.
</span>Premessa: le discussioni dotte sulla natura giuridica delle regole monastiche sono di lunga
data e complicate da riassumere. Preferisco schivarle. Diciamo in breve che chi scrive la
regola (l’oscuro autore della <span style="font-style: italic;">Regula benedicti) </span>non è un legislatore, e chi ne è garante (ad
esempio, l’abate del monastero benedettino) è giudice solo per analogia di funzioni o per
assimilazione di linguaggi. Questa distinzione è stato posta fin da subito: al padre mitico del
monachesimo cenobitico, l’egiziano Pacomio, fu detto dal suo leggendario maestro: “Sii per
essi un esempio (typos) e non un legislatore (nomothetes)”. Le cose poi si complicano, come
ho detto, ma il nocciolo della questione resta. Cioè resta il fatto che la figura della regola
non può ripiegarsi totalmente nella forma della legge. E non può farlo perché a definire il
suo referente (il monaco) non è l’obbedienza a un ordine generale che vale per tutti o a un
ordine particolare emesso a nome di tutti: a fare il monaco è – perdonate il giochino –
l’habitus, cioè l’esercizio ripetuto di una forma di obbedienza tipizzata, cioè incarnata da
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">modelli, che assomiglia più all’esercitazione di un arte magistrale, ossia realizzata da e in
alcuni maestri, che non alla sottomissione a un dispositivo legale, emanato da un legislatore
e applicato da un giudice – questo per quanto la <span style="font-style: italic;">Regula benedicti </span>menzioni all’inizio sia
l’obbligo positivo dello <span style="font-style: italic;">Shemà </span>sia i precetti negativi e positivi del Decalogo, escludendo
quelli insensati per la vita monastica (“Onora il padre e la madre”) e adattandone alcuni alla
situazione monastica; e questo nonostante il fatto che gli abati comminino pene conseguenti
a un giudizio di infrazione della regola.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Per concludere, un’arte dalla pretesa totalitaria e dalla presa totalizzante, esercitata ogni giorno h.
24 su se stessi, non è certo una tecnica di bottega qualunque, che richieda un apprendistato
ordinario. Ma ancora meno, quest’arte, questa antropotecnica è una legge che segna e ordina
segmenti di vita come stati di cose e di fatto, stati nudi di vita da essa catturati. Che arte e che vita
sono queste? Difficile dirlo. Agamben ha ipotizzato che si tratta di un’arte che, inseguendo modelli
di vita, produce il fatto della vita stessa che dovrebbe modellare. Produce un fatto che prima non
c’era. La legge, è vero, investe una vita (la mia, la vostra), in genere fin dalla sua nascita,
archiviandola tra le altre vite. Ma qui la vita è <span style="font-style: italic;">quasi </span>la regola e la regola è <span style="font-style: italic;">praticamente </span>la vita.
Giustamente, a parer mio, Agamben ha scritto che vita e regola entrano qui in una “zona di
indifferenza”, segnata dal venire meno della stessa possibilità di distinguerle.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Mi fermo qui. Facciamo ora una pausa, prima del rush finale attraverso il pastorato cristiano e le
pastorali post-cristiane e non cristiane moderne
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">[PAUSA]
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-weight: 700;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">SECONDA PARTE: il pastorato e la confessione, ovvero il governo religioso di verità
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Fin qui, in modo sbrigliato quanto schematico, abbiamo visto come qualcosa come delle religioni
arrivano a catturare, orientare e fissare pensieri e azioni degli esseri umani. Abbiamo alluso al <span style="font-style: italic;">mito,
</span>dato un’occhiata al <span style="font-style: italic;">rito, </span>analizzato più da vicino i dispositivi della <span style="font-style: italic;">legge </span>e della <span style="font-style: italic;">regola. </span>C’è una
parola che ho taciuto deliberatamente, che ho nascosto come una carta coperta pronta a fare il suo
ingresso nel gioco al momento opportuno e più redditizio. È la parola “verità”. La verità non è di
per sé un dispositivo religioso di governo delle vite. La veridizione, cioè l’atto di dire-la-verità su
qualcosa o qualcuno, può esserlo, lo è stato e lo è ancora entro quella cultura occidentale cristiana
che ha fatto della verità <span style="background-color: white;">un’autentica ossessione conoscitiva. </span>C’è un’altra parola, “governo”, che
invece ho usato più volte, e che insieme alla sinora mai menzionata “verità” dona la formula
scheletrica dell’ultimo dispositivo propriamente religioso che analizzeremo: il pastorato. In effetti,
la storia del pastorato occidentale cristiano, che, in realtà più che un dispositivo, è una struttura di
</span></div>
</div>
</div>
<div class="section">
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 27">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">convergenza e di cooperazione tattica di vari dispositivi religiosi (un dispositivo di dispositivi), è la
storia della costituzione di un governo religioso della verità, basato sulla verità e che innalza la
verità a strumento strategico di governo. Bisogna intendersi su che genere di governo si tratti e su
quale verità si fondi.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Ho già detto, all’inizio del modulo, che il benemerito Foucault ha teorizzato e descritto lo
spostamento e il recupero dell’arte di governare gli uomini dall’ambito della pastorale cristiana a
quello del governo delle società umane, intervenuto a partire dalla fine del XVI – inizio XVII
secolo. Cioè, con il costituirsi delle nuove strutture politiche del moderno, debutta e si sviluppa una
sorta di pastorale di stato. Per esigenze di tempo e insufficienza di competenza, non farò qui la
storia del pastorato cristiano, che – detto per inciso – nasce e si sviluppa a partire dall’istituto paleo-
cristiano della penitenza, poggia su una base almeno figurale ebraica (il Dio pastore e il gregge da
salvare) ed entra in crisi in età moderna per varie ragioni esterne, ma anche per effetto di alcune
insurrezioni di condotta o, come le chiama F., “controcondotte” maturate all’interno del campo del
pastorato. Una di queste rivolte interne coincide con un’antropotecnica assai antica, l’ascetismo, un
eccesso della mortificazione virtuosa che, come vuole Sloterdjik, nell’immunizzare lo status vitale
dell’acrobata religioso, del rinunciante, del digiunante, del flagellante, lo impermeabilizza anche al
potere del pastore. Nemmeno posso, commentando e riassumendo le complesse ricerche di
Foucault, svolgere un’analisi approfondita dei tratti salienti che caratterizzano ancora oggi la sua
funzione, dei suoi debiti formali verso alcune tecnologie di governo greche ed ebraiche e dei suoi
prestiti governamentali alla storia dello stato. Guarderemo quindi al pastorato un po’ di sbieco,
come correndogli affianco e partendo da una definizione-descrizione data dallo stesso Foucault
(2005, p. 124-125):
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">“[Il pastorato cristiano] è un’arte del condurre, del dirigere, dell’accompagnare, del guidare, del prendere per
mano, del manipolare gli uomini, del seguirli passo passo; un’arte che ha la funzione di farsi carico degli
uomini individualmente e collettivamente per tutto il corso della loro vita e in ogni momento della loro
esistenza [...] Nessuna società e nessuna civiltà è stata più pastorale delle società cristiane dalla fine del
mondo antico fino alla nascita di quello moderno. E credo che questo potere pastorale non possa essere
assimilato a – o confuso con – le procedure impiegate per sottomettere gli uomini a una legge o a un sovrano.
Non può essere neppure assimilato a metodi impiegati per educare i bambini, gli adolescenti o i giovani, o
alle ricette per convincere gli uomini, persuaderli o soggiogarli più o meno contro la loro volontà. In breve, il
pastorato non coincide né con una politica, né con una pedagogia, né con una retorica. È qualcosa di
completamente diverso. È un’arte di governare gli uomini”
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Noterete subito alcune cose. La prima: molte parole-chiave già incontrate nel corso del modulo
ritornano. “Arte” è introdotta parlando della regola monastica. “Condurre” è stato un <span style="font-style: italic;">Leitmotiv </span>del
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 28">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">corso: l’abbiamo usato per definire la religione come “sistema di governance cognitiva” e per la
definizione di “scenarizzazione” operata dal rito religioso delle Panatenee. “Condurre” e “condotta”
sono parole su cui F. ha esercitato un grande investimento tecnico e su cui la filosofia post-
foucaultiana continua a rimuginare. Infine “legge”, “sovrano” e “governo”, parola, quest’ultima, la
più usata di tutte, la cui definizione tecnica adesso daremo perché ancora manca all’appello.
Seconda osservazione sulla definizione di pastorato: si tratta, almeno per la sua seconda parte, di
una definizione negativa, che procede quasi per esclusione precisando ciò che il pastorato <span style="font-style: italic;">non </span>è,
negando quindi l’equivalenza apparente tra il pastorato e altre specie di potere: il pastorato non è né
una politica (qui intesa come tecnica giuridico-politica, di governo degli uomini tramite la legge,
come parola armata dal diritto), né una pedagogia, né una retorica (tecnica di direzione degli uomini
tramite la parola agghindata dall’eloquio). Quando poi alla fine F. definisce seccamente, troppo
seccamente il pastorato come “arte di governare gli uomini”, il lettore, anche quello che non ha letto
le pagine precedenti del testo, in cui F. inanella varie definizioni di governo tratte dagli albori della
scienza moderna del governo (Machiavelli, Bodin, de la Perrière, ecc), anche l’ascoltatore che si è
appena sintonizzato sul discorso foucaultiano capisce che per “governo” qui egli intende quello che
ha elencato sopra. Ovvero: “un’arte del condurre, del dirigere, dell’accompagnare, del guidare, del
prendere per mano, del manipolare gli uomini, del seguirli passo passo”; soprattutto “un’arte che ha
la funzione di farsi carico degli uomini individualmente e collettivamente per tutto il corso della
loro vita e in ogni momento della loro esistenza”. Infine, come F. stesso ha sintetizzato alla fine del
suo corso, introducendo nella definizione di pastorato il riferimento al soggetto che esercita questo
potere, ossia il pastore, il pastorato è
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">“un’attività che si incarica di condurre gli uomini lungo tutta la loro vita, sottomettendoli all’autorità di una
guida responsabile di ciò che fanno e di ciò che può capitare loro”.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">È questo il tipo specifico di governo, come <span style="font-style: italic;">modus, </span>come <span style="font-style: italic;">ars, </span>come tecnica particolare e storica di
esercizio del potere finalizzato al perseguimento di obiettivi concreti, che il pastorato occidentale
cristiano “insegna” e cede allo stato moderno, il quale lo revoca, lo collega, lo associa, lo integra e
lo sussume nell’esercizio stesso della sovranità politica – cioè nel governo inteso come istanza
suprema delle decisioni esecutive e amministrative nei sistemi statali. Il governo Renzi o il governo
Hollande non si concepiscono nello stesso modo, non sviluppano la stessa azione e non si pongono
gli stessi obbiettivi del governo di Augusto, di Carlo Magno o di Federico II. Foucault ci sta
suggerendo che, per capire come ci governa oggi il potere esecutivo di uno stato sovrano (es.: il
governo Renzi), dobbiamo dimenticarci gli antichi sovrani e i loro ministri: dobbiamo passare
attraverso il potere pastorale che Carlo Borromeo, vescovo di Milano, e i preti della sua diocesi
esercitavano a suo tempo sulle anime dei lombardi.
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 29">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Focalizziamo lo sguardo sul pastorato. C’è un modello generale preesistente a cui quest’“arte”
inedita si richiama e che quest’arte attiva? E poi come è possibile “farsi carico degli uomini
individualmente e collettivamente per tutto il corso della loro vita e in ogni momento della loro
esistenza”. La prima domanda interroga il tipo di governo, la seconda introduce la questione della
verità, che ci interessa di più. Le due questioni sono tra loro legate. L’arte di governo, che il
pastorato elabora e consegna alla politica moderna, è “precisamente l’arte di esercitare il potere
nella forma e secondo il modello dell’economia”. Come modello di esercizio del potere, il
pastorato, in altri termini, è un’economia <span style="font-style: italic;">delle anime </span>– secondo un’espressione che F. erroneamente
attribuisce al Padre della Chiesa Gregorio di Nazianzo. Alt un attimo! Prendete il termine moderno
corrente di “economia” e allontanatelo, estraniatelo da voi secondo il metodo, ormai acquisito,
dell’astronomia culturale. Dimenticate la borsa, la finanza, la deflazione, le facoltà di economia,
Mario Draghi, Pier Carlo Padoan ecc. e pensate a o immaginate quel tipo di potere, se vogliamo
“privato”, che Aristotele contrapponeva all’esercizio pubblico della sovranità nella <span style="font-style: italic;">polis. </span>Il potere,
appannaggio del cittadino adulto libero maschio, di disporre bene e di gestire oculatamente le
proprie cose al fine di preservarle e incrementarle: schiavi, figli e moglie inclusi, esseri umani,
dunque, <span style="font-style: italic;">in primis. </span>Potere su persone (o quasi persone) bisognose di gestione, potere su cose proprie.
Non su un territorio. Insomma, da questa altezza, che non dà accesso visuale al significato corrente
del termine “economia”, ma in compenso ci fa vedere le affinità gestionali tra il potere del padre di
famiglia greco e il prete medievale cristiano, si può osservare come il pastorato faccia uscire
l’economia da quella dimensione domestica implicata dal suo costrutto greco (oikos-nomia) per
portarla dove? a) per spostarla sul piano molto più vasto e ambizioso dell’umanità (alias della
cristianità) intera; b) per riferirla e finalizzarla non più alla prosperità della casa, ma alla salvezza
delle anime. Il pastorato dunque, come la legge, si caratterizza per una prestazione metaforica
essenziale: traspone il <span style="font-style: italic;">modus </span>amministrativo dell’economia dalla prosperità della casa alla salvezza
delle anime, senza passare direttamente per il modello politico alternativo della sovranità, per il suo
mezzo (la legge) e per il suo fine (l’obbedienza alla legge). Il pastore, a differenza del sovrano, cura
le anime: al contrario del monarca costituzionale, governa senza regnare. Come si esplica allora
questo potere religioso che, come vedremo subito, prenderà solo “di traverso” il rapporto con la
legge?
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Il pastorato come economia delle anime è per definizione benefico: il potere del pastore, a
differenza di quello del sovrano, ha una finalità esterna alla sua conservazione e alla sua obbedienza
ed è la salvezza del suo gregge. Per centrare l’obiettivo, il pastore ha il dovere di vegliare sul gregge
secondo modalità che richiedono uno sforzo al contempo titanico e paradossale: il pastore deve
avere gli occhi puntati su tutti e su ciascuno (omnes <span style="font-style: italic;">et singulatim) </span>e deve vegliare per tutta la durata
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 30">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">della vita e in ogni momento dell’esistenza di tutti e di ciascuno. Questo, almeno, è il programma
ideale, codificato nei testi cristiani sulla pastorale e – sia chiaro – in quanto tale perfettamente
irrealizzabile. Questa missione tuttavia non sarebbe nemmeno concepibile e predicabile se, nella
struttura del pastorato, non figurassero due elementi essenziali. Il primo: la risposta che il singolo
rivolge all’attività di cura individuale, congiunturale e vitalizia del suo pastore deve essere di
<span style="font-style: italic;">obbedienza pura, </span>cioè fine a se stessa, volta a raggiungere nient’altro che lo stato di obbedienza
entro un rapporto che si rinnova sempre e mai si rovescerà – l’ultimo, nella situazione pastorale, che
non è la situazione evangelica, rimane ultimo, non sarà mai primo. La sua <span style="font-style: italic;">sottomissione </span>deve essere
<span style="font-style: italic;">individuale, </span>cioè riferita esclusivamente all’individuo pastore che individualmente lo segue, lo
dirige e lo cura – il rapporto è di uno a uno ed è personale, cioè senza mediazioni generali come può
essere una legge, un principio d’ordine o semplicemente un punto di ragionevolezza. La sua
dipendenza deve essere <span style="font-style: italic;">integrale, </span>tale cioè che non garantisca alcuna libertà e non porti ad alcuna
padronanza di sé e degli altri – non c’è uno stato positivo, uno scatto di <span style="font-style: italic;">status </span>guadagnato dal
soggetto grazie alla prostrazione richiesta dalla prestazione di obbedienza. Niente assoluto controllo
delle passioni, niente maggiore presenza a se stesso, nessuna particolare beatitudine, identificazione
con Cristo, illuminazione. Tutta la conoscenza che si produce, tutta l’identificazione che si crea non
è con una verità – ecco che siamo arrivati... – che si conquista, ma con una verità che si auto-
produce rivelandola, dissecretandola, escarnandola da sé attraverso la confessione al proprio
pastore. Una verità che non è la verità intima ma con ricadute pubbliche di Edipo, non è la verità
metafisica ed etica di Platone e non è la verità cosmica e terapeutica del Buddha. Tutto ciò che c’è
da sapere, tutto ciò che il pastore <span style="font-style: italic;">deve sapere </span>per ottemperare alla sua funzione è la piatta, familiare
verità dei pensieri malevoli e degli atti disdicevoli e sconci e in genere pubblicamente innocui,
insomma dei peccati da <span style="font-style: italic;">confessare.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">La confessione mi interessa perché offre al contempo il punto di ingresso del pastore nell’anima che
deve amministrare, il punto di ingresso della questione della verità nel nostro discorso sui
dispositivi religiosi di cattura, orientamento e stabilizzazione delle vite, e il punto di ingresso della
legge in una tecnica di governo religioso, il pastorato appunto, che, in quanto governo in forma di
economia, non coincide con lo strumento di applicazione e accettazione di nessuna legge. Anche
qui, non farò la storia della confessione cristiana, della sua nascita dal rituale assai drammatico e
teatralizzato di penitenza pubblica dell’esomologhesi, dei suoi rapporti con la pratica filosofica
dell’esame di coscienza e dei suoi intrecci con la pratica obbligatoria monastica e facoltativa-elitaria
laica della direzione di coscienza. Attraverso la confessione voglio essenzialmente mostrare come si
possa governare religiosamente con la verità, oltre che col rito, col mito, con la legge e con la
regola. Come si possa catturare, stilizzare e scenarizzare la vita delle persone attraverso un certo
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">tipo di verità che, a differenza di quella del dogma, non è pubblica, ma privata; a differenza di
quella del dogma, è una verità prodotta da colui al quale la si strappa e che al contempo ne riceve
gli effetti; una verità che, ancora contrariamente al dogma, non si impone e non si accetta per legge,
ma semmai si serve puntualmente e tatticamente della legge per essere prodotta e rivelata.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Vi propongo un esempio contemporaneo che è una sorta di manuale per il “dir vero” della
confessione. Un esempio che è più eloquente delle mie parole, più eloquente persino della
confessione il cui dire vuole regolamentare e istruire. Ricordate? Il dispositivo religioso della regola
è loquacissimo: dice tutto su come il monaco è. Il dispositivo religioso della veridizione
confessionale è invece quasi muto, ma serve a far dire al confessante tutto quello è (o meglio quella
parte di sé che è tutta la verità che si vuole ottenere da lui). Ebbene qui vi propongo una sorta di
<span style="font-style: italic;">prontuario </span>contemporaneo per la retta confessione dei ragazzi, che parla (molto) di e in vece del
suo dispositivo al fine di far parlare bene e di loro i suoi disposti. Confesso di averlo tratto da
internet, semplicemente digitando sul motore di ricerca “che cosa dire quando ci si confessa”. Come
primo link, mi è apparso questo <span style="font-style: italic;">vademecum </span>firmato da un certo Don Leonardo Maria Pompei. Ho
evidenziato in corsivo le fattispecie di peccato, mentre ho sottolineato le istruzioni disciplinari. È un
testo lungo quanto formidabile:
</span></div>
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">“Bisogna quindi anzitutto distinguere tra oggetto obbligatorio e necessario della Confessione e oggetto
consigliato e raccomandato di essa.</span></div>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">È strettamente obbligatorio confessare i peccati mortali, ovvero quelli aventi una materia grave (in sé o per le
“proporzioni” della trasgressione) e che siano stati commessi con piena avvertenza (rendendosi conto della
gravità di ciò che si stava facendo) e deliberato consenso (non sotto la spinta di violenza o altra gravissima
causa). Tanto per fare qualche esempio di comuni peccati che sono sempre mortali per la gravità della
materia in se stessa, possiamo citare <span style="font-style: italic;">i sacrilegi, le irriverenze, le bestemmie, il falso giuramento, l’omessa
santificazione del giorno festivo, l’uso di droga, le percosse, l’impurità in tutti i suoi generi e specie,
l’inverecondia e l’immodestia. </span>Ci sono invece alcuni peccati che diventano mortali quando la materia da
“lieve” diventa “grave”. Per esempio <span style="font-style: italic;">il furto, </span>che è peccato veniale quando cade su oggetti di scarso valore,
mentre è peccato mortale quando l’entità della cosa rubata o ingiustamente trattenuta è considerevole; <span style="font-style: italic;">le
mancanze nei confronti dei genitori, </span>che diventano gravi quando sono ingiurie o quando sono disubbidienze
in cose di grande entità; <span style="font-style: italic;">le volgarità e le parolacce, </span>che diventano gravi quando <span style="font-style: italic;">sono a sfondo sessuale </span>o
quando sono dette con odio per ferire e colpire il prossimo. Questi peccati vanno confessati non in maniera
generica, ma per specie: non basta dire “ho peccato contro il Secondo Comandamento”, perché un conto è la
bestemmia, un conto il falso giuramento, un conto la nomina inutile del nome di Dio, della Madonna o dei
santi; non basta dire “ho commesso atti impuri”, perché altra cosa è l’adulterio rispetto ai rapporti
prematrimoniali, o al peccato impuro solitario, ecc. Va inoltre specificato il numero, perché tanti sono i
peccati mortali quante sono le volte che si sono commessi e ciò determina un profondo aggravamento sia
della situazione della coscienza sia delle pene dovute per il peccato (che faranno fare il Purgatorio</span></div>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">
</span></div>
</div>
<div class="section">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"><img alt="page31image27712" height="0.480000" src="file:///page31image27712" width="358.800000" />
</span></div>
</div>
<div class="section">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"><img alt="page31image27984" height="0.480000" src="file:///page31image27984" width="120.000000" />
</span></div>
</div>
<div class="section">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"><img alt="page31image28256" height="0.480000" src="file:///page31image28256" width="144.960000" />
</span></div>
</div>
<div class="section">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"><img alt="page31image28528" height="0.480000" src="file:///page31image28528" width="103.920000" />
</span></div>
</div>
<div class="section">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"><img alt="page31image28800" height="0.480000" src="file:///page31image28800" width="147.120000" />
</span></div>
</div>
</div>
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">nonostante l’assoluzione). Quando non si ricorda il numero preciso, bisogna dare al confessore “l’ordine di
grandezza”, avvicinandosi il più possibile alla verità. Se un penitente sa di aver colpevolmente “mandato in
vacanza il Padre eterno” durante il periodo estivo, non sarà per lui sufficiente dire “ho mancato alla Santa
Messa”, ma dovrà appunto specificare “per tutto il periodo estivo”. Se si confessa un bestemmiatore abituato,
dovrà far chiaramente capire che non è che gli sia scappata una bestemmia in un momento di collera, ma che
più volte ha offeso il nome di Dio, ecc. Infine vanno specificate le circostanze quando queste mutano la
natura del peccato oppure ne aggravano o diminuiscono la gravità. Se si è bestemmiato dinanzi a un figlio
piccolo, bisogna specificarlo, perché questa aggravante (il vero e proprio scandalo dato a un piccolo dal
proprio genitore) è quasi più grave del peccato commesso; così come se si è mancati alla Santa Messa,
avendo dei figli piccoli che devono avere nei genitori un modello e uno sprone per imparare l’osservanza
della Legge di Dio. Se si è commessa qualche impurità, bisogna specificare se il complice, per esempio,
fosse sposato in Chiesa (anche se divorziato), perché l’atto si trasforma immediatamente in adulterio che è
molto più grave della fornicazione semplice, ecc. Similmente se si è mancati alla Santa Messa non per
negligenza ma per improvvisi problemi che hanno reso molto difficile la partecipazione (se non addirittura
moralmente impossibile: la malattia personale, un incidente stradale, il ricovero improvviso di una persona
cara), bisogna specificarlo; così come se fosse scappata una bestemmia in preda all’ira da parte di chi non ha
questa abitudine e si è ritrovato con un’espressione blasfema uscitagli dalla bocca senza nemmeno capire
come è successo; oppure i peccati che sono stati commessi per ignoranza anche se colpevole (cosa che
avviene quando si trasgredisce gravemente la Legge di Dio, senza sapere o avere la piena consapevolezza
della gravità del peccato, per difetto di formazione della coscienza, ecc.).
I peccati mortali vanno confessati tutti, anche quelli molto lontani nel tempo, di cui non si abbia la certezza
di averli già portati dinanzi al tribunale della divina Misericordia. La Confessione, infatti, copre solo i peccati
non confessati per dimenticanza, ma comporta sempre in sé l’obbligo che, qualora affiorino nella memoria
peccati anche molto antichi che si è certi o quasi di non aver mai confessato, essi vengano umilmente
confessati alla prima Confessione utile. Sembra assai probabile l’opinione di chi ritiene, in caso di peccati
molto antichi, che nonostante l’obbligo di confessarli alla prima occasione utile, il fedele possa accostarsi
alla Comunione sacramentale, diversamente da ciò che accade qualora, nel presente, si commetta un peccato
mortale, nel qual caso non bisogna per nessun motivo accostarsi all’Eucaristia senza premettere la
Confessione sacramentale.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Gli altri peccati (quelli veniali) e le imperfezioni morali non costituiscono oggetto obbligatorio di
Confessione, ma la Chiesa ne “raccomanda caldamente” la confessione, dato che una coscienza che li
sottovaluti si espone grandemente al pericolo di cadere in mancanze gravi e comunque, nel caso di peccati in
senso stretto (piccole <span style="font-style: italic;">maldicenze, atti di superbia, bugie, volgarità non eccessive, scatti di collera, </span>ecc.), si
offende comunque Dio e si “aumenta” il tempo di purgazione che sarà necessario affrontare in Purgatorio
prima di accedere alla visione beatifica. Un’anima poi che voglia santificarsi non può in nessun caso e per
nessun motivo prendere alla leggera venialità e imperfezioni, altrimenti cadrà inevitabilmente nelle
</span></div>
</div>
</div>
<div class="section">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"><img alt="page32image27432" height="0.480000" src="file:///page32image27432" width="362.880000" />
</span></div>
</div>
<div class="section">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"><img alt="page32image27704" height="0.480000" src="file:///page32image27704" width="49.200000" />
</span></div>
</div>
<div class="section">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"><img alt="page32image27976" height="0.480000" src="file:///page32image27976" width="174.720000" />
</span></div>
</div>
<div class="section">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"><img alt="page32image28248" height="0.480000" src="file:///page32image28248" width="342.000000" />
</span></div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 33">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">sciagurate sabbie mobili della mediocrità e della tiepidezza, perderà un numero considerevole di grazie
divine, farà molto meno bene (o lo farà molto peggio) di quello che dovrebbe o potrebbe”.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Esaminiamo altre procedure di produzione della verità. Il re di Tebe Edipo voleva sapere chi e
perché aveva mandato la peste e la morte sulla sua città. Svolgendo varie indagini, scopre che la
ragione erano un regicidio e un incesto e che il colpevole inconsapevole era lui. Il re, in quanto
sovrano, anche ricorrendo alla parola armata della legge, mettendo assieme pezzi di informazioni,
arriva a conoscere e a dire una <span style="font-style: italic;">verità pubblica </span>che non conosceva lui, che, nella sua integrità, non
conosceva nessuno dei suoi e che solo casualmente riguarda lui. Il Buddha voleva sapere che
cos’erano la vecchiaia, la morte e la malattia e, attraverso una serie di antropotecniche, arriva a
guadagnare una <span style="font-style: italic;">verità cosmica, ontologica ed esistenziale </span>sul mondo, sull’essere e sulla vita. Il
cinico Diogene, interrogato, diceva la <span style="font-style: italic;">verità sociale </span>sul potere in faccia ai potenti che avrebbero
potuto bastonarlo, punirlo, ucciderlo. Possiamo andare avanti: non troveremo nessuna procedura di
produzione e manifestazione di una verità prima nascosta che assomigli alla veridizione
confessionale, come innestata nel sistema pastorale, e che non derivi in un modo o nell’altro da
essa. Qui il confessante, preso nel rituale ora solo più discorsivo della confessione, dice una <span style="font-style: italic;">verità
individuale </span>che riguarda lui stesso, che conosceva da prima, che per uscire deve superare delle
resistenze interne, che contribuisce a riscattarlo, a purificarlo, a salvarlo perché è esposta, per filo e
per segno, con dovizia di particolari e secondo una disciplina precisa della parola a un altro
individuo, il pastore, che non la conosceva, che non può rivelarla (salvo casi eccezionali) che la
apprezza perché la attendeva, che la estorce fino in fondo, la sfila tutta, la trasforma in penitenza e
quindi in qualcosa che si ripercuote immediatamente su chi l’ha prodotta. Guardate che se tutto ciò
non ci sconvolge e non ci turba e solo perché, come è stato detto e ridetto, viviamo in un mondo
confessionale in cui il soggetto confessante ha spopolato, si è disseminato un po’ ovunque
diventando un protagonista indispensabile per il funzionamento di varie macchine aleturgiche, cioè
sistemi organizzati di saperi e poteri volti alla produzione della verità. Prima di chiudere con il
pastorato e il suo dispositivo di veridizione confessionale, avevo promesso di dire almeno qualcosa
sul rapporto che quest’arte psico-economica intrattiene con la legge, mostrando come la confessione
rappresenti il punto di ingresso della legge in questa tecnica di governo religioso. Il pastore, come
l’abate, come lo sciamano, a differenza di colui che sovrintende a un rito pubblico greco,
sorvegliandone tempi, spazi e modi dell’esecuzione, non è un uomo della legge. Non pronuncia e
non applica la legge. <span style="font-style: italic;">Si serve </span>tuttavia della legge almeno su due piani: a) il sistema religioso in cui
il pastorato nasce, si sviluppa ed entra in crisi è stato per lungo tempo religione imperiale
(cristianesimo niceno-costantinopolitano), poi religione di stato in vari stati (il cattolicesimo). Non
solo, diremmo con Marx, esso ha goduto per tantissimo tempo, in molti luoghi, di un quasi
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 34">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">monopolio dei rapporti religiosi di produzione, cioè dei <span style="font-style: italic;">copyright </span>della produzione,
dell’amministrazione e della circolazione del bene di salvezza, ma i suoi dogmi e le sue disposizioni
giuridiche verso i laici valevano come leggi. Tutto il suo diritto interno verso l’esterno era legge.
Diremmo quindi che il potere pastorale non si esercita come legge, ma è sostenuto da varie leggi; b)
il luogo strategico di sutura tra la funzione del pastore e l’anima di ogni sua pecora, cioè la
confessione, è uno di quelli su cui si posa la legge. Voglio dire: l’intervento del pastore sarà pure
mirato, circostanziato e calibrato su ogni singola pecora e per questo l’obbedienza integrale della
pecora sarà pure diversa dalla sottomissione al sovrano, cioè alla legge. Resta il fatto che il canone
XXI del Concilio Laterano IV (1215) impone, <span style="font-style: italic;">per legge, </span>a tutti i cristiani, di entrambi i sessi che
abbiano raggiunto l’età della ragione, l’obbligo di confessarsi almeno una volta all’anno per Pasqua,
che si abbia coscienza o meno di avere peccato in qualcosa. Scrive Foucault: “Essere cristiani
comporta di qui la necessità di confessarsi”. Vedete come, nel suo luogo cruciale di aggancio e di
presa delle anime, il potere pastorale <span style="font-style: italic;">si giuridifica. </span>Si esercita per legge e, come è proprio della
legge, <span style="font-style: italic;">si territorializza </span>(è d’obbligo, salvo autorizzazione, rivolgersi al proprio prete, quello della
propria parrocchia) e <span style="font-style: italic;">si collega a una pena </span>(si prevedono sanzioni speciali sia per i fedeli che si
rifiutano, sia per i preti che si sottraggono). Legge, territorio, penalità; governo, persona +
popolazione, cura: il circuito della sovranità politica e quello del governo economico si coalizzano,
si incontrano e si chiudono ad anello attorno al soggetto a tutto vantaggio della sua religione. Ora
l’ultima pausa e – giuro – l’ultima tranche di lezione.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">[PAUSA]
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-weight: 700;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">TERZA PARTE: dei in disarmo, pastori dell’anima in crisi e nuovi, rampanti esperti del
soma.
</span></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Facciamo un bel bilancio consuntivo. Abbiamo parlato di regime dei cervelli e di disposizione dei
corpi. Abbiamo menzionato o direttamente assistito alla cattura, all’orientamento e alla
stabilizzazione dei pensieri e delle azioni degli esseri umani tramite il mito, il rito, la legge, la
regola, la verità su di sé, e chissà quanti altri dispositivi che ho mancato di menzionare. Questo è un
po’ il film che abbiamo visto in questi due giorni: più <span style="font-style: italic;">horror </span>che commedia, devo ammettere,
perché questo è il mio sguardo, questa è la mia (largamente imprestata) sceneggiatura e regia, il mio
personalissimo montaggio della pellicola “il governo religioso dei viventi”. Altre scene, più allegre
e ottimistiche, sono ovviamente girabili, ma personalmente non saprei come montarle tutte assieme
in un film. La mia visione negativa della religione è tutto sommato un affare di marxismo e di
montaggio. Un’altra storia, al momento, non saprei raccontarla. Ora, prendiamo la definizione di
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 35">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">religione da cui siamo partiti. Cito: “religione è ogni sistema culturale e istituzione sociale che
governi e promuova interpretazioni ideali dell’esistenza e prassi ideali in riferimento a poteri o
esseri transempirici (culturalmente) postulati”. Definizione alla mano, vediamo che, di tutti quei
dispositivi di cui abbiamo parlato, solo “mito” e “rito” sono quasi esplicitamente menzionati – un
mito religioso è grossomodo un’interpretazione ideale dell’esistenza che fa riferimento a poteri o
esseri transempirici; un rito religioso è grossomodo una prassi ideale che fa riferimento a poteri o
esseri transempirici. La legge, la regola e la verità su di sé non compaiono nella definizione e
nemmeno mi risulta siano mai stati utilizzati, a livello specialistico-scientifico, come elementi
definitori di “religione”. <span style="font-style: italic;">Non c’è nulla di specifico della religione </span>nei dispositivi della legge, della
regola e della veridizione su di sé. Se poi andiamo addirittura alla definizione di “religioso”, come
designazione di processi comunicativi attraverso cui si separano alcuni eventi e fatti come speciali,
perché agiti da esseri sovraumani, diremmo invece che non <span style="font-style: italic;">c’è più nulla di necessariamente
religioso </span>nei tipi di dispositivi che abbiamo visto: un mito può anche essere politico, un rito può
essere militare o sportivo. Certo, gli dei sono stati sempre presupposti come attivi in ogni
dispositivo di governo religioso analizzato, ma gli dei, di per sé, sono poca cosa. Se sono un
prodotto secondario dell’iperattività intenzionale del nostro cervello, se sono dei parassiti malefici o
benefici di strutture cognitive ereditate dall’età della pietra, possono essere sostituiti, quando i loro
servizi non si rivelano più all’altezza dei tempi o quando addirittura le funzioni che hanno cooptato
non sono più così determinanti per la nostra esistenza individuale e collettiva. Non solo l’ateismo
pratico, ma anche quello teorico, come visione consapevole del mondo, avanza e guadagna adepti.
E lo fa senza che noi, presumibilmente, nel quotidiano, impieghiamo più tempo, rispetto a cento o
mille anni fa, a processare razionalmente ogni input, ogni informazione che riceviamo dall’esterno.
Crediamo per vivere, ma sempre di meno, statistiche alla mano, crediamo agli dei. La popolarità del
pensiero scientifico fa progressi, certo. Ma il punto vero, come aveva capito il filosofo, sociologo e
gesuita Michel de Certeau, uno che non era né marxista né cognitivista, è che la credenza, a
differenza della scienza, è solo una “modalità dell’affermazione e non (anche) un contenuto”. Un
nostro modo di vivere (e di sopravvivere) consistente in un certo modo di affermare che è sempre in
cerca di oggetti. In questo senso – cito – “le Chiese, o le religioni sarebbero non già delle unità di
riferimento [atemporali e stabili], bensì delle varianti sociali nei rapporti possibili tra il <span style="font-style: italic;">credere </span>e
<span style="font-style: italic;">l’oggetto in cui si crede. </span>Sarebbero cioè state configurazioni (e manipolazioni) storiche particolari
dei rapporti che le modalità del credere <span style="font-style: italic;">possono </span>intrattenere con le serie dei contenuti disponibili”.
Dire che le Religioni e le Chiese sono “varianti sociali” implica che, col variare delle condizioni
sociali, altre configurazioni del credere sono possibili, altre manipolazioni del credere sono da
attendersi. Saltiamo a piè pari il tema, tutto novecentesco, delle religioni politiche, delle religioni
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 36">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, 'Times New Roman', serif; font-size: large;">secolari, delle religioni civili, sportive, musicali, ecc. dove ogni aggettivo designa, in modo più o
meno opportuno, la sfera investita da una credenza in fuga o in vacanza dal divino. Vediamo
piuttosto che cosa può esserne dei pastori, e del loro potere, quando si fa a meno degli dei.</span></div>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Nel 1982, in una conferenza presentata a Strasburgo, il già citato sociologo francese Pierre
Bourdieu, abbozzando una diagnosi sul suo tempo, si azzardò a parlare di “Dissoluzione <span style="font-style: italic;">del
religioso”. </span>Bisogna sapere che Bourdieu, per ragioni prettamente autobiografiche, è uno di quegli
analisti sociali cristiano-centrici e cattolico-centrici che quando parlano di “religioso” generalmente
intendono “cristiano-cattolico”. Inoltre B. in quanto sociologo del potere e pensatore
fondamentalmente ostile alla religione, tutto intende fare tranne che contribuire a dare consistenza
ontologica autonoma al fenomeno religioso. Quindi, nell’evocare una qualche crisi “del religioso”,
presumibilmente sta alludendo alla condizione presente di chi la religione la amministra, la
manipola, la capitalizza. Leggendo il testo brevissimo della conferenza questo sospetto trova
conferma. Il testo di B. sulla “dissoluzione del religioso” è in realtà un testo sull’intervenuta
“irriconoscibilità del chierico”, cioè del pastore, <span style="font-style: italic;">ergo </span>del prete cattolico, per effetto della
sopraggiunta incapacità, da parte dello stesso prete cattolico, di imporre a se stesso e ai laici ciò che
per secoli gli è riuscito di imporre: ossia la definizione legittima di ciò che è religioso (la mia
religione, il mio mandato divino, la mia cura d’anime) e la fissazione dei differenti modi in cui si
ricopre il ruolo religioso (c’è il clero ordinato da un lato, i pastori, e c’è il laicato dall’altro, le
pecore). Quindi, in realtà, la <span style="font-style: italic;">dissoluzione del religioso </span>si traduce per B. nell’indistinguibilità <span style="font-style: italic;">del
pastore </span>– classico, tradizionale, cristiano-cattolico – da alcune categorie di laici – che lui chiama
“nuovi chierici”, ma noi potremmo definire come “nuovi pastori” – per quanto concerne la titolarità
del monopolio sul religioso e sulla fornitura di servizi religiosi. Quello su cui il pastore sembra aver
perso il controllo, in sostanza, è l’imposizione del punto di vista per cui ciò che è “religioso” lo
decide lui perché attiene a una funzione che è solo sua. Ma diamo la parola al B. del 1982:</span></div>
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">
</span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">“Non si vede più molto bene, oggi, dove sia finito quello spazio in cui regnavano i chierici (nel senso
ristretto del clero). Allo stesso modo, tutta la logica delle lotte se ne ritrova trasformata. Per esempio, nel
confronto coi laici, i chierici sono vittime della logica del cavallo di Troia. Per difendersi contro la
concorrenza di nuovo tipo che gli fanno, in maniera indiretta, alcuni laici (gli psicoanalisti, ad esempio), essi
sono obbligati a prendere a prestito le armi dell’avversario, esponendosi così al rischio di doverle applicare;
ora, se i preti psicoanalizzati si mettono a trovare nella psicoanalisi la verità sul sacerdozio, non si vede come
potranno dire la verità pastorale della psicoanalisi [...] [D]ai chierici antichi fino ad arrivare ai membri delle
sette, agli psicoanalisti, agli psicologi, ai medici (medicina psicosomatica, medicina lenta), ai sessuologi, ai
professori di espressione corporale, degli sport di combattimenti asiatici, ai consiglieri di vita, ai lavoratori
sociali. Tutti fanno parte di un nuovo campo di lotto per la manipolazione simbolica della condotta di vita
provata e l’orientamento della visione del mondo, e tutti mettono in atto nelle loro pratiche una serie di
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 37">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">definizioni concorrenti, antagoniste, a proposito della salute, della guarigione, della cura dei corpi e delle
anime [...] Tutti questi agenti che lottano per dire come bisogna vedere il mondo sono professionisti di una
forma di azione magica che, attraverso parole capaci di parlare al corpo, di “toccare”, fanno vedere e fanno
credere, ottenendo così effetti assolutamente reali delle loro azioni. Così, là dove esisteva un campo religioso
distinto, si ha ormai un campo religioso dal quale si esce senza saperlo (se non biograficamente) pochè molti
chierici sono divenuti psicoanalisti, sociologi, lavoratori sociali, ecc. ed esercitano forme nuove di cura delle
anime con uno statuto di laicità e sotto una forma laicizzata. Si assiste così a una ridefinizione dei limiti del
campo religioso, alla dissoluzione del religioso in un campo più ampio che si accompagna a una perdita del
monopolio della cura delle anime nel senso antico del termine, almeno a livello della clientela borghese”.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Chiarissimo. C’è un doppio, concorrenziale movimento dunque: da un lato, abbiamo chierici che
sconfinano nel campo, anzi nei vari campi laicali, secolari, professionali della <span style="font-style: italic;">world vision making
</span>e della cura di corpi e anime; dall’altro, competenze laiche di vario genere che penetrano nello
spazio numinoso, magico dei depositari della parola capace di far credere, far vedere e far fare “su
cui una volta regnavano i preti”. Risultato: il campo religioso ha perso i cuoi confini tradizionali, si
è ampliato al punto tale da risultare indeterminato e indeterminabile.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Voglio segnalare due cose. La prima: gli dei. Nel testo di B., che si occupa di “religione” e di
“religioso”, dio e gli dei nemmeno compaiono. Certo B. è sociologo anche della religione, ateo e
assai poco interessato agli dei. Ma il punto è un altro. Se gli dei, compagni di antichissima data dei
nostri cervelli, si defilano e arretrano il loro margine di intervento, è certo perché su un numero
sempre crescente e socialmente diversificato di persone, altri sistemi di governance cognitiva e di
mobilitazione pratica possono riuscire a operare magnificamente anche senza di loro – a giudizio
sia di chi li manipola sia di chi vi si sottopone. È la secolarizzazione, bellezza, e con la
secolarizzazione il pastore ha imparato a convivere da tempo. Ma se gli dei smobilitano perché, su
un numero sempre crescente e socialmente diversificato di persone, altre definizioni della salute,
della guarigione e dell’ottimalità psico-fisica fanno presa senza menzionarli (o quasi), allora per il
pastore, sociologicamente parlando, tira davvero una brutta aria. Se gli dei si diradano o addirittura
spariscono dai radar di nuovi dispositivi di “governo del sé” (psicoanalitico, biomedico, sportivo,
arte-marzialesco, sessuologico, socio-assistenziale, e via dicendo), che li ignorano, i pastori non
devono più solo vedersela con la secolarizzazione, l’ateismo e la concorrenza dei loro colleghi
accreditati delle altre religioni: per intenderci, quelli che la globalizzazione dei corpi e delle
informazioni ha portato “a casa loro”, spezzando i recinti territoriali e/o coloniali storicamente
piantonati dai vari mandatari di dio. Ma devono misurarsi <span style="font-style: italic;">bon gré mal gré </span>con tantissime altre
figure professionali cui un pubblico sempre più numeroso e vario riconosce – per dirla in breve –
statuto, funzioni e poteri analoghi a quelli del vecchio pastore. Per concludere su questo primo
punto: la <span style="font-style: italic;">crisi del pastorato </span>è crisi di identità pastorale ed è crisi di sovrapproduzione,
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 38">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">disseminazione e fuoriuscita dagli argini dell’economia pastorale. La <span style="font-style: italic;">dissoluzione del religioso,
</span>invece, è la sanzione dell’irrilevanza e dell’impotenza degli dei nel contrastare, con il segnale della
propria assenza, la proliferazione di pastori e l’esodo dei pastori. L’un fonomeno retroagisce
sull’altro.
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Secondo elemento. Come abbiamo visto, la crisi del pastorato e la dissoluzione del religioso parlano
della disintegrazione di una frontiera: quella del campo religioso come spazio all’interno del quale
si lotta per l’imposizione della definizione legittima del religioso e dei differenti modi di riempire il
ruolo religioso. B., in quel suo saggio, coglieva puntualmente che questa disintegrazione non
sarebbe possibile, o non sarebbe così radicale, se non si legasse a un’altra disintegrazione: quella
dei confini tra <span style="font-style: italic;">anima </span>e <span style="font-style: italic;">corpo, </span>segnati dalla divisione storica dei rispettivi lavori di cura. Questa
confini, un po’ come quelli della vita e della regola per i monaci studiati da Agamben, entrano ora
in una zona di indifferenza e di indeterminazione. Il pastore disciplinava i corpi per curare, salvare
le anime. Entro la sua economia, i confini del <span style="font-style: italic;">mezzo </span>e del <span style="font-style: italic;">fine </span>erano chiari. Ora, tra i nuovi chierici
e i nuovi pastori, e presso la loro clientela, lo sono assai meno. B. scrive: “una parte della clientela
borghese dei venditori di servizi simbolici ha cominciato a pensare più al corpo che all’anima”. Poi
un po’ si corregge: “Forse si è scoperto che <span style="font-style: italic;">parlare del corpo era un modo di parlare dell’anima </span>–
cosa che alcuni sapevano da molto tempo –, ma facendolo in modo completamente diverso: parlare
del piacere come se ne parla a uno psicoterapeuta è tutt’altra cosa che parlarne di fonte a un prete”.
Parlare del corpo, quindi, come modo diverso di parlare dell’anima. Qui la storia millenaria della
fortuna pre- e post-cristiana, pre- e post-cartesiana della distinzione ontologica anima-corpo non ci
interessa. E in ogni caso non c’è tempo. Guardiamo piuttosto alcune cose. Consideriamo la
trasmigrazione del “dispositivo di sessualità” dall’arredo del confessionale al lettino dello
psicanalista; e poi la più recente costituzione di un sapere genetico predittivo e premonitorio,
amministrato da consulenti e sollecitato da sempre più numerose “minacce alla salute”
geneticamente insidiate; e infine l’esplosione dello yoga come possibile pratica globale di
adeguamento agli imperativi del fitness e come indicatore globale di adeguatezza sociale. Niente di
tutto ciò sarebbe possibile se il sito di applicazione del nuovo potere pastorale fosse ancora il corpo
come prigione dell’anima. O tutt’al più il corpo come docile e malleabile alleato dell’anima. Il
nuovo pastorato, pazientemente, ascolta l’anima come ostinato linguaggio del corpo da trattare, ma
poi si dedica al corpo come oggettivo e concreto terminale da curare. <span style="font-style: italic;">Corpus vel anima. </span>La scelta è
fatta e la decisione per il corpo è presa. <span style="font-style: italic;">Salus, </span>termine latino che designa tanto la salute fisica che la
salvezza metafisica, incarna un’ambiguità che semmai tolta. Se da un lato parlare di soggetti, di
cure e di pastori “psico-somatici” è usare una lingua un po’ torbida, perché il modo in cui si
congiungono i due termini potrebbe ancora suggerire l’antica distinzione gerarchica tra i settori di
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div class="page" title="Page 39">
<div class="section">
<div class="layoutArea">
<div class="column">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">investimento terapeutico (psico – somatico), parlare, come fa il sociologo e bio-politologo Nikolas
Rose, di “individui somatici” e di “sé somatici”, di “esperti somatici” e di “pastori somatici” è
molto più utile. Nella sua parzialità quasi faziosa, aiuta almeno ad assumere un punto di vista
preciso e una presa di posizione teorica chiara. Questa:
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">“Sempre più, suggerisco, ci andiamo rapportando a noi stessi come a individui ‘somatici’, cioè come a esseri
la cui individualità è, almeno in certa misura, radicata nella nostra esistenza carnale, corporea, e che fanno
esperienza, si esprimono, giudicano e agiscono su se stessi, almeno in parte, nel linguaggio della medicina. A
partire dai discorsi ufficiali di promozione della salute, attraverso racconti di esperienza di malattie e di
sofferenza offerti dai media, alle diffuse chiacchiere su diete ed esercizi, siamo testimoni di un sempre
maggiore rilievo conferito alla ricostruzione personale grazie all’intervento sul corpo in nome di un
benessere al contempo corporeo e psicologico. Esercizio, dieta, vitamine, tatuaggi, piercing, farmaci,
chirurgia estetica, rassegnazione del genere, trapianto d’organi: l’esistenza corporea e la vitalità del sé sono
diventate il luogo privilegiato degli esperimenti relativi alla nostra persona [...] è in termini corporei che
vengono immaginati la nostra verità e il nostro destino: la nostra corporeità, adesso [anche] a livello
molecolare, è l’oggetto dei nostri giudizi e delle tecniche che usiamo per migliorare noi stessi”
</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Gli “individui somatici” di Rose sono degli antropo-tecnici, direbbe Sloterdjik, degli esercitanti che
si immunizzano da vaghi rischi di malattia, invecchiamento e morte ottimizzando il loro stato vitale.
Non solo questi soggetti non assegnano agli dei alcuna <span style="font-style: italic;">partnership </span>apparente e ufficiale nella
realizzazione di questi processi immunitari. Ma, congedandosi esistenzialmente dal dispotismo
metafisico dell’anima, gli esseri somatici contemporanei escono da una sorta di stato antichissimo
di disponibilità cognitiva. Si tratta di quello stato atavico ma specifico di disponibilità alla
disposizione religiosa (cioè alla cattura, all’orientamento e alla fissazione religiosa) che è
determinato dall’investimento sull’anima come scrigno invisibile e fragile di vita e destino: uno
stato di permeabilità alla manipolazione religiosa ereditato fin dai tempi lontanissimi in cui i loro
antenati erano clientela degli sciamani e la loro “anima”, con gravi rischi per il corpo, veniva
catturata negli spazi non-umani solcati dallo specialista. Un gran sollievo, non c’è dubbio. Ma la
domanda finale è questa. Questo processo di de-divinizzazione, di de-animizzazione, se vogliamo di
de-religionizzazione delle antropotecniche, ai tempi del “soma per il <span style="font-style: italic;">soma”, </span>ai tempi del <span style="font-style: italic;">soma
</span>liberato dall’assillo dell’anima e orientato a una verità e un destino che riguardano solo lui, in che
relazione ci pone nei confronti dei “nuovi pastori” e dei “nuovi pastorati”? Fino a che punto il
soggetto somatico può dire di disporre del suo “sé somatico”, di questo nuovo fulcro di
costituzione del senso e di organizzazione dell’esperienza su cui lo specialista religioso d’antan
(sciamano e prete, prete e sciamano) non ha più né esclusiva né reale presa? Per dare un abbozzo di
risposta, sufficientemente vaga da lasciare il discorso aperto, dimentichiamo per un attimo l’hard
</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;"><span style="font-style: italic;">power </span>della legislazione “bioetica”: quella normazione che coagula il potere antico di coercizione
politica, tramite la legge, al potere recente di presa in carica dei processi vitali dell’esistenza umana;
quella formazione che stabilisce ogni volta il confine dell’etica, delle questioni etiche, della
sensibilizzazione etica nella gestione autonoma e personale dei processi vitali stessi. Non apriamo
nemmeno il capitolo della “bioeconomia” come capitalizzazione tecnologica della vita, che
prolifera e sovente specula sul “bio-valore”, cioè sul valore latente nei processi biologici e nelle bio-
risorse rinnovabili per produrre al contempo salute migliore e crescita economica. Ritagliamoci
piuttosto uno spazio di ragionamento finale entro quell’ambito di problemi, obliquamente
biopolitici, che Rose raduna sotto il nome di “eto-politica”. Una formula apparentemente impervia,
questa di “eto-politica”, che in buona sostanza allude a una sorta di zona di transazione, di
pattugliamento reciproco ma anche, fatalmente, di interazione e corto-circuito tra due istanze
distinte: a) l’imperativo del buongoverno, con direzione <span style="font-style: italic;">top-down, </span>che induce le istituzioni
governative, o comunque dei poteri economico-politici, a sforzarsi di modellare la condotta degli
esseri umani rispetto a loro stessi e alle loro responsabilità per il futuro, agendo sui loro sentimenti,
sulle loro credenze e sui loro valori, in breve: sull’etica; b) il desiderio di autogoverno, con
direzione <span style="font-style: italic;">bottom-up, </span>corrispondente alle varie tecniche del sé in virtù delle quali i soggetti si
responsabilizzano, si giudicano e agiscono su se stessi per rendersi migliori. Questo è esattamente lo
spazio, che conserva il ricordo di antiche antropotecniche e di storici pastorati, in cui le nuove
forme di autorità dei nouvi esperti somatici si sono coagulate. Disertato dagli dei, inospitale per i
vecchi chierici, questo nuovo campo è lo spazio strategico, concorrenziale, potenzialmente molto
redditizio, in cui i pastori del soma esercitano il loro potere pastorale “mite”, dolce, negoziale,
<span style="font-style: italic;">relazionale, </span>fatto di consigli, consulenze, terapie, sedute, lezioni, corsi. Uno spazio da cui il dio dei
monoteismi prende inevitabilmente congedo, in cui anche l’essere sovrumano minimamente
controintuitivo, lui che è sempre in attività, si rilassa, e dove anche il prete si rivolge al dietologo, al
promotore sanitario, allo yogin. </span></div>
</div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-90523118903928068132015-01-04T22:32:00.001+01:002015-01-04T22:37:17.492+01:00<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-bottom: 28px; margin-top: 6px;">
<span style="font-size: large;">Enrico Manera. <i>Elementi per una teoria del mito in Hans Blumenberg</i></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-bottom: 28px; margin-top: 6px;">
<span style="font-size: large;">in «L’Ombra. Tracce e percorsi a partire da Jung», 7/8, V, 1999/2000, pp. 95-123</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-bottom: 28px; margin-top: 6px; min-height: 15px;">
<span style="font-size: large;"><i></i><br /></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-bottom: 28px; margin-top: 6px; min-height: 15px;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-bottom: 28px; margin-left: 216.9px; margin-top: 6px; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">[Prometeo ad Eracle] “Ma ricordati sempre che i mostri non muoiono. Quello che muore è la paura che ti incutono. Così è degli dei. Quando i mortali non ne avranno più paura, gli dei spariranno”.<span class="Apple-tab-span" style="white-space: pre;"> </span></span><br />
<span style="font-size: x-small;"><br /></span>
Cesare Pavese, <i>Dialoghi con Leucò</i></div>
<br />
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<i><span style="font-size: large;">1. Elaborazione del mito, lavoro del mito</span></i></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">1.1 <i>L’Elaborazione del mito</i> (<i>Arbeit am Mythos</i>) di Hans Blumenberg, preceduta dal saggio <i>Wirklickeitbegriff und Wirkungspotential des Mythos</i>, contributo che ha inaugurato il dibattito contemporaneo sul mito del gruppo di studio di <i>Poetik und Hermeneutik</i>, è stata definita come “la più complessa e monumentale sintesi sul mito del secondo Novecento”, un’opera che “non è solo una riflessione sul mito e sulla mitologia”, ma è soprattutto una moderna “filosofia della mitologia”. Nel pensiero di Blumenberg, che si muove in una dimensione estetica e antropologica al tempo stesso, il mito non viene definito, se non a partire dalla sua funzione che è quella di “depotenziare”, distanziare, esorcizzare e anche obliare la realtà e il suo carattere assoluto costituito dalla violenza della legge evolutiva. Il raccontare storie — miti, appunto — sembra essere la presa di distanza dell’angoscia senza nome connessa all’esperienza del mondo fatta dall’essere umano fin dal suo primo apparire sul pianeta; la razionalizzazione del puro dato fenomenologico nell’emozione articolata della paura che può diventare, dopo, anche bellezza.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">La metafora e il mito, sono modi originari di rivolgersi, orientarsi e disporsi nei confronti della realtà, come atteggiamenti indeducibili che si assumono ancora prima di ogni posizione riflessiva; essi “sono sempre al “lavoro”, costituiscono l’orizzonte di intellegibilità dei problemi nuovi, aiutano a passare oltre gli imbarazzi della mancanza di senso” e a condensare infondate autoevidenze. Nel pensiero blumenberghiano la metafora si configura come quadro tropico di riferimento del pensiero e il mito si rivela opera del <i>logos</i>; entrambi sorgono dal retroterra del “mondo-della-vita” (<i>Lebenswelt</i>) e ne sono indissolubilmente connessi. <i>L’Elaborazione del mito</i> ci parla del compito urgente connesso da sempre alla vita umana come “essere-nel-mondo” che consiste nel distanziare la nuda realtà, dotandola di qualcosa che da sola sembra proprio non avere: un senso.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; min-height: 15px; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;"><i>1.2</i> Come evidenziava Gianni Carchia nell’introduzione <i>a Elaborazione del mito </i>la riflessione blumenberghiana si pone contro ogni visione illuministica che colga nel mito solo ‘oscurità’ e ‘accecamento’ della razionalità, così come contro ogni posizione romantica che veda nel mito solo ‘gioco’ e ‘poesia’. Contro il presupposto comune a queste due posizioni, ovvero che si dia una originarietà del mito con possibilità di accesso immediato alle sue fonti, Blumenberg si colloca in un orizzonte ermeneutico: a fronte dell’impossibilità di risalire alle origini, non si può far altro che muoversi ermeneuticamente nella “storia degli effetti” (<i>Wirkungsgeschichte</i>) in cui nel processo di ricezione storica ogni dato d’origine si rifrange, si complica, si distorce.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">La linea madre dell’analisi filosofica del mito si snoda sul doppio significato di <i>Arbeit</i>, “lavoro”, che il mito compie, depotenziando l’effettività del reale, distanziato, esorcizzato e posto in condizione di non nuocere; è in questo senso che si può parlare di <i>Aufklärung</i>, nel suo senso originario di “rischiaramento”, in Blumenberg: il <i>logos</i> attraverso il <i>mythos</i> svolge la funzione di dare un ordine al caos. Con il lavoro del mito si conquista la distanza dalla paura (<i>Terror</i>), situazione emotiva della coscienza umana posta di fronte alla realtà dei primordi. Carchia ha definito la posizione di Blumenberg una radicale “metacritica dell’illuminismo”, in quanto il rischiaramento della condizione umana non passa attraverso la demitizzazione, impossibile e inaccettabile, quanto piuttosto attraverso l’identificazione della stessa “attività rischiaratrice con il processo di autonomizzazione della sfera mitica”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il termine <i>Arbeit</i> è fatto valere anche nel senso di “elaborazione”, che è il modo di essere del mito, che vive <i>del</i> e <i>nel</i> suo essere continuamente ricevuto e rielaborato in una incessante produzione di qualcosa di sempre nuovo, anche se non completamente estraneo: la produzione non è che ricezione articolata e poietica. Contrassegno del mito è la “rinarrabilità” di tutte le storie, la peculiarità di offrirsi alle molteplici interpretazioni ed esserle tutte perfettamente: il suo altissimo livello di significatività permette di poter fornire senso sempre nuovo e diverso. La narrabilità di un mito implica una certa stabilità del suo nucleo, che coincide con la possibilità di riconoscerlo, ma la realizzazione del processo di “ricezione produttiva”, che è la vita stessa di ogni mitologema, è garantita da un buon margine di variabilità; schematicamente possiamo indicare come caratteri della struttura di un mitologema la costanza iconica del nucleo e la deformabilità degli elementi secondari.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Raccontare miti significa, per utilizzare una terminologia musicale, ‘variare sul tema’, con implicazioni importantissime per quanto riguarda la creazione di nuovi schemi e la sperimentazione di mezzi, tanto più originali quanto più personalizzate sono le modifiche apportate alle storie; con questo Blumenberg conferma la sua tesi sulla inesauribilità delle energie dell’immaginazione mitica. La pregnanza ricava benefici dal tempo e le significazioni del mito sono arricchite da correzioni, inversioni di segno, metamorfosi di senso: l’Ulisse-Bloom di Joyce non è estraneo all’Ulisse omerico, come all’Ulisse dell’allegoria plotiniana e all’Ulisse di Dante.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il mito si autoalimenta, il suo senso originario diventa il senso della sua ultima ricezione. “La ricezione non si aggiunge al mito e non lo arricchisce, ma il mito ci è tramandato e ci è noto solo nel fatto di trovarsi già nel processo di ricezione”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; min-height: 15px; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">1.3 Le metamorfosi interne del nucleo del mito e la polisemia della metafora arricchiscono il linguaggio, ne esaltano la funzione euristica e formano la base della condivisione di una cultura. Il mito e la metafora sono sempre al lavoro e sono il prodotto di quel <i>horror vacui</i> che sembra accompagnare da sempre il cammino dell’essere umano: entrambi sono sintomo e cura del disagio provocato dalla mancanza di senso (<i>Sinnlosigkeit</i>), in quanto il senso del mondo non è dato dalla realtà ma è inerente all’esistenza umana. Il mito è ciò che, per eccellenza, può essere eternamente riempito di senso, a partire dalle direzioni che sono già da sempre espresse nei nostri modi di riferirci al mondo, ovvero le metafore. Il mito ‘lavora’ soltanto nella misura in cui è elaborato; offre senso solo se gli si concede di offrirlo. Allo stesso tempo, però, la condizione imprescindibile per lavorare sul mito è quella di “avere già dietro di sé il lavoro del mito”, ovvero rendersi conto che tutto ciò che conosciamo è il mito che è già entrato nel processo di ricezione. In virtù di questo carattere di sfondo sempre presente, contrassegno dell’insieme dei mitologemi, sembra impossibile la realizzazione di un mito ‘ultimo’, che esaurisca il potenziale della forma: non si darà mai, dunque, ‘un mito della fine di tutti i miti’.<span style="vertical-align: 4.0px;"> </span>A sancire l’impossibilità di una fine del mito concorre l’idea blumenberghiana che esso sia, per intero, opera del <i>logos</i>; fino a quando vi sarà la necessità di depotenziare lo strapotere della realtà ci sarà il mito; finché l’essere umano cercherà spiegazioni per l’inspiegabile racconterà delle storie. Blumenberg dimostra come i linguaggi della metafora e del mito non siano affatto più poveri di significato rispetto al codice scientifico-descrittivo; non si avverte un incremento di chiarezza e di intelligibilità qualora si usi il linguaggio della scienza piuttosto che quello mitico o metaforico, poiché non esiste una transizione da un presunto, confuso mondo-della-vita a una distinta e salvifica teoria, ma piuttosto resta valida l’ipotesi di una fruttuosa coesistenza. Non bisogna pensare il rapporto tra mito e ragione in termini di complementarità in quanto il mito non è quel serbatoio di colore da cui la grigia ed esangue <i>ratio</i> scientifica attinge per restituirsi brillantezza e vigore concettuale; il<i> mythos</i> non è l’opposto del <i>logos</i> ma è una sua particolare e indipendente manifestazione.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Lontanissimi dall’essere strutture pre-categoriali provvisorie, metafora e mito costituiscono quel substrato che è l’estremo limite dell’insondabile, sul quale poggiano saldamente tutte le altre manifestazioni dell’essere umano in quanto dotato di autocoscienza.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">La filosofia della storia sottesa dalla storia della metafisica ci ha consegnato nella formula “dal <i>mythos</i> al <i>logos</i><span style="font-family: Times;">”</span> l’idea del mito come la prima tappa di un percorso che dall’irrazionale infanzia dell’umanità arriverebbe fino al suo opposto, ovvero una ragione adulta e matura, incentrata sulla scienza e sulla filosofia, come razionalità dispiegata che da Cartesio si spinge fino all’illuminismo come momento più aggressivo e critico. Nella sua autocoscienza moderna e razionalista “il <i>logos</i> presenta il mito come qualcosa che ha compreso e catalogato, come se già esistesse il museo”; esso “ha addomesticato la realtà arcaica anche nel tempo e la amministra come un antiquario”. La presunta antitesi di mito e ragione è una “tarda e cattiva invenzione” che rinuncia a considerare la funzione del mito nel superamento dell’estraneità arcaica della realtà come una funzione razionale.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; min-height: 15px; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">1.4 Partendo dalla nozione di “forma simbolica” e dal relativo concetto di “funzione” formulato da Ernst Cassirer, si incontrano le influenze sull’opera di Blumenberg che sembra voler costruire “una nuova filosofia delle forme simboliche che unisce il mito al <i>logos</i>, le metafore ai concetti [...] in una storia della cultura che si presenta solcata da miti di lunga durata”. Per Cassirer e per Blumenberg, <i>mythos</i> e <i>logos</i> assolvono la stessa funzione di strutturazione della realtà, ovvero danno senso, spiegano il mondo e la vita; ma per la filosofia neokantiana, il mito è lo strumento più adatto per resistere in un mondo in cui la teoria non ha fatto ancora la sua comparsa; il mito è “il vicario di una ragione che non può accontentarsi di questa prestazione, e che alla fine la giudica con le categorie con le quali la scienza comprende se stessa nello stadio della propria maturità”. In questo modo si finisce per confermare la tradizionale opposizione di <i>mythos</i> e <i>logos</i> riproponenendola come antitesi di mito e scienza. Per Cassirer il pensiero mitico ha come “schema” lo “spazio”, è ancorato a una sfera primitiva di sensazione, intuizione di sentimento e affetto, di cui il mito come racconto è espressione nel tempo; è un evento temporale che presuppone un dispiegarsi evolutivo, un progressivo svincolarsi dalla forma sensibile fino allo spirito creatore. La scienza risulta superiore, in quanto ultimo grado di perfezione, poiché il suo avere come schema il “tempo-numero” garantisce l’emancipazione dalla sensibilità; è per questo motivo che il mito risulterebbe ancora un qualcosa di fermo allo stadio arcaico che presuppone il bisogno di una successiva obliterazione rispetto alla sfera della sensibilità che lo ha costituito.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">È inesistente in Blumenberg una dimensione di sviluppo progressivo interno in stadi; il mito non ha quel carattere primitivo presente anche in Lucrezio e Vico. La falsa alternativa <i>mythos/logos</i> è affermata in modo decisamente più radicale nei termini di un grave equivoco dalle gravi conseguenze; il mito non è che una particolare e indipendente manifestazione dello stesso <i>logos</i>, che di fronte al mondo-della-vita compie perfettamente la stessa funzione della scienza, differenziandosi nel suo linguaggio e nella precisione connessa alla previsione di fenomeni. La capacità apotropaica della teoria capace di rendere l’osservatore libero dal mondo in virtù di un certo distacco — che garantisce sicurezza — è il frutto dell’indatabile e interminabile lavoro del mito.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Con la possibilità della previsione, come capacità di trasformare lo straordinario in ordinario, la scienza non fa altro che rioccupare posizioni identiche a quelle mitiche. <i>Mythos</i> e <i>logos</i> hanno la stessa dignità e hanno radice comune nella meraviglia e nello stupore primigenio; ma se il mito conserva e custodisce in sé l’<i>immemoriale</i> per aprirsi al futuro e alla trasformazione, la scienza si è rivolta sempre in avanti e nel fare ciò ha distrutto il suo stesso passato e cancellato le tracce della sua genesi.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Cassirer non si allontana di molto dalla concezione ingenua del mito come ‘essere dell’origine’, mentre la prospettiva blumenberghiana risulta invece rovesciata e il suo interesse è volto non tanto a un’origine, che come tale non si dà mai, ma alla sua ricezione; la presunta origine del mito rivela solo cosa diventa possibile per la prima volta, nel momento in cui è superato. Se Cassirer dunque considera il mito dal punto di vista del <i>terminus ad quem</i>,<i> </i>per Blumenberg, per comprendere la qualità originaria del lavoro del mito, esso deve essere descritto dalla prospettiva del <i>terminus a quo</i>; il criterio dell’analisi del suo funzionamento diventa allora l’“allontanamento-da” e non l’“avvicinamento-a”. “Produzione e ricezione sono equivalenti, dal momento in cui la ricezione sia stata capace di incominciare ad articolarsi. Il problema non è dunque affatto quello di “riconquistare un senso perduto”; si corre altrimenti il rischio di cadere in un mito della mitologia. L’originario resta un’ipotesi, la cui sola base di verifica è la ricezione”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il tema dell’immemoriale ci rimanda all’influenza su Blumenberg di Jacob Burckhardt, il quale ha sostenuto che i miti possono sorreggersi e dispiegarsi in forza della dimenticanza della loro origine. Il mito sorge dalla forza dell’oblio e svolge la sua funzione distanziante e depotenziante verso la realtà come risorsa di un’umanità che nel percorso “dall’<i>orrore</i> alla <i>bellezza”, </i>ha voluto dimenticare il significato primitivo delle figure con cui ha tratteggiato il reale, esorcizzato, allontanato e posto nella condizione di non nuocere.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Analoghe considerazioni, ancora più radicali, possono essere fatte sull’opera di Schelling, contraddistinta in tutto il suo arco dall’interesse per il mito. Le strutture mitiche non possono essere pensate in termini di invenzione; “esse non discendono da un’elaborazione artistica, da un <i>lusus ingenii</i>, ma da una <i>necessitas</i>, ovvero da una coalescenza insopprimibile al linguaggio e alle forme di vita”. La mitologia in Schelling appare come un corpo di rappresentazioni che emergono in modo compulsivo nella coscienza, sorprendendo la ragione, “affetta” e “invasa” dalla divinità, colpita da una sorte di <i>stupor</i>. “La soggezione al mito ha perciò qualcosa di inconcepibile per la coscienza, è la conseguenza non voluta e non prevista di un movimento che essa non può revocare. La sua origine risiede in una regione cui, una volta strappata da essa, la coscienza non ha più accesso. Il primo evento accaduto, l’accidentale, si trasforma in necessario e assume subito la forma dell’ineludibilità”. La parola tedesca <i>Unvordenkliches</i>, che è resa in italiano con ‘immemoriale’, deriva da <i>unvordenklich</i> (letteralmente ‘imprepensabile’), ed è estremamente significativa su due piani; sia per quanto riguarda il tempo, per cui le figure mitologiche risultano irriducibili al ricordo, sia per quanto riguarda l’antecedenza alla riflessione e al pensiero nella dinamica di soggezione teopatica. “Unendo questi due strati di senso, Schelling definirà la mitologia “la religione immemoriale, ossia antecedente al pensiero, del genere umano””.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il mito prima di essere una “forma simbolica” è una “forma in generale” della determinazione dell’indeterminato” e, in senso antropologico, una forma dell’autoconservazione e della stabilità del mondo.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; min-height: 15px; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">1.5 Mito e culto appaiono da sempre reciprocamente connessi e se annosa è stata la questione di quale fosse la causa e quale l’effetto è legittimo chiedersi se siano effettivamente separabili; per quanto la ricerca attuale tenda a escluderlo è possibile comunque distinguerli e articolarli in sequenze temporali di segno inverso. Secondo Schelling, Lévi-Strauss, Durkheim e Cassirer esisterebbe un “pensiero selvaggio” pre-mitologico, con un bassissimo grado di simbolizzazione e differenziazione, di tipo “sostanzialistico”, dominato dall’idea di partecipazione immediata alla sfera del sacro, e legato alle nozioni, classiche quanto discusse, di tabù, magia, totemismo.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il mito ha invece una struttura “bipolare”, perché ricollega (<i>re-ligit</i>) qualcosa di dato a qualcosa che non lo è, tende a legittimare e a giustificare un polo profano mediante il ricorso a una fondazione superiore e soprannaturale, ovvero collegandolo a un polo sacro; nella forma linguistica il racconto mitico ha carattere narrativo e distanziante di cui va sottolineato l’aspetto esorcistico. </span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">L’aspetto decisivo sembra però essere l’azione, l’atto simbolico rituale, il culto come presenza immediata e come partecipazione attiva alla sfera del sacro. Blumenberg cerca di interpretare la genesi dei culti sulla base della biologia evoluzionistica, in cui l’uscita dallo stato animale si configura come passaggio dalla natura alla libertà: la sicurezza un tempo fornita all’uomo dagli istinti, sospesi nell’uomo ‘libero’, deve essere compensata per mezzo di azioni simboliche. L’istituzione di un rapporto con la natura mediante azioni libere coincide con il sorgere della cultura.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il rito sarebbe quella forma di controllo della realtà esterna, in cui la trasformazione simbolica non raggiunge ancora il livello del linguaggio, diventando trasposizione dei processi di natura ritmica, sia dell’essere umano che della natura, in atti rituali ordinati, azioni corporee e/o linguistiche; una gamma di manifestazioni che va dai movimenti di danza a vere e proprie liturgie più complesse. Il primo accesso all’affidabilità dell’ambiente fu il ritorno quotidiano e annuale dell’identico; l’affidabilità trovata nella ripetizione fu reinventata nella ripetibilità.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il mito presuppone il linguaggio e in quanto bipolare-distanziante è escluso dalla partecipazione diretta poiché gode di quella distanza conquistata. Come tale non sarebbe che un “secondo utero” destinato a proteggere per qualche tempo l’essere umano, nato troppo presto e ancora immaturo: se il rito in quanto azione è contatto diretto con il sacro, il mito articola nel tempo, attraverso il linguaggio e la narrazione di storie, ciò che nel simbolo è atto vivente.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Blumenberg e altri autori, tra cui Cassirer, tendono però a non tracciare un confine così netto tra strutture “magico-sostanziali” e “mitico-bipolari”, “in quanto il primo strato della tradizione orale e letteraria risale a quel periodo in cui il mito si impadronisce della forma intuitivo-sostanzialistica, dando così origine a forme miste”. Questa è la fase di passaggio in cui, seguendo Blumenberg, si prepara la “divisione arcaica dei poteri”, in cui le divinità cominciano a differenziarsi; l’azione simbolica — la festa, l’atto cultuale — comincia a ricoprirsi di discorsi destinati a commentarla; ne è un esempio il mito del ratto di Persefone, in cui si rispecchia la natura periodica del rituale; qualcosa di esistente viene messo in relazione a un evento del lontano passato.</span></div>
<div style="min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<i><span style="font-size: large;">2. Il mito come depotenziamento dell’assolutismo della realtà</span></i></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">2.1 I primordi della vita del genere umano sono caratterizzati dal presentarsi di un “assolutismo della realtà”, ovvero come lo stato di cose per cui “l’uomo quasi non controllava le condizioni della propria esistenza e, ancora più importante, semplicemente credeva di non controllarle”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Sulla base delle più recenti e accreditate teorie sull’antropogenesi si può parlare di un “salto situazionale” che spinse i primi uomini, avvantaggiati dal poter stare eretti su due gambe, ad abbandonare una forma di vita più protetta per sfruttare fino in fondo la nuova possibilità di orientarsi nel mondo: l’orizzonte lontano, prima celato e accuratamente evitato, si trasforma nel “permanente stare-in-attesa di cose fino a quel momento sconosciute”. La conquista della posizione eretta e della verticalità coincide con un sottrarsi alla specializzazione e con il naturale coalizzarsi dei ‘cacciatori’ e delle ‘madri’; la foresta viene abbandonata per la savana soddisfacendo l’esigenza di procurarsi il cibo, la caverna diviene un riparo sicuro per tutto ciò che a che fare con l’abitabilità. Caratteristica dell’essere bipede è l’aumento di visibilità e percepibilità, sia nel senso soggettivo che oggettivo, come esposizione al rischio della vita. Alla necessità di far fronte all’intero orizzonte della realtà, ai suoi pericoli e alla sua ambiguità, l’uomo risponde con un atteggiamento di attesa e di tensione: vive nell’“angoscia” (<i>Angst</i>). Se l’animale reagisce agli stimoli puntuali fuggendo, ora invece l’essere umano si trova dinanzi a infinite fonti di paura (<i>Terror</i>), il cui carattere di permanenza come “la totalità delle direzioni dalle quali qualcosa può sopraggiungere” rende indispensabili mezzi più efficaci della fuga. L’angoscia prodotta dall’indeterminatezza e dalla non-specificità del pericolo non risulta sostenibile per periodi lunghi, la tensione del sistema organico deve essere “razionalizzata in paura”. Nominare l’innominabile, spiegare l’inesplicabile, familiarizzare con il non-familiare sono gli espedienti utili a mitigare la pura arbitrarietà della realtà; l’estraneità dell’altro viene eliminata dalla metafora, il suo significato è reso accessibile raccontando storie. “Il carattere della realtà è il suo strapotere (<i>Übermächtige</i>)”, di cui il mito è abbattimento (<i>Abbau</i>).</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">L’arte di vivere non è altro che l’arte di dare ordine e nome a ciò che per natura non si presenta specificamente ordinato: il mondo. Qualcosa di quest’arte è ciò che Blumenberg vuole descrivere sotto il titolo<i> Elaborazione del mito</i>. </span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Riempire l’orizzonte sconosciuto è un’attività vitale per allentare l’angoscia esistenziale che domina l’essere umano: di fronte alla totalità di possibilità che possono sopraggiungere è necessario anticipare, prevenire, costruirsi un margine di sicurezza, “razionalizzare in paura” appunto. L’anticipazione, però, è possibile soltanto sulla scorta della presunzione, nella sfera dell’immaginazione e del desiderio; l’“<i>homo pictor</i><span style="font-family: Times;">”</span>, col suo immaginario, nasconde l’inaffidabilità del proprio mondo e nella vita magica delle sue pitture rupestri, dalla sua caverna “raggiunge e occupa il mondo”. Si contrappone, allora, all’assolutismo della realtà, l’assolutismo delle immagini e dei desideri, il puro dominio del soggetto come tentativo di opporre resistenza al terrore con forze rigorosamente spirituali. Tuttavia, sebbene operino con buona efficacia, queste forze non sembrano in grado di liberare totalmente l’uomo dal pericolo — ma anche dal desiderio — di tornare in quella fase arcaica di paralizzante terrore. La capacità di dominare il mondo, acquisita attraverso le conoscenze e l’esperienza della propria storia, si rivela per l’uomo sempre insufficiente di fronte allo strapotere della realtà: la sensazione è quella di poter raggiungere un punto critico nella storia umana, in cui si realizzi la totale supremazia del soggetto, la sconfitta irreversibile dell’altro. La costante presenza del lavoro del mito e sul mito sembra avere come brama segreta non solo l’abbattimento dello strapotere della realtà ma il rovesciamento del rapporto tra uomo e dio; da questo punto di vista la filosofia della religione sembra ripercorrere il medesimo percorso di quello compiuto dal mito, nel senso che se le teorie di Rudolf Otto spiegano e ripropongono la divisione dei poteri tipica di ogni politeismo, il rovesciamento in chiave antropologica del cristianesimo, operato da Feuerbach, è la realizzazione della posizione di dominio dell’uomo.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Ma la peculiarità della fase arcaica della storia dell’uomo sembra essere l’irraggiungibilità dell’emancipazione, sicché il ritorno alla condizione dell’abbandono “a potenze alle quali non si può contraddire” rimane una possibilità sempre praticabile. L’essere umano, secondo questa visione, è costitutivamente costretto in una condizione esistenziale di oscillazione tra assolutismo della realtà e assolutismo delle immagini: il dominio cela l’impotenza, il terrore segna un punto distanziabile, ma sempre, ineluttabilmente, troppo vicino. Non è un caso che si possa pensare il risultato di una combinazione tra il primo assolutismo col secondo come magia o culto. La volontà di dominare la realtà, ben oltre il limite documentato dalle proprie possibilità, e l’impotenza di fronte alle sue forze — la magia si serve sempre di distanze e di sostituti significativi — fondano ogni attività magico-rituale; il sogno sembra essere parte della medesima dinamica, in quanto impotenza rispetto al sognato, ai desideri che vi sono espressi, candidandosi a essere il prototipo di tutte le delusioni.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Conquistare la distanza dal terrore è ciò che si realizza mediante l’elaborazione del mito e l’indispensabile oblio che l’accompagna, come condizione fondamentale di tutto ciò che è diventato possibile al di qua dell’assolutismo della realtà, ma anche come ciò che genera nostalgia per qualcosa che si vorrebbe riavere: l’irresponsabilità dei primordi, il ritorno a una esistenza di totale abbandono al mondo.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; min-height: 15px; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">2.2 Il lavoro specifico del mito è quello di abbattere l’assolutismo della realtà distribuendo un blocco di opaca potenza in zone di influenza, secondo una molteplicità di forze in conflitto tra loro, fino all’annullamento reciproco.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Si tratta del confinamento di una qualità diffusa di estraneità spaesante e incontrollabilità in <i>enclaves</i> dai confini rigorosamente sanzionati, riconoscibili anche dopo molto tempo nella permanenza del <i>tabù</i>: sanzione forte, sfumatura di ostilità, esagerazione puntuale dell’indisponibilità e dell’avversione con cui un tempo il mondo aveva fronteggiato l’essere umano; il quale, però, non traeva soltanto vantaggio dalla possibilità di proteggersi da una di queste forze mediante il ricorso a un’altra, ma anche dalla constatazione del fatto che ognuna di esse era “dall’inizio dei tempi, occupata e intrigata con un’altra”. Gli dei epicurei in questo senso sono la piena realizzazione del depotenziamento della realtà: la condizione di imperturbabilità che li caratterizza, la non-curanza di ciò che accade nel mondo e di ciò che riguarda la sua costituzione, rappresentano la libertà più estrema da ogni forma di assolutismo della realtà, poichè questa è del tutto indifferente.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">La caratteristica principale della storia mitica è il suo essere tesa a esplorare il limite di accostabilità di queste stesse forze inaccessibili, potenzialmente fonti inesauribili di angoscia; il mito rende riconoscibile il confine oltre il quale la potenza diventa inaffidabile. Uno dei modi fondamentali di riferirsi agli dei — oltre all’adorazione — è la sfida, il <i>topos</i> classico della <i>hybris</i>, di cui Prometeo è l’icona più nota. Il culto è sempre anche uno schema per la sua inversione, come la venerazione lo è per la provocazione; bisogna saggiare l’estremo limite oltre il quale le potenze diventano vendicative e le ritorsioni inevitabili, per allargare il più possibile la sfera di realtà mitigata entro cui il sentimento umano più diffuso sia la serenità. Spostando il margine si conquista la distanza.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">L’‘altro’ diventa ‘un altro’ quando acquista nome e viene sottoposto a un lavoro di tipizzazione fisiognomica: l’estraneo acquista le caratteristiche e i comportamenti della figura con cui lo si rappresenta, con lo scopo specifico di renderlo familiare. L’enorme campionario di dei-animali offre un esempio assai significativo di questo lavoro di familiarizzazione con il numinoso. L’‘altro’ è, per forza di cose, tra gli ‘altri<span style="font-family: Times;"><i>’</i></span>, ma non può esistere confusione sui caratteri degli dei, perchè altrimenti non sarebbe garantita la loro unicità. L’essenza di ciascun dio è ciò che lo rende assolutamente unico e, in altri termini, è il contratto che possiamo stipulare con lui, il suo culto, ma soprattutto è ciò che “esclude la possibilità di raccontare su di lui un’altra storia oltre a quella di cui è responsabile e che ha scelto”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Oltre ad assumere il carattere della “sovrapotenza” la divinità può assumere anche un atteggiamento amorevole nei confronti dei suoi eletti. Una linea d’interpretazione che va da Wilhelm Wundt a Rudolf Otto sostiene che il mito sia “affetto” (<i>Affekt</i>) convertito in rappresentazione e azione: Blumenberg suggerisce che l’intenzionalità sia lo stato di “aggregazione “raffreddato” di quelle iniziali prestazioni della coscienza che avevano condotto fuori da quel concatenamento di stimolo e reazione”. La sfera del numinoso si riempie di nomi, figure, storie, rituali, pratiche in cui si rende necessario un rapporto fondato sull’incondizionata accettazione degli uomini da parte del proprio dio, tale da garantire la salvazione; da questo punto di vista il sacrificio cristologico è la prova suprema dell’interesse assoluto della divinità nei confronti della condizione umana.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; min-height: 15px; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">2.3 Ciò che segna l’esordio di ogni elaborazione del mito è l’“irrompere del nome nel caos del senza nome”; la pratica esorcizzante della denominazione è il primo passo dell’estenuante opera apotropaica di confinamento del terrore. L’aspetto del mito che Blumenberg sicuramente privilegia è quello esorcistico: le storie vengono raccontate per scacciare tempo, ma soprattutto la “paura arcaica”, non di ciò che ancora non si conosce (<i>Unerkannt</i>), ma di ciò che è sconosciuto (<i>Unbekannt</i>); lo sconosciuto è ciò che ha bisogno di un nome che realizzi la sua presenza e, quindi, la sua invocabilità, come possibilità di esorcizzarlo o di intaccarlo magicamente: la paura indefinibile è tanto più potente quanto più è “terrore senza nome” (<i>Entsetzen</i>). Se la ripetizione nella natura prescrive al rito la sua ripetitività come garanzia di affidabilità, dalle esclamazioni fonetico-linguistiche si passa ai nomi, che sono il massimo della ripetibilità, permettendo di annullare il caso e rispondendo con la produzione di determinatezza all’indeterminatezza della realtà. L’effetto immediato del dar nome è l’“invocabilità” (<i>Appelationsfähigkeit</i>) della potenza: per Erodoto, secondo cui i nomi delle divinità greche derivano dall’Egitto — da sempre il luogo più antico in cui è riposta la sapienza — il nome è accessibilità al dio.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">L’intenzionalità dei nomi è già il correlare le parti in un tutto, attribuire agli oggetti proprietà e posizioni in un mondo. Sono i nomi che, intrecciandosi in storie, creano familiarità con le potenze chiamate in causa; la fiducia nel mondo, la prima forma di addomesticamento di ciò che è immediatamente ‘altro’ inizia con l’imposizione di nomi per l’indeterminato e con il relazionarli in storie.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Cercare di spiegare le modalità del processo di imposizione dei nomi è un tentativo vano che oscilla tra proposte la cui scelta rimane indeterminata come indeterminate sono le prove con cui si sostengono sia la tesi dell’originarietà di “dei istantanei”, formulata di Hermann Usener, che quella della provenienza “allegorica” dei nomi. Gadamer ha sostenuto l’assoluta indissolubilità di “parola e cosa in cui l’uomo parlante vive sempre”; fenomenologicamente il nome esprimerebbe l’essenza del dio che si manifesta alla coscienza.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il nome come espressione di una facoltà o di una caratteristica, specie se attribuito a un dio, è una conquista tarda, la sua funzione primitiva e unica fu, probabilmente, quella di fare in modo che l’essere umano potesse chiamare la divinità con un mezzo la cui efficacia fosse sanzionata dalla sua appartenenza all’estraneo e dal riconoscimento del nome stesso da parte di questo. Tutto ciò risulta più chiaro se si considera che “la propensione per un sapere occulto si collega durevolmente soprattutto col principio che di fronte alla divinità c’è appagamento dei desideri solo per chi conosce tutti i nomi”; il compito di dare i nomi che Dio dà ad Adamo nel Paradiso Terrestre ne è espressione, così come avviene per ogni forma di magia, culto e per gli inizi della scienza; per Blumenberg, l’età moderna è caratterizzata dall’aver trovato un nome per ogni cosa, descrivendo il successo della scienza come possibilità di conoscere tutte le cose e in ciò ricoprendo la funzione del mito.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">La possibilità di chiamare nuovamente ciascuna cosa con il proprio nome sarebbe la possibilità del ristabilimento del Paradiso, in cui escatologicamente la storia si configura come “attuazione del nome”: tutto ciò che aveva origine nel nome — il Verbo — torna al suo proprio nome.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">L’importanza dei nomi all’interno dei miti è testimoniata dal fatto che essi costituiscono l’unico elemento di determinatezza della loro struttura: il mito, infatti, rifiuta la collocazione nel tempo e nello spazio, l’unica successione temporale che sopporta è quella dovuta al processo di enumerazione dei nomi all’interno di una genealogia. I cataloghi dei nomi, le lunghe genealogie esiodee e bibliche non sembrano essere nient’altro che il risultato dell’ancestrale inquietudine del mito per gli spazi vuoti e per le omissioni: la recita di questi lunghi cataloghi, pur con l’eccesso e l’invenzione dei nomi, doveva riempire il tempo e metterlo in relazione con il divino, per produrre sull’ascoltatore un effetto rassicurante e soddisfacente, colmando ogni lacuna e rendendo familiare ogni estraneità.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Effetto primario dell’imposizione dei nomi è rendere tangibile (<i>greifbar</i>) l’inafferabile, momento ineludibile per poterlo rendere comprensibile (<i>begreifbar</i>); il nome organizza l’indiviso istituendo la “divisione dei poteri”, mette ordine nel mondo in cui regna sovrana la confusione e l’indeterminatezza aprendo la possibilità di avere dei punti di riferimento, di orientarsi costituendo il proprio <i>habitat</i>. Da lungo tempo ormai è nota agli storici l’importanza dello studio della toponomastica, perché è una traccia arcaica che permette di individuare i primi orientamenti dell’abitabilità.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; min-height: 15px; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">2.4 “Il mito è un modo di esprimere il fatto che il mondo e le potenze che dominano in esso non sono abbandonate alla pura arbitrarietà”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Per meglio spiegare questo concetto Blumenberg si diffonde sull’importanza della nozione di cosmo e sui nomi dei pianeti, da sempre tautegoricamente identificati con gli dei; l’idea di eliminazione dell’arbitrio resta nell’uso che la scienza continua a fare — non senza una certa ironia — dei nomi mitologici: pianeti di recente scoperta hanno ricevuto nomi che tradiscono in maniera evidente le loro più peculiari caratteristiche. Plutone, dio degli inferi, è anche il pianeta più lontano dal sole e la sua fida e oscura luna non poteva non essere chiamata Caronte. In piccolo, probabilmente questo è la prova di un’inesauribile processo di rimitizzazione (il ritorno — eterno? — dei nomi): alle origini questi nomi erano serviti a eliminare l’arbitrio dell’assolutismo del mondo, secoli dopo sono stati utili a eliminare l’arbitrio dell’assolutismo del cosmo.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Con il mutare e il progredire della cultura sembra farsi avanti anche la consapevolezza del carattere inconcludente del sistema di denominazione-familiarizzazione, che si riduce alla fine a un semplice enumerare e connettere nomi; l’imbarazzo dell’intera mentalità mitica è espresso dalla celeberrima sentenza di Talete — “tutto è pieno di dei” — e non è certo per caso che proprio a lui per primo fu attribuito l’uso di un mezzo molto più efficace per indebolire terribili e straordinari fenomeni cosmici: la teoria.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">L’aneddoto secondo cui Talete avrebbe predetto un’eclisse di sole è un tributo scientifico che sembra essere ancora miticamente significativo, poiché sembra mostrare proprio l’avvenuto avvicendamento tra mito e teoria; per la prima volta c’era qualcosa che permetteva un dominio totale dell’uomo su fenomeni cosmici fino ad allora soverchianti e in questo modo lo spazio di realtà mitigata si faceva più ampio. La teoria, con i suoi calcoli e pronostici, ha la capacità di rendere ordinario ciò che appariva straordinario. Tuttavia, puntualizza Blumenberg, gli oggetti della filosofia non sembrano essere stati definiti dal mito; semmai la funzione di quest’ultimo era stata quella di fissare uno standard di risultati al di sotto dei quali alla teoria non era lecito ricadere. L’epoca immediatamente post-mitica si doveva far carico delle domande a cui il mito aveva dato le sue risposte, ponendosi così in un atteggiamento critico-correttivo rispetto all’epoca precedente, ma applicando un metodo di sostituzione assai poco fruttuoso per un incremento del bagaglio conoscitivo; non faceva altro che rioccupare posizioni identiche a quelle mitiche in un diverso immaginario. Rimane inspiegabile il vanto dell’età moderna di aver eliminato miti e dogmi, sistemi concettuali e autorità, ovvero qualsiasi tipo di pregiudizio; l’errore di ogni illuminismo, secondo Blumenberg, è quello di attribuire a se stesso un atteggiamento finalmente serio, mancando di riconoscere il forte carattere di serietà implicito nelle offerte di sicurezza che provenivano dal mito. La filosofia si è cimentata nella critica distruttiva (<i>Destruktion</i>) nei confronti di contenuti mitici facili da colpire, ma proprio perciò essa ha misconosciuto i bisogni intellettuali ed emotivi che questi contenuti avevano il compito di soddisfare, e in alcuni casi si è servita ipocritamente delle interpretazioni allegoriche per sbandierare una rinnovata vitalità concettuale.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Se il bene più prezioso che una mitologia può offrire è la sua distanza dall’origine, allora ci si deve accontentare di ciò che si può constatare dopo secoli di lavoro del mito, ovvero dell’ovvietà che caratterizza il fatto di avere e dare nomi; il che è un enorme contributo alla costituzione del nostro mondo-della-vita.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<i><span style="font-size: large;">3. Dimenticare e riempire</span></i></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">3.1 Blumenberg tende a rifiutare la possibilità di parlare di origini; come indicazione storica preferisce l’espressione “passato remoto” e, per quanto riguarda la nascita dei mitologemi, la sua analisi verte sulle concezioni che nella storia si sono succedute relativamente all’origine e al carattere del mito. I concetti più sfruttati — sebbene siano antitetici — per descrivere ciò che originariamente caratterizzava il mito sono probabilmente quelli di “paura”, <i>Terror</i>, e “gioco”, <i>Spiel</i>: “All’inizio si trova l’esuberanza immaginativa dell’appropriazione antropomorfa del mondo e dell’accrescimento teomorfo dell’uomo, oppure la nuda espressione della passività dell’angoscia e del terrore dell’ammaliamento demoniaco, dell’impotenza magica, della dipendenza assoluta”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">La concezione di una primitiva fase poetica dell’umanità si presenta in una tradizione che va da Vico a Herder a Friedrich Schlegel; si tratta di salvare qualcosa di quei primi tempi in cui realtà e sogno non si distinguevano, qualcosa che l’illuminismo aveva voluto distruggere e che il romanticismo vorrà trasformare nella rivelazione originaria.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Proprio nel <i>Discorso sulla mitologia</i> di Schlegel, Blumenberg intravede un’idea del tutto simile a ciò che egli stesso intende esprimere quando parla di “distanza” conquistata dal primordiale “<i>Terror</i><span style="font-family: Times;">”</span>. Elaborare “l’originaria tensione emozionale” provocata da questa irrefrenabile paura in qualcosa la cui presenza e concretezza sia immediatamente verificabile è una delle funzioni del mito; l’aspetto poetico nell’ipotesi sulla realtà originaria del mito è evidente nella figura di muse, ninfe, driadi almeno quanto è chiara la presenza dell’aspetto terrificante nelle immagini delle gorgoni, di Medusa, delle Arpie o delle Erinni. L’inavvicinabilità e l’insopportabilità di ciò che atterrisce l’uomo nel mito greco sono state concentrate nella dimensione visiva, con l’esclusione totale di quella tattile: lo sguardo di Medusa uccide pietrificando.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Per Goethe , l’altorilievo della Testa della Medusa di Palazzo Rondanini a Roma è il trionfo del classicismo, il superamento del terrore della preistoria attraverso l’arte; l’estetizzazione è centrale nel percorso che va dall’“orrore alla bellezza”. Ma l’estetizzazione è già un fenomeno tardo, reso possibile e fondato da quel ‘prima’ da cui il mito scaturisce e su cui è fondato, bloccandone poi ogni accesso.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il rito sembra situarsi ‘prima’ nel processo di elaborazione del terrore; infatti, il rituale è quel momento in cui il numinoso viene fatto oggetto, viene mostrato, toccato, portato in processione. </span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il <span style="font-family: Times;">“</span>sacro<span style="font-family: Times;">”</span> di Rudolf Otto è interpretazione primaria della potenza sentita e postulata da un uomo che non è signore del proprio destino, ma è il caso di sottolineare che il numinoso è gia sempre e comunque “interpretazione e non la cosa stessa che è interpretata” e noi non possediamo nessuna realtà se non quella che abbiamo interpretato; il rito e il mito sarebbero interpretazioni ulteriormente secondarie che si collocano a livelli successivi.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">La qualità del numinoso viene ripartita e distribuita, secondo lo schema tipico del politeismo, tra oggetti, persone, direzioni; il terrificante viene trasferito su ciò che partecipa di questa qualità e successivamente diviene istituzione regolata, con il dono a capi e sciamani di avere a che fare con ciò che agli altri è precluso.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Le due concezioni semplificate nella formula “paura e gioco” sono fondate su “proiezioni a ritroso” che presuppongono l’esistenza di versioni tarde del mito: l’errore delle mitologie filosofiche tradizionali consiste nel recidere la possibilità di una connessione “tra la storia documentabile dei mitologemi e la loro forma originaria prima di ogni storia”. Questa è una conseguenza inevitabile della rigidità di una filosofia della storia che assegna il mito a una sua propria epoca, mentre tutto quello che viene dopo può essere solo una specialità della storia letteraria e artistica. Il prodotto di una simile filosofia della storia non può che essere stagnazione del pensiero sul problema, in realtà inaccessibile, dell’origine del mito; se esso ha la sua epoca e non vive nel suo essere radicato nelle epoche, allora immediata si pone la falsa questione del suo stato originario, dimenticando così la totalità di una storia della ricezione-rielaborazione del mito “capace di sottrarsi alla semplicistica alternativa posta dagli estremi <i>Terror</i> e <i>Spiel</i><span style="font-family: Times;">”</span>. </span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Solo se si prende in considerazione la storia del mito — e non la sua inaccessibile preistoria — sarà per noi facilitata la comprensione delle forme mitiche di concepire le cose: queste — sembra — competono, senza affatto sfigurare, con le forme teoretiche, dogmatiche e mistiche, e possono ancora offrire un fondamentale appagamento di prospettive.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; min-height: 15px; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">3.2 La caratteristica del mito che lo fa interagire con scienze, religione o ideologie è, con la mutuazione di un termine diltheyano, la “significatività” (<i>Bedeutsamkeit</i>), con cui si vuole intendere quell’“essere-apportatore-di-senso”, ciò che fa la differenza tra il mondo storico, culturale dell’uomo, organico e sintetico della finitudine dei soggetti, e un mondo oggettivo, scientifico, meccanico, analitico dove invece, secondo la formulazione del “principio di significatività” di Erich Rothacker, “l’investimento soggettivo di valore nei fenomeni tematizzati tende di norma a zero”. D’altra parte nella significatività l’elemento soggettivo può essere prevalente rispetto a quello oggettivo ma non può escludere del tutto quest’ultimo: se il mito non possedesse un riferimento oggettivo con la realtà — che non significa assolutamente una prova empirica — la sua significatività si dileguerebbe.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il riferimento alla realtà che concorre a costituire la significatività è “lo stile-delle-cose” che ha la forma dell’ovvietà, della familiarità, dell’“è-sempre-stato-così”, non deve infatti avere l’obbligo di presentarsi come mondo scientificamente oggettivato. Ciò è un vantaggio enorme per la variazione di vecchi miti e per la simulazione di nuovi: un seguito nuovo o diverso delle vicende prometeiche non aggiunge o toglie nulla alla credibilità della figura di Prometeo; è una verità fondata sull’indecidibilità a proposito dell’esistenza o meno di questa figura, ci si deve accontentare del fatto che “è-sempre-stata-così” e che è quindi, indiscutibilmente, reale. Non è un caso che il nuovo mito simulato si serva di un repertorio consolidato, come nel dionisismo tedesco di Klages o in tanta parte della nuova spiritualità <i>New Age</i>, in cui talvolta si raggiunge un insostenibile livello parodistico che sa di cattiva letteratura.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Blumenberg non sembra essere lontano da Heidegger in <i>Essere e tempo</i>, in cui la significatività si trova associata all’“appagatività” (<i>Bewandtnis</i>) dell’essere-nel-mondo; l’apertura del “ci” dell’esserci è l’istituzione della significatività e costituisce il mondo umano nella sua multiforme varietà contrapposta all’obbligatoria uniformità della scienza.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">La “significatività” è connessa alla “pregnanza” (<i>Prägnanz</i>) di cui l’uomo dota il suo mondo-della-vita, è risultato del suo inconsapevole “imprimere” (Prägen) valenze alla sua esistenza e a ciò che la contorna. Significativo, in questo senso, è il lavoro della storia quando fa grande la nostra meraviglia, offrendoci trovate alla cui possibilità non avremmo mai pensato. Ciò che è “pregnante” è ciò che si oppone alla caducità e alla dispersione, spesso al tempo. La pregnanza non sembra, d’altra parte, subirne le ingiurie, piuttosto ne ricava benefici: correzioni, inversioni di segno, ritocchi al senso del mito rinvigoriscono e arricchiscono la dimensione delle sue significazioni, il Sisifo ‘felice’ di Camus o la nuova caratterizzazione di Mefistofele in Valéry sono dei validi esempi.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Blumenberg elenca alcuni dei mezzi con cui opera la significatività: i modi della “simultaneità”, dell’“identità latente”, della “circolarità”, del “ritorno dell’uguale”, della “reciprocità di resistenza” e “intensificazione dell’esistenza” o “isolamento di una cosa”, dell’“intensificazione” e del “depotenziamento”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il tratto comune risiede nella “simmetria”, configurazione che esclude il caso. Gli eventi acquistano la loro significatività quando ci si presentano come inattese coincidenze, come il chiudersi di un cerchio dove tanto più la mancanza di senso è sconcertante quanto più l’investimento di significatività è maggiore: in natura, ad esempio, i casi di perfetta simmetria sono improbabili, ma alla loro presenza è difficile attribuire un carattere casuale e la tentazione di conferire un senso alla loro eccezionalità è molto forte. Anche “il ritorno all’identico” ha la caratteristica di appartenere a quel genere di cose che, accompagnate sempre da straniante ineffabilità, si presentano come ciò che è semplicemente evento.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Di nuovo, la mancanza di senso che accompagna la circolarità degli accadimenti è talmente incredibile che nasce l’insopprimibile sospetto che, invece, ci sia una straordinaria pienezza di significato: il risultato è la produzione di pregnanza.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il fatto che una meta acquisti tanto più valore quanto più è ostacolato il cammino per conseguirla è una di quelle cose che appartengono al sostrato di ovvietà su cui è costruita la nostra esistenza; così la significatività può essere prodotta anche sotto le forme di valore e la resistenza che l’ostacolo pone è il mezzo con cui si realizza. L’immaginazione mitica, come sempre, opera con estrema raffinatezza nel dispiegare gli elementi che popolano il nostro mondo-della-vita: il tormentato ritorno di Odisseo è immagine di ogni possibile percorso difficile e accidentato e la meta da raggiungere, la patria Itaca, è il valore accresciuto proporzionalmente alla difficoltà del suo conseguimento.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Lo schema della circolarità riflette, secondo Blumenberg, un atteggiamento umano di fiducia nel mondo, dove tutte le vie sono ugualmente affidabili, perché — seppur ostacolate — sono sempre praticabili e realizzabili: il soggetto, nel raggiungere il suo obiettivo, chiude il cerchio con se stesso e la sensazione è quella del compimento, della finale realizzazione.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Times;">“</span>La struttura circolare dello svolgimento, che il mito ha prescritto tanto alla tragedia quanto alla commedia, fa sì che nel percorrere il circolo il soggetto si veda per così dire da dietro — sottratto di conseguenza all’identificazione, finché non ha raggiunto se stesso”. La chiusura del cerchio nel mito di Edipo si ha quando questi si scopre colpevole: il senso, che era chiaro sin dall’inizio, ma incompleto, si realizza presentandosi agli occhi dello stesso Edipo — ironia della sorte mitica — nella forma di una raggelante insensatezza. Anche nel caso del mito edipico abbiamo di fronte a noi, soprattutto nella versione che Freud ne ha fornito, qualcosa il cui rinnovamento si è dimostrato un ottimo servizio alla sua significatività: la teoria freudiana sul complesso edipico, con le sue idee dell’atto sessuale come ritorno nell’utero e della “pulsione di morte” come desiderio del ritorno, che si collocano nell’idea del <i>nostos</i> in uno stato originario nella sua più ampia accezione, ha in sé quella nuova “molteplice significatività che favorisce ogni allargamento” e la rende molto simile a una “cosmologia di livello finale” restituendo al mito il suo antico vigore. Blumenberg, d’altra parte, non può fare a meno di constatare che il successo dei miti freudiani si spiega anche col fatto che essi sono “perfette istruzioni per formulari di giustificazione”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
</div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<i><span style="font-size: large;">4. Distanze</span></i></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">4.1 Il mito offre alla coscienza umana la sicurezza che ciò che la soffocherebbe nel terrore è sepolto per sempre; non ha nulla ha che fare con il concetto di progresso, ma è invece il risultato di un processo orientato nel guadagno di spazio, in cui il mondo acquista l’aspetto di una sicura dimora quando si estinguono i mostri che lo popolavano. “Il mito rappresenta un mondo di storie che localizza la posizione dell’ascoltatore nel tempo in modo tale che il repertorio del mostruoso e dell’insopportabile decresce quanto più ci si avvicina a questa posizione”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">In questa dinamica si realizza la transizione dal teratomorfismo, il più lontano, al teriomorfismo, combinazione di estraneità e familiarità, verso l’<i>eidos</i> umano, l’immagine fisiognomica più familiare che vi possa essere; la forma umana è il risultato di un lungo processo di mitigamento, di riduzione delle minacce di cui l’uomo è il beneficiario. Le terribili generazioni arcaiche di dei discendono dal Chaos, da Nyx, da Okeanos, tutte figure dell’informe, poco raccomandabili e rispetto a cui Zeus appare, tutto sommato, mite e benevolo al punto tale da far sorgere il sospetto che alcune figure siano una tarda invenzione proprio per dare lustro al dominatore dell’epoca degli uomini. La funzione di rendere il mondo abitabile è svolta dal fatto che le figure del mito sono divenute antropomorfe, anche se una linea mortale separa gli dei dagli uomini, e la sorte di chi vede un dio o una dea è inesorabilmente segnata da una tragica fine. L’epifania del divino presso i greci predilige la forma animale e anche in figura umana il dio ha un’eco teriomorfa, soprattutto per quanto riguarda gli occhi che sembrano brillare di un bagliore trucemente ferino; il largo uso degli epiteti in Omero lascia ancora indeterminato se si possa parlare di paragone o di metamorfosi. È estremamente interessante notare che quando un dio non vuole essere riconosciuto prende un aspetto umano, e rientra nella categoria dello straniero, tanto temuto quanto rispettato dalle leggi dell’ospitalità.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Gli aspetti più originali della religione etrusca, quel nucleo più antico a cui si sovrapposero influenze elleniche fin dal ix sec. a.C., ci parlano di “una primitiva mentalità religiosa, centrata sulle forze elementari della natura e della riproduzione e in qualche modo condivisa dalle altre popolazioni dell’Italia antica”: le poche testimonianze iconografiche relative all’immaginario religioso protostorico registrano l’esistenza di una rappresentazione teratomorfica e terrifica delle potenze divine. Le numerose divinità connesse con la morte hanno un aspetto terribile e animalesco, e questi caratteri, insieme all’ambiguità sessuale, si conserveranno a lungo nella cerchia dei demoni dell’epoca più recente grecizzata, come nel caso dei molteplici ‘Caronti’, del tutto ignoti nella loro straordinaria pluralità al mondo ellenico.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il monoteismo ebraico appare caratterizzato dalla paura della regressione al culto animale, l’Esodo sembra essere una quarantena contro la contaminazione egizia, e Mosé è talmente duro con gli adoratori del vitello d’oro da farci sospettare che la fine dell’idolatria non fu un evento facile, né rapido; il precetto dell’invisibilità di Dio e il relativo divieto di farsene un’immagine rientrano pienamente in un’ottica di totale censura e repressione in cui il rapporto con Dio passa solo attraverso il possesso del Nome e della Legge.</span></div>
<div style="min-height: 14px; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">4.2 Nel processo in cui l’uomo trasforma la realtà in un mondo il <i>topos</i> dell’eliminazione dei mostri, “vale a dire intelligenze chiuse in un corpo deforme e bestiale”, riveste la medesima importanza della transizione tra animale e uomo per quanto riguarda le immagini. “Il mito mostra l’umanità impegnata nell’elaborazione di qualcosa che la incalza, che la mantiene in stato di inquietudine e agitazione” e ciò che rende vitale la funzione del mito non è la spiegazione dei fenomeni, quanto il loro distanziamento. Il mostro, con le sue caratteristiche terrifiche, un rapporto di discendenza sempre inquietante e una triste fama, rappresenta perfettamente il carattere assoluto del mondo; si potrebbe dire che è la personificazione del terrore dei primi tempi.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">I mostri non sono divini, ma sono estremamente vicini agli dei, nella maggior parte dei casi discendono alla lontana da divinità arcaiche e remote come Okeanos e Nyx, Echidna, Tifone e da essi ereditano quell’oscurità e quella forma di estraniante commistione di più elementi animali. La loro collocazione è in genere in qualche luogo remoto della terra che sembrano custodire, la cui conquista passa attraverso la loro eliminazione. </span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Le storie connesse con la distruzione dei mostri hanno come protagonisti gli eroi, che potremmo definire come esseri intermedi tra l’uomo e il dio; essi abitano uno spazio e un tempo non dissimili da quelli umani e pur senza essere nella storia hanno una “storicità”. L’eroe ha una “quasi esistenza” su cui cade “la luce del divino”, “stranamente mescolata con l’ombra della mortalità”, e non è casuale che il culto loro tributato abbia molte relazioni con quello con cui erano onorati gli dei inferi. Gli eroi e il loro culto sono legati alla fondazione di città, a famiglie regnanti, a stirpi nobili in quanto con le loro gesta essi hanno reso possibile tutto ciò, hanno preparato il mondo per gli uomini, loro discendenti; a loro è assegnata una determinata epoca, propriamente intermedia, tra quella divina e quella umana, al termine della quale la terra sarà finalmente sicura e abitabile.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Ci soffermeremo su un caso estremamente significativo che assurge al ruolo dell’esemplarità, parlando dell’eroe più celebre e popolare, Eracle, che ha dato vita a un ciclo di racconti, in perpetua evoluzione dall’epoca pre-ellenistica alla tarda antichità. La sua figura ha tutti i tratti comuni a ogni eroe: l’origine divina come figlio di Zeus, una nascita complicata, un’infanzia e una giovinezza segnati da prodigi, un’ingiustizia da cui riscattarsi per recuperare il posto che gli spetta, una serie di straordinarie imprese, una discesa agli Inferi, e infine la divinizzazione. Il tratto più caratteristico di Eracle è il compimento delle dodici fatiche, in sottomissione al cugino-usurpatore Euristeo, che consistono fondamentalmente nell’eliminazione o nella cattura di pericolosi mostri: il leone di Nemea, l’idra di Lerna, il cinghiale di Erimanto, la cerva di Cerinea, gli uccelli del lago Stinfalo, il toro di Creta, le cavalle di Diomede, i buoi di Gerione, il cane infernale Cerbero; rimangono fuori da questo schema solo la pulitura delle stalle di Augia, il recupero del cinto di Ippolita e dei pomi d’oro delle Esperidi, tutte avventure in cui comunque Eracle ha a che fare con qualcosa di adeguato alla sua natura. Kerényi propone di leggere le sue imprese come la lotta dell’eroe contro le epifanie della Morte, che si conclude con la discesa agli Inferi e il diritto di portare l’appellativo di “Callinico”, “dalla bella vittoria” e cita l’usanza di appendere sulle porte delle case delle invocazioni al figlio di Zeus, affinché allontanasse ogni male.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Per ritornare a uno sguardo più generale, è interessante notare come originario non sia l’annientamento del mostro da parte dell’eroe, ma il suo autoannientamento in conseguenza della prima esperienza di inefficacia. La sfinge chiude la propria carriera dopo le sagaci risposte di Edipo, le sirene vengono neutralizzate dallo stratagemma di Ulisse di tappare le orecchie dei naviganti con la cera. “I mostri non muoiono. Quello che muore è la paura che ti incutono”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; min-height: 15px; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">4.3 La funzione del mito consiste nella possibilità di raccontare il terrore, proprio perché ormai neutralizzato e distanziato, superato nella celebrazione della sicurezza, in un processo reso possibile proprio dall’oggettivare, raccontando, la realtà. </span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">L’attacco di Wilamowitz al giovane Nietzsche andava ben oltre la filologia, celava un enorme disprezzo per l’idea di eliminazione dei mostri, in quanto il grande vecchio della filologia classica non poteva tollerare l’idea di un’oscurità originaria che velasse la serenità olimpica della grecità; la scoperta di una grecità sotterranea e lacerata caratterizzata dal “dionisiaco” è il primo passo verso la scoperta del fondale arcaico della realtà, ma è costitutivo della possibilità di vivere tranquilli il fatto che l’uomo tenda a dimenticare, se non a negare un passato che era un insieme di condizioni in cui non si poteva vivere. Il lavoro del mito ci conduce a considerare tutto il processo mitologico come la storia di un instancabile oblio, in un percorso che rende possibile all’uomo il fatto di avere un mondo.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il popolo greco “ha voluto dimenticare il significato primitivo delle figure, ma non il risultato della sua domesticazione nel mito, gli dei con i quali si poteva vivere, sottomessi al fato non meno degli uomini (…)”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">L’oblio si configura come punto estremo della capacità di distanziare la realtà dei primordi e il suo carattere oppressivo.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il concetto di distanza ha un’importanza capitale nella descrizione delle procedure mitiche e ha sicuramente un precedente nel concetto greco di teoria come osservazione distaccata e imperturbata degli eventi. In quest’ottica l’esperienza della catarsi aristotelica non sarebbe null’altro se non un passaggio attraverso gli orrori omeopaticamente dosati della tragedia con il loro conseguente, tranquillizzante, superamento.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">La metafora lucreziana del “naufragio con spettatore” ha dato il titolo a un’opera metaforologica di Blumenberg, e candidandosi a essere un “paradigma per una metafora dell’esistenza” che illustra i rischi della vita umana, può essere letta nel senso di una pacificante teoria; il mare in tempesta rappresenta la natura e la società, “frutto di un’incessante lotta tra gli elementi dove il nuovo si genera con il vecchio, servendosi della sua materia e delle sue forme come di rottami di grandi naufragi”; il naufragio è l’evento tragico, il fallimento nella “navigazione della vita”. La gioia dello spettatore che contempla un naufragio non deriva dalla rovina degli altri, bensì dal fatto di essere ben distanti dalla tragicità degli eventi, così come il filosofo epicureo, simile agli dei negli <i>intermundia</i>, contempla imperturbato l’universo del caso atomistico. Un fondamentale contributo alla costituzione del nostro mondo-della-vita è la possibilità di osservare con tranquillità il mondo attraverso la teoria scientifica come risultato del lavoro del mito che rende la realtà finalmente avvicinabile.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il fatto che il mito sia costituito principalmente dalla sua ricezione ci dice che anche i più antichi mitologemi sono già un prodotto del lavoro sul mito e da questa fase preletteraria “lo stesso processo di ricezione si è trasformato nell’esposizione delle modalità di funzionamento del mito”. La distanza è anche quella degli dei dall’uomo, e in questo senso vale la pena di notare come in Omero ed Esiodo il mito non sia affatto antropocentrico, in quanto l’uomo appare a margine delle storie degli dei: la realizzazione perfetta di questo processo è rappresentata dagli dei di Epicuro che non sospettano neanche l’esistenza degli uomini.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Le condizioni di familiarità sono create con l’umanizzazione, la frivolezza e la non serietà ma soprattutto abbassando il livello di potere degli dei e mitigandone la capricciosità. L’attenuazione dello “strapotere” degli dei è operata con la divisione dei poteri, ovvero il fatto che un dominio specifico sia, da sempre, assegnato al dio che ne ha, in modo tautegorico, tutti i caratteri; la divisione cosmologica concerne i regni, divisi dopo la detronizzazione di Crono, dei tre fratelli della generazione regnante, Poseidon, Ades e Zeus; e forse non è superfluo sottolineare che i primi due sono i più ostili e i più lontani per gli uomini. Ma non dimentichiamo che per la spiritualità greca ogni aspetto del reale era caratterizzato dalla presenza di divinità, anche minori; se vogliamo contare anche soltanto i figli di Oceano e Teti, i Fiumi e le Oceanine arriviamo a seimila.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">L’attenuazione del potere passa attraverso l’esclusione dell’onnipotenza: gli dei sono sempre impegnati in contese, rivalità, coinvolgimenti in affari, gelosie e invidie reciproche e il tutto viene complicato dal pensare per territori e ambiti di competenze, dall’intricata selva di trasformazioni, ipostasi, successori; ma soprattutto ogni dio ha il suo punto debole su cui far leva: così gli invulnerabili semidei Achille e Sigfrido il Nibelungo possono essere uccisi se si sa dove colpirli e nei miti gnostici, nel risalire i vari livelli dell’<i>Heimarménè</i> cosmica, l’arconte preposto vi farà passare al pianeta successivo se saprete incantarlo con la parola giusta. C’è sempre una possibilità di salvarsi, basta sapere quale.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">La distanza temporale, in ambito mitico, offre alle storie un’attendibilità incontestabile, non fosse che per l’impossibilità di verificarle; il mito non ha cronologie di alcun tipo, la sua struttura temporale è soltanto sequenziale: ciò non toglie che all’interno dei mitologemi sia ben avvertibile un cambio di stati e di situazioni, che avviene su una particolare linea di tempo. Il trascorrere mitico del tempo non è altro che il passaggio attraverso “la massa di materiale che separa gli avvenimenti più antichi da quelli più recenti”; la sensazione di distanza è data allora dal fatto di avere a che fare con personaggi ed eventi mitici la cui configurazione ci sembra il risultato di un lunghissimo sviluppo, in quanto antichità reale dei miti e antichità mitica tendono a sovrapporsi, creando un effetto di incolmabile lontananza.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">“L’allontanamento è anche il procedimento per ottenere la soppressione o lo sviamento dell’interrogabilità. I miti non rispondono a domande; le rendono indomandabili”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il mondo ha bisogno di essere spiegato, ma ciò che spiega la sua origine non tollera domande sulla propria. Ogni pretesa di spiegazione risulta vana, se richiede di sapere ciò che è impossibile vedere; <i>Chaos</i>, nel linguaggio della Teogonia esiodea, non è altro che la metafora assoluta per l’aprirsi di un abisso che non tollera localizzazioni o distinzioni di sorta, è solo ciò che è “spalancato”, lo “spazio cavo” da cui si levano le forme, e solo successivamente con la teoria dei quattro elementi venne a significare “confusione e mescolanza”. Le storie riguardo alle origini del mondo raccontano del Chaos, di Okeanos e Teti, di Nyx, dell’Uovo Cosmico, ma in questo modo non spiegano nulla riguardo a quello che tutti vorrebbero sapere; in <i>Genesi</i> 1, 2 si informa il lettore che “prima” lo spirito di Dio aleggiava sulle acque e si allude a una terra informe deserta e a tenebre che ricoprono “l’abisso”, come se fosse scontato per tutti quello di cui si sta parlando. L’inizio semplicemente è spostato un po’ più indietro, poi dopo vaghe allusioni il tutto viene ricoperto di storie. “L’orizzonte del mito non coincide con i concetti-limite della filosofia; esso è il margine del mondo, non il suo limite fisico”. Il mito non parla dell’inizio del mondo, la sua ingegnosa procedura per neutralizzare il bisogno di spiegazioni consiste nel generare oscurità e nel renderla così fitta e impenetrabile da scoraggiare ogni tentativo di illuminazione; l’ambiguità e l’indeterminatezza dell’inizio nel pensiero mitico sono espressione del suo modo di pensare.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; min-height: 15px; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">4.5 Se i processi generativi delle potenze mitiche sono quanto di più contrario ci sia al principio aristotelico secondo cui il simile genera immancabilmente il simile, e, quindi, se tutto può discendere da tutto, quale spiegazione allora è possibile richiedere? Ciò che ci rimane — e per Blumenberg non è affatto poco — è il racconto.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;"><i>Le mille e una notte</i>, uno dei capolavori della letteratura mediorientale, è costituito da storie dentro la storia della bella Shahrazàd, figlia del visir, che notte dopo notte intrattiene il terribile re Shahriyàr con i suoi meravigliosi racconti. Per salvare la vita propria e quella di altre giovani segnate da un triste destino sacrificale la fanciulla non argomenta, né si difende, ma semplicemente racconta, distrae e alletta il re — <i>delectare</i> è il verbo latino che ha in sé questi significati —, fino a portarlo a concepire un nuovo sentimento verso la vita e a mutare i suoi crudeli costumi; la ragazza addirittura diventa la sposa felice del re e madre di tre figli, grazie alle sue storie di vita e di morte, capaci di allontanare il terrore originario e garantire la vita. Le storie non devono arrivare a conclusioni, devono solo non finire.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">In questo senso il mito si può permettere varianti incompatibili senza risentire della contraddizione e dell’antinomia. “Nel mito nessuna storia lascia tracce nella storia successiva, per quanto perfettamente in seguito esse siano state intrecciate l’una con l’altra”. Ciò è reso possibile dall’identità degli dei, intesa come omogeneità di caratteristiche ed effetti collegati a determinate competenze, ed è per ciò che gli dei producono le storie, ma non hanno una storia.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">I modi di procedere del mito sono caratterizzati da varie forme di “complicatezza” (<i>Umständlichkeit</i>); gli dei non sono affatto onnipotenti, per avere ciò che desiderano devono ricorrere a mezzi tortuosi, escogitare astuzie, travestimenti, compromessi. La dilazione delle azioni delle potenze superiori e il loro complicarsi spostano ogni volta il loro contatto con l’uomo, contatto che garantisce sempre e comunque terrore. La divisione dei poteri è attenuazione del potere: l’umanità può tirare un sospiro di sollievo per il fatto che ciò che la trascende deve attenersi a “procedure”, le quali impediscono, complicandone indefinitamente la realizzazione, ogni tipo di arbitrio.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Procedendo in questo modo il mito produce stabilità, dona quiete alla coscienza contro il carattere spaesante del mondo e i suoi risultati sono ottenuti in buona parte grazie all’<i>epos</i> e ai suoi procedimenti estetici: “chi soffre per mano degli dei è Odisseo, che da lungo tempo è ritornato in patria, non il cantore, che fa competere gli dei tra di loro a proposito di Odisseo”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; min-height: 15px; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">4.6 La costanza iconica di un soggetto, espressione dell’antichità arcaica, è l’elemento più caratteristico nella descrizione dei miti e ciò che permette varianti e presenze in tradizioni eterogenee, rendendo possibile la straordinaria vitalità del mito; la stabilità assicura la sua diffusione nello spazio e nel tempo, la sua indipendenza dalle circostanze di ogni luogo ed epoca.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">I mitologemi sono storie non datate e non databili la cui produzione di significatività compensa questa mancanza: una storia può diventare antica, perché in virtù del suo contenuto di verità gode della protezione della memoria, vera e propria facoltà del significativo.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Quello che preme sottolineare è che il mito non è stato ‘inventato’ ma si è ‘fatto da sé’, in quanto forma di pensiero primordiale che si spinge da se stesso all’esistenza; per usare le parole di Schelling, “le rappresentazioni mitologiche […] si producono con necessità, provengono dalla natura più profonda, intima della coscienza”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il mitologema è un “corpo testuale ritualizzato”, il cui nocciolo è costituito da icone capaci di un’inverosimile sopravvivenza, resistente a ogni modificazione, e quando la situazione della ricezione è così mutata unitamente agli elementi periferici del racconto, il nucleo centrale stesso provoca la modificazione sotto forma di nuova interpretazione del senso che può arrivare fino all’inversione totale, alla negazione. </span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">La costanza dei mitologemi deriva del fatto, solo apparentemente semplice e banale, che “i modelli mitici fondamentali sono così pregnanti, così validi, così coinvolgenti, che ci convincono sempre, che ci si presentano come il materiale più adatto ogni volta che cerchiamo quali siano i dati elementari dell’esistenza umana”. </span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">L’antropologia culturale a questo proposito parla di <i>survivals</i>, elementi caratterizzati da persistenza in un nuovo stato di società differente da quello in cui hanno avuto origine, o meglio da quello che la documentazione in nostro possesso ci fa apparire più antico. Questa straordinaria capacità di sopravvivenza di icone e canovacci di storie, capaci di ritrovarsi nella tradizione in quanto la costituiscono, ha portato alla formulazione del concetto di “idea innata”, che ricompare anche nella formulazione della nozione di “archetipo” elaborato dalla psicologia del profondo; “la capacità di sopravvivenza di un materiale inventato si trasforma in un pezzo di natura, e quindi in qualcosa che non può essere ulteriormente indagato”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Per rimanere in una teoria ermeneutica che rigetta qualsiasi forma originaria, o quanto meno la sua conoscibilità, bisogna però liberarsi di un’illusione causata dalla prospettiva temporale e prendere atto del fatto che ciò che nell’ottica dalla storia umana ci appare come primigenio e antichissimo è in realtà, secondo la sua storia immanente, qualcosa di estremamente tardo e cronologicamente vicino a noi; le fonti più antiche di ogni mito a noi disponibili sono scritte da poeti, il che conferma la teoria dell’estetizzazione come difesa dell’uomo, e certo esse sono per noi le più antiche ma, per quanto riguarda il mito, sono le più giovani e soprattutto le più distanti dal passato remoto. </span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;"> Servirsi dei dati paleoantropologici fa sempre un certo effetto: tra i centomila e cinquantamila anni fa circa, ‘qualcuno’ lascia segni tangibili di un comportamento indifferenziato ma che si può già definire religioso ed estetico; la comparsa dell’<i>homo</i> <i>sapiens</i> è da collocarsi all’incirca trentamila anni fa; il Paleolitico termina circa diecimila anni fa con l’uscita dalla fase caccia-raccolta. Una tesi estremamente affascinante quanto discussa è quella ormai classica di Georges Dumézil che, servendosi di un accurato lavoro di comparazione tra mitologemi antichi, ha sostenuto l’esistenza di un patrimonio di storie comune agli indoeuropei, che si sarebbe formato nei primi millenni a.C. e si sarebbe spostato e frammentato seguendo le ondate migratorie indoeuropee, informando di sé elementi religiosi, epici e culturali indiani, iraniani, anatolici, greci, mesopotamici, romani, scandinavi.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Omero ed Esiodo sono per noi l’inizio della tradizione letteraria scritta, ed è paradossale che essi siano, nel loro essere i primi, così maturi, ma il paradosso viene meno se, posti in questa diversa prospettiva, vediamo il mito scritto come il risultato di un processo immemorabile e difficilmente quantificabile. “Omero — chiunque sia stato, e quanti —” trascrisse il meglio della “antica eredità, che forse giudicava in pericolo, delle storie e dei canti che venivano trasmessi da un luogo all’altro”.</span></div>
<div style="min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">4.7 La nostra stessa esperienza del passato in quanto esperienza storiografica crea l’inevitabile distorsione temporale. La scrittura favorisce la costanza, ma essa non ha prodotto ciò che conserva; è la storia scritta che rende possibile alle varianti l’avere un punto di riferimento, creare un qualcosa come una fonte; con le fonti si formano complessi canonici, citazioni obbligatorie, edizioni critiche. Ciò che varia appare come una novità e non prende il posto di ciò che supera ma vi si sovrappone creando la storia letteraria. “La ricezione delle fonti crea le fonti della ricezione”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Ci troviamo di fronte all’enorme asimmetria tra l’epoca della parola parlata e di quella scritta. La trasmissione orale favorisce la pregnanza di ciò che tramanda, in essa ciò che viene conservato ha il carattere dell’indimenticabilità e si ritrova alla fine di un processo irripetibile di selezione che precede la scrittura. Possiamo immaginare l’aedo, il rapsodo che davanti a un pubblico racconta le migliori storie di sempre cercando con precisione e plasticità di divertire e intrattenere, rimodellando continuamente i mitologemi: il cantore è impegnato in una <i>performance</i> che lo pone in un rapporto di <i>feedback</i> immediato con il suo pubblico, sia quello della piazza del mercato o meglio ancora, quello della corte, di notte, il momento più propizio in assoluto per ascoltare interminabili racconti. Queste sono le modalità della genesi dell’<i>epos</i>, che, in seguito a un processo di selezione e collaudo, è una fase del mito: è “lavoro sul mito che presuppone già il lungo lavoro del mito sul materiale primigenio del mondo della vita”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;"> Di tutte le storie raccontate sopravvivono solo quelle che superano un’implicita e nascosta selezione e resistono fino a essere messe per iscritto. La selezione, lunga millenni, opera con diversi criteri su materiale non inventato da nessuno ma conosciuto da tutti, e raccontato da qualcuno estremamente abile. La <i>performance</i> da sola non è sufficiente a far passare determinati contenuti, i quali hanno in sé la loro forza apotropaica che arriva da molto più lontano; il cantore offre <span style="font-family: Times;">“</span>divertimento e distrazione, ma anche qualcosa dell’assicurazione e convalida che un giorno si chiamerà “cosmo””. Il raccontare delle origini, di cosmogonie e teogonie non fa che evocare la stabilità del mondo, rassicurando sulla lontananza ormai remota delle minacce, poiché non si parla dell’età primordiale quanto del suo rapido attraversamento e superamento.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">Il carattere dell’essere mitico non consisterebbe nell’“essere dell’origine”, come ha sostenuto Cassirer, ma, ribadisce Blumenberg ciò che viene definito origine sarebbe in realtà già un aggregato di contenuti e forme che hanno superato la selezione, provenendo da molto lontano e dimostrando la loro solidità rispetto ai processi di logoramento del tempo; la qualità mitica che viene così riconfermata è la stabilità in esso. Ciò che usualmente viene consumato dal tempo può essere sopravvissuto solo grazie alla sua capacità di imprimersi nella memoria. Blumenberg invita a non confondere la “resistenza agli effetti del tempo” con l’“intemporalità”, ribadendo la netta differenza tra il suo concetto di <i>Zeitindifferenz</i> e quello di <i>Zeitlosigkeit</i>, che caratterizza gli ‘archetipi eterni’ proposti dalle teorie di Jünger e Walter Friedrich Otto, connotate da una idea olimpica e aristocratica del mito e della classicità e inesorabilmente destinate a fare del mito uno strumento in mano alle forze regressive e reazionarie. Una critica analoga può essere rivolta allo strutturalismo di Lévi-Strauss: il fatto di definire un mitologema con uno sguardo diacronico mediante l’insieme delle sue versioni significa escludere il fattore temporale e rendere la verità del mito indifferente al passare del tempo. “All’immobilità antistorica della tradizione, al culto dell’arcaico, dove il tempo non può rappresentare se non entropia e degrado delle significazioni mitiche, Blumenberg ha contrapposto l’idea di una produttività storica del mito quale si realizza […], grazie alle sue continue risemantizzazioni, in quel processo funzionale della <i>Unbesetzung</i>, della rinarrabilità di tutte le storie […]”.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;">Ciò che ci è rimasto è il “non datato della durata indefinita, la sua indifferenza rispetto all’usura del tempo”, fino a essere “qualcosa di simile alla immortalità”. In questo senso ogni rimitizzazione, come tentativo di simulare il mito è destinata a fallire a causa dell’irripetibilità delle condizioni che presiedono alla genesi di un mito. Il vulcanismo dell’immaginazione produttiva, caro all’estetica idealista, è assolutamente impotente rispetto al nettunismo della selezione ricettiva, che è all’opera da tempo immemorabile e ha già sempre formato le proprie possibilità elementari. Ogni ricerca dell’origine del mito è una posizione errata del problema, è cecità di fronte al fatto che l’intero patrimonio di soggetti e schemi mitici è passato attraverso la ricezione ed è stato ottimizzato dal suo meccanismo di selezione, permettendo la sopravvivenza di quelle storie che più rendono possibile l’istituzione del mondo-della-vita; questa dinamica è indissolubile dal fatto che la scelta delle interpretazioni del mondo e dei modi di vivere sia sempre già avvenuta e costituisca il fatto di avere una storia. Vedere quale sia il volto che il mondo mostra di volta in volta è possibile solo nell’ambito della soggettività comunicata, nella storia raccontata; la trasmissibilità intersoggettiva è una caratteristica del mito che lo rende capace di costituire il mondo-della-vita e che è estremamente vicina alla validità dell’oggettività di cui la scienza sarà foriera. </span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; text-align: justify; text-indent: 17px;">
<span style="font-size: large;">La dinamica di ricezione e interpretazione che caratterizza il mito, rientra pienamente in una teoria ermeneutica, trovando pieno riscontro nel concetto di “storia degli effetti”; in questo senso il concetto di selezione ha a che fare con i processi di costituzione di un qualcosa come la tradizione nel fatto che un mitologema non è scomparso con le cose dimenticate. Il mitologo non può che essere un ermeneuta che si trova a fare congetture su decisioni riguardo l’oblio e la sopravvivenza di temi, soggetti e storie, tenendo conto del risultato come somma di alternative sconosciute in cui si è tradotta la civiltà; la coscienza stessa del mitologo è riflessa ed è il prodotto della storia degli effetti agenti da sempre su di lui. Non sembrerebbe azzardato affermare che ogni coscienza umana si è costruita sui miti, o, meglio su “quella versione raffinata di mitologia che sta alla base dell’<i>identità nella</i> <i>coscienza</i><span style="font-family: Times;">”</span> stessa.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Assmann</span> J., <i>La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche</i>, Einaudi, Torino 1997.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Blumenberg</span> H<i>., Paradigmi per una metaforologia</i>, Il Mulino, Bologna 1969.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 22.7px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -22.7px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Blumenberg</span> H<i>.,</i> <i>La caduta del protofilosofo o la teoria della comicità pura</i>, Pratiche, Parma 1983.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Blumenberg</span> H<i>., La leggibilità del mondo: il libro come metafora della natura</i>, Il Mulino, Bologna 1984.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 22.7px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -22.7px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Blumenberg</span> H<i>., Naufragio con spettatore: paradigma di una metafora dell’esistenza,</i> Il Mulino, Bologna 1985.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Blumenberg</span> H<i>., Le realtà in cui viviamo</i>, Feltrinelli, Milano 1987.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 22.7px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -22.7px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Blumenberg</span> H<i>., Il riso della donna di Tracia</i>, Il Mulino, Bologna 1988.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 22.7px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -22.7px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Blumenberg</span> H<i>., Pensosità</i>, Elitropia, Reggio Emilia 1988.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 22.7px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -22.7px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Blumenberg</span> H<i>., L</i>’a<i>nsia si specchia sul fondo, </i>Il Mulino, Bologna 1989.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Blumenberg</span> H<i>., Elaborazione del mito,</i> Il Mulino, Bologna 1991.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Blumenberg</span> H<i>., La legittimità dell’età moderna</i>, Marietti, Genova 1992.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Blumenberg</span> H<i>., Passione secondo Matteo, </i>Il Mulino, Bologna 1992<i>.</i></span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Blumenberg</span> H<i>., Tempo della vita</i> <i>e tempo del mondo,</i> Il Mulino, Bologna 1996.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 17px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -17px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Borsari</span> A., <i>Hans Blumenberg. Mito, metafora, modernità</i>, Il Mulino, Bologna 1999.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Carchia</span> G., <i>Mito. Esperienza del presente e critica della demitizzazione</i>, in “Aut aut”, n. 243-244, Firenze 1991.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Carchia</span> G., <i>Nota alla controversia sulla secolarizzazione</i>, in “Aut aut<i>”</i>, n. 222, Firenze, 1987, pp. 67-70.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Cassirer</span> E., <i>Filosofia delle forme simboliche</i>, vol. II, <i>Il pensiero mitico</i>, La Nuova Italia, Firenze 1964.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Cassirer</span> E., <i>Mito e concetto, </i>La Nuova Italia,<i> </i>Firenze 1992.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Cometa</span> M. (a cura di), <i>Mitologie della ragione, Letteratura e miti dal Romanticismo al Moderno,</i> Studio Tesi, Pordenone 1989.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 22.7px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -22.7px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Cometa</span> M., <i>Iduna. Mitologie della ragione</i>, Novecento, Palermo 1984.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Cometa</span> M., <i>Mitologie dell’oblio</i>, in <span style="text-decoration: underline;">Borsari</span> A., <i>Hans Blumenberg. Mito, metafora, modernità</i>, Il Mulino, Bologna 1999.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Cuniberto</span> F., <i>Mitologia della ragione o supplemento d’anima</i>, in “Aut aut<i>”</i> n. 243-244, Firenze 1991.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Frank</span> M., <i>Il dio a venire</i>. <i>Lezioni sulla Nuova Mitologia</i>, Einaudi, Torino 1994.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Fuhrmann</span> M. (a cura di), <i>Terror und Spiel</i>. <i>Probleme der Mythenrezeption, </i>W. Fink Verlag, München 1971.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 22.7px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -22.7px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Gabetta</span> G., <i>Filosofia dell’immemoriale e lavoro del mito</i>, in “Aut aut<i>”,</i> n. 243-244, Firenze 1991, pp. 29-41.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Gadamer</span> H. G., <i>Verità e metodo, </i>Bompiani, Milano 1983.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Gehlen</span> A., <i>L’uomo, la sua natura e il posto nel mondo</i>, Feltrinelli, Milano 1990.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Givone</span> S., <i>Poesia, favola, verità</i>, in “Aut aut”<i> </i>n. 243-244, Firenze 1991, pp. 11-27.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Hübner</span> K., <i>La verità del mito</i>, Feltrinelli, Milano 1990.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Husserl</span> E., <i>Kant und die Idee der Traszendentalphilosophie</i>, in <i>Gesammelte Werke</i>, Den Haag 1950 ss., vol. VII.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Husserl</span> E., <i>La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale</i>, Il Saggiatore, Milano 1975.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Kolakowski</span> L., <i>Presenza del mito</i>, Il Mulino, Bologna 1992.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 42.5px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -42.5px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Marquard</span> O., <i>Apologia del caso,</i> Il Mulino, Bologna 1991.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; margin-left: 17px; margin-top: 4px; text-align: justify; text-indent: -17px;">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Rovatti</span> P. A., <i>Blumenberg: “Il naufragio” </i>in <i>Il declino della</i> <i>luce, </i>Marietti, Genova 1988, pp. 112-22.</span></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman';">
<span style="font-size: large;"><span style="text-decoration: underline;">Wetz</span> F. J.<i>, Hans Blumenberg zur Einführung,</i> Junius Verlag, Hamburg 1993.</span></div>
<br />
<div style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 12px; min-height: 15px;">
<br /></div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-34761263917642552332014-03-27T22:09:00.002+01:002014-03-27T22:27:29.592+01:00Sullo 'strutturalismo diacronico' in Jesi<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;">Recupero dalla tesi di dottorato i paragrafi finali, in cui si parla di Jesi e il post-strutturalismo, e anche Foucault, sollecitato da un dialogo sorto tra amici dell'immaginario, con cui ci si legge ogni giorno e ci si vede molto meno di quello che si dovrebbe. </span><br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;">In sintesi, Jesi cita una sola volta Foucault direttamente, presumibilmente riferendosi alla <i>Storia della follia</i>, proponendolo come un modello per una storia della cultura e delle idee che tenga conto delle interazioni tra i saperi condivisi all'interno di una società. Da interviste con chi ci ha lavorato sappiamo che ne conosceva i testi e il valore politico.</span><br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;">Il resto dipende molto dallo sviluppo teorico che ne ha fatto Agamben. Bidussa sottolinea molto la somiglianza con il lavoro e il metodo di Georg Mosse; personalmente credo che molto dipenda anche da </span><span style="font-size: large;">Barthes, da una lettura meditata di Lévi-Strauss, dalla semiotica militante legata alla riflessione politica (Rossi Landi, Eco) e da qualcosa di impalpabile ma profondamente diffuso e leggibile in tutta un'area e un periodo.</span><br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;">A margine, mi piacerebbe sapere - e proverò a indagare - nello specifico se Jesi avesse commentato con qualcuno la rivoluzione islamica in Iran nel 1979, che Foucault seguiva per il <i>Corriere della sera</i> (cfr. Belpoliti, 2014, link sotto), per il rapporto tra religione e politica, senza contare l'uso del mito e del martirio della specifica <i>religio mortis</i> sciita che è alla radice del 'recupero' del terrorismo suicida. Fosse rimasto vivo dopo il 1980 l'avrebbe visto, ne sono sicuro.</span><br />
<br />
<br />
<a href="http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=2123">http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=2123</a><br />
<br />
<a href="http://www.doppiozero.com/materiali/anteprime/la-chiave-del-paradiso">http://www.doppiozero.com/materiali/anteprime/la-chiave-del-paradiso</a><br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-i2qQmBA7kHk/UzSSBf-rSLI/AAAAAAAAAU4/4mSt3pThnM8/s1600/foucault-1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://2.bp.blogspot.com/-i2qQmBA7kHk/UzSSBf-rSLI/AAAAAAAAAU4/4mSt3pThnM8/s1600/foucault-1.jpg" height="448" width="640" /></a></div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">5.6
</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Memoria
e violenza</i></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Ogni
società nasce ai propri occhi nel momento in cui si dà la
narrazione della sua violenza. […] La narrazione agisce e cambia
l’azione stessa mentre la racconta. La narrazione </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>agisce</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
sulla sua </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>azione</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
raccontata. Per tale motivo, cambiando ciò che essa racconta, essa
cambia se stessa raccontando. La narrazione come oggetto che cambia,
e che cambia il suo oggetto: ecco il prima assioma, o la serie
assiomatica da cui si dovrà procedere</span></span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><span style="color: black;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote1sym" name="sdfootnote1anc"><sup>1</sup></a></span></span></sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Il cristallo, la
pietra o la statua sono le metafore operative di processi culturali
che implicano l’uso della grande simbolica pubblica e che indicano
i luoghi comuni condivisi nella società di massa, la prima che ha
dispiegato l’enorme potenziale comunicativo offerto da nuovi mezzi
tecnici: in questo modo Jesi ha potuto contribuire a descrivere i
«meccanismi perlocutivi della morte come grammatica generativa del
senso di potenza»</span></span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><span style="color: black;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote2sym" name="sdfootnote2anc"><sup>2</sup></a></span></span></sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
grazie ai quali il nesso tra memoria funeraria e eroismo si ritrova
rinsaldato nell’«immaginario collettivo della morte», tanto nella
«catena logica dei segni» che la descrivono e quanto nella sua
«sintassi perlocutiva (ovvero i modi e le articolazioni comunicative
di tali segni)»</span></span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><span style="color: black;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote3sym" name="sdfootnote3anc"><sup>3</sup></a></span></span></sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">.
In questa articolazione storico-ideologica rientra anche la nozione
del tempo mitico dell’eterno ritorno, fatto valere in chiave
comunitaria laddove</span></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> il
riferimento al passato è premessa per un futuro assetto, una nuova
versione del valore palingenetico del mito risacralizzato nel
politico. </span>
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Sulla scorta di
Benjamin Jesi ha inteso contrapporre la «politicizzazione
dell’estetica» all’«estetizzazione della politica»</span></span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><span style="color: black;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote4sym" name="sdfootnote4anc"><sup>4</sup></a></span></span></sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">:
</span></span><span style="font-family: Garamond, serif;">«non solo non si troverà
[in lui] l’abbandono della storia del pensiero e della critica
ideologica a favore di uno “status estetico” del mito, [egli] si
è impegnato per tutta la vita a mettere in guardia dal pericolo
ideologico insito in tutte le teorie del mito apolitiche»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote5sym" name="sdfootnote5anc"><sup>5</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Intendendo la decostruzione della storia del mito e delle mitologie
in senso profondamente etico e politico, il senso del suo lavoro
culturale si trova ricomposto nel discorso sulla costruzione borghese
del passato, che solca la storia della modernità fino alla cultura
di massa: ogni riga, dai saggi alle traduzioni alle pagine di
enciclopedia, vibra di pedagogia ‘illuminista’ poiché il
discorso prima sul fascino dell’antico e poi sull’omogeneizzazione
della cultura è anche una critica della divulgazione e della
semplificazione, funzionali alle logiche del potere. È in questa
direzione, accanto ad altri congegni di ordine sociale e culturale,
che la ‘macchina mitologica’ trova la sua ultima collocazione.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; page-break-before: always;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">5.6.1 </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>L</i></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>a
critica del linguaggio</i></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">L’ideologia è lo sfondo intellettuale
comune a più ambiti della cultura di una società o di un’epoca:
ogni forma di sapere, lungi dall’essere neutre, incorporano visioni
del mondo e si configura in termini storici come paradigma il cui
successo deve essere letto in rapporto al potere dominante, il quale
potrà servirsi del monopolio di quel sapere come forma di
legittimazione del proprio dominio. </span><span style="font-family: Garamond, serif;">Mentre
Lévi-Strauss e Dumézil hanno costruito sistemi teorici separando la
morfologia della cultura dalla sua genesi e dalla sua funzione di
dominio, in un approccio marxista forma, origine e funzione di
un’ideologia appaiono sovrapposte e coincidenti: uno dei
presupposti della «teoria della riproduzione socio-culturale» è
che gli elementi ideologici riproducano in forma larvata il campo
sociale in cui sono prodotti, servendo gli interessi dei gruppi che
costituiscono la società</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote6sym" name="sdfootnote6anc"><sup>6</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Si è già visto come nell’indagine
sul mito svolta da Jesi siano presenti: la ricerca di una genesi
storica dei fenomeni dal dichiarato valore anti-metafisico; la
delineazione di una teoria metapsicologica che implica la
rielaborazione di materiali cognitivi da parte di soggetti culturali
immersi nel dinamismo storico; l’individuazione di una storia della
ricezione che ne privilegia la funziona politica. </span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">In
questo senso Jesi ha elaborato la sua via personale alla sintesi di
marxismo e di antropologia che ha caratterizzato i suoi anni
sfociando in una semiolinguistica critica il cui intento è stato
quello di costruire una «controcultura»</span></span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><span style="color: black;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote7sym" name="sdfootnote7anc"><sup>7</sup></a></span></span></sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">.
L’analisi del linguaggio significa critica al pregiudizio
naturalistico e conservatore che assuma come ipostasi extrastoriche
quelle che sono istituzioni culturali specifiche di una determinata
organizzazione sociale</span></span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><span style="color: black;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote8sym" name="sdfootnote8anc"><sup>8</sup></a></span></span></sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">:
congiungendo Marx con Sapir e Benveniste la stessa canonizzazione
della cultura europea diventa il luogo di trasformazione della
metafisica classica in volto necessario della verità. Lo studio
della significazione</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">mette
capo al valore d’uso dei saperi</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">che
si</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">determina
storicamente e quindi alla loro decostruzione ideologica: obiettivo è
lo svelamento dei presupposti materiali per i quali alcuni
significati si sono sedimentati nel codice linguistico di una
comunità istituzionalizzandosi attraverso il linguaggio. Contro il
sapere che limitandosi alla descrizione della realtà amplifica
l’ideologia dominante la teoria critica mette in evidenza i
processi di costruzione ideologica associandola alle strutture
economico-sociali che ne spiegano la diffusione.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Con il concetto di
‘logotecnica’ Barthes ha designato le categorie costituenti
l’impalcatura di un determinato sistema culturale, trasformando
tutti i fatti significanti in oggetti della semiotica</span></span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><span style="color: black;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote9sym" name="sdfootnote9anc"><sup>9</sup></a></span></span></sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">:
il sistema sociale si regge sugli individui, i parlanti nella cui
lingua e nel cui agito i codici prendono vita e si modificano,
all’interno di rapporti comunicativi, permettendone la
riproduzione. Barthes teorizza una «nuova scienza linguistica»
volta a indagare «il progresso della solidificazione»,
«l’ispessimento lungo il discorso storico» delle parole, che
sarebbe stata «sovversiva» nella misura in cui avrebbe mostrato
«molto più che l’origine storica della verità: la sua natura
retorica, di linguaggio»</span></span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><span style="color: black;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote10sym" name="sdfootnote10anc"><sup>10</sup></a></span></span></sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">.
La demistificazione ideologica traccia la specificazione storica dei
codici culturali: tematizzare le produzione sociale che li ha
originati, mostrandone gli elementi di interesse attraverso
l’individuazione dei motivi di canonizzazione. Nonostante tutte le
prese di distanza da ogni corrente o prospettiva metodologica e le
dichiarazioni di volersi attenere a un basso profilo, la teoria
jesiana appartiene al suo tempo. La miticità in un sistema di segni
è l’aura di valore prodotta dalla macchina mitologica in virtù
della sua circolazione, secondo un processo che politicizza e porta
alle estreme conseguenze quanto era implicito nel programma
strutturalista: «Tutte le opere individuali sono miti in potenza, ma
è la loro assunzione in chiave collettiva che attualizza
all’occorrenza la loro “miticità”»</span></span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote11sym" name="sdfootnote11anc"><sup>11</sup></a></span></sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-right: 1.25cm; orphans: 0; text-indent: 1.25cm; widows: 0;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Così Jesi in uno degli ultimi scritti:</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm; margin-top: 0.9cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">La
scienza del mito nella mia prospettiva tende ad attuarsi come scienza
delle riflessioni sul mito, dunque come analisi delle diverse
modalità di non-conoscenza del mito. La scienza della mitologia, per
il fatto di consistere nello studio dei materiali mitologici in
quanto tali, tende ad attuarsi innanzitutto come scienza del
funzionamento della macchina mitologica, dunque come analisi della
intera e autonoma circolazione linguistica che rende mitologici quei
materiali. Uso la parola mitologia per indicare appunto tale
circolazione linguistica e i materiali che la documentano. [...] Sono
invece convinto che, per me oggi, il modo migliore di collocarmi di
fronte ai meccanismi e alle produzioni mie e degli altri, antichi o
contemporanei, consista nel riconoscere in alcune di quelle
proposizioni un linguaggio non riducibile ad altri, assolutamente
autonomo “riposante in se stesso” (Bachofen), dotato di alcune
caratteristiche definibili con approssimazioni estremamente vaghe se
– com’è inevitabile per </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>definirle</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
– si ricorre ad altro linguaggio</span></span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><span style="color: black;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote12sym" name="sdfootnote12anc"><sup>12</sup></a></span></span></sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></span><br />
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm; margin-top: 0.9cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">5.6.2</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
Essere fatti dalla storia</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Bidussa sottolinea come la ricerca sul
rapporto tra sapere e potere in Jesi possa essere avvicinata a quella
di Foucault, in particolare per ciò che riguarda una interrogazione
dei testi intesa come «storia della loro formazione culturale, dei
segni in essi contenuti e delle macchine testuali cui essi rinviano,
della serialità entro cui si collocano»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote13sym" name="sdfootnote13anc"><sup>13</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.
</span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Citando
Foucault lo stessi Jesi dichiara la necessità di studiare i processi
di conoscenza in relazione alle «interazioni» tra «tutte le
componenti della storia sociale, culturale, economica dei gruppi
umani»</span></span><sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote14sym" name="sdfootnote14anc"><sup>14</sup></a></span></span></sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
sull’esempio di una storia della medicina come quella proposta dal
filosofo francese; </span></span><span style="font-family: Garamond, serif;">la loro
affinità è anche nel metodo comune che affronta il divenire
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>monumento</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
del </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>documento</i></span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote15sym" name="sdfootnote15anc"><sup>15</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Come scrive Le Goff già il progetto degli «Annales d’histoire
économique et sociale» dal 1929 implicava l’allargamento della
nozione di documento che si accompagna all’immensa dilatazione
della memoria storica; Paul Zumthor nel 1960 rilevava come il
passaggio «che cambia il documento in monumento» sia «la sua
utilizzazione da parte del potere»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote16sym" name="sdfootnote16anc"><sup>16</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">,
tale da rendere la funzione di ‘intercomunicazione’ soprattutto
quella di ‘edificazione’: «il documento [...] è un prodotto
della società che lo ha fabbricato secondo i rapporti di forza che
in essa detenevano il potere»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote17sym" name="sdfootnote17anc"><sup>17</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Nel 1969 ne </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>L</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’a</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>rchéologie
du savoir</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> Foucault ha messo
in luce l’importanza dell’analisi dell’archivio, ovvero del
modo in cui la storia viene collocata e concepita nella sua
restituzione:</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">la
storia è un certo modo che una società ha di dare statuto ed
elaborazione a una massa documentaria da cui non si separa. [...] la
storia nella sua forma tradizionale, si dedicava a “memorizzare i
monumenti del passato e a trasformarli in documenti e a far parlare
in se stesse quelle tracce, che in se stesse non sono affatto
verbali, o dicono tacitamente cose diverse da quello che dicono
esplicitamente; oggi invece la storia è quella che trasforma i
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>documenti</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
in </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>monumenti</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
e che, laddove si decifravano delle tracce lasciate dagli uomini e si
scopriva in negativo ciò che erano stati, presenta una massa di
elementi che bisogna poi isolare, raggruppare, rendere pertinenti,
mettere in relazione, costruire in insiemi. [...] Oggi il problema è
quello di costruire delle serie [...] di descrivere i rapporti tra
serie diverse, per costruire delle serie di serie, o dei quadri: da
ciò il moltiplicarsi degli strati, il loro disarticolarsi, la
specificità del tempo e delle cronologie loro proprie</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote18sym" name="sdfootnote18anc"><sup>18</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">L’archivio di Foucault, come i
materiali studiati da Jesi, prende l’aspetto di «corpo dinamico
relativo alle regole della sua costruzione», il cui fuoco è la
«macchina generativa» che fornisce l’unità del suo oggetto a
partire dal modo «in cui questo viene descritto e raccontato»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote19sym" name="sdfootnote19anc"><sup>19</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">:
la storia delle idee è un’impresa di ricostruzione interessata al
contesto, ovvero all’individuazione delle cause che hanno portato
determinati autori a sostenere un certo tipo di idee; ma è anche
studio della ricezione nel tempo, ovvero del modo in cui le idee
sopravvivono a loro stesse e retroagiscono su epoche successive e
diverse, diventando altro.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Il
documento non è innocuo. È il risultato prima di tutto di un
montaggio, conscio o inconscio, della storia dell’epoca, della
società che l’hanno prodotto, ma anche delle epoche successive
durante le quali ha continuato a vivere, magari dimenticato, durante
le quali ha continuato a essere manipolato magari dal silenzio. Il
documento è una cosa che resta, che dura e la testimonianza,
l’insegnamento [...] che reca devono essere in primo luogo
analizzate demistificandone il significato apparente. Il documento è
monumento. È il risultato dello sforzo compiuto dalle società
storiche per imporre al futuro – volenti o nolenti – quella
immagine data di se stesse. Al limite, non esiste un
documento-verità. Ogni documento è una menzogna. Sta allo storico
non fare l’ingenuo</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote20sym" name="sdfootnote20anc"><sup>20</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">La canonizzazione storica che ogni epoca
produce ricostituisce il passato in una forma strutturata di sapere
che è solidale con il presente, in senso inevitabilmente ideologico
e fondazionale. Ciò che si presenta come Verità deve essere inteso
dunque come la convergenza delle linee differenti che costituiscono
il dispositivo sociale della comunicazione. Accanto alla storia come
disciplina scientifica che perfeziona continuamente il suo metodo, il
sapere contemporaneo deve tenere conto che la storia </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>in
quanto</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> storiografia è anche
una versione mitologica del passato:</span><span style="font-family: Garamond, serif;">
l</span><span style="font-family: Garamond, serif;">a macchina mitologica sta
al centro di un’indagine di fenomenologia dell’agire collettivo –
ovvero sulla trasposizione del mito in atti percepiti e pensati come
loro</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i> </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">traduzione
coerente – che come quella foucaultiana riguarda il</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">nesso
tra le </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>strategie
di istituzionalizzazione</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
(le modalità attraverso cui gli individui soggettivano la norma, la
riferiscono a se stessi e se ne impossessano) e le </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>forme
di soggettivazione</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
(la formazione di uno stile di vita; altrimenti l’analisi di come
si produce la personalità etica, ovvero le regole che fondano la
soggettività)</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote21sym" name="sdfootnote21anc"><sup>21</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; text-indent: 1.25cm; widows: 0;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">La cultura socialmente condivisa
interviene a costituire l’identità dell’individuo, senza
sovradeterminarla, ma sorreggendola e orientandola, con modalità che
sulla base del livello di intensità potranno essere più o meno
performative. Il dispositivo culturale comunica i suoi contenuti, e
nello stesso tempo metacomunica le forme della sua espressione, nel
mito particolarmente performative: il “linguaggio delle idee senza
parole” di ogni mitologia moderna può esprimere attraverso la
forma in cui i significati sono veicolati l’idea stessa di
appartenenza e di intuizione, saltando la mediazione intellettuale e
spingendo all’azione.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm; margin-top: 0.9cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Il
mito è il montaggio del testo: più precisamente: </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>la
condizione che permette a un testo di presentarsi e accreditarsi come
verità</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Per questa via il mito non è il racconto, ma è la condizione del
raccontare, poi diviene le metafore in esso contenute, infine il
reticolo immaginario che lo sostiene e che lo fa apparire come
logico. In altri termini ciò che egli chiama mito è una condizione
testuale, un vincolo che lega sia chi costruisce il testo, sia chi lo
riceve attraverso una mediazione fondamentale: chi detiene il potere,
come arbitro o gestore del rapporto presente/passato, della memoria,
della sua formalizzazione, del reticolo gerarchico che in essa si
struttura, della forma discorsiva con cui esso si comunica. [...] Il
mito non è solo, né principalmente un racconto che rende digeribile
il presente, ma è il modo in cui una comunità riconosce se stessa e
comunica la sua sostanza all’interlocutore con cui entra in
rapporto o in conflitto</span></span><sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote22sym" name="sdfootnote22anc"><sup>22</sup></a></span></span></sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-top: 0.9cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-top: 0.9cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">5.6.3</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
La macchina mitologica come dispositivo</i></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; text-indent: 1.25cm; widows: 0;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Numerosi sono gli elementi che inducono
a vedere nel funzionamento della macchina mitologica, in particolare
per come è articolato nei testi più recenti, una forte analogia con
ciò che Foucault ha chiamato «dispositivo». Nel 1977 il filosofo
francese definiva con questo termine</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">un
insieme assolutamente eterogeneo che implica discorsi, istituzioni,
strutture architettoniche, decisioni regolative, leggi, misure
amministrative, enunciati scientifici, proposizioni filosofiche,
morali e filantropiche, in breve: tanto del detto che del non-detto,
ecco gli elementi del dispositivo. Il dispositivo è la rete che si
stabilisce fra questi elementi [...] di natura essenzialmente
strategica, il che implica che si tratti di una certa manipolazione
dei rapporti di forza, di un intervento razionale e concertato nei
rapporti di forza, sia per orientarli in una certa direzione, sia per
bloccarli, o per fissarli e utilizzarli. Il dispositivo è sempre
iscritto in un gioco di potere e, insieme, sempre legato a dei limiti
del sapere, che derivano da esso, e nella stessa misura, lo
condizionano. Il dispositivo è appunto questo: un insieme di
strategie di rapporti di forza che condizionano certi tipi di sapere
e ne sono condizionati</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote23sym" name="sdfootnote23anc"><sup>23</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Secondo la definizione di Deleuze un
dispositivo è una «matassa, un insieme multilineare, composto di
linee di natura diversa» che «tracciano processi in perenne
disequilibrio», tali da concatenarsi in maniera differente e
costituire il plesso «Sapere, Potere e Soggettività»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote24sym" name="sdfootnote24anc"><sup>24</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Per Agamben dispositivo è la rete che si stabilisce tra gli elementi
di un insieme eterogeneo, includente elementi di cultura materiale e
immateriale, dotata di «una funzione strategica concreta» inscritta
in una «relazione di potere» e come tale risultante «dall’incrocio
di relazioni di potere e relazioni di sapere»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote25sym" name="sdfootnote25anc"><sup>25</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Il sistema culturale di una società in un determinato momento
storico risulta costituito da più dispositivi: al centro
dell’indagine è «la relazione fra gli individui come esseri
viventi e l’elemento storico, intendendo con questo termine
l’insieme delle istituzioni, dei processi di soggettivazione e
delle regole in cui si concretizzano le relazioni di potere»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote26sym" name="sdfootnote26anc"><sup>26</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.
La nozione di dispositivo – «il modo in cui sono disposti i pezzi
di una macchina o di un meccanismo e per estensione, il meccanismo
stesso»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote27sym" name="sdfootnote27anc"><sup>27</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">
– «nomina ciò in cui e attraverso cui si realizza una pura
attività di governo senza alcun fondamento dell’essere»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote28sym" name="sdfootnote28anc"><sup>28</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">
e descrive così le modalità «di prassi, di saperi, di misure, di
istituzioni il cui scopo è di gestire, governare, controllare e
orientare in un senso che si pretende utile i comportamenti, i gesti
e i pensieri degli uomini»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote29sym" name="sdfootnote29anc"><sup>29</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">In un recente saggio
sull’argomento Nicola Bucci fornisce una lettura della macchina
mitologica in sostanziale continuità con questa:</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">se
il mito è il prodotto di una macchina antropologica e non una
sostanza reale, allora non esiste mito o mitologema che non sia
tecnicizzato (in questo senso, si potrebbe leggere la ‘macchina
mitologica’ esattamente nel senso di quei dispositivi sottesi alla
costituzione stessa del soggetto che Foucault chiama tecnologie del
sé)</span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">.
[...] </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Una
macchina mitologia è un dispositivo, esattamente nell’accezione
foucaltiana, che articola una molteplicità di pratiche discorsive
dalle quali, in una certa misura, dipende l’antropogenesi del
soggetto</span></span><sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote30sym" name="sdfootnote30anc"><sup>30</sup></a></span></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Quando Jesi descrive il funzionamento
della macchina mitologica intende mostrare come mitopoiesi sia anche
l’istituzione di saperi attraverso cui gli uomini nel tempo
costruiscono un mondo dotato di senso e di significato</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote31sym" name="sdfootnote31anc"><sup>31</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">
che include stratificazione sociale, rapporti di subordinazione e
logiche di dominio. Accanto alla necessità della critica Jesi ha
posto l’impossibilità di uscire dal circuito della macchina
mitologica: la denuncia politica della manipolazione del linguaggio è
anche la constatazione teoretica dell’impossibilità di uscire da
esso. </span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">L’uso
dei codici culturali da parte di un soggetto implica la loro
ri-produzione e messa in circolo; ogni analisi della soggettività
trascendentale si scontra con l’impossibilità di uscire dal
linguaggio che da quella stessa soggettività è prodotto. </span></span><span style="font-family: Garamond, serif;">I
processi culturali si verificano all’interno di un dispositivo
sociale linguisticamente determinato nel quale gli individui sono
immersi e da cui risulterà il «il sé» come «processo di
individuazione che si esercita si gruppi o su persone» ma tale anche
da potersi «sottrarre ai rapporti di forza stabiliti come pure ai
saperi costituiti»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote32sym" name="sdfootnote32anc"><sup>32</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Le medesime forme del sapere/potere espresse da un’epoca sono al
tempo stesso la condizione per il cambiamento e l’innovazione: la
dimensione pragmatica del linguaggio non coincide con una nozione di
strumentalità totale, esattamente così come la </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>langue</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
fonda la possibilità che si dia la </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>parole,
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">già per</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">Saussure: se la prima è il
sistema di segni collettivo e universale che l’individuo trova
disponibili e non può creare né modificare, la seconda è l’aspetto
creativo del linguaggio. Questo dipende dal singolo individuo, poiché
è l’«atto di volontà e intelligenza» che ognuno può
rielaborare in modo creativo</span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
a partire dai materiali cognitivi di cui dispone</span></span><sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote33sym" name="sdfootnote33anc"><sup>33</sup></a></span></span></sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Il linguaggio è «la più collettiva di tutte le istituzioni» ma
«anche la più privata»</span></span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><span style="color: black;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote34sym" name="sdfootnote34anc"><sup>34</sup></a></span></span></sup><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Il mito o simbolo, nell’accezione in
cui Jesi l’ha inteso, può essere dal punto di vista teoretico un
atto inventivo ‘originario’ solo perché emerge dalle macerie del
pregresso, nei termini di un’«improvvisazione che si appoggia a
una sapere implicito e ubbidisce a regole inconsce»: «affermando
che il simbolismo è un dispositivo cognitivo [...] ci troviamo di
fronte a un dispositivo autonomo che partecipa della costituzione del
sapere e al funzionamento della memoria insieme ai meccanismi della
percezione e al dispositivo concettuale»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote35sym" name="sdfootnote35anc"><sup>35</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Applicando questo principio all’interno di una teoria antropologica
della cultura moderna, che include il modo in cui il sapere
storiografico interagisce con i saperi del tempo presente, si ha così
nell’opera di Jesi la pratica di una teoria della ricezione in cui
l’archeologia del sapere come «storia critica» diventa una sorta
di «terapia mirante al recupero dell’inconscio inteso come
“rimosso” storico»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote36sym" name="sdfootnote36anc"><sup>36</sup></a>
</span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">che ricorda da vicino il
progetto benjaminiano di restituzione del passato a nuova vita. Come
per il critico berlinese, </span><span style="font-family: Garamond, serif;">si
tratta di una «tendenza, allo stesso tempo distruttiva e
ricostruttiva» che «si fonda su una facoltà mimetica</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">intenta a stabilire
connessioni e similitudini straordinarie tra le cose (citazioni,
oggetti, parole, concetti e idee) sottratte alle rovine del loro
originario contesto funzionale di appartenenza»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote37sym" name="sdfootnote37anc"><sup>37</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">In questo senso il concetto di macchina
mitologica permette di riconoscere come gli stessi meccanismi di
nominazione e comunicazione che operano nella sfera dell’immaginario
collettivo e sociale siano «spia indiziaria del meccanismo
associativo della mente»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote38sym" name="sdfootnote38anc"><sup>38</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.
«L’‘io’ non è un’entità presupposta, depositaria di un
segreto ontologico, ma coincide con la sua storia, col racconto che
egli fa. Il soggetto non è altro, in questa prospettiva, che il
prodotto della macchina mitologica, in quanto essa è in prima
istanza autobiografica»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote39sym" name="sdfootnote39anc"><sup>39</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Il soggetto pensante si rapporta alla
propria cultura come a un archivio o un repertorio, la cui
difettività o intermittenza è colmata dalla coscienza che coglie la
realtà nella continuità del pensato:</span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
dispositivo è anche il sistema teorico elaborato dal pensatore come
fabbricatore di concetti o dallo scrittore come produttore di
immagini che appartiene al più ampio dispositivo culturale della
cultura, o delle culture, di un epoca. Ogni essere umano non può che
essere il risultato della catena di ricezione di discorsi, idee,
immagini e dei ‘testi’ che lo hanno preceduto:</span></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
la macchina mitologia-individuo interagisce con la macchina
mitologica-cultura.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; text-indent: 1.25cm; widows: 0;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Rifiutando esplicitamente di elaborare
una teoria generale della cultura, Jesi l’ha però intensamente
praticata e implicitamente tratteggiata in modo ampio e diffuso. In
questo senso la sua personale ermeneutica può essere definita</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">un
modo molto mascherato di comporre per citazioni una sorta di
autoritratto paradossale, fluido nel gioco di “commozione” e
“distanza”, che caratterizza altresì il suo approccio al mito.
Scienza del mito, critica letteraria e pedagogia costituiscono cioè
un intreccio solidale che caratterizza la sua immagine di studioso e
di “sapiente”</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote40sym" name="sdfootnote40anc"><sup>40</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Nel 1980, in una lettera privata,
scriveva di non confondere la propria reticenza teorica con una forma
di nichilismo: «non è una semplice copertura di “valorismo”, ma
è preoccupazione di non sciupare valori stringendoli dentro le
gabbie delle definizioni e degli apparati operativi». La pratica
della riflessione condivisa e della scrittura, la critica e
l’ermeneutica, erano per lui un «parlare </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>con
gli altri</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> che è un
confonderli-illuminarli-metterli in crisi» del tutto simile al
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>proprio</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
«confondersi-illuminarsi-mettersi in crisi». Da questa condizione
di confusione-illuminazione-crisi si genera ogni rapporto personale
con i significati, secondo un’idea di interpretazione che, pur
essendo «già una formula», ha come senso ultimo la perorazione di
una «non formula, l’emozione, il vivere-uomini permanente»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote41sym" name="sdfootnote41anc"><sup>41</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span></div>
<div id="sdfootnote1">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote1anc" name="sdfootnote1sym">1</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">J. P.
Faye, </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Violenza</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Enciclopedia
Einaudi</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
vol. XIV, cit., pp. 1081, 1101. Cfr. D. Bidussa, </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Epifanie
del mito. La funzione del mito nella ricerca di Furio Jesi e di
George L. Mosse</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
testo dell’intervento al convegno </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Furio
Jesi: Mito e antropologia</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
Ferrara, 10-11 maggio 1991. Atti inediti conservati presso
l’Archivio del centro etnografico ferrarese (privi di
numerazione).</span></span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote2">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote2anc" name="sdfootnote2sym">2</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">D.
Bidussa, </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>La
macchina mitologica</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
In «Immediati dintorni», cit., p. 305.</span></span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote3">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote3anc" name="sdfootnote3sym">3</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Id</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>La
ricerca storica e la questione del mito</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
cit., pp. 158. </span></span><span style="font-family: Garamond, serif;">Cfr. A. M.
Banti, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>L'onore della nazione.
Identità sessuali e violenza nel nazionalismo europeo dal XVIII
secolo alla Grande guerra</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
Einaudi, Torino, 2005, in particolare pp. 377-78, studio, con
particolare riferimento alla storia letteraria, sui «dispositivi
discorsivi» relativi ai concetti di «nazione» e «discendenza»
delle grandi narrazioni nazionali.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote4">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote4anc" name="sdfootnote4sym">4</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
W. B</span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">enjamin,
</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>L</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>opera
d</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>arte
nell</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>epoca
della sua riproducibilità tecnica</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
(1936), ed. it. Einaudi , Torino, 2000, pp. 46-48.</span></span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote5">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote5anc" name="sdfootnote5sym">5</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
M. Gigliotti, C. Rapisarda e F. Sepe, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Mythenforschung
und Ideologiekritik bei Furio Jes</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">i,
in F. Jesi,</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i> Kultur von
rechts</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, cit., p. 239.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote6">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote6anc" name="sdfootnote6sym">6</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
Bourdieu, che in tal senso può essere considerato paradigmatico,
scrive: «I sistemi ideologici che gli specialisti producono
attraverso e in vista della lotta per il monopolio della produzione
ideologica legittima, riproducono sotto una forma irriconoscibile,
attraverso la mediazione dell’omologia tra il campo di produzione
ideologica ed il campo delle classi sociali, la struttura del campo
della classi sociali [...]. La funzione propriamente ideologica del
campo di produzione ideologica si svolge in forma quasi automatica
sulla base dell’omologia di struttura fra il campo di produzione
ideologica ed il campo della lotta delle classi». P. Bourdieu, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Sur
le pouvoir symbolique</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
«Annales E.S.C.», 1977, 3, pp. 409-410. Cfr. D. Dubuisson,
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Mitologie del XX secolo</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
cit., pp. 74 ss.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote7">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote7anc" name="sdfootnote7sym">7</a><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-US">Cfr.
M. Solimini,</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-US"><b>
</b></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-US"><i>Scienza
della cultura e logica di classe</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-US">,
Dedalo, Bari, 1974, pp. 10 ss. La premessa teorica di questo
progetto diffuso e dai vasti contorni consiste nella concezione per
cui la funzione politica della lingua è individuata nel «realizzare
una particolare organizzazione del mondo naturale-sociale, di
ordinarlo in categorie di oggetti, di distinguerlo in maniera
specifica [...] in azioni, funzioni, ruoli, istituzioni» (p. 135).</span></span></span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote8">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote8anc" name="sdfootnote8sym">8</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
F. Rossi Landi, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Il linguaggio
come lavoro e come mercato</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
Milano, 1968, p. 215-216: «Sostenere che in un soggetto c’è
qualcosa di extrastorico significa operare un privilegiamento
fondato sul passato» che è il «punto essenziale per
l’interpretazione di qualsiasi ideologia conservatrice, o
reazionaria. [...] Gli oggetti che vengono detti oggi extra-storici
altro non possono essere che oggetti costituiti dall’umanità in
qualche fase precedente del suo sviluppo sociale. Sono questi
oggetti che si vogliono difendere e conservare – e tanto meglio se
il processo storico del momento ha istiuito una macchina sociale che
li conserva automaticamente».</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote9">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote9anc" name="sdfootnote9sym">9</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
Cfr. R. Barthes, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Elementi di
semiologia</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> (1964), ed. it.
Einaudi, Torino, 1966.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote10">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote10anc" name="sdfootnote10sym">10</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
R. Barthes, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Il piacere del
testo</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> (1973), ed. it.
Einaudi, Torino, 1975, p. 42.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote11">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote11anc" name="sdfootnote11sym">11</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
C. Lévi-Strauss, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>L</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>uomo
nudo</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> (1971), cit., p. 590.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote12">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote12anc" name="sdfootnote12sym">12</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
F. Jesi, «</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Così Kerényi mi
distrasse da Jung»</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>(auto)intervista su un
itinerario di ricerca, </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">in
«Alias», n. 30, luglio 2007, p. 21 (Testo inedito parzialmente
pubblicata in MM, pp. 365, 367-369).</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote13">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote13anc" name="sdfootnote13sym">13</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">D.
Bidussa, </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>La
ricerca storica e la questione del mito</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in «Nuova corrente», n. 143, 2009, p. 157. </span></span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Id</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>La macchina mitologia e la
grana della storia</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,</span><span style="font-family: Garamond, serif;">
p. 107.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote14">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote14anc" name="sdfootnote14sym">14</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
F. Jesi, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Cesare Pavese e il
mito: dix ans plus tard</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, in
«Il lettore di provincia», nn. 25-26, Ravenna, 1976, p. 7.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote15">
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote15anc" name="sdfootnote15sym">15</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
D. Bidussa,</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
Il vissuto mitologico</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
cit., p. 214 ss.; cfr. </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Id</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>.
</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Mito
e storia in Furio Jesi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>,
</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">«Humanitas»,
4, 1995, p. 589.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote16">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote16anc" name="sdfootnote16sym">16</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
J. Le Goff, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Documento/monumento</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Enciclopedia Einaudi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
vol. 5, Einaudi, 1977, p. 44.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote17">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote17anc" name="sdfootnote17sym">17</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 45.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote18">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote18anc" name="sdfootnote18sym">18</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
M. Foucault, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>L</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>archeologia
del sapere. Una metodologia per la storia della cultura</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
(1969), ed. it. Rizzoli, Milano, 1971, p. 10-11.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote19">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote19anc" name="sdfootnote19sym">19</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
D. Bidussa, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Il vissuto
mitologico</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, cit., p. 218.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote20">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote20anc" name="sdfootnote20sym">20</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
J. Le Goff, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Documento/monumento</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
cit., p. 46.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote21">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote21anc" name="sdfootnote21sym">21</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
D. Bidussa, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>La macchina
mitologica e la grana della storia</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
cit., pp. 107 ss. L’autore riconosce analogo intento a studiosi
come Canfora (L. Canfora, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>L’uso
politico dei paradigmi storici</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
[1982], Laterza, Roma-Bari, 2010) e i già citati Mosse e Ginzburg.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote22">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote22anc" name="sdfootnote22sym">22</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
D. Bidussa, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Macchina
mitologica e indagine storica</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
cit. p. 158-159.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote23">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote23anc" name="sdfootnote23sym">23</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
M. Foucault, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Dits et écrits</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
vol. III, pp. 299-300. La traduzione è di G. Agamben, in </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Che
cos</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>è
un dispositivo?</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, Nottetempo,
Roma, 2006, p. 7</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote24">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote24anc" name="sdfootnote24sym">24</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
G. Deleuze, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Che cos</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>è
un dispositivo</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">? (1989), ed.
it. Cronopio, Napoli, 2007, p. 11. Si tratta dell’ultimo
intervento pubblico di Deleuze all’interno dell’incontro
internazionale </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Michel
Foucault philosophe</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, Parigi,
9-11, gennaio 1988.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote25">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote25anc" name="sdfootnote25sym">25</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
G. Agamben, in </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Che cos</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>è
un dispositivo? </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">cit, p. 7.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote26">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote26anc" name="sdfootnote26sym">26</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 12.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote27">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote27anc" name="sdfootnote27sym">27</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 14.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote28">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote28anc" name="sdfootnote28sym">28</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 19.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote29">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote29anc" name="sdfootnote29sym">29</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 20. In Agamben il concetto di dispositivo è ulteriormente
dilatato: «Chiamerò dispositivo letteralmente qualunque cosa abbia
in qualche modo la capacità di catturare, orientare, determinare,
intercettare, modellare, controllare e assicurare i gesti, le
condotte le opinioni e i discorsi degli esseri viventi. Non
soltanto, quindi le prigioni, i manicomi, il Panopticon, le scuole,
la confessione, le fabbriche, le discipline, le misure giuridiche
ecc, la cui connessione col potere è in un certo senso evidente, ma
anche la penna, la scrittura, la letteratura, la filosofia,
l’agricoltura, la sigaretta, la navigazione, i computers, i
telefoni cellulari e – perché no – il linguaggio stesso che è
forse il più antico dei dispositivi», G. Agamben, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Che
cos</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>è
un dispositivo</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">?, cit., p.
21-22.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote30">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote30anc" name="sdfootnote30sym">30</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
N. Bucci,</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i> Dispositivi
mitogenetici e macchina antropologica</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in «Nuova corrente», n. 143, 2009, pp. 131, 138.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote31">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote31anc" name="sdfootnote31sym">31</a>
<span style="font-family: Garamond, serif;">Per una discussione critica sulla
mitologia della scienza e sul rapporto tra tecnicità, sacro e
politica cfr. A. Bardin, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Individuazione,
tecnica e sistemi sociali. Epistemologia e politica in Gilbert
Simondon</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, Tesi di dottorato
in Filosofia politica e storia del pensiero politico, Università di
Padova, XXII ciclo, 2007-2009 (su Jesi, p. 305).</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote32">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote32anc" name="sdfootnote32sym">32</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
G. Deleuze, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Che cos</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>è
un dispositivo</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, cit., p.17.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote33">
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote33anc" name="sdfootnote33sym">33</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
G. Agamben, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>L</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>origine
e l</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>oblio</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in «Risalire il Nilo», cit., p. 156-157.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote34">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote34anc" name="sdfootnote34sym">34</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
R. Barthes, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Introduzione</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
(1959-60) a </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Il grado zero
della scrittura</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> (1953), ed.
it. Lerici, Milano, 1960, p. 13.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote35">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote35anc" name="sdfootnote35sym">35</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
D. Sperber, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Per una teoria
del simbolismo. Una ricerca antropologica</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
(1974), Einaudi, Torino, 1981, p. IX.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote36">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote36anc" name="sdfootnote36sym">36</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
E. Melandri, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>La linea e il
circolo</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> (1968), Quodlibet,
Macerata, 2004, p. 134, cfr. anche p. 530 dove la teoria di Foucault
è definita «teoria strutturalistico-diacronica». </span>
</span></div>
</div>
<div id="sdfootnote37">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote37anc" name="sdfootnote37sym">37</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
G. Cuozzo, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>L</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>angelo
della melancholia</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, cit., p.
97.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote38">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote38anc" name="sdfootnote38sym">38</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
D. Bidussa,</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i> Macchina
mitologica e indagine storica</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
cit., p. 158.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote39">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote39anc" name="sdfootnote39sym">39</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
N. Bucci,</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i> Dispositivi
mitogenetici e macchina antropologica</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
cit., p. 143.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote40">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote40anc" name="sdfootnote40sym">40</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
M. Cottone, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Scienza del mito
e critica letteraria. Conoscere per composizione</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in «Studi filosofici», XIV-XV, 1991-1992, p. 237.</span></span></div>
</div>
<br />
<div id="sdfootnote41">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym-western" href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote41anc" name="sdfootnote41sym">41</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
pp. 235-236: F. Jesi, lettera a M. Cottone del 2 gennaio 1980.</span></span></div>
</div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-21876444879658967332014-01-28T21:46:00.004+01:002014-01-28T21:47:46.227+01:00Lemmario - Memoria<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-jTN5Y4NdRoo/UugXBLV8YPI/AAAAAAAAAUk/UWhHqD6dsDU/s1600/macchinamit.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/-jTN5Y4NdRoo/UugXBLV8YPI/AAAAAAAAAUk/UWhHqD6dsDU/s1600/macchinamit.JPG" height="486" width="640" /></a></div>
<br />
<br />
<h1 align="JUSTIFY" class="western">
Memoria</h1>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">“Senza una notevole
facoltà di memoria nessun ingegno può né divenire né essere
grande”.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">(Leopardi, <i>Zibaldone</i>,
nn. 1508-9)</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">Dal latino <i>memoria</i>,
sostantivo derivato da <i>memor</i>, is (colui che ricorda), a sua
volta connesso alla radice Mer (preoccupazione, ricordo).</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">Cicerone
(<i>De oratore</i>)<i> </i>scrive che il poeta Simonide, unico
sopravvissuto al crollo del soffitto durante un banchetto, ricordando
l’esatta posizione di tutti i commensali, riconobbe i corpi per dar
loro degna sepoltura. Così l’arte memotecnica connette ricordi a
luoghi e immagini, configurando la memoria come archivio che
riproduce esattamente il dato immagazzinato.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">In Platone la conoscenza
è <i>anamnesis, </i>ricordo delle idee intuite prima di reincarnarsi
(<i>Menone</i>, <i>Fedone</i>); l’anima conserva le sensazioni
provate come la tavoletta di cera conserva l’impressione del
sigillo o come la colombaia ospita gli uccelli (<i>Teeteto</i>).</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">Con
Aristotele la memoria è indispensabile perché si formi il concetto:
nel <i>De Anima</i> la ritenzione della sensazione permette di
costituire un’immagine mentale che è rappresentazione di una cosa.
La memoria, madre di tutte le Muse, trattiene e riaggrega, crea il
nuovo rielaborando ciò che esiste.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">In Agostino (<i>Confessioni</i>)
si trovano “campi e vasti palazzi della memoria, ove sono tesori di
innumerevoli immagini” e fino a Tommaso d’Aquino (<i>De memoria
et reminiscentia</i>) la memoria diventa una sorta di cava da cui gli
scrittori estraggono materiale da costruzione.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">Sulla base di tali
concezioni Dante utilizza la metafora del libro (anche in <i>Paradiso</i>,
XXIII, 54), riprendendo la tradizione della memoria come scrittura.
Il termine è anche sinonimo di mente, intelletto o coscienza,
intendendo il complesso delle facoltà psichiche. </span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">In età moderna la
memoria non è <i>ars</i> ma diventa <i>vis</i>, forza che fonda
l’identità personale nella vividezza del ricordo temporale,
secondo una linea che da Montaigne attraverso Vico, giungerà fino a
Nietzsche e Bergson, per poi innervare la psicologia, la psicanalisi
e le teorie della personalità in tutto il Novecento.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">In altra
accezione è fama e ricordo che una persona lascia di sé, ma anche
monumento o epigrafe che perpetua un avvenimento; in tale senso <span style="font-family: Times New Roman, serif;">dal
secondo dopoguerra si diffonderà la concezione della memoria come
valore in senso educativo e democratico. </span></span><span style="font-family: 'Times New Roman', serif; font-size: large;">Si moltiplicano gli studi
sulla memoria collettiva come fenomeno sociale, costituito da
processi comunicativi in base ai quali il riferimento al passato
promuove un’identità culturale fondata su valori condivisi, come
avviene nella celebrazione di importanti ricorrenze civili.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-40024106957350123942014-01-06T14:13:00.002+01:002014-01-06T14:21:49.668+01:00Lemmario - Desolazione<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://3.bp.blogspot.com/-mMV7ilQ2tK0/Usqr3uimV_I/AAAAAAAAAUU/dIyS7fcdA9E/s1600/abandoned-cinema.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/-mMV7ilQ2tK0/Usqr3uimV_I/AAAAAAAAAUU/dIyS7fcdA9E/s1600/abandoned-cinema.jpg" height="426" width="640" /></a></div>
<br />
<br />
http://www.flickr.com/photos/breakdennis/3187231639/<br />
<br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;">una voce scritta per un libro di letteratura per licei, che oggi scriverei diversa, parlando di rovine, stracci e bottoni, via Benjamin e Pamuk.</span><br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;">"così nel momento in cui un oggetto diventa obsoleto, come accade per lo straccio, proprio nell'incontro con la sua obsolescenza, che lo rende inutile, esso trova lì la sua vera destinazione. Libero dall'uso, da esso si sprigiona l'epifania di quanto era promesso ed era rimasto occultato dal valore d'uso"</span><br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;">(G. Solla, <i>Memoria dei senzanome</i>, 2013, p. 23)</span><br />
<h1 class="western">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif;"><br /></span></h1>
<h1 class="western">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif;">Desolazione <span style="font-weight: normal;"><span style="font-size: small;">(2006) </span></span></span></h1>
<div align="LEFT">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif; font-size: large;">Il termine deriva dal latino tardo <i>desolatio</i>,
da <i>desolatus</i>, participio passato del verbo <i>desolare</i> (da
<i>de</i> e <i>solus</i>), che significa “lasciare solo,
abbandonare, disabitare, rendere deserto”, in particolare con
riferimento a luoghi devastati da guerre, invasioni, saccheggi o
calamità naturali.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif; font-size: large;">Con lo sviluppo di una sensibilità storica, a
partire dall’età umanistica, “desolazione” indica anche il
senso di decadenza, squallore e rovina che può trasmettere un luogo
a causa della sua trascuratezza e degrado: l’abbandono si carica di
nostalgia nella celebrazione di un antico splendore di cui non è
rimasta che la memoria, come avviene per gli inquieti viaggiatori
europei del Settecento nel loro <i>Grand tour</i>, stregati dal
fascino della consunzione alla ricerca di segni del passato.</span></div>
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif; font-size: large;">Il termine, per via analogica, indica anche uno stato interiore di
profonda tristezza, in quanto l’anima è vista come un luogo
deserto e devastato; in particolare nella mentalità cristiana la
desolazione spirituale descrive quello stato di tenebra interiore in
cui l’essere umano si sente abbandonato da Dio e disgusto, tedio,
dolore vengono percepiti come vuoto dell’anima.</span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif; font-size: large;">Nel contesto di progressiva laicizzazione che caratterizza l’età
moderna il paesaggio solitario e remoto simboleggia l’afflizione di
un’anima priva di ogni conforto e una profonda solitudine, in una
gamma di sfumature della sofferenza interiore che, dal dispiacere e
dalla prostrazione prodotti da fatti contingenti negativi, si spinge
fino alla disperazione e all’angoscia, come sentimenti diffusi nel
clima culturale della prima metà del Novecento.</span><br />
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif; font-size: large;">Nella cultura contemporanea il termine “desolazione” assume
caratteristiche sempre più esistenziali e sociali: nella poesia di
Montale viene espressa una profonda sensibilità nei confronti della
sofferenza che tormenta ogni essere vivente e del mistero insolubile
che avvolge l’esistenza; ma la desolazione ricorre anche nella
letteratura straniera per le descrizioni dell’umanità dolente che
abita le città colpite dalle guerre mondiali e dalle grandi
trasformazioni postbelliche.</span><br />
<br />
<span style="font-family: Trebuchet MS, sans-serif; font-size: large;">Per il pensiero critico del Novecento, espresso ad esempio nelle teorie della Scuola di
Francoforte, il termine assume una nuova accezione e può essere
usato per designare gli effetti di una frattura che si apre tra l’
“essere” e l’ “avere”, tra l’interiorità e il modo di
vivere nelle società tardo-capitaliste: desolante è il quadro che
si viene a creare nelle relazioni umane a partire dalla strutture
economico-sociali. In una prospettiva marxista il lavoro è segnato
dall’alienazione, ovvero dalla perdita del rapporto con se stessi,
e nuove forme di povertà hanno moltiplicato i conflitti tra le
classi svantaggiate, ceti lavoratori e immigrati in particolare. La
desolazione è diventata una caratteristica di tante periferie urbane
nel mondo globalizzato, cementificato e sempre identico a se stesso:
esse sono spazi in cui è tangibile il fatto che la società di massa
tenda a ridurre ogni cosa a oggetto e strumento. Da qui un nuovo
pensiero “apocalittico”, che all’alba del Terzo millennio
considera la civiltà occidentale nel suo insieme ormai esausta e
incapace di rigenerarsi, destinata a disgregarsi sotto il peso delle
sue stesse contraddizioni.</span>arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-39672276416121904632013-12-21T18:24:00.001+01:002013-12-21T18:30:52.253+01:00dies natalis<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-ewtA-EXiFHQ/UrXQGcRItEI/AAAAAAAAAUE/_bZmIT0fdAQ/s1600/iside3.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="http://2.bp.blogspot.com/-ewtA-EXiFHQ/UrXQGcRItEI/AAAAAAAAAUE/_bZmIT0fdAQ/s640/iside3.jpg" width="576" /></a></div>
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: separate; border-spacing: 0px; font-family: Garamond;"><br /></span>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
Iside allatta Horus bambino, Roma II sec.</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<span style="font-size: x-large;"><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: separate; border-spacing: 0px; font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: separate; border-spacing: 0px; font-family: Garamond;">Celebriamo le feste.</span></span><br />
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: separate; border-spacing: 0px; font-family: Garamond; font-size: x-large;">Festeggiamo chi ci ama, le stagioni, le lune.</span><br />
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: separate; border-spacing: 0px; font-family: Garamond; font-size: x-large;">Ciascuno ritroverà la certezza che quaggiù c'è posto per lui.</span><br />
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: separate; border-spacing: 0px; font-family: Garamond; font-size: x-large;">Forse è questo, l'essenziale.</span><br />
<br />
<span style="font-size: x-large;"><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: separate; border-spacing: 0px; font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="border-collapse: separate; border-spacing: 0px; font-family: Garamond;">jeanne hersch</span></span><br />
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: separate; border-spacing: 0px; font-family: Garamond;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-60760199727041025462013-12-11T23:38:00.001+01:002013-12-11T23:38:50.403+01:00lemmario - Illusione<br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;">sui blocchi di Torino 9 dicembre e seguenti.</span><br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span class="Apple-style-span" style="border-collapse: separate; border-spacing: 0px; font-family: Garamond;"><table border="0" cellpadding="0" cellspacing="0" class="outer" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: #dddddd; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; position: relative; width: 100%px;"><tbody>
<tr><td><table align="center" border="0" cellpadding="0" cellspacing="0" class="inner frame" style="background-attachment: initial; background-clip: initial; background-color: white; background-image: initial; background-origin: initial; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial; border-bottom-width: 0px; border-color: initial; border-left-color: rgb(204, 204, 204); border-left-style: solid; border-left-width: 1px; border-right-color: rgb(204, 204, 204); border-right-style: solid; border-right-width: 1px; border-style: initial; border-top-width: 0px; position: relative; width: 670px;"><tbody>
<tr><td class="content"><table border="0" cellpadding="0" cellspacing="0" class="main frame" style="font-family: 'Helvetica Neue', Helvetica, Arial, sans-serif; width: 670px;"><tbody>
<tr><td><table align="center" border="0" cellpadding="0" cellspacing="0" class="general-text-rules" style="width: 520px;"><tbody>
<tr><td><table align="center" border="0" cellpadding="0" cellspacing="0" class="bT" style="background-color: white; table-layout: fixed; width: 500px;"><tbody>
<tr><td class="bT-text" dir="ltr" style="color: #333333; font-family: Georgia, 'Times New Roman', Times, serif; font-size: 22px; line-height: 26px; word-wrap: break-word;">"La ribellione fascista nasce sempre là dove un'emozione rivoluzionaria viene trasformata in illusione per paura della verità ". W. Reich</td></tr>
</tbody></table>
</td></tr>
</tbody></table>
</td></tr>
</tbody></table>
</td></tr>
</tbody></table>
</td></tr>
</tbody></table>
</span><br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<span style="font-size: x-large;"><b>Lemmario - </b></span><b style="font-size: xx-large;">Illusione</b><br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-NBJtssru-b8/Uqjo4WanNPI/AAAAAAAAAT0/4sTqV6Fh6Cg/s1600/onde.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="540" src="http://4.bp.blogspot.com/-NBJtssru-b8/Uqjo4WanNPI/AAAAAAAAAT0/4sTqV6Fh6Cg/s640/onde.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<br />
<div align="LEFT">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;">Il termine latino <i>illusio, </i>che<i> </i>significa<i>
</i>‘ironia’, ‘derisione’, ‘scherno’ deriva da <i>illusus</i>,
participio passato del verbo <i>illudo</i> (ingannare), composto
dalla particella ‘in’ e dal verbo ‘ludo’ (gioco), con
significato di ‘inserire in un gioco’, ‘prendersi gioco’.</span></div>
<span style="font-size: large;">A partire da questo campo semantico, il termine italiano designa
la rappresentazione ingannevole che proviene da un errore dei sensi,
in quanto deformazione dell’atto conoscitivo che porta a
considerare reale ciò che è invece il prodotto dell’immaginazione
e dell’astrazione. Esempio tipico di percezione alterata che
produce un’apparenza fallace, ovvero non corrispondente al vero, si
ha con l’illusione ottica, consistente in una differente
interpretazione dei dati sensoriali, o con l’illusione prospettica,
errore determinato dal modo in cui gli oggetti si offrono al punto di
vista.</span><br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;">Da tale nucleo concettuale si irradiano i significati del
termine che indicano inganno, falsità, astuzia, scherno, e in
relazione al pensiero magico-religioso tradizionale, anche
incantesimo, apparizione diabolica, tentazione, fino
all’illusionismo, come tecnica artificiale volta a stupire e
meravigliare a fini ricreativi.</span><br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<br />
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;">In senso traslato, in un ambito che riguarda teorie
e concezioni della realtà di tipo religioso, filosofico o
scientifico il termine viene utilizzato per indicare una credenza
infondata, un giudizio errato, un’opinione erronea o una dottrina
non sostenibile: tale concezione presuppone il possesso di una
verità, a partire dalla quale viene definita falsità ogni
esperienza ad essa non riconducibile.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;">In una accezione che contempla una sfumatura di
carattere emotivo, interna alla sensibilità romantica, si considera
un’illusione un’ardente speranza che non si realizzerà mai: essa
è desiderio inappagabile, ideale vagheggiato, ambizione impossibile,
sogno non attuabile il cui mancato raggiungimento è causa di pena
tormentosa o malinconica rassegnazione a seconda dei casi.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;">La poetica
leopardiana vede ad esempio la giovinezza come età dell’illusione,
fatta di speranze, sogni e progetti, destinata a infrangersi
“all’apparire del vero”, quando la vita adulta con la sua
brutale fattualità delude inevitabilmente ogni sogno e costringe a
un’amara rassegnazione.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;">Ma se l’illusione appartiene al regno
dell’immaginazione, può giocare un ruolo differente e positivo
proprio rispetto a quanto di deludente la realtà possa presentare
alla vita. Come capacità di rielaborare immagini, ovvero prodotti
della ‘fantasia’, l’immaginazione può trascendere la realtà
alla luce del possibile: nell’esperienza dell’avanguardia
surrealista è sottolineata la potenza dell’inconscio, che liberato
dalle costrizioni sociali e razionali è capace di produrre
associazioni mentali nuove ed inedite, segni di una realtà
differente da quella consueta. </span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;">L’illusione diventa così parte di
quella facoltà inventiva che esprime in forma automatica e
incontrollata una implicita critica al mondo nella forma estraniante
della visione, dell’allucinazione e del sogno.</span></div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-78476400620194227552013-11-30T22:13:00.002+01:002013-11-30T22:13:50.532+01:00lemmario - Assurdo
<br />
<h1 align="JUSTIFY" class="western">
<br /></h1>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://3.bp.blogspot.com/-O-1pZ9nN3_Q/UppU3Q4AUrI/AAAAAAAAATk/EhxNoUjAAWM/s1600/ansa134779812307134646_big.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://3.bp.blogspot.com/-O-1pZ9nN3_Q/UppU3Q4AUrI/AAAAAAAAATk/EhxNoUjAAWM/s1600/ansa134779812307134646_big.jpg" /></a></div>
<div>
<br /></div>
<h1 align="JUSTIFY" class="western">
<br /></h1>
<h1 align="JUSTIFY" class="western">
Assurdo</h1>
<div align="JUSTIFY">
<br />
</div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;">Il termine latino <i>absurdus</i> significa
‘dissonante’, ‘stonato’ ed è composto da <i>ab</i>
(particella che indica allontanamento) e <i>surdus</i>, forse dalla
radice sanscrita <i>svar</i>/<i>suar </i>(suonare). Già
nell’antichità in senso figurato assume il significato che ha in
italiano: ‘assurdo’ è ciò che è in contrasto con l’evidenza
logica, intrinsecamente contraddittorio, privo di fondamento
razionale e di riscontro nel senso comune. Metafora musicale, è una
‘stonatura’ che diverge rispetto all’armonia interna a un
discorso.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;">Nel linguaggio comune il termine è usato tanto come
aggettivo che come sostantivo, (riscontrato anche nella forma
‘assurdità’) per designare un fenomeno (atto, evento,
ragionamento) che contrasta con le opinioni consolidate e si presenta
come sconveniente, stravagante, inopportuno.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;">In filosofia l’assurdo è stato utilizzato nei
ragionamenti come strumento dialettico fin dai tempi dei sofisti,
maestri di retorica e professionisti dell’argomentazione che hanno
elaborato nell’Atene democratica le regole della dimostrazione: per
difendere la validità di una tesi si mette in luce l’impossibilità
dell’affermazione contraria. Tale proposizione viene respinta
mostrando l’assurdità delle conseguenze a cui si andrebbe incontro
qualora venisse accettata.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;">Esso compare nelle forme di irrazionalismo o di
parziale rifiuto della ragione che hanno caratterizzato diverse
teorie filosofiche di matrice religiosa. Nel cristianesimno è
opzione a favore della priorità della fede sulla ragione: <i>credo
quia absurdum</i> era una formulazione del cristianesimo delle
origini (Tertulliano, II sec.) volto a negare compromessi con la
ragione e la cultura filosofica (“bisogna cercare Dio in semplicità
di cuore”); verrà ripresa dalla tarda teologia medievale (XIV
sec.) secondo cui, Dio, <i>potentia absoluta</i> dalla volontà
imperscrutabile, è in grado di agire in qualsiasi modo, persino
violando le leggi di natura, come avviene nei miracoli. In tal senso
la Rivelazione e la pratica liturgica devono essere accettate come
mistero della fede, irriducibili all’esperienza alla ragione e
incomprensibili dalla ragione umana.</span></div>
<span style="font-size: large;">L’assurdo come irrazionalità è riscontrato anche nella
filosofia moderna. Nel pensiero, profondamente religioso, di Soren
Kierkegaard (1813-1855) l’esistenza dell’individuo si rivela
incompatibile con la dimensione sociale e con ogni forma di
ottimismo: il senso della vita si rivela nella solitudine e nella
radicalità richieste da una fede assoluta. Ne sono la prova la
scandalosa e paradossale richiesta di Dio ad Abramo di sacrificare il
proprio figlio Isacco e la stessa Passione di Cristo, misteriosa
umiliazione del divino nell’umano.</span><br />
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;">Nel Novecento esperienze artistiche come il Teatro
dell’assurdo mettono in luce le contraddizioni della realtà,
nascoste sotto la loro parvenza di linearità; le avanguardie
letterarie come il futurismo, il dadaismo e il surrealismo esprimono
l’estraniamento e lo sgomento a cui la modernità, dalle
devastazione delle guerre alla pervasività del sistema di fabbrica,
sottopone gli individui cresciuti nell’ottocentesco mito
ottimistico del progresso. L’esistenzialismo ripropone il tema
dell’assurdo su un piano teorico che nega ogni trascendenza e la
presenza di una ragione interna alla storia e al mondo: la vita è
per Sartre gratuita, priva di senso e non riconducibile ad alcuna
razionalità (“Esistere è essere lì semplicemente. Gli esistenti
appaiono, si lasciano incontrare ma non li si può dedurre”).
L’essere è un puro dato materiale, fattuale ed opaco che non
prevede alcun fondamento extraumano e sovrastorico. Il divino
scompare dall’orizzonte dell’essere umano che deve assumere su di
sé la responsabilità della determinazione del senso e del divenire
della società e della storia.</span></div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-78772368693293287932013-11-24T22:28:00.003+01:002013-11-24T22:28:42.680+01:00lemmario - Furore<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-7uQRYXXeITU/UpJvFuM-tPI/AAAAAAAAATU/3CRubCKOhfs/s1600/furore_.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="http://2.bp.blogspot.com/-7uQRYXXeITU/UpJvFuM-tPI/AAAAAAAAATU/3CRubCKOhfs/s640/furore_.jpg" width="480" /></a></div>
<br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;">@FacesPics</span><br />
<br />
<br />
<h1 class="western">
<span style="font-size: large;">Furore</span></h1>
<div align="LEFT">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;">Il termine ha origine dal latino <i>furor</i>,
sostantivo derivato da <i>furere</i> ‘essere fuori di sé,
impazzire’; indica lo stato di sconvolgimento della personalità
che si manifesta come passione scomposta, delirio, ira, tipico
dell’individuo che perde il controllo delle sue azioni e si
abbandona alla gioia, alla collera, all’aggressività o alla
violenza, con un impeto dai tratti animaleschi o estremi,
assimilabili alle forze della natura.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;">Nell’antichità classica il furore era considerato
di orgine divina: derivava dall’invasamento, ovvero la possessione
della volontà dell’individuo da parte di un dio che ne dirigeva le
azioni (entusiasmo, dal greco <i>en</i> e <i>theos </i>significa
letteralmente “pieno di un dio”) ed era un aspetto
dell’esaltazione profetica e sacerdotale. Anche l’amore era
considerato causa di delirio, uscita da sé e oltrapassamento del
senso della misura, secondo una concezione radicatasi poi nel tempo
(si pensi all’<i>Orlando furioso</i> o alla cultura romantica).</span></div>
<span style="font-size: large;">Il filosofo rinascimentale Giordano Bruno (1548-1600) esprimeva la
sua etica dell’azione con il nome di “eroico furore”(il primo
termine veniva ricavato da <i>eros</i>). Immerso in un universo
panteista e animato da forze vive, l’uomo è “arso d’amore”
per l’infinito; la vita deve essere sforzo appassionato verso il
superamento di ogni limite, spinta all’azione attiva e consapevole
per la trasformazione della realtà, tensione verso l’unità con la
natura divina.</span><br />
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;">In età moderna il termine perde il significato
riferito alla trascendenza per designare aspetti negativi del
comportamento individuale o collettivo che trovano la loro origine
nella dimensione sociale, con particolare riferimento alle
manifestazioni dell’ira. Recuperando un significato presente già
nel latino, “furore” ricorre nella descrizione dell’agitazione
e dello scompiglio che caratterizzano i tumulti e le sollevazioni
popolari, che le classi dirigenti percepiscono come disordine e
discordia interne al corpo sociale.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;">Tra Otto e Novecento, alimentato dalle ideologie, il
termine è connesso alla dimensione politica: può essere tanto il
“furore nazionalista” diffuso negli stati europei durante la
Grande guerra, quanto il risentimento antiautoritario e antiborghese
che accompagna le manifestazioni socialiste e le lotte del movimento
operaio e sindacale.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;">In Vittorini il furore nasce come rabbia sociale per
l’umanità schiacciata dal predominio delle forze trionfanti del
fascismo europeo e, contestualmente, per gli orrori della guerra di
Spagna, la prova generale del secondo conflitto mondiale. La
repressione in Italia impedisce ogni sfogo di tali “furori”,
definiti quindi “astratti”, responsabili dello stato di malessere
e di prostrazione psicologica del protagonista di <i>Conversazione in
Sicilia</i>.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;"><i>Furore</i> è il titolo italiano del capolavoro
di John Steinbeck <i>The Grapes of Wrath </i>(1939<i>, </i>letteralmente<i>
“L’uva dell’ira”</i>): esso narra del tragico esodo
attraverso gli Stati Uniti di una famiglia durante la Grande
depressione degli anni trenta, quando il mito della prosperità
americana fu distrutto da una crisi economica di proporzioni
inaudite. Milioni di persone persero il lavoro e si ritrovarono a
lottare per sopravvivenza: nel romanzo un’umanità disperata si
trascina da uno stato all’altro, trovando paghe miserabili, lavori
semi-schiavili e un padronato feroce, alla ricerca di una redenzione
che si manifesta in piccoli gesti di solidarietà.</span></div>
<div align="JUSTIFY">
<span style="font-size: large;">Una differente accezione del termine, utilizzato in
un’espressione risalente alla società dello spettacolo, sembra
testimoniare la rottura con la cultura dell’impegno, avvenuta nel
secondo dopoguerra: “fare furore” significa suscitare grande
entusiasmo e riscuotere successo. A perdere il senno sono i
consumatori di cultura pop nel testimoniare il loro apprezzamento
verso i <i>divi</i> del cinema, della musica e della televisione, di
cui si dichiarano <i>fan</i> (<i>fanatic)</i>. L’intera sfera
linguistica, proveniente dal sacro, viene risemantizzata nel profano,
testimoniando la sostituzione del divino con l’effimero nei
meccanismi di produzione dell’entusiasmo.</span></div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-53688406530963701222013-11-16T22:58:00.002+01:002013-11-16T22:59:00.486+01:00lemmario - nostalgia<br />
<span style="font-size: large;">pezzi di lavori che ritornano, questa serie era per un manuale di letteratura per licei.</span><br />
<span style="font-size: large;">a volte ci si racconta anche così.</span><br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-MOqfJOSBnZQ/UofqOWX04lI/AAAAAAAAATA/zLCANpQWvho/s1600/luna+lago.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="480" src="http://4.bp.blogspot.com/-MOqfJOSBnZQ/UofqOWX04lI/AAAAAAAAATA/zLCANpQWvho/s640/luna+lago.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<br />
<br />
<h1 align="JUSTIFY" class="western">
Nostalgia</h1>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">Il termine francese
<i>nostalgie</i>, dal greco <i>nostos</i> (ritorno) e <i>algia</i>
(dolore, sofferenza), è un neologismo coniato dal medico
dell’Università di Basilea Johannes Hofer nel 1688 per indicare lo
stato psicologico e patologico diffuso tra i soldati svizzeri in
servizio all’estero: il “male del ritorno” colpisce chi è
lontano dal proprio paese, con sintomi quali febbre, allucinazioni e
delirio, che scompaiono al rientro a casa. Ogni riferimento al
desiderio di Ulisse, che soffre nelle sue peregrinazioni lontano da
Itaca, o al neoplatonismo, che considerava l’Essere divino come
patria dell’anima esiliata in terra, sono quindi costruiti a
posteriori, mediante l’‘invenzione’ di un termine che designa
un sentimento antico.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">Nostalgia è lo stato di
tristezza e rimpianto per la lontananza di persone o luoghi cari, il
desiderio struggente di ritornare a casa, all’infanzia e agli
oggetti importanti del proprio passato, di cui è vittima il
migrante, costretto alla lontananza per cause di forza maggiore.
<span lang="en-US">Nella </span><span lang="en-US"><i>Dissertatio
medica</i></span><span lang="en-US"> Hofer classifica la nostalgia
come una malattia dell’immaginazione: per quanto siano le
condizioni materiali (clima, paesaggio, abitudini alimentari) a
creare sofferenza, il malato richiama ossessivamente una
rappresentazione ideale della patria d’origine che non è mai
reale, in un vissuto che fonde memoria e desiderio, processi
cognitivi ed emotivi.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span lang="en-US">Il
concetto di nostalgia perde progressivamente la connotazione medica
per entrare nella sfera del sentimento e dalla metà dell’Ottocento
il termine viene fatto proprio dalla letteratura: si pensi a Carducci
nelle </span><span lang="en-US"><i>Rime nuove,</i></span><span lang="en-US">
che vagheggia una vita all'insegna della solarità mediante la
celebrazione della natura e del passato, o all’opera di Ungaretti,
in cui il termine assume sfumature che tengono insieme biografia (la
nascita in Egitto), condizioni materiali (la guerra) ed esistenziali
(la condizione umana).</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">Sovrapponendosi alla
malinconia, dolce inquietudine non disgiunta da un certo
compiacimento, la nostalgia diviene propensione a chiudersi in se
stessi, atmosfera spirituale del desiderio inappagato o
dell’aspirazione irraggiungibile a cui sono cari i paesaggi
autunnali e le ore del crepuscolo. Quali che siano le sue ragioni
(emigrazione, esilio politico, persone perdute…) la nostalgia è
sempre il rimpianto di una situazione percepita come migliore
rispetto a quella attuale, che comporta l’idealizzazione del
passato e dell’origine (da qui anche la definizione di nostalgico,
per chi rimpiange un momento storico, un assetto politico trascorso e
concluso).</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">In termini psicanalitici,
Freud chiama “<span lang="en-US">sentimento oceanico”la
sensazione di unità illimitata con l’universo derivata dalla
condizione del neonato che non distingue tra se stesso e la madre,
immerso in un’unione simbiotica e indifferenziata. La nostalgia, o
meglio la sua radice, diviene</span> il correlato del distacco
originario dalla madre, l’archetipo di ogni processo di crescita e
cambiamento, che significa sempre allontanarsi da qualcuno o
qualcosa: fare i conti con <span lang="en-US">una primigenia
beatitudine ormai perduta, vorrebbe dire, in definitiva imparare a
vivere.</span></span></div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-73298288255914984542013-10-26T21:00:00.001+02:002013-10-26T21:02:29.508+02:0070 anni di Shoah. La razzia del ghetto di Roma<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;">altri materiali di archivio dal mio lavoro all'Unità dei primi 2mila</span><br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<b><span style="font-size: large;">La deportazione dal Ghetto di
Roma</span></b><br />
<b><span style="font-size: large;"><br /></span></b>
<span style="font-size: large;">Gianluca Garelli</span><br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">Con la nascita della
Repubblica Sociale, il destino degli ebrei italiani – già
duramente provati dalla legislazione razziale in vigore dal novembre
del ’38 – è segnato, in vergognoso ossequio all’alleato
tedesco e sulla base dell’antisemitismo proprio di certe frange
fasciste. Due mesi dopo, il 30 novembre, il Ministero dell’Interno
avrebbe imposto l’arresto di tutti gli ebrei presenti nel nostro
Paese, considerati “nemici” dell’Italia, e il sequestro dei
loro beni. È previsto un premio per ogni ebreo catturato.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">Comandi da eseguire? Non
è così: la giustificazione, se mai può esservene una, proprio non
regge. Nel marzo del ’43 il ministro bulgaro Dimitar Pesev aveva
avuto il coraggio di imporre al proprio governo e al re Boris III,
alleato con la Germania nazista, la revoca dell’ordine di
deportazione di 48.000 ebrei, verificando personalmente che i
prefetti avessero cura di astenersi dal commettere un’atroce
barbarie per volere di Hitler.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">In Italia, invece, lo
zelo e l’impazienza dei nazifascisti hanno addirittura preceduto
l’ordinanza del Ministero di una ventina di giorni. All’inizio di
ottobre era stato accolto nella capitale un gruppo d’intervento
delle SS sotto la guida dal capitano Theodor Dannecker –
l’ufficiale che dal 1940 al ’42 aveva organizzato la deportazione
degli ebrei francesi, ed ora si apprestava a occuparsi di quelli
italiani. Dannecker si avvale della schedatura degli ebrei residenti
in Italia che il regime monarchico-fascista aveva attuato a partire
dal ’38, nonché dell’indirizzario completo degli ebrei romani
raccolto con ogni cura da una squadra di agenti della questura (al
comando del commissario Cappa).</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">La mattina del 16, i
poliziotti tedeschi sanno dunque a quali porte bussare.<span style="color: black;">
Gli arresti durano dalle 5,30 alle 14. I catturati sono 1259: 363
uomini, 689 donne, 207 bambini, provvisoriamente sistemati nei locali
del Collegio Militare. Gli uomini vengono immediatamente separati
dalle donne e dai bambini. Dopo minuziosi controlli, all'alba del 17
vengono liberati i coniugi e i figli di matrimonio misto, e quanti al
momento della retata si erano trovati per caso nelle case dei
ricercati – nell’insieme 237 persone. Delle 1022 persone rimaste,
una sola non è ebrea: si tratta di una donna che non intende
abbandonare un orfano malato che le era stato affidato. Morirà con
lui nel lager.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black; font-size: large;">Il
22 il treno giunge ad Auschwitz-Birkenau. A nessuno è permesso
scendere fino al giorno successivo. Poi incomincia la selezione: 839
prigionieri sono destinati immediatamente alla camera a gas (gli
anziani, i bambini, quasi tutte le donne). Gli altri 183 vengono
utilizzati come lavoratori schiavi. Alla liberazione del campo, solo
17 sarebbero risultati ancora in vita, tra i quali una sola donna.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><b>Domenica
26 settembre 1943, ore 18</b> I presidenti della Comunità
Israelitica di Roma e dell’Unione delle comunità italiane sono
convocati dal Maggiore delle SS Herbert Kappler all’ambasciata
tedesca e invitati a consegnare 50 Kg d’oro entro un giorno e mezzo
(si otterrà poi la proroga di qualche ora). In caso contrario è
minacciata la deportazione di 200 ebrei.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><b>Martedì
28, ore 18</b> Secondo le istruzioni di Kappler, l’oro richiesto
viene consegnato in via Tasso. Seguono estenuanti controlli per il
sospetto infondato dei nazisti che il quantitativo fosse inferiore al
previsto.
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><b>Mercoledì
29, mattina</b> reparti delle SS asportano archivi, documenti,
registri e 2 milioni di denaro liquido dai locali della Comunità
Israelitica. Non trovano gli arredi del Tempio e gli oggetti di
pregio, messi precauzionalmente in salvo.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><b>Sabato
9 ottobre</b> Vengono arrestati parecchi ebrei segnalati in
precedenza per attività antifascista.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><b>Lunedì
11</b> Un ufficiale SS, nonché cultore di paleografia, con scorta
armata irrompe nelle biblioteche della Comunità Israelitica e del
Collegio Rabbinico e fa asportare libri antichi e preziosi codici
manoscritti, che su carrozzoni merci saranno portati a Monaco di
Baviera.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><b>Venerdì
15, sera</b> Una donna ebrea, da Trastevere, diffonde nel Ghetto la
notizia che i tedeschi possiedono una lista di 200 capi-famiglia
ebrei e intendono portarli via con tutte le famiglie. Nessuno dà
credito all’informazione.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><b>Ore
23 </b> All’albergo Vittoria (al di fuori del Ghetto) viene
arrestata una coppia di ebrei triestini</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><b>Ore
24 circa</b> Nel Ghetto, drappelli di soldati tedeschi iniziano a
sparare in aria, poi a lanciare bombe a mano, e proseguono per più
di tre ore, per impedire a chiunque di uscir di casa.
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><b>Sabato
16, ore 5,30 circa</b> Le SS (reparti specializzati giunti a Roma da
poche ore) dispongono sentinelle agli angoli delle strade del Ghetto;
in base a vari elenchi dattilografati di nomi, salgono poi nelle case
e bussano agli appartamenti corrispondenti; sfondano le porte che non
vengono loro aperte e prelevano tutti gli abitanti (compresi gli
ammalati gravi), concedendo loro 20 minuti per preparare il
necessario per il “trasferimento”, secondo le istruzioni fornite
in un apposito foglio. Le famiglie rastrellate, incolonnate per
strada e percosse col calcio dei fucili, sono radunate in un’area
di scavi vicina ai resti del teatro di Marcello.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><b>Ore
13 </b> Nel Ghetto ha termine l’operazione, che si è svolta
intanto con le stesse modalità, anche se più rapidamente, negli
altri quartieri dell’Urbe. Tutte le vittime vengono caricate in
camion e poi ammassate nel Collegio Militare di Via della Lungara.
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><b>Lunedì
18, all’alba</b> I prigionieri sono condotti in autofurgone alla
stazione Tiburtina e stipati su carri bestiame.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><b>Ore
13, 30</b> Il treno viene consegnato al macchinista e parte mezz’ora
dopo.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: large;"><b>Il
rastrellamento del Ghetto di Roma nel racconto di Giacomo Debenedetti</b></span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: large;">di
Bianca Danna</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Giacomo
Debenedetti (1901-1967), critico letterario, </span><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">sfuggì
alla deportazione nascondendosi in casa di una vicina. Nel giugno ‘44
si unì alle formazioni partigiane attive sull'Appennino toscano.</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Era
venerdì, la sera del 15 ottobre. Ogni venerdì, «all’accendersi
della prima stella, si celebrava il ritorno del sabato». Erano già
tutti in casa. Ma l’angoscia irrompe, turba il tempo del rito. «Una
donna vestita di nero, scarmigliata, sciatta, fradicia di pioggia»,
è la prima figura umana che vediamo nel Ghetto. È venuta di corsa
da Trastevere, con il primo terribile annuncio: il comando tedesco ha
in mano «una lista di duecento capifamiglia ebrei da portar via con
tutte le famiglie». Nessuno vuole crederci, molti ridono.
«Credetemi! scappate, vi dico! - Vi giuro che è la verità! Sulla
testa dei miei figli! - Ve ne pentirete! Se fossi una signora mi
credereste». Nemmeno Cassandra, secondo Omero, fu creduta quando
annunciava la sventura della sua città, benché figlia del re. Qui
però l’Autore non intende scrivere epica o tragedia, ma cronaca
fedele ai fatti. E ha rintracciato molti testimoni di quella sera,
convinti che la «poveraccia», la «pazza» si confondesse con un
pericolo ormai scongiurato, vecchio di una ventina di giorni. </span></span>
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">A
fine settembre, infatti, le SS di Kappler avevano minacciato di
deportare duecento ebrei - italiani doppiamente colpevoli, è il
pretesto: traditori dopo l’8 settembre e da sempre nemici della
Germania per razza - se la Comunità Israelitica di Roma non avesse
consegnato 50 chili d’oro. In un giorno e mezzo si raccolse l’oro,
con la vigilanza della Questura italiana, l’offerta ufficiosa di
aiuto del Vaticano (gradita ma poi non accolta) e l’imbarazzata, ma
generosa donazione di molti «ariani»; si portò l’oro in via
Tasso, a un certo capitano Schultz, maniacale nell’accertare che
gli ebrei non avessero frodato il Reich. Così non era, ma l’indomani
(29 settembre) i reparti di Kappler ripulivano i locali della
Comunità del denaro liquido, e l’11 ottobre la sua Biblioteca,
nonché quella del Collegio Rabbinico, di libri, manoscritti, codici
e pergamene. Finiscono così a Monaco di Baviera, forse sugli stessi
carrozzoni merci che serviranno cinque giorni dopo per caricare i
deportati, «le fonti autentiche di tutta la storia, fin dalle
origini, degli ebrei di Roma, i più vicini e diretti discendenti
dell’antico giudaismo». «Generazioni che parevano passate su
questa terra veramente come la schiatta delle foglie, attendevano dal
fondo di quelle carte che qualcuno le facesse parlare». </span></span>
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Qui,
nel commento al furto della memoria storica del Ghetto, Giacomo
Debenedetti lascia intendere il senso più alto, più toccante che il
suo resoconto, e forse la letteratura intera, può assumere.
Restituire, attraverso un paziente vaglio di testimonianze, le voci
di chi fu costretto al silenzio. Farci rivedere ciò che videro,
risentire ciò che udirono. </span></span>
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Spari
verso la mezzanotte, bombe a mano sui marciapiedi del ghetto, grida
colleriche di soldati, per due, tre ore (Così nessuno penserà di
uscire, prenderanno tutti). I </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><i>mamonni</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">,
gli sbirri, verso le 5 del sabato 16 ottobre bloccano strade e case
del Ghetto. Da una casa della stretta via S. Ambrogio, la signora
Laurina S. sente lamenti e grida. Si affaccia e vede passare in mezzo
alla via del Portico le famiglie rastrellate, spinte avanti col
calcio dei mitragliatori. In una scena corale - la cui regia, avverte
il narratore, era «nelle cose stesse» - «le madri, o talvolta i
padri, portano in braccio i piccini»; «i ragazzi cercano negli
occhi dei genitori (…) un conforto che questi non possono più
dare». </span></span>
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><span style="font-size: large;">Passano
vecchie inferme, giovani donne che implorano i soldati e ricevono
percosse, un paralitico portato a braccia (finirà scaraventato sul
camion «come un mobile fuori uso»). Laurina stessa, ascoltati gli
ordini incomprensibili del caposquadra SS, leggerà ai vicini il
biglietto che porta scritte a macchina, in tedesco e in italiano, le
indicazioni per il “trasferimento”: hanno venti minuti per
prendere con sé viveri per almeno 8 giorni, carta d’identità,
eventuale valigetta con effetti personali, denaro e gioielli. Gli
ammalati, anche gravissimi, non possono restare indietro. «Infermeria
si trova nel campo».</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Insomma,
«il biglietto parlava chiaro». Eppure le ultime parole che Ester
P., allora dodicenne, ricorda della zia («torna a casa, se no </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><i>poi</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">
papà mi strilla») dicono come Loro continuassero «a pensare a un
dopo nella vita di prima, con le abitudini di prima». Del resto la
salvezza di Laurina, grazie alla sua gamba ingessata, e quella degli
uomini in fila per la distribuzione di sigarette, che nessun tedesco
ebbe lo zelo di cercare, fanno ritenere a Debenedetti che la
brutalità delle SS fosse, quella mattina, professionale più che
sadica, malgrado le eccezioni: contava consegnare ai mandanti «un
certo numero di ebrei», un migliaio circa, numero non solo raggiunto
ma anche superato. Come scrisse Moravia in una sua introduzione a </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><i>16
ottobre 1943, </i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">«Il
razzismo è un'ideologia di massa; e le sue vittime (...) sono
anch'esse massa».</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">Li
portano dapprima nella fossa di un’area di scavi, ai piedi della
palazzina delle Antichità e Belle Arti, poi, sui camion, nel
Collegio Militare, dove separano donne e uomini, «i più ben
portanti (…) col capo volto verso il muro»: questo e altro,
compreso il divieto, quasi sempre, di raggiungere le latrine, rende
subito evidente «il proposito di umiliare». Si attende l’alba del
lunedì per stivare tutti su carri bestiame, che lasciano la stazione
di Roma-Tiburtino alle 14. La ricerca dell’esattezza fa registrare
ancora il nome e la relazione del macchinista (a Orte, tentativi di
fuga, repressi con le armi; a Chiusi, si scarica il corpo di una
deceduta). Fino al termine della cronaca, l’accuratezza
dell’indagine (il “metodo filologico”) rivela un “abito
morale”, un “metodo umano”: quello che il Debenedetti saggista,
pochi anni dopo, avrebbe teorizzato parlando delle Lettere di Gramsci
(“T</span></span><span style="font-family: Arial, sans-serif;">ener
conto di tutti i fattori che compongono l'uomo; non sentirsi mai il
diritto, o l'arroganza, di trascurarne alcuno”). Il rigore
impersonale del resoconto, in </span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><i>16
ottobre</i></span><span style="font-family: Arial, sans-serif;">,
non attenua mai</span><span style="font-family: Arial, sans-serif;"><i>
</i></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial, sans-serif;">la
pietas di chi vorrebbe, e non può, sottrarre all’oblio altri
particolari, altre impressioni: il viso di una bambina, dietro la
grata del vagone piombato, che a una viaggiatrice su un altro treno
era parso di riconoscere; il viaggio dopo che quel macchinista
smontò; il nome dei nati nel cortile del Collegio Militare, il
sabato notte: non certo “pellegrino in terra straniera”, come
chiamò Mosè il figlio della schiavitù: «i due nati in quella
notte senza Mosè erano pellegrini verso le camere dei gas».</span></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; page-break-before: always;">
<b><span style="font-size: large;"><br /></span></b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; page-break-before: always;">
<b><span style="font-size: large;"><br /></span></b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; page-break-before: always;">
<b><span style="font-size: large;">La
Carta di Verona, costituzione della Rsi</span></b></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">Tra il 14 e il 16 novembre 1943 il
Partito fascista repubblicano si riunisce in cogresso a Verona:</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">“È stata una bolgia vera e propria!
Molte chiacchiere confuse, poche idee chiare e precise. Si sono
manifestate le tendenze più strane, comprese quelle comunistoidi.
Qualcuno, infatti, ha chiesto l’abolizione, nuda e cruda, del
diritto di proprietà! Ci potremmo chiedere, con ciò, perché
abbiamo, per vent’anni, lottato coi comunisti! Secondo questi
‘sinistroidi’, potremmo oggi addivenire all’abbracciamento
generale anche con loro. Da tutte queste manifestazioni verbose si
può facilmente arguire quanto pochi siano i fascisti che abbiano
idee chiare in materia di fascismo…”. A parlare è lo stesso
Benito Mussolini (peraltro assente) riferendo a Giovanni Dolfin
dell’andamento del Congresso. Quella che avrebbe voluto essere una
vera e propria Costituente, per “consacrare” con il mandato
popolare un programma finalizzato a sconfiggere “sul piano delle
idee e dell’adesione spontanea” (Frederick Deakin) il governo
Badoglio al Sud e la nascente resistenza al Nord diventa un’assemblea
caotica la cui unica conseguenza sarebbe stata l’inasprimento della
politica antisemita, dei contrasti nell’Italia Settentrionale, e
quindi l’accelerazione della guerra civile. A interrompere i lavori
è addirittura la spedizione punitiva a Ferrara dove era stato ucciso
il “camerata” Igino Ghisellini, molto probabilmente per una faida
interna allo stesso Pnf. L’episodio diventa il pretesto per
un’azione contro ebrei, antifascisti, comuni cittadini. Le squadre
fasciste nel giro di poche ore rastrellano ottantaquattro persone, e
per rappresaglia uccisidono undici ferraresi.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">Parlare di costituente è alquanto
improprio: nella nascente Rsi, stato fantoccio in mano ai tedeschi,
sarebbe stata del tutto inconcepibile una dialettica fra partiti
diversi. Come ha osservato Luigi Ganapini, una costituzione è un
patto, “scaturisce da un accordo tra i cittadini. Ma c’è spazio
per accordi o dibattiti nella Repubblica delle camicie nere? Partito
– il partito fascista repubblicano quale si delinea dopo il trauma
del tradimento – e Costituente non sono forse agli antipodi?”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">L’assemblea di Verona approverà
senza discuterlo un manifesto, steso con l’interessatissima
collaborazione dei tedeschi qualche giorno prima, e sottoposto bell’e
pronto dal segretario Pnf Alessandro Pavolini al congresso. Si tratta
di una carta in 18 punti, in cui lo spreco di slogan è pari soltanto
alla quantità di contraddizioni. Rivendicando in termini piuttosto
generici la natura “sociale” della costituenda repubblica, la
carta proclamava fra le altre cose il cattolicesimo religione di
Stato, attestando formale rispetto per gli altri culti non in
conflitto con la legge e affermando all’art. 7, che “Gli
appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra
appartengono a nazionalità nemica” (formulazione, pare, dovuta al
ministro Preziosi). Nella sostanza, si trattava dell’ennesima tappa
di un cammino incominciato esplicitamente negli anni precedenti il
conflitto e nello specifico, con le leggi razziali del 1938 nella
cieca, incondizionata e zelante accettazione delle politiche
tedesche.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">Il congresso di Verona rappresentò un
confuso teatro di incontro e scontro di temi e slogan che avevano
caratterizzato oltre vent’anni di regime; un dibattito, a tratti
convulso, fra generazioni di fascisti, divise fra istanza di
rinnovamento impossibile e nostalgici appelli per un ritorno allo
squadrismo degli anni Venti, accompagnato da parole d’ordine
vagamente anarcoidi e antiplutocratiche: è ancora Mussolini a
commentare “E nessuno, dico nessuno di questi che hanno un bagaglio
di idee da agitare, viene da me per chiedermi di combattere. È al
fronte che si decidono le sorti della Repubblica… e non certo nei
congressi!”.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;">Il manifesto di Verona avrebbe
mostrato, a quanti desiderassero in qualche modo la restituzione di
una parvenza di convivenza civile nell’Italia dilaniata dalla
guerra e dal Ventennio, in che misura un tale disegno non fosse
realizzabile attraverso la scelta di Salò.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0.18cm; margin-top: 0.18cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: large;"><b>estratto
dalla “Carta di Verona”</b></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0.18cm; margin-top: 0.18cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: large;"><i>Il primo
rapporto nazionale del Partito Fascista Repubblicano: leva il
pensiero ai caduti del Fascismo repubblicano sui fronti di guerra,
nelle piazze delle città e dei borghi, nelle “foibe” dell’Istria
e della Dalmazia, che si aggiungono alla schiera dei martiri della
Rivoluzione, alla falange di tutti i morti per l’Italia; addita
nella continuazione della guerra a fianco della Germania e del
Giappone fino alla vittoria finale e nella rapida ricostituzione
delle Forze Armate destinate a operare accanto ai valorosi soldati
dal Fuehrer le mete che sovrastano a qualunque altra in importanza e
urgenza.[…]</i></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0.18cm; margin-top: 0.18cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Times New Roman, serif;"><i>In
materia costituzionale ed interna <br /><br />1. - Sia convocata la
Costituente, potere sovrano, di origine popolare, che dichiari la
decadenza della Monarchia, condanni solennemente l’ultimo re
traditore e fuggiasco, proclami la Repubblica Sociale e ne nomini il
Capo. <br />2. - La Costituente è composta dei rappresentanti di tutte
le associazioni sindacali e di tutte le circoscrizioni
amministrative, comprendendone i rappresentanti delle provincie
invase, attraverso le Delegazioni degli sfollati e dei rifugiati sul
suolo libero […]<br />[…]<br />5. - L’organizzazione a cui compete
l’educazione del popolo ai problemi politici è unica. <br />Nel
Partito, ordine di combattenti e di credenti, deve realizzarsi un
organismo di assoluta purezza politica, degno di essere il custode
dell’Idea Rivoluzionaria. <br />La sua tessera non è richiesta per
alcun impiego o incarico. <br />6. - La religione della Repubblica è
la cattolica apostolica romana. Ogni altro culto che non contrasti
alle leggi è rispettato. <br />7. - Gli appartenenti alla razza
ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a
nazionalità nemica. </i></span></span>
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0.18cm; margin-top: 0.18cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Times New Roman, serif;"><i>In
politica estera </i></span></span>
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0.18cm; margin-top: 0.18cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Arial Unicode MS, sans-serif;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Times New Roman, serif;"><i>8.
- Fine essenziale della politica estera della Repubblica dovrà
essere l’unità, l’indipendenza, </i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Times New Roman, serif;"><i>l’integrità</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Times New Roman, serif;"><i>
territoriale della Patria nei termini marittimi e alpini segnati
dalla natura, dal sacrificio di sangue e dalla Storia; termini
minacciati dal nemico con l’invasione e con le promesse di Governo
rifugiato a Londra. Altro fine essenziale consisterà nel far
riconoscere la necessità dello spazio vitale, indispensabile a un
popolo di 45 milioni di abitanti, sopra un’area insufficiente a
nutrirlo. <br />Tale politica si adoprerà inoltre per la realizzazione
di una "comunità europea" con la federazione di tutte le
Nazioni che accettino i seguenti princìpi: a) eliminazione dei
secolari intrighi britannici dal nostro continente; b) abolizione del
sistema capitalistico interno e lotta contro le plutocrazie mondiali;
c) valorizzazione, a beneficio dei popoli europei e di quelli
autoctoni, delle risorse naturali dell’Africa, nel rispetto
assoluto di quei popoli, in ispecie musulmani, che, come l’Egitto,
sono già civilmente e nucleamente organizzati. </i></span></span></span></span>
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0.18cm; margin-top: 0.18cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: large;"><i>(…)</i></span></span></div>
<div style="margin-bottom: 0.18cm; margin-top: 0.18cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Times New Roman, serif;"><i>18. -
Con questo preambolo alla Costituente, il Partito dimostra non
soltanto di andare verso il popolo, ma di stare con il popolo. Da
parte sua il popolo italiano deve rendersi conto che vi è per esso
un solo modo di difendere le sue conquiste di ieri, oggi, domani:
ributtare l’invasione schiavista delle plutocrazie anglo -
americane, la quale, per mille precisi segni, vuol rendere ancor più
angusta e misera la vita degli Italiani. Vi è un solo modo di
raggiungere tutte le mete sociali: combattere, lavorare, vincere. </i></span></span>
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0.18cm; margin-top: 0.18cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-size: large;"><br /><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; margin-right: -1.1cm;">
<br /></div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-70134627523870059922013-09-20T17:11:00.001+02:002013-09-20T17:11:36.710+02:00Cefalonia. 7tantaResistenza<br />
i miei archivi, sulla strage di Cefalonia. c'è la scuola media intitolata ai suoi caduti nel quartiere da dove vengo.<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-KTXKms9Lr_k/UjxlG6lM3gI/AAAAAAAAASw/w6pXxMt-hBI/s1600/myrtos_opt.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="422" src="http://2.bp.blogspot.com/-KTXKms9Lr_k/UjxlG6lM3gI/AAAAAAAAASw/w6pXxMt-hBI/s640/myrtos_opt.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<br />
<span style="font-size: x-large;">Cefalonia, 14-24 settembre 1943</span><br />
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<h3 class="western">
<span style="font-size: x-large;">Gli avvenimenti di Cefalonia</span></h3>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;">Enrico Manera</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;">Quando l’8 settembre 1943 viene reso
noto l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, firmato il 3
settembre a Cassibile, in Sicilia, il paese e le forze armate
precipitano nel caos. Di fronte al tergiversare delle autorità
italiane, che continuavano a rinviare l’annuncio dell’armistizio,
la notizia è diffusa da Radio Algeri (controllata da angloamericani
e da francesi degaullisti) alle 18,30. Solo in serata, dopo ore di
silenzio, Vittorio Emanuele III e il maresciallo Badoglio, in fuga
verso Brindisi, fanno diffondere dalla radio un comunicato in cui
l’armistizio è confermato. Alle forze armate e agli apparati
amministrativi dello Stato non vengono date indicazioni di
comportamento, se non quella di cessare in ogni luogo le ostilità
contro le forze angloamericane e, ambiguamente, di difendersi contro
attacchi provenienti «da qualsiasi parte» (sono le cosiddette
ordinanze OP 44 e 45). Privi di direttive precise, i reparti del
regio esercito iniziano a sbandarsi. Nella notte tra l’8 ed il 9
settembre le unità dell’esercito tedesco, calato in forza nel
paese dopo il 25 luglio, cominciano a disarmare le truppe italiane e
a occupare punti strategici, aree industriali e vie di comunicazione.
Il 9 settembre a Roma il Comitato nazionale delle opposizioni,
comunica la costituzione del Comitato di liberazione nazionale,
lanciando un appello alla lotta e alla resistenza, senza nascondere
la richiesta di sostituzione del governo in carica, della fine della
monarchia e dell’istituzione della repubblica.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;">Per le truppe italiane fuori dal
territorio nazionale, incapsulate dai reparti tedeschi che ne avevano
praticamente accerchiato la maggior parte nelle settimane successive
la caduta di Mussolini, la situazione diventa drammatica. Nell’isola
di Cefalonia, nel mar Ionio, occupata dal regio esercito dalla
primavera 1941, dopo la resa della Grecia di fronte all’aggressione
italogermanica, è stanziata un po’ più della metà (11 700 tra
soldati ed ufficiali) della divisione «Acqui», assieme al suo
comandante, il generale Antonio Gandin; il resto (circa 10 000
uomini) è sulla vicina isola di Corfù. Il 14 settembre 1943 i
militari italiani a Cefalonia, dopo una consultazione interna che
coinvolge ufficiali e soldati, rifiutano di obbedire all’ordine dei
tedeschi di consegnare le armi e di arrendersi, e si apprestano a
resistere con le armi (non senza, nel frattempo, aver fucilato cinque
greci che avevano manifestato in pubblico contro l’occupazione
italiana che si protraeva da oltre due anni). Di fronte al rischio di
un collegamento tra le truppe britanniche che nel frattempo hanno
raggiunto Brindisi e le unità italiane che continuano a tenere
diverse isole del Dodecaneso, i comandi tedeschi decidono di
attaccare Cefalonia e Corfù e di applicare l’ordine, emanato il 10
settembre dal Comando supremo della <i>Wehrmacht</i> (OKW), secondo
il quale gli ufficiali italiani che avessero dato ordine di resistere
dovevano essere fucilati. La battaglia che ne segue si conclude tra
il 22 e il 24 settembre: 1300 soldati e ufficiali italiani muoiono
durante negli scontri, oltre 5000 vengono fucilati dopo essersi
arresi, altri 1400, fatti prigionieri e caricati su alcune navi,
scompaiono in mare. Dei circa 4000 sopravvissuti, 2500 verranno
trasferiti nei campi d’internamento militare in Germania, mentre
gli altri saranno utilizzati a Cefalonia come manovalanza coatta al
servizio dei tedeschi fino allo sgombero dell’isola da parte della
<i>Wehrmacht</i>, nel settembre 1944. Solo un piccolo gruppo di
ufficiali e soldati riuscì a sottrarsi alla cattura e ad unirsi alle
forze della Resistenza greca operanti nell’isola.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;">Se Cefalonia è il caso più noto,
nella convulsa fase di sbandamento caratterizzata dall’assoluta
assenza del re Vittorio Emanuele III, di Badoglio e dei generali in
fuga (è il caso di ricordare che la mancata dichiarazione di guerra
alla Germania da parte del governo italiano fu presa a pretesto dalle
autorità civili e militari tedesche per dichiarare «franchi
tiratori», e perciò passibili di fucilazione, quei militari
italiani che avessero rifiutato di cedere le armi), gli episodi di
resistenza che hanno come protagonisti membri dell’esercito
italiano sono stati numerosi, da Corfù (anche in questo caso per
opera degli uomini della divisione «Acqui») a Lero, a Scarpanto, a
Spalato, a Barletta, al Moncenisio.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;">Finita la guerra, familiari delle
vittime e superstiti di Cefalonia hanno promosso attivamente una
mobilitazione per ottenere giustizia nei confronti dei 31 militari
tedeschi responsabili dell’eccidio, che a Norimberga era stato
definito «una delle azioni più arbitarie e disonorevoli della lunga
storia del combattimento armato». In quella sede il generale Hubert
Lanz, comandante del XII corpo d’armata da montagna, in cui erano
inquadrate le unità responsabili della strage di Cefalonia, era
stato condannato a 12 anni di carcere, di cui però solo cinque
scontati. Le pressioni poc’anzi ricordate indussero all’inizio
degli anni Cinquanta il Tribunale militare territoriale di Roma ad
aprire un duplice procedimento, per «omicidio di prigionieri di
guerra» contro gli ufficiali della <i>Wehrmacht</i>, ma anche, per
«cospirazione e rivolta», contro 28 ufficiali italiani
sopravvissuti che erano stati tra coloro che più attivamente si
erano adoperati per convincere Gandin a resistere! Nel 1957 questo
secondo gruppo fu assolto con formula piena, ma di una sentenza
analoga avrebbero beneficiato, nel 1960, i tedeschi. L’andamento
del processo fu pesantemente influenzato dalla situazione politica
internazionale, che indusse le autorità politiche occidentali a
sostenere la tesi di una <i>Wehrmacht</i> sostanzialmente immune da
responsabilità nelle stragi naziste, totalmente addossate alla SS ed
alla <i>Gestapo</i>, per favorire il riarmo della Germania in
funzione antisovietica. Furono in particolare due ministri del
governo Segni nel 1956, il liberale Gaetano Martino e il
democristiano Paolo Emilio Taviani a impegnarsi in tal senso.
Recentemente Taviani, intervistato da «l’Espresso», ha ricordato
che «la guerra fredda imponeva delle scelte ben precise […]
l’Unione Sovietica stava invadendo l’Ungheria con tutte le
ripercussioni che chi ha vissuto in quel periodo conosce bene».</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;">La rivalutazione del caso Cefalonia da
parte del presidente della repubblica Ciampi costituisce solo
l’ultimo dei segnali di attenzione verso quei drammatici
avvenimenti da parte della storiografia antifascista,
dell’associazionismo democratico di ogni colore e di chi aveva
combattuto per la Liberazione.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;">«l’Unità», 11 maggio
2001</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
</div>
<h3 class="western">
<span style="font-size: x-large;">La memoria di Cefalonia e la malafede del
centrodestra</span></h3>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;">Brunello Mantelli</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;">«I soldati che combattevano nella
divisa, con le stellette, e sotto la bandiera del Regio Esercito, per
fedeltà a un giuramento e alla Patria, non avevano i requisiti del
Partigiano che si batteva <i>contro </i>questi valori, e magari per
altri non meno nobili, ma «di parte», come del resto diceva la sua
qualifica, non di patria. Ecco perché i caduti di Cefalonia non
potevano entrare nel sacrario della Resistenza. Ne avrebbero
inquinato il Dna e il blasone». Così, il «Corriere della Sera»
del 1° marzo 2001 commentava la visita di Ciampi a Cefalonia,
sostenendo che «in Italia se n’era ogni tanto – ma ogni tanto –
parlato come di cosa imbarazzante, perché <i>politically uncorrect</i>».
La tesi viene ribadita il giorno successivo, sempre sul «Corriere»,
là dove si afferma che il presidente avrebbe «corretto la
storiografia antifascista», espressione di una «sinistra che
pretese subito di egemonizzare la Resistenza, escludendo» i
militari. Il 4 marzo Ernesto Galli della Loggia, noto commentatore
del quotidiano milanese nonché professore di Storia contemporanea
all’Università di Perugia, rincara la dose sostenendo che eventi
come Cefalonia sarebbero «stati dimenticati o "addomesticati"
per anni dalla vulgata corrente tutta ispirata dalla sinistra». Si
innesca così un dibattito che coinvolge anche altri quotidiani e
che, quasi sempre, non contesta l’assunto di partenza: la
resistenza della divisione «Acqui» a Cefalonia come episodio
ignorato dalla storiografia e assente dai libri di scuola. Tale
«rimozione» sarebbe da ricondursi all’egemonia della storiografia
antifascista, tesa a privilegiare la resistenza dei partigiani
rispetto a quella dei militari.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;">Ma chiediamoci: il punto di partenza di
queste affermazioni è vero? Facciamo qualche controllo. Quasi mezzo
secolo fa, nel 1953, esce la <i>Storia della Resistenza italiana</i>,
pubblicata da Einaudi. La scrive Roberto Battaglia, storico
dell’arte, partigiano, comunista. All’eroica resistenza della
divisione «Acqui» a Cefalonia che rifiuta, con un «tumultuoso
plebiscito in cui tutta la divisione si pronuncia per la lotta contro
il tedesco», di arrendersi alla <i>Wehrmacht</i> sono dedicate due
fitte pagine, in cui le coordinate essenziali dell’evento vengono
lucidamente tratteggiate: la pressione esercitata dagli ufficiali
inferiori e dai soldati sul generale Gandin, comandante dell’unità,
perché venisse respinto l’ultimatum tedesco; il già ricordato
«plebiscito», che porta alla stesura di un comunicato in cui si
risponde ai tedeschi che: «per ordine del comando supremo e per
volontà degli ufficiali e dei soldati la divisione “Acqui” non
cede le armi»; il successivo attacco della <i>Wehrmacht</i> che,
vinta la resistenza degli italiani, sfocia in un massacro
indiscriminato dei prigionieri. La ricostruzione, sintetica ma
esaustiva, di Battaglia influenza non pochi libri di testo: «i
reparti dell’esercito all’estero lottano eroicamente ma
sfortunatamente contro i tedeschi, come a Cefalonia e a Lero». Così
il <i>Corso di storia per i Licei e gli Istituti magistrali</i>
pubblicato nel 1973 da Petrini, di cui è autore Guido Quazza. Come
Battaglia, Quazza è personaggio emblematico: storico, antifascista e
partigiano, negli anni Settanta succede a Ferruccio Parri nella
carica di presidente dell’Istituto nazionale per la storia del
movimento di liberazione in Italia. Rappresenta perciò
autorevolmente la storiografia antifascista.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;">«L’esercito si disgregò
immediatamente e solo pochi reparti non si sbandarono: a Cefalonia,
dopo alcuni giorni di combattimento, la guarnigione italiana fu
costretta alla resa e poi completamente massacrata». È la sintesi
di altro manuale largamente diffuso negli anni Settanta: il <i>Corso
di Storia per le scuole medie superiori</i> steso da Franco Gaeta e
Pasquale Villani e pubblicato nel 1974 da Principato.
Paradossalmente, a non far cenno al rifiuto opposto da migliaia di
soldati ed ufficiali alle profferte di resa della <i>Wehrmacht</i>
sono invece i libri di testo di orientamento moderato (se non
francamente conservatore). Se dai manuali passiamo alle sintesi, lo
spazio dedicato a Cefalonia aumenta: «A Corfù e Cefalonia gli
episodi più tragici e gloriosi: i reparti italiani si rifiutarono e
ingaggiarono battaglia [...] I nazisti, sopraffatte le truppe
italiane in durissimi scontri […] procedettero alla fucilazione
della maggior parte dei superstiti. […] A Cefalonia la decisione di
resistere con le armi [fu] assunta con un plebiscito tra ufficiali e
soldati», così la <i>Storia d¹Italia 1860-1995</i> pubblicata nel
1996 da Bruno Mondadori e scritta da Alberto de Bernardi e Luigi
Ganapini, entrambi esponenti autorevoli degli Istituti storici della
Resistenza. Per quanto riguarda gli studi specialistici, mi limito a
citare il fondamentale <i>La divisione Acqui a Cefalonia. Settembre
1943</i>, curato da Giorgio Rochat e Marcello Venturi e pubblicato da
Mursia nel 1993. Frutto di un convegno promosso dalla città di
Acqui, che – retta allora da una giunta di sinistra – aveva
istituito in ricordo della divisione martirizzata a Cefalonia un
premio di storia, il volume raccoglie in 349 pagine nove saggi di
studiosi italiani e tedeschi (tra cui Mario Montinari, dell’Ufficio
storico dello Stato maggiore dell’esercito, e Gerhard Schreiber,
dell’omologo Ufficio storico della <i>Bundeswehr</i>).</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;">Pare sufficiente a dimostrare che
raffigurarsi una Cefalonia dimenticata dalla storiografia
antifascista è una menzogna detta per ignoranza o per malafede. In
entrambi i casi con lo stesso risultato: diffondere un senso comune
che, attribuendo alla sinistra e alla storiografia a essa vicina
rimozioni, censure e distorsioni della verità storica (non importa
se del tutto inventate, come in questo caso) punta a sminuirne il
ruolo nella lotta di Liberazione e nella costruzione della Repubblica
democratica.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;">Un ultimo appunto: forse è fatica
sprecata indignarsi perché giornalisti, anche autorevoli, scrivono
senza documentarsi, è purtroppo costume diffuso nella categoria; ma
da personaggi come Ernesto Galli della Loggia, da anni nei ruoli del
ministero dell’Università, si deve pretendere che – prima di
impugnare la penna – vadano a controllare le fonti. In questo caso
bastava dare un’occhiata al vecchio e ben noto Battaglia.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;">«l’Unità», 11 maggio
2001</span></div>
<br />
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-72917618473425540362013-09-06T16:25:00.000+02:002013-09-06T16:29:45.115+02:00Lotto settembre<span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Garamond, serif;"><span style="font-size: large;">Nell'estate del 2001
iniziai a lavorare presso il service editoriale Alicubi e uno dei
primi importanti lavori fu uno speciale per l'Unità, direzione
Colombo, dedicato all'estate '43, sotto la direzione di Augusto
Cherchi e con altri collaboratori. Attraverso un cut-up di documenti
e fonti raccontavamo giorno per giorno l'Estate dei 45 giorni del
Governo Badoglio. Venne un interessante esperimento di narrazione
storica, nel fare il quale giorno per giorno imparai molte cose.
Negli anni successivi scrissi molto in quel contesto.</span></span><br />
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">A distanza di oltre 10
anni c'è ancora tutto. Qui ne mostro qualcosa. É ora di riportare
alla luce i files archiviati.</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Garamond, serif;">7Tanta</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Resistenza
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">inizia
qui.</span></span><br />
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">Versione originale
dell'8-9-10 settembre 2001</span><br />
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">qui</span><br />
<br />
<br />
<a href="http://archivio.unita.it/risric.php?key=enrico+manera&ed=&ddstart=08&mmstart=09&yystart=2001&ddstop=10&mmstop=09&yystop=2001">http://archivio.unita.it/risric.php?key=enrico+manera&ed=&ddstart=08&mmstart=09&yystart=2001&ddstop=10&mmstop=09&yystop=2001</a><br />
<br />
<br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">sotto la </span><span style="font-family: Garamond, serif;">trascrizione della prima giornata</span></span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">da l'Unità. 8 settembre 2001, p. 29-30, poi in Cherchi e Manera, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Estate 1943. Il crollo di una dittatura, </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">2 vv., Nuova iniziativa editoriale, Roma, 2002.</span></span><br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">Mercoledì 8 settembre
1943</span><br />
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;"><i>A
cura di Augusto Cherchi, Enrico Manera, Gian Luca Caporale</i></span><br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<i style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Il
governo Badoglio tenta di dilazionare l'annuncio dell'Armistizio e
decide all'ultimo l'annullamento dello sbarco alleato su Roma. Gli
Alleati, irritati, apostrofano duramente il governo italiano,
dichiarano di aver perso ogni fiducia e di voler procedere
ugualmente: viene annullata l'operazione Giant II ma nel pomeriggio
viene comunicato attraverso Radio New York, prima che lo faccia il
governo italiano, l'avvenuta firma dell'armistizio. I tedeschi si
apprestano a occupare il territorio italiano denunciando il
tradimento. Con loro, fino all'ultimo, il governo nega di essersi
arreso agli Alleati. Gli antifascisti annunciano al Paese la
mobilitazione contro i tedeschi e la Resistenza armata: ricevono dal
governo armi che la polizia sequestrerà poco dopo. Dopo aver
addirittura pensato di ritrattare l'armistizio, il Re finalmente
decide di andare avanti. Badoglio dà l'annuncio ufficiale al Paese
alle 19,42. La notizia si diffonde, come un'onda che travolge tutto.
La guerra fascista è finita. Ma ne comincia un'altra. La Guerra di
Liberazione. Da quel momento l'Italia non sarà più la stessa.</i><br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>Ore 2</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
Il maresciallo Badoglio spedisce un telegramma al quartier generale
alleato in Nordafrica, nel quale la prospettiva dell'attacco alleato,
concordato e organizzato in concomitanza dell'annuncio
dell'armistizio, viene completamente rimessa in discussione: </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">"Dati
cambiamenti et precipitare situazione et esistenza forze tedesche
nella zona di Roma non è più possibile di accettare l'armistizio
immediato dato che ciò dimostra che la Capitale sarebbe occupata e
il Governo sopraffatto dai tedeschi. (...). Operazione Giant 2 non è
più possibile dato che io non ho forze sufficienti per garantire
gli aeroporti. (…) Il generale Taylor è pronto a ritornare in
Sicilia e rendere noto il punto di vista del governo ed attendere
ordini. Comunicate mezzi e località che voi preferite per questo
ritorno. Fine telegramma. Firmato Badoglio". </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Badoglio convoca nelle
prime ore del mattino il Ministro degli interni Ricci e gli da ordine
di "preparare un piano per il trasferimento degli organi
essenziali del governo fuori Roma", sovrapponendosi così alle
iniziative già precedentemente organizzate dal generale Rossi, vice
di Ambrosio. </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>Ore 8</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
Il telegramma del capo del governo italiano, giunto alle 5.30 viene
decodificato e spedito a Biserta dove nel frattempo si è trasferito
il generale Eisenhower. Tra le 11.30 e le 12 il testo arriva anche
nelle mani del generale Castellano, che rimane sbigottito; dirà in
seguito:</span></span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">"Non
potevo supporre nemmeno lontanamente che si potesse non ottemperare
agli impegni presi con la firma dell'armistizio, né potevo
ammettere che a Roma non si fosse capita l'enorme importanza del
concorso americano alla difesa della capitale e lo si fosse
rifiutato". </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>Ore 11.35</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
Il generale Taylor spedisce un breve messaggio a Eisenhower:
"Situation innocuous", è il segnale convenzionale di
sospensione dell'operazione </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Giant
II. </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">Badoglio
telefona al generale Roatta per avere conferma delle deficienze di
carburante segnalate da Carboni e addotte come motivo
dell'impreparazione italiana. Roatta si reca immediatamente al
Viminale. Decidono insieme al generale Ambrosio, finalmente tornato
da Torino dopo due giorni d'assenza, di inviare al comandante
Eisenhower "un messaggio di primo piano" per mano del vice
capo di stato maggiore, generale Rossi. Questo è il testo di quel
memoriale: </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">"La
parte italiana aveva la netta impressione che lo sbarco nella zona
Salerno-Napoli avvenisse verso il 12 settembre. In conseguenza aveva
preso le disposizioni per rafforzare per tale data la difesa della
capitale, e per ricevere e proteggere la divi- sione aviotrasportata
americana. Non è perciò pronta alla data dell'8 settembre. Ma, a
parte questo, sono intervenute le seguenti circostanze: </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">-
Considerevole aumento delle forze germaniche a nord ed a Sud- Ovest
di Roma (divisioni 3° </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>panzer
granadiere </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">e
2 ° paracadutisti);</span></span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">-
Distruzione di depositi munizioni e carburanti causa i bombardamenti
aerei; </span>
</span><br />
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">-
Fortissima diminuzione da parte germanica nei rifornimenti di
carburanti;</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">-
Afflusso in Toscana, a Nord dell'Arno, di due divisioni germaniche
(65° - 305°) e di aliquote di due divisioni corazza- te
(Hitler-24°) che erano prima situate ad Ovest di La Spezia ed a Nord
dell' Appennino. </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">In
conseguenza le forze italiane destinate alla difesa della Capitale ed
alla protezione della divisione aviotrasportata, si sono trovate a
corto di munizioni e di carburante e non ancora rinforzate da due
divisioni provenienti dal Nord; e perciò non nella situazione di
assolvere efficacemente i loro compiti, mentre d'altra parte le forze
tedesche a portata erano molto più forti di prima. Ne sarebbe
derivato, qualora si fosse attuato il primitivo programma: </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">-
Rapida occupazione di Roma da parte germanica ed insediamento di un
governo tedesco-fascista; </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">-
Conseguente pericoloso disorientamento dell'opinione pubblica e delle
truppe; </span>
</span><br />
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">-
Grave situazione per le forze aviotrasportate americane man mano
sbarcate.</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Allo
stato attuale delle cose la parte, italiana considera come la più
opportuna la condotta seguente: </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">1.
Rafforzare secondo il programma già previsto, ed accumulando
proprie scorte di munizioni e carburanti, la difesa della Capitale e
la protezione della divisione paracadutisti. </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">2.
Pubblicare la richiesta di armistizio al momento in cui sia iniziato
il secondo grosso sbarco, ed esso abbia già fatto progressi tali da
impegnare le truppe germani- che a portata. Il chè permetterebbe di
ridurre al minimo il periodo di tempo in cui le truppe italiane si
troverebbero a dover fronteggiare da sole le truppe germaniche (le
quali - nel frattempo - potrebbero ancora aumentare attorno a Roma). </span>
</span><br />
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">3.
Questo secondo grosso sbarco dovrebbe avvenire il più vicino
possibile a Roma, allo scopo di attirare le truppe germaniche situate
a portata della Capitale, ed a quello di tagliare fuori le truppe
tedesche situate più a Sud. Se la necessità di far proteggere
detto sbarco dall'aviazione da caccia, non permettesse di effettuare
lo sbarco attorno a Roma, esso dovrebbe almeno essere attuato nella
zona di Formia, Gaeta, Terracina, Littoria sulla quale potrebbe
concorrere la caccia partente dalla zona di Salerno. Si potrebbe
anche considerare il caso di un'occupazione dei campi di aviazione
della Corsica orientale (Borgo-Ghisonaccia). Ma questa operazione
preventiva non è semplice, perché avvenendo prima
dell'armistizio, le truppe italiane potrebbero bensì ritirarsi
sulle montagne ed astenersi da attacchi ai campi predetti ed alle
truppe alleate che li proteggerebbero, ma non potrebbero ancora
impedire che tali attacchi fossero attuati dalle truppe germaniche
dell'isola (brigata SS. Reichsfuhrer).</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">4.
Non fare seguire immediatamente l'armistizio da atti di ostilità
italiani contro le truppe germaniche. È importante, infatti, che la
iniziativa di tali ostilità sia presa, come quasi sicuramente
avverrà, dalla parte germanica, perché in questo caso non ci
sarebbe la minima incertezza da parte della popolazione e delle
truppe nel combattere i tedeschi. Si tratterebbe, perciò di fare
arrivare la divisione aviotrasportata solo diverse ore dopo la
proclamazione dell'armistizio (nella notte successiva, se
l'armistizio è proclamato al mattino - nella seconda notte, se
1'armistizio è annunciato alla sera). Naturalmente, se (cosa
improbabile) la parte germanica non prendesse lei l'iniziativa delle
ostilità, la parte italiana le prenderebbe ugualmente al momento
dell'arrivo della divisione in parola. </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">5.
La data del secondo grosso sbarco e la distanza di tempo dell'arrivo
della divisione aviotrasportata dalla proclamazione dell'armistizio,
debbono essere chiaramente prestabilite, e comunicate il più presto
possibile. </span>
</span><br />
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">6.
Non è nell'interesse alleato che Roma e il Governo Italiano cadano
in mano germanica, e che le truppe italiane dell'Italia Centrale
siano messe fuori causa.</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Il
disorientamento della Nazione e delle rimanenti truppe sarebbe grave,
e l'aiuto da parte italiana nella susseguente lotta in comune ne
sarebbe decisamente compromessa. È interesse invece per gli
angloamericani che la Capitale rimanga in mano italiana, che rimanga
in funzione lo stesso Governo che ha richiesto l'armistizio, che
tutto il Paese e le truppe, italiane siano concordi al cento per
cento, nella lotta contro i tedeschi (Iniziativa delle ostilità da
parte loro) e che tutto l'organismo governativo e militare italiano
sia subito in condizioni di intraprendere una collaborazione attiva,
organizzata, ed in forze colle truppe alleate". </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>Ore 12</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
Il re riceve l'ambasciatore tedesco Rudolf Rahn, il quale ricorderà
l'incontro e le parole del sovrano:</span></span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">"L'Italia
non capitolerà mai"(...) Al termine della conversazione, il re
ha sottolineato di nuovo la decisione di continuare sino alla fine
della lotta a fianco della Germania, con la quale l'Italia è legata
per la vita e per la morte".</span><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span>
</span><br />
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">Ore 12.30 Castellano
ritenendo di poter ancora persuadere il governo a mantenere fede agli
impegni, spedisce il seguente telegramma:</span><br />
<span style="font-size: large;">“<span style="font-family: Garamond, serif;">Mancanza
nell'annunciare per radio l'armistizio alle ore 18.30 di questo
pomeriggio sarebbe considerata dal comandante in capo come mantenere
l'impegno solenne già firmato stop Se l'annuncio dell'armistizio non
venisse fatto all'ora fissata tutti gli accordi verrebbero a decadere
alt Comandante in capo dichiara che mancato annuncio potrebbe avere
conseguenze disastrose per l'avvenire dell'Italia stop". </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Dopo una rapida
consultazione con Roosevelt e Churchill, Eisenhower decide "che
quanto era stato previsto per l'annuncio doveva essere attuato".
Un aereo viene inviato per prelevare Castellano e portarlo al
quartier generale alleato a Cartagena. Dopo mezz'ora di attesa in
piedi nel cortile della palazzina, Castellano e l'interprete
Montanari sono introdotti in una grande sala dove sono presenti
Eisenhower, Alexander e Cunnigham e un imponente numero di generali e
ammiragli. Al saluto dell'inviato italiano nessuno risponde.
Eisenhower legge il comunicato di Badoglio, afferma di non poter
accettare quella richiesta - l'annuncio dell'armistizio sarebbe stato
dato ugualmente - e sottolinea il suo fermo disappunto nel caso in
cui il capo del governo italiano non avesse fatto lo stesso; in quel
caso, aggiunge apostrofando Castellano, riterrebbe che "il
governo italiano e voi abbiate giocato una brutta parte". Viene
dato a Castellano un messaggio per il governo italiano. Giungerà a
Roma solo alle 16.30. </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>Ore 15</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
Giunge il telegramma di Eisenhower che autorizza i generali Rossi e
Taylor, incaricati di gestire l'operazione militare su Roma, a
raggiungerlo alle ore 19 a Tunisi. </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>Ore 16.30</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
Radio New York anticipa la notizia dell'armistizio italiano. Le
truppe tedesche iniziano i rastrellamenti dei soldati italiani e
l'occupazione dei punti strategici, delle aree industriali e delle
vie di comunicazione. Giunge al governo a Roma il telegramma di
risposta di Eisenhower, intimante l'annuncio dell'armistizio. Il
testo afferma quanto segue: </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">"Dal </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>comando
in capo alleato al maresciallo Badoglio. </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">8
settembre 1943 N. 45</span></span><br />
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">Intendo trasmettere alla
radio l'accettazione dell'armistizio all'ora già fissata. Se Voi o
qualsiasi parte delle Vostre forze armate mancherete di cooperare
come precedentemente concordato io farò pubblicare in tutto il
mondo i dettagli di questo affare. Oggi è il giorno X ed io aspetto
che Voi facciate la Vostra parte. Io non accetto il vostro messaggio
di questa mattina postici- pante l'armistizio.</span><br />
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">Il Vostro rappresentante
accreditato ha firmato un accordo con me e la sola speranza
dell'Italia è legata alla Vostra adesione a questo accordo.</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Secondo la vostra
urgente richiesta le operazioni aviotrasportate sono temporaneamente
sospese. Avete intorno a Roma truppe sufficienti per assicurare la
momentanea sicurezza della città, ma io richiedo esaurienti
informazioni secondo le quali disporre al più presto per
l'operazione aviotrasportata. Mandate subito il Generale Taylor a
Biserta informando in anticipo dell'arrivo e della rotta
dell'apparecchio. I piani sono stati fatti nella convinzione che Voi
agivate in buona fede e noi siamo stati pronti ad effettuare su tale
base le future operazioni militari. Ogni mancanza ora da parte Vostra
nell'adempiere a tutti gli obblighi dell'accordo firmato avrà le
più gravi conseguenze per il Vostro Paese. Nessuna Vostra futura
azione potrebbe più ridarci alcuna fiducia nella Vostra buona fede
e ne seguirebbe di conseguenza la dissoluzione del Vostro Governo e
della Vostra Nazione. Generale Eisenhower".</span></span><br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>Ore 17. 45</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
L'ambasciatore tedesco Rahn, dopo aver ascoltato l'annuncio della
radio sta- tunitense, telefona immediatamente al generale Roatta per
chiedere spiegazioni. Questi risponde:</span></span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">"Questa
comunicazione di New York è una sfacciata menzogna della propaganda
inglese, che io devo respingere con indignazione".</span><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>Ore 18</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
A Roma i rappresentanti del Comitato delle opposizioni sono riuniti a
casa Bonomi. Giunge la notizia che gli Alleati sono sbarcati a
Salerno e che la radio alleata ha dato l'annuncio della resa italiana
e della conclusione dell'armistizio. Gli antifascisti vengono colti
di sorpresa: nei giorni precedenti si era sparsa la voce che
l'annuncio dell'armistizio sarebbe stato dato verso il 15 settembre.
"L'avevamo tanto atteso che quando venne non ce l'aspettavamo",
ricorda Giorgio Amendola. La riunione viene immediatamente sospesa e
riaggiornata per le ore 8 del giorno successivo. I militanti, - tra
loro Amendola, Longo, Trombadori, Forti, Boccanera, Secchia,
Scoccimarro - si mobilitano immediatamente per preparare sedi più
sicure, ritirare le armi promesse dal governo, preparare giornali e
stampati. Per le strade della capitale i tedeschi sono in agitazione.
</span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>Ore 18, 15</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
Comincia la riunione del Consiglio della corona, a cui partecipano il
Re, Badoglio, il ministro della Real casa Acquarone, il ministro
degli Esteri Guariglia, i ministri della guerra e delle tre armi,
Sorice, Ambrosio, Roatta, Carboni, Castellano e Marchesi. </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>Ore 18, 30</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
Il Servizio informazioni militari (SIM) comunica di aver intercettato
un messaggio da Radio Londra, che notifica la richiesta d'armistizio
da parte dell'Italia e l'accettazione delle medesime dei comandi
alleati. Il messaggio intercettato è quello del generale Eisenhower
inviato da Radio Algeri che recita: </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">"Qui
il generale Dwight Eisenhower, Comandante in Capo delle Forze
Alleate. </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Le
Forze Armate italiane si sono arrese incondizionatamente. Come
Comandante in Capo Alleato io ho accordato un armistizio militare i
cui termini sono stati approvati dai Governi del Regno Unito e della
Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. In questo modo ho
agito nell'interesse delle Nazioni Unite. Il Governo italiano ha
accettato questi termini senza riserve. L'armistizio è stato
firmato da un mio rappresentante e da un rappresentante del
maresciallo Bado- glio e diviene effettivo da questo istante. Le
ostilità fra le Forze Armate delle Nazioni Unite e quelle
dell'Italia sono adesso terminate. Tutti gli italiani che col nuovo
accordo aiuteranno a cacciare l'aggressore tedesco fuori dal suolo
italiano avranno l'assistenza e l'aiuto delle Nazioni Unite". </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Il messaggio viene
seguito da un proclama del primo ministro britannico Churchill: </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">"Le
Nazioni Unite informano che l'armistizio concluso dal generale
Eisenhower con l'Italia è strettamente militare e non com- prende
nessuna clausola di natura politica, economica o altra. Queste
clausole verranno determinate a suo a suo tempo. Di conseguenza, gli
articoli dell'armistizio non verranno per ora pubblicati e nemmeno
comunicati al parlamento inglese. Si può dire, comunque, che, per
effetto dell'armistizio, il maresciallo Badoglio </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>si
obbliga a respingere con le sue forze qualunque attacco da qualsiasi
parte provenga".</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
</i></span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Dopo aver preso
conoscenza dell'annuncio alleato la riunione del Consiglio della
corona riprende con un breve riassunto della situazione fatto dal
generale Castellano; subito il generale Carboni e il ministro Sorice
definiscono inqualificabile l'atteggiamento degli alleati e
propongono la denuncia dell'armistizio. Prende la parola il maggiore
Marchesi che sostiene invece con forza l'opportunità di procedere
con quanto previsto dalla firma, supportato anche da Castellano e
Guariglia. Sentite le posizioni il Re toglie la seduta, trattenendosi
con Badoglio. Dopo pochi minuti il capo del governo esce dalla sala.
Il sovrano ha scelto l'armistizio. </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Si legge nei </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Taccuini</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
di Benedetto Croce: </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">"Alle
18.30 tornavo a casa da una piccola passeggiata quando Adelina mi ha
detto di aver udito alla radio che è stato concluso l'armistizio
con gli angloamericani". </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Ore 19 L'ambasciatore
Rahn si reca al Ministero degli esteri su invito di Guariglia che gli
comunica:"Devo dichiararvi che il Maresciallo Badoglio, vista la
situazione militare disperata, è stato costretto a chiedere un
armistizio". L'ambasciatore tedesco risponde: "Questo è
tradimento della parola data". Guariglia ricorderà in seguito:
"Io sono convinto che, se anche Rahn riteneva inevitabile
l'uscita dell'Italia dal conflitto, egli fu sorpreso dalla notizia
dell'armistizio perché sperava di poter assecondare per parecchio
tempo ancore il giuoco di quei capi militari tedeschi, che
intendevano guadagnare tempo per rafforzare maggiormente il loro
dispositivo difensivo in Italia". Alla stessa ora Rossi,
accompagnato da Taylor, giunge a Tunisi e conferisce con Eisenhower,
ripor- tando il punto di vista di Badoglio: "Il maresciallo
giudica impossibile l'aviosbarco della divisione per la notte fra l'8
e il 9 e chiede di ritardare di pochi giorni l'armistizio per rendere
possibile detta operazione. Rassicura il comando alleato dei suoi
sentimenti di collaborazione e di lealtà e prega di voler
richiamare il gen. Taylor per rendere meglio edotto il Comando
alleato della situazione". </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>Ore 19,30</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
Giunge a Roma il telegramma del generale Eisenhower a cui Badoglio
risponde: </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">"La
mancata ricezione del segnale d'azione convenuto per radio e il
dilazionato arrivo del vostro n ̊ 45 non ha consentito di
radiodiffondere la proclamazione all'ora convenuta. La proclamazione
avrebbe avuto luogo come richiesto anche senza il vostro messaggio,
essendo per noi sufficiente l'impegno preso. L'eccessiva fretta ha
effettivamente trovato i nostri preparativi incompleti e causato
ritardo".</span><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>Ore 19, 42</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
Dagli altoparlanti delle radio di tutta Italia - nei locali pubblici,
nelle piazze, nelle strade, nelle case - si diffonde la voce del capo
del governo. Il maresciallo Badoglio legge l'armistizio: </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">"Il
Governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare la
impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell' intento
di risparmiare ulteriori e più gravi danni alla Nazione, ha chiesto
un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze
anglo-americane. La richiesta è stata accettata. Conseguentemente,
ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare
da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno
ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza".</span></span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Il nome
del comandante alleato pronunciato da Badoglio suona "Aisenover".
</span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>Ore 21</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
Il re Vittorio Emanuele III, la regina Elena, il figlio Umberto,
l'aiutante Puntoni, gli ufficiali di ordinanza, un cameriere e una
cameriera, giungono al Ministero della guerra entrando dall'ingresso
secondario. </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>La reazione dell'ex
duce</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Mussolini, custodito a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, viene
informato dal maresciallo Antichi dell'armistizio. Secondo la
testimonianza del militare, alla notizia </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">"era
scattato in piedi gesticolando; aveva scaraventato via, lontano da
sé il libro che stava leggendo, poi si era messo ad accusare
Badoglio di tradimento. Subito aveva preannunciato rappresaglie
tedesche. "Questo è un gran brutto giorno per l'Italia"
urlò "vedrete ora i tedes</span><span style="font-family: Garamond, serif;">chi
cosa faranno!" poi scuotendo la testa aveva aggiunto: "non
tollereranno mai questo tradimento!".</span><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>Si prepara la
repubblica di Salò</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Nella notte su un treno speciale allestito appositamente, in Prussia
orientale, vengono radunati i gerarchi fascisti presenti in Germania.
Göbbels spiega: </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">"Pavolini,
Ricci e il figlio del duce sono ora al quartier generale a prepara-
re un appello al popolo italiano e alle forze armate italiane. Sono
stati scelti per formare un Governo neofascista che agisca in no- me
del duce. Dovranno prendere residenza nell'Italia settentrionale non
appena le condizioni si siano là consolidate (...) Farinacci deve
arrivare nel corso del pomeriggio per integrare l'opera di questo
triumvirato". </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>La situazione delle
forze alleate</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">.
In Calabria le forze Alleate si trovano, dopo cinque giorni dallo
sbarco, a 160 Km a nord di Reggio Calabria e non hanno praticamente
incontrato resistenza. </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>L'ambivalenza del
governo</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">.
A Roma nella notte il generale Carboni, sulla base di accordi presi
in precedenza con il Comitato delle opposizioni per armare la
popolazione contro i tedeschi, fa consegnare a Luigi Longo due
autocarri contenenti delle armi, che sono scaricate e immagazzinate
in luoghi diversi da Guido Carboni, figlio del generale, Felice
Dessì, monarchico e confinato politico, da Longo stesso e da altri
militanti comunisti. Poco dopo la polizia, evidentemente ben
informata, circonda alcuni depositi e sequestra gran parte delle
armi, fucili e bombe, e delle munizioni. </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><b>Le reazioni popolari</b></span><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Andrea Damiano, sfollato da Milano, si trova a Montalto Pavese; nel
suo diario racconta come ha vissuto la notizia: </span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">"Oggi
verso sera due ragazzotti che passavano per la strada dissero alla
mezzadra, uscita ad attingere acqua: "Hanno fatto la pace".
Mia cognata, che era fuori anche lei, mi guardò con due occhi
tramortiti. "Hai sentito?" Corremmo alla radio. Un disco
inciso ripeteva le parole con le quali Badoglio comunicava la notizia
dell'armistizio. Mia moglie era giù nella vigna con mio suocero e i
figli. Corsi giù a dar loro la nuova. Trovai mio suocero che saliva
su per l'erta, appoggiato a una lunga canna, seguito dagli altri. Gli
grido da lontano: "Armistizio, la guerra è finita!" Egli
sostò appoggiato alla canna, facendo gli occhi piccoli e
aggrottando la fronte per intendere le parole che gli gridavo. Poi
capì, e riprese a salire a capo chino. Mi dissi: "Guarda come
è apatico". Poi mi avvidi che ero apatico come lui. Mia moglie
accolse la nuova con una faccia grave. Risalimmo tutti e tre il
pendio fino alla costa, in silenzio. Badoglio ha concluso il suo
messaggio con parole oscure, o fin trop- po chiare: "Qualunque
tentativo di aggressione, da qualunque parte venga, sarà respinto
con le armi". Da chi può venire questa aggressione, se non
dalla Germania? Chi giubila è l'uomo dei campi. Mentre scrivo
giungono dal paese echi di canti: sono tutti all'osteria. Il popolino
è felice, noi no. Perché? Non volevamo la pace anche noi? Ma
stasera la plebe non ha coscienza dell'abisso nel quale siamo
precipitati. O forse ce l'ha fin troppo, ma non gliene importa. Pace,
tutti a casa, ciucche alla domenica, e regni chi vuole. "A Nadal
se spusamma!" mi gridò uno, sfrecciando in bicicletta,
giubilante. In questo giubilo c'è la rivoluzione di domani. Brucia
più scorie questa gioia, pronta a tramutarsi in furore
rivoluzionario, che le nostre benpensanti doglie. Notte calma. Poc'
anzi sono uscito sull'aia e ho guardato il cielo, vuoto sotto le
stelle. Non più rombi di apparecchi incursori. Attorno al cadavere
della patria è un gran silenzio". </span>
</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Il priore di San Giusto
a Montalbini, in Toscana descrive l'evento così: </span>
</span><br />
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">"La sera dell'8
settembre 1943 si vedono in lontananza tanti fochi come per la
vigilia di S. Giovanni. E poi comincia da tutte le chiese uno
scampanio a festa che riempie l'aria di un'insolita allegria. Cosa
c'è? Dopo poco "la galena" ci annunzia l'armistizio. Io
non suono le campane. Sulle sciagure della patria non si gioisce, ma
si piange. Io non suono le campane. Comprendo che la guerra non è
finita, comprendo che i tedeschi sono "diavoli"; sono
ostinatamente tenaci e quindi, avendoli in casa, la guerra non è
finita ".</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">L'«Avanti!», giornale
del Psiup, prepara il comunicato ufficiale dal titolo: "La
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>guerra
fascista è finita. La lotta dei lavoratori continua". </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">Un
sintetico articolo informa sui fatti e sull'annuncio dell'armistizio;
"Nel </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>nome
dei morti i vivi promettono" </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">una
rinascita del paese nel nome di chi ha combattuto. Un </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Appello
ai soldati tedeschi in Italia </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">invita
alla diserzione e all'"affratellamento" con gli italiani, a
"rendersi indipendenti dal fascismo, dall'oppressione nazista,
da Hitler" per una "pacifica ricostruzione dell'Europa".
Il foglio si chiude con </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>La
parola d'ordine del partito: </i></span>
</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">"Lavoratori.
L'Armistizio con le Nazioni Unite è stato firmato. (...)Difendete
la Pace contro chiunque e con ogni mezzo! Via i nazisti dall'Italia!
(...)Via il re fascista! (...). Esigete un governo popolare che ridia
la libertà e che avvii alla vostra suprema aspira- zione: la
repubblica Socialista!". </span></span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span>
<span style="font-family: Garamond, serif;">un articolo</span></span><br />
<span style="font-size: large;">da l'Unità 25 aprile 2003</span><br />
<h2 class="western">
<span style="font-size: large;">Resistenza, la disobbedienza come
responsabilità civile</span></h2>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: large;">Enrico
Manera</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Times New Roman, serif;">Ha
scritto Claudio Pavone nella sua fondamentale opera del 1991</span><span style="font-family: Times New Roman, serif;"><i>
Una guerra civile</i></span><span style="font-family: Times New Roman, serif;">,
ancora oggi non correttamente recepita dai più, che con la scelta
resistenziale “per la prima volta nella storia dell’Italia unita
gli italiani vissero in forme varie una esperienza di disobbedienza
di massa”. Il senso di tale affermazione investe l’intero assetto
della Resistenza nella molteplicità delle sue manifestazioni,
assumendo il senso di un clima generale che accompagna interamente
quei circa venti mesi che separano l’Armistizio dalla Liberazione.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: large;">Proprio
dall’8 settembre bisogna partire per ritrovare le tracce di un
primo significato di ‘libertà’ nella scelta resistenziale: il
suo essere un atto di disobbedienza, non «a un governo legale,
perché proprio chi detenesse la legalità era in discussione», ma
«a chi aveva la forza di farsi obbedire» (Pavone).</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: large;">Il
totale vuoto di potere creato dall’abbandono di ogni responsabilità
da parte del Re e dei generali in fuga verso Brindisi, aprì uno
spazio di libertà che per tutti si trasformò nell’esigenza di
scegliere da che parte stare. Massimo Mila descrive questa situazione
parlandone come di una “rivelazione a se stessi”, una nuova
possibilità di vita scaturita da scelte che venivano compiute spesso
in solitudine e la cui radicalità veniva modulata in base alla
situazione contingente, alla possibilità e alla determinazione. Nei
testi di Mila, di Ada Gobetti, di Franco Venturi, di Roberto
Battaglia, di Pietro Chiodi, emergono a questo proposito espressioni
come ‘gioia’, ‘infanzia’, ‘incoscienza’, ‘entusiasmo’,
‘fervore’, ‘energia’. Parole che testimoniano, oltre la
tragicità degli eventi, l’ebbrezza della libertà. Una realtà di
grande rilevanza educativa per una generazione, cresciuta negli
apparati totalitari del regime, che nella scuola elementare aveva
dovuto imparare a memoria queste parole del libro unico di Stato:
“quale dev’essere la prima virtù di un balilla? L’obbedienza!
E la seconda? L’obbedienza! E la terza? L’obbedienza”.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: large;">Connessi
alla recuperata libertà furono, da subito, il senso di
responsabilità a cui si era chiamati e la dimensione collettiva del
fenomeno. Fin dal settembre 1943 si assistette a manifestazioni di
solidarietà e di aiuto della popolazione offerto agli sbandati e ai
fuggiaschi, in un clima diffuso di ‘resistenza passiva’. I
macchinisti rallentavano i treni o si fermavano per permettere ai
soldati di scappare; contadini e ragazze portavano cibo a ragazzi in
fuga e senza le idee chiare, tutti offrivano abiti borghesi.
Cominciava da lì quella resistenza civile che Anna Bravo ha definito
un “maternage di massa”, una gigantesca mobilitazione soprattutto
di donne tale da configurare un “enorme lavoro di tutela e
trasformazione dell’esistente – vite, rapporti, cose – che si
contrappone sia sul piano materiale sia spirituale alla terra
bruciata perseguita dagli occupanti”.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: large;">Una
tale rete di supporto fu la base su cui si erse la “resistenza
attiva”, i cui primi nuclei si sarebbero venuti a formare di lì a
pochissimo. Uomini di diverso orientamento politico, vecchi
antifascisti liberati o tornati dal confino, militari sbandati,
giovani renitenti alla leva, studenti e contadini, fecero la scelta,
collettiva e non individualista, di diventare “banditi”. Una
scelta fatta nella consapevolezza di essere portatori di una
legittimità e di una giustizia ormai scomparse dall’orizzonte
storico del tempo.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: large;">La
disobbedienza è, di per sé, il primo atto di una scelta
responsabile, nata all’interno di un ripristinato ‘stato di
natura’, in cui tutti, potenzialmente, sono contro tutti. Eppure
nei luoghi della Resistenza tra il 1943 e il 1945, sulle montagne,
nelle città, nelle fabbriche, nei campi di concentramento, nelle
case e nelle cantine, nelle osterie dopo l’orario di chiusura, si
ridefinivano i ruoli e i rapporti tra le persone. Rinasceva la
democrazia come confronto diretto e dialogo aperto, beninteso anche
con scontri e divergenze drammatiche di natura politica e
organizzativa. Non si dimentichino la fame, la povertà e le
condizioni proibitive in cui versava la popolazione di un paese in
guerra, frequentemente bombardato e con una rete di spionaggio e di
repressione durissima e violenta.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: large;">In
questa situazione la facoltà di critica e il rimpadronirsi di sé si
riaffacciavano nella vita degli individui per diventare lo spazio
mentale e sociale su cui si sarebbe rifondato il Paese. La
disobbedienza della Resistenza diventa dunque sinonimo di
responsabilità civile, capacità di ridare dei significati alle
azioni e alle scelte dopo un ventennio di eterodirezione delle
coscienze e di un apparato totalitario retorico, pacchiano e tronfio
che aveva reso ridicolo il senso stesso delle istituzioni. Mentre le
maiuscole del littorio romano e dell’impero si sprecavano, i
soldati al fronte male armati ed equipaggiati erano stati i primi a
scoprire quanto ci fosse di drammaticamente falso nelle trite formule
del credere-obbedire-combattere e in difesa della patria a guardia
dei bidoni di benzina.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Times New Roman, serif;">Se
le drammatiche condizioni della ritirata di Russia avevano spazzato
via ogni dubbio, così l’8 settembre fu il momento, percepibile da
tutti, del vuoto di potere assoluto e del crollo delle isituzioni.
Non “morte della patria”, come vuole certo revisionismo nostrano,
ma crollo definitivo del misero edificio costruito da una dittatura
che in vent’anni aveva eroso le già fragili fondamenta di uno
Stato in cui il processo di </span><span style="font-family: Times New Roman, serif;"><i>Nation
Building </i></span><span style="font-family: Times New Roman, serif;">era
tutt’altro che compiuto. Moriva la patria monarchica e fascista,
bisognosa di fondarsi su valori altisonanti e ideologici perché
incapace di esprimerne di autenticamente umani. Ma lo Stato italiano
era morto ben prima, nel 1938, quando Mussolini con l’avallo della
monarchia aveva instaurato le leggi razziali, stabilendo la fine dei
diritti più elementari per i cittadini italiani di origine ebraica.
O, addirittura nel 1924 insieme a Giacomo Matteotti, senza che i
senatori liberali del Regno avessero fatto alcunché per ripristinare
lo stato di diritto; o il 28 ottobre 1922 quando con la passeggiata
romana in camicia nera, l’incapacità delle </span><span style="font-family: Times New Roman, serif;"><i>élites</i></span><span style="font-family: Times New Roman, serif;">
liberali di rapportarsi con le emergenti masse popolari decretò
l’affidamento del potere a Mussolini da parte della monarchia.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: large;">Quando
era nata, la Repubblica di Salò aveva ripristinato un ordine
costituito con tanto di costituzione (quella carta di Verona che
annoverava gli ebrei come nazione nemica) eppure per la maggior parte
della popolazione era chiaro che la giustizia non stava da quella
parte. Anche chi non amava i partigiani li preferiva di gran lunga ai
tedeschi e ai fascisti perché sapeva benissimo chi era stato a
scatenare la guerra. La rete di solidarietà di cui godettero i
partigiani testimoniano al contrario una istintiva identificazione
con la giustizia e con la legittimità che rendeva non solo
possibile, ma anzi doveroso praticare la Resistenza.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: large;">Una
delle ragioni della differente qualità etica tra la scelta
resistenziale e quella fascista repubblicana (tra la ‘vita’ e la
‘bella morte’) sta nel fatto che l’opzione salodiana per la Rsi
non avvenne alla luce della critica, ma in quella della continuità
con un regime di cui si conoscevano i programmi e le efferatezze. Il
più delle volte, nei processi dopoguerra la scelta per la Rsi e la
commissione di crimini efferati furono giustificate dai fascisti con
la frase: “l’ho fatto perché mi è stato comandato”. Per non
parlare di quella citata da Pietro Chiodi che si sentì dire da un
marò della X mas “ che gli è sempre piaciuta la marina” e che
“nei partigiani non c’era”.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: large;">Le
giustificazioni incentrate sulla difesa e sull’onore della patria
non reggono se si pensa che oltre il 95% degli ufficiali tra gli
internati militari italiani, arrestati e deportati in Germania dopo
l’8 settembre rifiutarono di farsi reintegrare nell’esercito
saloino, non in quanto antifascisti (o, peggio ancora, ‘comunisti’),
ma proprio in quanto ufficiali dell’esercito di una patria di cui
difendevano l’onore.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: large;">Come
ha detto Claudio Pavone, in un ragionamento semplice e autoevidente,
profonda è stata la differenza etica che ha diviso chi ha fatto la
scelta resistenziale da chi ha scelto per la Rsi: da un punto di
vista collettivo e politico da una parte si combatteva per la libertà
e la democrazia, dall’altra si combatteva per un regime totalitario
e autoritario, al di là della buona o della cattiva fede nell’uno
o nell’altro campo.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: large;">A
chi oggi mette in discussione l’importanza del 25 aprile e il suo
valore collettivo per lo Stato e la società italiana, ricordiamo la
gioia di chi cinquantotto anni fa visse la Liberazione dal
nazifascismo. È Ada Gobetti, la vedova di Piero -lucidissima
intelligenza stroncata dalla violenza fascista nel 1926- a ricordare
l’aprile 1945 e il sentimento comune e condiviso: «Ebbene? –
gridai loro – rallentando la bicicletta. E tanta era in quei giorni
l’identità dei sentimenti e dei pensieri che essi intesero
benissimo il senso della mia domanda e, benché non mi conoscessero
come io non li conoscevo, risposero con un gesto allegro della mano:
– Se ne sono andati!».</span></div>
<br />arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-48573866947755989522013-09-02T17:07:00.003+02:002013-09-02T17:12:23.104+02:00Memory, violence, utopia<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-JYIuNzrntv8/UiSphpWHbsI/AAAAAAAAASg/HMpyUgqQT1Q/s1600/picasso.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="http://4.bp.blogspot.com/-JYIuNzrntv8/UiSphpWHbsI/AAAAAAAAASg/HMpyUgqQT1Q/s640/picasso.jpg" width="456" /></a></div>
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<span lang="en-GB" style="font-size: x-large;">In
Unità di crisi,</span><span lang="en-GB" style="font-size: x-large;"><i> Krisis
/Orientation, </i></span><span lang="en-GB" style="font-size: x-large;">Milano,
2013</span><span lang="en-GB" style="font-size: x-large;"><i>, </i></span><span lang="en-GB" style="font-size: x-large;">pp.
289-295,</span><br />
<div style="margin-bottom: 0cm; page-break-before: always;">
<span lang="en-GB" style="font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; page-break-before: always;">
<span lang="en-GB" style="font-size: x-large;">http://www.unitadicrisi.org/krisis/</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; page-break-before: always;">
<br />
<br /></div>
<div lang="en-GB" style="margin-bottom: 0cm;">
<i><span style="font-size: x-large;">Memory, violence,
utopia. The myth as a means of orientation</span></i></div>
<div lang="en-GB" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div lang="en-GB" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Enrico Manera</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;"><i>Anatomy of the
myth</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">The
myth is a generator of identity and orientation. But the statement is
likely to be vague and somehow mythical, when it tends to escape the
embarrassing question of what is a myth, or worse yet, </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>the</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
myth. I don’t believe I’m exaggerating when I affirm that the
problem goes along with the history of philosophical thought, that
precisely in the supposed separation of </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>mythos</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
from </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>logos</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
wanted to see one of its own acts of foundation. The question that
everyone avoids – </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>What
is the myth?</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
– can be answered initially with the words of Jean-Pierre Vernant,
inevitably starting from ancient Greece: “it presents itself in the
form of a story from the mists of time and that already existed
before any narrator began to tell it. In this sense, the mythical
story does not depend on the invention of the personal or creative
imagination, but on transmission and memory” (Vernant 2000).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Of
remote origin, a cultural heritage that has been preserved and
transformed orally in the millennia, it comes to constitute the
</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>cultural
memory</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
of a community that shares it, a </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>compendium</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
of homogeneous knowledge and practices known to all, articulated into
multiple variants and versions, never definitive and often
contradictory, which are defined by contrast with the historical
narrative (of which they lack the accuracy) and that maintain an
ambiguous relationship with the literary dimension (in the absence of
a clear authorial stamp).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">A first paradox is
that all these stories are known and have become mythology because
they were written, that is, distorted, in their being a continuous
flow and fixed arbitrarily by the written form, frozen by philology
that needed to canonise them. The crystallisation of literature makes
it possible to retain every myth and modify it at the same time: for
this reason many scholars, above all Claude Lévi-Strauss and Károlyi
Kerenyi, think that we should take into account all the possible
versions of a mythologem, a term by which its minimum core of
recognition is defined.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">This is true for
the entire legacy of sacred history of ancient populations, for whom
we use the notion of myth.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">The
second paradox is that Greek mythology first, and the
Jewish-Christian after, have maintained a privileged relationship
with the </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>truth</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
that other mythologies have not been granted. But once the scholar
jumps out of the bounds of the “white mythology” of his or her,
own tribe (Derrida 1972), in the twentieth century the myth becomes a
field of knowledge in which to research the intellectual background
of which narration is testimony: traces of the “ideology” are
deposited in stories (Dumézil 1982), the conception of the great
forces rule the world, mankind, society and make them what they are.
Conceptions of the world, of history, of life, that cannot be
evaluated in terms of true or false, and that express interests,
needs and aspirations of the different social groups. Mythology is
than the narrative articulation of a form of thought declined in
history, in which social, political, legal, religious and ritual
forms meet: a strongly determining thought that acts on an
unconscious level and gives meaning to the life of a community.</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Third
paradox: we do not ever meet the </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>myth</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
but rather some concrete manifestations of mythology, </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>mythological
material</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
– stories, figures, symbols, remains of worship, literary
quotations but also theories that explain them. The singular “myth”
can be then used at the most to indicate the function that such a
cultural object can assume: a unifying factor in the field of
collective imagination to interpret, arrange, stabilise, build
reality.</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;"><i>Fictions of the
myth</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">The
question then is: what is the use of a myth? Knowledge conveyed by
language and writing, a form of rationality that is pre-scientific
and pre-philosophical, it performs functions of general orientation
in space and time. The heritage of the ancient mythological stories
had a value of foundation for ancient populations, it allowed to
explain in an elementary way the genesis of the world; to recognise
common ancestors, heroes who were founders of noble houses, royal
families, patrons of local realities. They were stories able to set
the place and community in a more complex </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>epic</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
divine and human at the same time. The network of mythology, in its
indistinctness between politics and religion, allowed each individual
to build their own identity. It was thus possible a conscious
self-recognition in a cosmos, in a population, in a community, in a
family, by reference to a shared knowledge and a common history, then
further differentiating in accordance with the social role, age and
gender.</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">The
functions that the myth plays are simultaneously of theoretical
orientation (</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>what
we know</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">),
practical (</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>how
to act</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">)
and of cohesion (</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>who
we are</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">),
that is, they develop social bonds, without which the individual is
not such. By virtue of its emotional potential and its ability to
communicate the myth provides answers to general questions on reality
and shapes the elementary coordinates of the world in which we live.
But none of this happens outside of history. Sharing a mythology is
(always has been) an instrument of legitimation of power and
justification of social stratification. Since ancient times </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>mythos</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
comes with the authority of truth, consolidates otherwise arbitrary
self-evidences making them appear obvious and natural (Blumenberg
1991), it indicates “speech, story”, but also “project,
machination”, it’s a word that evokes the real and effective
elapsed time and has the authority of an anointed past (Jesi 1973).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Every
culture operates so as to conceal the arbitrary in its way of life,
presenting it as the only one, possible. The elementary state of a
culture makes norms, values, institutions, interpretations of the
world obvious: it makes them the invisible, transforming them into a
necessary order without alternatives. The culture, the ancient as
well as the modern, operates based on a double pretence (</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>fictio</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">):
first it models men in a certain way, and then it pretends that it is
not a construction, but the truth. (Remotti 2000).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">So the myth
continues to this day, despite the end of “its” time, to present
itself as a sacred voice of ulteriority. New meanings of myth and new
ways of thinking about it continue to bind people together. But above
all, what we call myth should not be thought of as a simple fact,
autonomous and self-referential, but as the result of a complex
social mechanism that produces culture, that is, a connective
structure that guarantees identity. And to do it, it presents itself
as true as ever, as the origin, avoiding any question about itself,
hiding its artificial, arbitrary and groundless nature.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;"><i>The
technicisation of the myth</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">The
deepest reflection on the myth is bound to the time when the
explosion of modernity and mass society gives rise to a new form of
mythology, the nationalistic, which shares its language with,
propaganda and advertising: from the Great War, to fascism and
national socialism, the relationship with the past becomes crucial.
The myth became the hub of a culture of the archaic and primitive,
vital and pristine, within a short circuit between knowledge and
power that sees the intellectuals at the forefront in the service of
the triad violence, authority, power (</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>Gewalt
</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">in
German). “The claim of authenticity, the archaic principle of blood
and sacrifice, already has something of the bad faith and the
shrewdness of dominion typical of the national renewal that today
uses prehistory as advertisement” (Adorno and Horkheimer 1966).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">The term
“technicised myth” stands to indicate the instrumental processing
of images as a means of enchantment to achieve certain goals. Kerenyi
(1964) has distinguished it from a “genuine myth”, understood as
a force that “grabs and shapes” the archaic man's consciousness:
a spontaneous form uninterested in the mind, a sort of constituent,
imaginative faculty inside which elements of the reality of a social
group are formed. It is concerned with the ancient, it is lost
forever and we cannot really know it. On the other hand the
“technicised myth” is aimed at achieving specific effects of
political action, especially in these times, with the loss of the
fundamental connection to the sacred that had been guaranteed for a
long time, it raises, then, the problem of reconsolidating forms of
legitimisation.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Thomas
Mann's </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>Doctor
Faustus</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
masterful novel of exile and great allegory of the relationship
between German culture and Nazism, explicitly address the issue: “in
the century of the masses, parliamentary debate had to be completely
unsuitable to form a political will […], it was necessary to
replace it with a gospel of mythical fictions designed to trigger and
put into action the political energies like primitive battle cries.
[…] The popular myths, or rather myths fabricated, for the masses,
would become the vehicle of political movements: fairy tales,
fantasies and inventions that need not contain scientific or rational
truths contained to inseminate, to determine the life and history,
and thus prove themselves dynamic realities”. Here, there’s the
twentieth century in a nutshell.</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">The
relationship between knowledge and power is decisive: there is a more
or less unconscious cultural sub-layer of European culture,
particularly German, who thinks about the myth as the “voice of
being” and it turns to it when there is the need find the ideal
resources for a world crisis of meaning and legitimacy. Scholars such
as Schelling, Bachofen and Nietzsche have contributed, at times
unintentionally, to the development of an Dionysian and pagan-like
irrationalism, active in the Germany of Wilhem II, for example in the
circle of the poet George, and then in the coarse Nazi mythology of
Rosenberg and Goebbels. It is therefore within the German area –
the history, philosophy and literature – that forms the “myth of
mythology”, that in the face of the uncertain origin of myths, it
makes the origin of humanity or the nation. A real </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>religio
mortis</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
explicit in the fascist thanatophilia (fascination with death), has
been going along with European culture from the moment Schiller
placed poetry under the melancholic sign of loss and Nietzsche
announced the death of God. Since then large areas of culture are
turning to the past as space of death, absence and opacity, as a
symbol that can revitalise the pre-modern society, conceived as a
golden age compared to modern decadence.</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">The
totalitarian mechanisation, that concerns itself, in addition to
right wing movements, also with Stalinism </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">or
other experiences with other statements</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
is the extreme case that shows how propaganda is an artificial and
fraudulent mythology able to substitute violence in the early stages
of consolidation of a regime. In an ideological construct what is
important is not its degree of truth, but the level of integration
and homogeneity, and its performance efficiency derives from the
immediacy of the symbol and its ability to simplify reality. To
mechanise a myth means to reinvent a tradition, starting from a
position of power and making use of the device of communication,
modulating its rhythm and intensity, counting on the repetition of
clichés and on the ability to construct common attitudes with
frequency, seduction, pervasiveness. As it happens, in the world of
mass communication.</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;"><i>Myth Dynamics
and mythological machine</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Every culture,
irrespective of the content of their mythological narratives, is
built in part on the narrative: storytelling has a high performance
power, it generates meaning and produces sense. So every society,
ancient or modern, involves some form of mythology: the circulation
of mythological materials plays a major role in the texturing of the
connective structure of a society.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Jan
Assmann has developed the concept of “myth dynamics”
(</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>Mythomotorik</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">),
according to which the myth is a thing of the past, which produces a
self-image and hope for targets of action, and has a narrative
reference of the past that sheds light on the present and the future.
It can play a fundamental role, placing the present under the light
of a history that makes it look endowed with meaning, necessary and
immutable. Otherwise it can have counterfactual function, evoking,
from deficiencies of the present, a heroic past, so as to reveal the
gap between “time” and “now”. The present is in this way
relativised with respect to a better past and, in a period of
oppression and impoverishment, forms of messianism and millenarianism
can develop.</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">The
definition of myth is so relevant to its meaning in a given context
of reception and political use, responding to the function of forming
a self-image and of leading the action in the present: the myth
dynamics is the guiding force for a group starting from its needs –
and in particular the emergencies that </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">require
more meaning</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">.
“The myth </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>is</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
not a thing. Anything can become a myth” (Assmann 1997).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">More
than of myth</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">s
we shall then speak of</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
a mechanism that generates shared meanings in the form of
“mythological materials” acting in the stabilisation of
individual and collective identities </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">which
are aware of belonging to a group or a societ</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">y.</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Furio
Jesi (1973) has defined the “mythological machine” as the device
resulting from the intersection of relations of knowledge and power,
that makes mythologies and produces forms of knowledge as if they
were unquestionable truths. It is </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">structured
</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">into
functions (the role played in the process of elaboration and
reception), mediators (actors in this process) and </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">deposits</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
(the places and the heritage of ideas and images that are conveyed).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">The
“mythological materials” are the products of the machine in the
form of short stories, literary works, documents, monuments: any form
of text that can be referred to the </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">function</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
of the machine. But at this point it does not make sense the idea of
a genuine myth that would be later mechanised: in the layers of
history involved in the life of a textual</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>corpus</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
(orality, writing, canonisation, philological moment) the
mythological stories of all time are always </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>at
least in part</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
technicised, as the result of economic and social structures and of
the need to o</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">rganise
power and establish the law.</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
All narratives have a material life, they live in th</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">e
receptio</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">n
of history and therefore have an ideological content. Their autonomy
is always </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">relative</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">:
to have the myths appearing as authentic, not designed and
independent </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">from
history, </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">is
the main goal of every form of power, starting from the political
theology of the ancient world and ending with the modern democracies.
What is at stake is the very foundation, in a metaphysical sense, of
reality.</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;"><i>Other
mythologies</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762" name="_GoBack"></a>
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Hence,
we need to redefine the historical path that from the myth would go
towards reason and from the sacred towards the profane, recognising
that there is no progressive linearity, but the staging of an
opposition between </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>mythos
</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">and
</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>logos</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
that is necessary for the mutual identification and placement. The
traditional dimension of the sacred in modernity falls short and
appears impossible in front of a relative disenchantment and a
transformation of the mythical in two different directions. On one
side it can be continuous re-mythification, while on the other it
becomes utopistic reference to the future, regulatory of a political
act. Hence, social groups, large or small find themselves living
immersed in a simplistic mythological dimension that they will call
reality; or critical personalities – aware of the importance of
myth – coexist with it, with its inevitability, aware of its lack
of metaphysical depth, and of its lightness, that shall have the
characteristics of an “unfounded foundation”. In other words, the
loss of traditional paradigms and the resulting disorientation may
signify </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>risk
of re-enchantment</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
or possibility</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>
of a re-orientation</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">.</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">In
the twentieth century the study of myth becomes analysis of the
mythical forms of their production, analysis of the mechanisms of
definition of belonging and of the shared practices in globalised
societies, starting from the unravelling of the rhetorics of
manipulation conveyed by </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>mass</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
and </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>new
media</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">.
From the reflection on photography, image, illusion of truth and
strategies of persuasion, a generation of intellectuals have engaged
in a successful series of studies on modern mythopoesis, on mythology
as a way of expression and as an on-going process of re-sematisation:
since the late fifties Roland Barthes (1994) has shown that indeed
</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>anything</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
can become myth, coming to identify forms of mythology in desecrated
territories, such as those of advertising, consume, lifestyles. In
contemporary societies, new mythologies are all narratives: from
comics to genre fiction, from </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>blockbuster</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
films to TV dramas, and to personal symbolic recombination decorating
the personal profiles of users of </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>social
networks</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
and that redefine their identity through the visualisation of plots
and of diversified and intricate textual networks. Such media devices
are powerful factors of socialisation that produce information and
thought patterns, convey collective representations, approve styles
of thought and life, naturalise reality.</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">The contemporary
mythological machine is that of public(itary) imagination:
mythologies of everyday life are to be found, for example in the
aestheticization and stylistic obsession that accompanies
consumption. On the other hand, the very notion of “culture” is
used in a mythical way: the debate on cultural relativism and the
“clash of civilisations” seem to confirm this. The differences
between human groups are sharpened to the point of making individuals
disappear and to serve economic policies and global strategies that
require public acceptance. However, we forget that cultures are not
substances that overdetermine individuals, but typical and ideal
descriptions, constantly changing and always, renegotiated (Aime
2004). With globalisation, the movements of identity divestment
(transnational political, economic, cultural integration) cause, as a
reaction, a closure of an equal and opposite sign that leads to a
twist on the practices of identity, understood as the unifying myths
and binding rituals to serve political dynamics in need of
legitimisation.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Nationalistic
Stereotype, anti-Semitic, xenophobic – and more generally, any
simplified image of reality – are “Community myths” that
provide simplified answers for societies that are in crisis; they
cross the distance with continuity, regardless of the political sign
on the surface. Fascism, real socialism and religious fundamentalism,
but also post-modern democracies – albeit with different degrees of
intensity and on contents of very different sign as well – from the
point of view of the theory of culture they can operate in the same
way in defining with antidemocratic authority ideals models and
identity crystallisations (Manea 1995).</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;"><i>Utopia</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">In
the crucial relationship between myth and politics, defined by the
presence of the “grand narratives”, what is at stake is the
question of the legitimisation of modern democracies, since, besides
the necessary critics of a way of communicating that is mystifying,
authoritarian and violent, one that keeps on, lacking is one that may
be critical, clear and persuasive at the same time, without being
mythological and simply the reverse of the other. </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>Sapiens</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
cannot do without narratives, eminently political events that are
able to redefine future scenarios and guarantee the legitimacy of the
collective action. On the other hand, as Jesi (2002) wrote, the use
of the myth by the political propaganda is “by its very nature a
reactionary element”, even when its aims are progressive. If
emotion-stimulating subjects are evoked, as mythological images are,
critical rationality is thrown out of the game. “</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>How
is it possible to induce people to behave in a certain way</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
– thanks to the force exerted by appropriate mythical evocations –
</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>and
then to get them to a critical attitude towards the mythical motive
of the behaviour?</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">”</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">.</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Between
the sixties and seventies, intellectual critics meditated on the
necessary “de-mythicisation” of the politician by proposing, in
the wake of Mann, Brecht, Benjamin, Adorno, that the artistic
discourse was the only possible “genuine” mythic experience,
capable of speaking to the community in the “respect for mankind”.
The radical de-mythicisation is impossible, since the sole
administrative and analytical, rationality does not seem able to
overcome the dryness of nihilism, paving the way for unexpected
re-enchantments, fundamentalist and dogmatic. The myth must be
upheld, deconstructed and humanised without underestimating meanings,
images and emotions, that if denied end up feeding conservative and
identitarian nostalgia. The unamendable meaning of the myth in the
definition of cultural memories and of political identities invokes a
possible legitimate use for the definition of the horizons, of the
problems and </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>frames</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
of reference: the </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>myth-utopia,
</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">narrative
that is both reflection to the service of a conscious rationality and
responsible. Once again, it comes to supporting the “politicisation
of art” vs. the “aestheticization of politics” practised by the
right wing – meaning, by this terms, all neo-mythological powers –
avoiding falling in the traps generated by the short circuit between
myth and power (Nancy 1986; Citton 2010).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">This
involves thinking about a discursiveness, textual and visual, that
articulates ideas and images in sequences and that cools them down
compared to the irrational warmth of the myth presented in its
organic structure: in other words, we have to create
auto-demythicisating narratives in new forms of irony and alienation.
The condition not to fall into new fascist, mercantilistic and
neo-conservative technicisations seems to lie in the ability to enter
the sphere of myth without stopping to reflect, in “waking state”
on the emotion that it generates. A new </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>mythos</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
that is at the same time metacritical of the self and declaration of
mistrust towards every myth, antidote of his participating into a
fetish for the communities that in it search each other (Wu Ming
2009).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">From the crisis of
orientation and the need to put together our own scenario with the
broken pieces of the previous ones unexpected answers are born every
time for the ransom from loneliness, anonymity and poverty of
imagination. From a moment of economic crisis, moral and political as
the one we are experiencing nowadays, change may unexpectedly arise.
The possible mythology, the return of narratives that are able to
speak to the community in a progressive sense, must coincide with a
light conscious mythopoesis. This comes as an unfounded story, that
shows the signs of the author's work and the human dimension of myth,
through editing, citation and a practice of writing in which the
language exposes the gap between reality and imagination, between the
self and the mythical object. This can happen to the extent that the
myth is returned to its origin of story that remains at the place of
origin of every appearance of phenomena to consciousness. As Philippe
Lacoue-Labarth wrote “metaphysical tightrope-walking without a
metaphysical parapet. Or if you prefer metaphysical experience that
is emptied, pure exposure to nothing”.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 6.35cm; text-indent: 1.27cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.35cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Adorno
Th. W. e Horkheimer M., </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>Dialectic
of enlightenment</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
Herder and Herder, New York (1972).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.35cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Aime
M., </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>Eccessi
di culture</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
Einaudi, Torino (2004).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.35cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">A</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">ssmann
J., </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>Cultural
memory and early civilization: writing, remembrance, and political
imagination</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
Cambridge University Press, Cambridge (2011).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.35cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">B</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">arthes</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
R.</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>Mythologies</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
Hill and Wang, New York (1972).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.35cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">B</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">lumenberg
H., </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>Work
on myth</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
MIT Press, Cambridge (1985).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.35cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;"><span style="color: black;"><span lang="en-GB">Citton
Y., </span></span><span style="color: black;"><span lang="en-GB"><i>Mythocratie.
Storytelling et imaginaire de gauche</i></span></span><span style="color: black;"><span lang="en-GB">,
Amsterdam ed., Paris (2010).</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.35cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Derrida
J., </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>Margins
of philosophy</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
Chicago University Press, Chicago (1982).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.35cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">D</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">umézil
G., </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>Mito
ed epopea</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
Einaudi, Torino (1982).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.35cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Jesi
F., </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>Mito</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
Aragno, Torino (2008).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.35cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Jesi
F.</span></span></span>,<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>
Letteratura e mito</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
Einaudi, Torino (2002).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.35cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">K</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">erényi</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
K.</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>Scritti
italiani (1955-1971)</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
Guida, Napoli (1993).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.35cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Manea
N., </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>Clown.
Il dittatore e l’artista</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
Il saggiatore, Milano (1995).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.35cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">N</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">ancy</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">
J.-L.</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>The
Inoperative Community</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
University of Minnesota Press, Minneapolis (1991).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.35cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Remotti
F., </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>Prima
lezione di antropologia</i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
Laterza, Bari-Roma (2000).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.35cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Vernant
J. P., The universe, the gods, and men: ancient greek myths</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
HarperCollins</span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">,
London (2001).</span></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 0.35cm; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Wu
Ming, </span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB"><i>New
Italian Epic, </i></span></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><span lang="en-GB">Einaudi,
Torino (2009).</span></span></span></span></div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-24891659240582558032013-08-14T18:22:00.000+02:002013-08-14T18:22:22.009+02:00Economia. Capirla oltre che farla.<br />
Ecco una recensione, versione lunga, di un libro importante sul presente.<br />
Per il ferragosto di chi è rimasto o non è mai partito.<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-zLKuaF6N-ys/UguufYCM-DI/AAAAAAAAASM/EJ9wsUjQAFc/s1600/fontana.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="480" src="http://2.bp.blogspot.com/-zLKuaF6N-ys/UguufYCM-DI/AAAAAAAAASM/EJ9wsUjQAFc/s640/fontana.JPG" width="640" /></a></div>
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Giovanni
Leghissa</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>,
Neoliberalismo. Un'introduzione critica</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
Mimesis, 2012</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">Per
quanto amara possa essere, la crisi dell'economia mondiale potrebbe
avere quantomeno la funzione di creare le condizioni di attenzione
per un'intensa analisi critica dell'aspetto dogmatico assunto
dall'economia come la conosciamo. Essa è nella sua struttura logica
e nei quadri mentali dei suoi attori alla radice dei problemi
drammatici che moltissimi stanno vivendo, in Italia e più in
generale nell'area geopolitica che fino a qualche anno fa si
pretendeva modello di sviluppo universale. Tra le ricerche recenti il
libro di Giovanni Leghissa, un filosofo specialista di epistemologia
delle scienze umane, si presenta come un'agile (ma teoricamente
densa) disamina che riesce simultaneamente a chiarire le idee al
lettore colto che si interessi alla questioni economiche e a fornire
una preziosa sintesi operativa e un aggiornamento bibliografico allo
studioso. Il lavoro del ricercatore triestino, docente nell'ateneo
torinese, riempie quindi un vuoto concettuale (ed editoriale)
avvicinando le orbite, spesso inconciliabili, degli studi filosofici
e di quelli economici, permettendo a un pubblico afferente a diversi
ambiti di recuperare conoscenze per lo più ignote ai non
specialisti.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Il
primo pregio di </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Neoliberalismo</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
è di aggirare, tenendola sulla sfondo, l'analisi marxiana del reale,
tendenzialmente spuntata nella misura in cui lo stesso marxismo si è
configurato come </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>verso</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
di una medesima concezione economicista. A livello di
rappresentazione sociale collettiva un </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>sogno
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">del
marxismo</span><span style="font-family: Garamond, serif;">, sempre più
confuso e sconosciuto nei suoi fondamentali, è diventato aspetto di
una «rivolta malinconica» – si lamenta una perdita senza sapere
cosa si è perduto e perché – contro la condizione attuale. Il
'capitalismo' </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>tout court</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
diventa un mostro proteiforme e onnipotente dai contorni vaghi e
dalle mosse imprevedibili, mentre al contempo la merce, dal cui
acquisto fasce sempre più ampie di popolazione sono progressivamente
estromesse, viene esposta nei centri commerciali (o in rete) e si fa
forma fantasmatica del potere di acquisto, a sua volta estenuazione
del potere sulle condizioni materiali di conduzione delle proprie
vite. Per non dire di come l'antagonismo politico, perdutasi la forma
partitica insieme al sistema fordista e divenuta problematica quella
del movimento insieme alla militanza, possa diventare «oggetto di
consumo» e attitudine estetizzante con tenui o vaghi legami con le
condizioni di chi lo esprime. Non è un caso che Leghissa abbia
dedicato ampi studi alla filosofia del mito e delle mitologie e che,
in questo caso, abbia voluto decostruire le scienze economiche
riassegnandole alla sfera delle scienze umane per mostrare come alle
radici dei problemi attuali ci sia la </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>naturalizzazione
dell'economico </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">pienamente
realizzata dal secondo dopoguerra.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">La
via dell'argomentazione passa attraverso l'ontologia dell'attualità
di Michel Foucault, il cui lavoro di critica del presente si presenta
come problematizzazione e chiarificazione di ciò che in prima
istanza si presenta </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>ovvio</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
e </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>senza alternative</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">.
La critica dell'economia neoliberale si inserisce dunque nel più
vasto ambito dell'analisi dei processi di «soggettivazione», i
processi di natura sociale e culturale mediante i quali i soggetti si
definiscono e si riconoscono come tali, agendo secondo </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>patterns</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
e scenarizzazioni già date, non apertamente scelte e solo in parte
consapevoli. </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><span style="background: #ffffff;">Il
mondo economico del neoliberalismo viene definito e analizzato in
quanto</span></span><span style="font-family: Garamond, serif;"><span style="background: #ffffff;">
«dispositivo ‘governamentale’»: una antropotecnica (o fattore
di produzione di forme di vita) del sistema di ingegneria sociale
correlato all'autorappresentazione poietica dell'</span></span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i><span style="background: #ffffff;">homo</span></i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"><span style="background: #ffffff;">
</span></span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i><span style="background: #ffffff;">œconomicus.
</span></i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">All'ultimo
Foucault e ai corsi tenuti al Collège de France si deve quindi la
delineazione del neoliberalismo come «cifra di una condizione, di un
modo di essere – e precisamente quel modo di essere in cui il
governo della vita trova la propria giustificazione negli effetti di
verità del discorso economico» (p. 34).</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Fedele
all'impostazione di una «etnologia interna alla nostra cultura», la
genealogia del neoliberalismo è ricostruita con perizia dal punto di
vista storico attraverso i suoi snodi nel moderno (la ragion di
stato, la polizia) e le sue teorizzazioni (scuola austriaca,
ordoliberalismo tedesco, scuola di Chicago), per i quali il
neoliberalismo è soprattutto «arte di governo», intesa come
definizione e dispiegamento di un regime di pratiche in cui il
soggetto è parte attiva. </span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Com'è
noto, per Foucault </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">il
potere moderno si esercita in istituzioni disciplinari che hanno un
«potere di normalizzazione» e lavora in modo «microfisico»
permeando ogni piega della società. Esso si incarna dunque non tanto
nei simboli e negli eventi dell'uso pubblico e del monopolio
legittimo della violenza (come in Weber) quanto in una miriade
reticolare di campi di forze in tensione che coinvolge tutti gli
individui all'interno di più meccanismi impersonali, per indicare i
quali viene appunto usato il termine «dispositivi». </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">B</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">iopolitica</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">significa
la serie di strategie anonime in cui si realizza un potere opaco,
esercitato sulla vita delle persone e caratterizzato da controllo dei
corpi. </span></span><span style="font-family: Garamond, serif;">Il neoliberalismo
rappresenta il grado storicamente più elevato di dispersione del
potere nel sistema, o la sua dislocazione punteggiata nella società,
che è il correlato degli interventi dei governi.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">L'expertise,
la misurazione e la razionalizzazione tecnicizzata (fino ai i
“governi tecnici”) sono gli elementi operativi di
un'amministrazione del vivente coordinato sulla base di una griglia
che </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>è</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
il dispositivo neoliberale, un intreccio il cui esito ultimo è la
metaconduzione delle condotte individuali che ha dato vita
all'«aziendalizzazione del sociale» in cui il mondo umano tende a
scomparire dietro alla concezione dell'</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>impresa</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Qui la legge economica mostra il suo volto “totalitario” e volto
all'«inserimento di ogni atto comunicativo in una catena di
operazioni sistemicamente rilevanti atte a produrre efficienza, a
ridurre costi, ridondanza, incertezza», ovvero i tratti tipici
dell'umano.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Si
tratta dunque di analizzare la «macchina che produce la verità del
neoliberalismo», una «macchina discorsiva e istituzionale che fa
circolare i discorsi che vengono riconosciuti come veri», piuttosto
che smascherare l'aspetto ideologico in nome di una verità che
starebbe altrove. Lungi dal neutralizzare l'aspetto di prassi
politica che ne deriva dissolvendo la condizione materiale – questa
è la critica marxista al post-moderno – il vantaggio che deriva
dall'impostazione post-strutturalista è mostrare con più
radicalità, a partire da una concezione antropologica e
sociocostruttivista della realtà, l'artificialità della </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>finzione
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">(nel
senso etimologico) </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>neoliberale</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
come complesso contingente e determinato, a cui si può e si deve,
auspica l'autore, reagire con un adeguato gesto di
contro-scenarizzazione che chiama in causa le posture esistenziali
per l'edificazione cosciente e collettiva di differenti forme di vita
associata, produzione, distribuzione. </span>
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">La
demitizzazione delle retoriche che accompagnano l'affermazione delle
politiche economiche del tardo XX secolo mostra come il discorso
neoliberale non sia un destino evitabile ma una condizione storica,
in quanto tale passibile di trasformazione e di mutazione, a
condizione di comprenderne il carattere procedurale e meccanico. Si
tratta dunque di condurre un'operazione di disincantamento rispetto
al «linguaggio della razionalità economica come unica cornice
narrativa per conferire senso e intellegibilità alle proprie vite»
(p. 10).</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">Altro
tratto cruciale del libro sulla scia dell'analisi foucaultiana è la
messa in chiaro dello strumentario teorico per l'analisi dell'epoca
che stiamo vivendo, in cui la “crisi” più che il fallimento di
un sistema appare come la sua dimensione estrema. Cosa è dunque il
neoliberalismo? Qual è la sua specificità rispetto al liberalismo?
Mentre nel liberalismo la sfera politica e quella economica risultano
sempre distinguibili, nelle logiche e nelle pratiche nella
«condizione neoliberale» ogni decisione sul governo delle vite
passa attraverso il filtro della razionalità economica, rendendo
inutile e impossibile la distinzione tra economia e politica.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Questo,
lungi dal significare la sparizione del politico, significa «che le
agenzie di governo dipendenti dagli stati si comportano come attori
economici, si mescolano al gioco dei mercati, e misurano l'efficacia
della propria azione in base a criteri che non lasciano più spazio
per un discorso sulla giustizia» (p. 10). Per Leghissa non è lo
Stato a scomparire in favore dell'economia: «ciò che scompare,
nello spazio politico dischiuso dalla condizione neoliberale, è
quella declinazione del politico che comporta conflitto e che demanda
alle istituzioni statali (…) la gestione del conflitto» (p. 23). </span>
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">L'ordine
economico apparendo naturale risulta non negoziabile, a dispetto del
paradosso per cui un sistema pensato per la produzione di beni e
ricchezza produce emarginazione per i medesimi soggetti; allo stesso
modo, venuto meno il potenziale trasformativo dell'utopia ormai
condannata alla sfera dell'impossibile e della violenza da una
sensibilità post-totalitaria, l'impoliticità (per non dire
l'indifferenza) diviene una virtù pur convivendo accanto a forme
diversificate di solidarietà in un medesimo orizzonte, che non
prevede né ammette mutamenti sostanziali.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Viene
così riconfigurata la visione della globalizzazione: come serie di
processi all'interno dei quali grande potere viene acquisito su scala
mondiale «da una serie di attori che agiscono nei mercati globali al
di fuori del controllo statale» proprio grazie a «specifiche
decisioni politiche» prese dagli stessi governi. Non siamo dunque al
«ritrarsi dello Stato», ma di fronte al volto più recente della
governamentalità e di quella «diffusione dei centri di potere che
formano una rete complessa, all'interno della quale le istituzioni
giocano un ruolo fondamentale» (p. 76-77). </span>
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">In
questo quadro si inserisce anche il pensiero post-coloniale, che solo
il ritardo culturale italiano impedisce di percepire come una pagina
centrale della contemporaneità e un paradigma per il suo studio. Per
Leghissa le politiche economiche neoliberali dell'Africa
sub-sahariana sono caratterizzate infatti dall'«uso creativo» che è
stato fatto dalle élite dominanti delle «risorse offerte dai poteri
statali per accrescere il proprio dominio», all'interno di
un'integrazione dei vari soggetti economici istituzionali
internazionali. Qui la biopolitica si rovescia nel suo opposto e
diviene </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>necropolitica</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
come estrema conseguenza di politiche internazionali, accompagnate
dalla segmentazione etnico-classista e dal relativo repertorio di
narrazioni identitarie, ancora implicitamente razzisteggianti. Senza
voler giungere a scenari apocalittici per il futuro dell'Europa è
innegabile che la società globale si muova tra due estremi cetuali:
da un lato il «vertice che abita l'élite finanziaria e dei servizi»
(la «Disneyland dei grandi» che si ritrovano a Davos magistralmente
descritti da Carrère) e dall'altro la popolazione straniera esclusa
dai diritti di cittadinanza e sottoposta a controlli, restrizioni,
limitazioni (quando riesce a superare i bastioni della fortezza
europea). Mentre l'immaginario magnetizza i desideri verso il primo
polo, la realtà spinge le masse verso il secondo. Non si può non
riconoscere come tale situazione, con l'impoverimento della classe
media e la ghettizzazione di sempre nuova “spazzatura bianca” si
stia realizzando un po' ovunque, fatte le debite differenze locali.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">Verso
dove, dunque? Discutendo la letteratura scientifica più recente il
libro mostra come «iperglobalizzazione, stati nazionali e politiche
democratiche» siano strutturalmente incompatibili, riuscendo al
limite a dare vita a combinazioni di due su tre: da questa
fenomenologia risultano i possibili scenari che devono essere
ridiscussi e che sono, in estrema sintesi, le condizioni dello
sviluppo o del cambiamento futuro.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Neoliberalismo
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">è
attraversato da un intento pedagogico-politico che, senza rinunciare
alla speranza di una democratizzazione della società e dei saperi, è
lucidamente consapevole che poco potrà cambiare finché la scienza
economica e il modo in cui viene insegnata – come fosse una scienza
dura se non una teologia – continueranno a rimanere invariati. </span><span style="font-family: Garamond, serif;">Il
destinatario ideale di questo libro sarebbe in ultima analisi un
esponente della classe dirigente </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>policy-maker,
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">l'eroe
culturale di oggi iper-formato nel sapere neoliberale all'interno di
un sistema di cooptazione blindato, spesso a partire da solidarietà
di classe e da forti legami familiari.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">«Una
nuova classe di manager che operano in rete e a livello globale e che
dalla finanziarizzazione dei mercati traggono un aumento di profitti
e di potere […], quella classe che, in accordo sia con l'élite
politiche, sia con i nuovi rentier della finanza, ha costruito
quell'architettura oligopolistica dei mercati in virtù della quale
si socializzano le perdite e si privatizzano i guadagni, al fine di
utilizzare la crisi per rendere inoperante ogni forma di resistenza
possibile» (p. 139).</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">Veri
mitologi dell'iper-moderno, essi dettano imperativi comportamentali e
generano emulazione e invidia sociale: abitano l'immaginario
finanziario, bancario, borsistico, gestionale che promette margini di
arricchimento infinito e sperimentano l'onnipotenza decisionale che
oblitera il limite, la finitezza e la morte. Anche l'analfabetismo
morale ed affettivo a cui ci siamo assuefatti (l'«alessitimia» che
fa gridare al miracolo i media quando un pontefice della Chiesa
cattolica formula ovvietà in ambito di solidarietà) rientra dunque
negli effetti del combinato-disposto messo in atto in oltre
trent'anni di politiche su larga scala.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Contro
questa forma contemporanea di </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>religio
mortis </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">la
critica del mito neoliberale significa dunque rivalutazione della
dissidenza emotiva e delle cornici utopistiche (ed </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>eu</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">-topistiche)
entro le quali ripensare le proprie vite negli ambiti della
partecipazione, della distribuzione e del riconoscimento. A chi,
proprio per la formazione economica, non abbia la sensibilità di
pensare alle categorie filosofiche fondanti la vita umana il libro
permette di ripensare, anche in termini genealogici, agli effetti
delle propria posizione nel sistema produttivo di beni e di
immaginario. In accordo con l'impostazione socio -antropologica di
Polanyi «è difficile negare che ogni processo economico è inserito
in una cornice culturale e istituzionale più ampia» (p. 115): con
lo sguardo fisso sulle rovine dell'esistente, da qui a comprendere
che le «transazioni economiche (…) possono servire a scopi non
economici» il passo potrebbe non essere così lungo.</span></span></div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-3024783806047206632013-06-25T22:27:00.000+02:002013-06-25T22:31:27.898+02:00dimenticare l'esame di stato<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;"><i>articolo scartato da una rivista, perché non c'erano note eccetera. </i></span></span><i style="font-family: Garamond, serif; font-size: xx-large;">sulla scuola in 4 quadri il mio pensiero.</i><br />
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;"><i><br /></i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;"><i><br /></i></span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-9fGC1PSqC6w/Ucn70hCDpyI/AAAAAAAAARs/PUrozBn205o/s1600/152315009-9e6149bd-92bc-4c9b-807e-c697134f2e5a.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="398" src="http://2.bp.blogspot.com/-9fGC1PSqC6w/Ucn70hCDpyI/AAAAAAAAARs/PUrozBn205o/s640/152315009-9e6149bd-92bc-4c9b-807e-c697134f2e5a.jpg" width="640" /></a></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;"><i> Scoiattoli che si menano.</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;"><i><br /></i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;"><i><br /></i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;"><i>La
crisi nella scuola</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Enrico
Manera</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">1.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;"><i>Disagio</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Affrontare
il tema della scuola oggi vuole dire fare i conti con un disagio
profondo, per la serie di nodi problematici che ad essa sono
collegati, di cui solo chi ci vive quotidianamente pare essere
consapevole. Ne è una prova il tono medio delle reazioni della
'società civile' che, recentemente, non ha trovato nulla di strano
nel fatto che il governo intendesse aumentare da diciotto a
ventiquattro le ore di lezione frontale per ogni docente, senza
aumenti salariali.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">La
scuola pubblica, repubblicana e laica è uno spazio in cui si
concentrano le contraddizioni culturali, economiche e sociali del
presente, in una fase di trasformazione che tocca in primo luogo i
suoi soggetti principali, gli studenti: è un luogo di formazione e
di scoperta individuale, un punto di intersezione tra cultura alta e
bassa, libresca e di strada; di avvicinamento alla politica, nel suo
senso più ampio, attraverso cui guardare le pratiche di democrazia e
di cittadinanza vissuta nel quotidiano.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">La
scuola è anche un ponte tra le generazioni, un mezzo di
comunicazione con gli adulti fuori dalla famiglia, e quindi un punto
di incontro e scontro tra visioni della realtà anche antagoniste; è
il luogo dove si sperimentano e si mettono alla prove le relazioni di
genere e gli affetti all'interno del gruppo dei pari e si testano le
differenze tra l'involucro dell'ovvietà familiare e il diverso da sé
in tutte le sue forme; è il luogo dove ci si confronta con fenomeni
relativamente nuovi per l’Italia come le migrazioni internazionali,
che fanno della scuola un laboratorio di multiculturalità molto più
vivace e attivo di quanto non emerga dai media.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">La
scuola è un microcosmo, in qualche modo protetto ma ancora capace di
durezza, che ospita sperimentazione, innovazione e accoglienza (ma
anche nozionismo, conservazione e privilegio a seconda dei contesti);
riflette quello che succede al suo esterno è un osservatorio
privilegiato sul paese reale e su un mondo dell’adolescenza che i
genitori non vedono nella sua integrità e che ogni adulto continua a
pensare a partire dai propri ricordi.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">La
scuola è anche il modo in cui la società riproduce se stessa, o
meglio intende riprodurre se stessa, perché nel frattempo è in essa
che il cambiamento sociale si mostra prima che altrove. Da qui l'idea
che la scuola sia al centro di dinamiche sociali emergenti di fronte
alle quali la essa reagisce con strumenti datati e sempre meno
efficaci.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Ragionare
sulla scuola significa dunque mettere al centro della riflessione la
crisi della nostra società e le possibilità di uscirne. Ma occorre
ricordare che essa è un organismo plurale e complesso, che non può
essere governato in base a logiche che non le appartengono.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Non
si ha idea del tipo di disagio che si vive a scuola se non si tiene
conto di alcune semplici questioni: bisognerebbe parlare di riforme
dei programmi e dei metodi per un mondo che è cambiato e invece non
abbiamo ancora risolto il problema della sicurezza dell'edilizia
scolastica; dovremmo ancora capire cosa sta succedendo alle nuove
generazioni in campo cognitivo di fronte a media multimediali (che
ormai fa ridere chiamare 'nuovi') e invece ci si sta affrettando a
santificare il tablet e a proporlo per tutti, senza tenere conto che
in Italia si ha l'età media dei docenti più alta d'Europa e un
corpo docenti precarizzato e falcidiato dai tagli di personale,
praticamente inesistente sotto i quarant'anni.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">La
stessa classe dirigente che deplora la crisi di valori e l'ignoranza
dei suoi giovani, a ben vedere dopo aver avallato politiche di
desertificazione morale e culturale che ne sono all'origine, è
quella che ha di fatto impoverito e umiliato il corpo docenti e
distrutto l'idea di pubblica istruzione.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Quello
che accade non può essere considerato un incidente: la scuola
pubblica nell'ultimo decennio, oltre a essere andata incontro a tagli
pesantissimi per quanto riguarda risorse e personale (che se avessero
riguardato l'industria privata sarebbe state considerate epocali
licenziamenti di massa), è stata oggetto di una controffensiva
ideologica volta a delegittimarla in modo direttamente proporzionale
alle politiche neoliberiste che hanno inteso disintegrare la nozione
di 'educazione' sostituendola con quella di 'addestramento'.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Il
ruolo dei docenti, la formazione e la condizione professionale (e
psicologica) sono tanto importanti quanto sottovalutate, tanto dal
punto di vista culturale quanto da quello salariale; lo dimostrano
studi internazionali recenti (sistematicamente ignorati dalle
politiche culturali) che correlano successo formativo, qualità degli
insegnati, sviluppo umano di un Paese .</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Se
la scuola della Costituzione è indiscutibilmente un presidio di
democrazia reale, inclusiva e partecipativa è il caso di ricordare
che </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">siamo
di fronte a un vero e proprio deficit cognitivo che riguarda una
cospicua fetta della società italiana: l'analfabetismo di ritorno di
generazioni che hanno vissuto le scuole autoritarie (quelle che
secondo la vulgata funzionavano ancora) si mescola con la resistenza
alla scuola che viene offerta dalle fasce deboli o indebolite dalla
crisi economica: un cittadino su tre non è in grado di scrivere o
comprendere una frase anche breve. La ricerca sociale mostra che
nella scuola la diseguaglianza </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>continua
a esistere</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">:
negli accessi, nell'abbandono, nella ripetenza e nel conseguimento
dei risultati, rispetto agli esiti e alle competenze acquisite e in
rapporto con la posizione sociale occupata. In altri termini, se per
un breve periodo la scuola italiana è stata un fattore di mobilità
sociale verso l'alto, da tempo essa non lo è più e riconferma
differenze sociali che paiono sempre più ampie.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Non
solo la scuola è in crisi, </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">la</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
crisi a scuola si sente, si vede </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">più
che altrove</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
semplicemente perché la società reale (non la sua rappresentazione
mediatica e le astrazioni statistiche) passa dalle scuole, abitate da
piccoli e giovani cittadini e cittadine che chiedono ogni giorno
ragione della frattura tra il mondo ideale che i docenti spiegano e
quello che vivono. La scuola non produce più cambiamento sociale
ormai da tempo, quando va bene tampona il disastro, grazie
all'impegno che ci lavora mette dentro </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>nonostante</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>tutto</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Potrebbe non essere più in grado di fare neanche questo.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">2.
</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Da
dove viene la crisi</i></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">La
crisi dell’istruzione superiore, in una narrazione di larga fortuna
condivisa dal neoliberalismo in tutte le sue declinazioni e dal
cattolicesimo conservatore, viene fatta risalire alla cultura
libertaria del Sessantotto che avrebbe cancellato il senso del
dovere, della fatica e del merito. Sul banco degli accusati finiscono
puntualmente Don Milani, Gianni Rodari e addirittura il gruppo
Giscel, a cui si devono le note tesi per una linguistica democratica,
che vengono letti in modo riduzionista e macchiettistico e diventano
i primi responsabili di quello che viene dipinto come una nuova
barbarie. </span></span>
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Solo
per memoria corta, ignoranza e malafede si può ignorare che la
scuola, in particolare la superiore, fino agli anni sessanta era
ancora fascistizzata nei programmi e nelle pratiche; dove non lo era
era cattolicizzata, in senso preconciliare, e se non lo era era
ipocrita, perbenista, censuale e provinciale, sorretta da tutele
antropologiche e solidarietà di ceto che passavano sopra alla
decantata severità; animata da docenti gentilianamente
autoreferenziali, capaci tanto di carisma e di costruire vocazioni
genuine quanto di allontanare per sempre dalla propria materia
studenti traumatizzati. Un’istituzione che sui grandi numeri
produceva già allora ignoranti, abulici e rancorosi, ancora oggi
memori di pratiche didattiche poco tollerabili. Lo dimostrano le già
citate statistiche sulle competenze degli adulti di oggi, in termini
generali, per non dire dell’ignoranza che molti professionisti
stimati hanno in ambiti diversi dal loro, senza che nessuno si
scandalizzi più di tanto.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">La
democratizzazione è servita allora, sostengono i nostalgici della
scuola che non c'è più, a livello di istruzione dell’obbligo per
un paese in crescita, demografica ed economica, e poi si è
trasformata in diritto al successo formativo che è falsa democrazia,
appiattimento culturale e svilimento di contenuti, con la scuola che
diventa la palude-parcheggio attuale. La colpa principale sarebbe
dunque del Sessantotto che ha spazzato via ogni competenza e
difficoltà scambiando banalità e superficialità per allargamento
della base democratica.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Contro
tale falsificazione va affermato che quel periodo ha costituito un
argine importante contro pratiche didattiche autoritarie,
antistoriche e deteriori, i cui echi non sono peraltro del tutto
scomparsi (esiste ancora un gentilianesimo fantasma che abita
programmi e didattiche).</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Le
radici del problema sono altre, e se proprio dobbiamo assegnar loro
un’epoca, allora sono gli anni ottanta (che chi scrive ha vissuto
da adolescente):</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
la cultura dei licei era già in difficoltà rispetto alla
colonizzazione della sfera dell’immaginazione, degli affetti e del
desiderio che emergeva in modo evidente con i primi anni di massiccia
televisione privata, l’esplosione della pubblicità, il craxismo,
il narcisismo, il trionfo del kitsch, l’emulazione impacciata del
mondo americano.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Da
allora la cultura della borghesia tradizionale ha visto erodere i
propri valori ‘grigi’ in favore di una logica economicista e
edonista a cui si è ben presto abbandonata.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Fino
a qualche decennio fa la cultura espressa dal liceo classico e
scientifico era la cultura ‘alta’ delle credenziali e del codice
di riconoscimento delle classi dirigenti; poi le élite hanno
cominciato a identificarsi in altri valori che non prevedono più il
sapere tradizionale: di fronte all’emergere di nuove ricchezze
nell’Italia del boom economico l’ignoranza non è stata più un
problema, mentre lo è progressivamente diventato non essere alla
moda, non avere determinati stili di vita e non possedere certi
</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>status
symbol</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Nell'età
segnata dal 'berlusconismo' si può essere spaventosamente ignoranti
e incompetenti nel proprio lavoro; si </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>deve</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
parlare apertamente di sesso greve, di gossip, tradimenti, crimini
efferati con gusto voyeristico ma non si può essere poveri. Il
valore mitologico dei beni di consumo, a cui hanno avuto accesso i
ceti subordinati, ha giocato un ruolo chiave nell’emulazione
sociale e nella costruzione del consenso, con una dilatazione del
concetto di classe media schiacciata sempre più verso il basso e
priva di qualsiasi specifica identità se non il circolo
desiderio-consumo-successo.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">La
scuola, contrariamente a quanto sostengono editorialisti nostalgici
del loro liceo classico e insegnanti che producono best-sellers
apocalittici sulla scuola, non ha dunque innescato il declino. Lo ha
subìto e gli si è avvitata intorno </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>perché
è l’unico istituto di socializzazione che ancora è settato sul
‘vecchio’ modello antropologico e sociale che attribuiva valore
al sapere</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">La
scuola è stritolata da contraddizioni come questa. Funziona come un
meccanismo, a tratti ottuso e inceppato, producendo valori umanistici
e scientifici in cui nessun altro soggetto istituzionale sembra più
credere, salvo rilanciare slogan di retorica impacciata. E lo fa con
programmi e metodi alla cui efficacia molti docenti non credono più,
con margini di libertà e di felicità sempre più stretti.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Difendiamo
la scuola comunque, ma non possiamo non chiederci: a cosa deve
servire la scuola oggi? Ci serve ancora </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>questa</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
scuola? E se non siamo d’accordo con una società che rifiuta la
cultura e il suoi canoni, ha senso resistere e insistere con quella?
E se sì e crediamo nel suo valore formativo, a cosa siamo disposti a
rinunciare per poterla diffondere? Risocializziamo alla cultura i
figli impoveriti della </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>middle
class</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
essendo più indulgenti nelle valutazioni e tollerando una mediazione
inevitabilmente al ribasso? O, persa ogni fiducia nell'emancipazione
della massa, proteggiamo i già bravissimi che vengono da famiglie
che credono ancora nella cultura, tendenzialmente a reddito
medio-alto, selezionandoli verso l’eccellenza?</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">3.
</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Verso
dove?</i></span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Ogni
vera riforma non può prescindere da un progetto di società più
vasto e di ampio respiro: prima ancora dei dispositivi organizzativi
sono le persone che fanno un’istituzione e il personale della
scuola è oggi troppo in sofferenza per riuscire da solo nell’impresa
titanica. L’età media dei docenti è alta, i loro carichi di
lavoro sempre più gravosi e complessi e i cambiamenti sociali e
culturali in atto nel mondo digitale sono incompatibili con la sola
didattica frontale. Gli strumenti della valutazione oggettiva tratti
dal mondo dell'industria e della certificazione della qualità non
possono essere applicati a qualcosa come l'istruzione e
l'apprendimento che sono incommensurabili, non misurabili e
imprevedibili, se non riducendoli a una contabilità docimologica
basta sul sistema quiz/nozionismo. Tanto nella produzione scientifica
quanto nell'apprendimento vi sono elementi imponderabili che nessuna
griglia potrà mai controllare.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Le
analisi comparate dei sistemi educativi internazionali confermano
che, in sistemi molto diversi, i risultati migliori basati sulle
competenze degli studenti sono correlati all'alta qualità
dell'insegnamento, animato dal senso di responsabilità nel
raggiungimento degli obiettivi e da una missione civica e morale
sottostante. In questo senso in Italia deve essere riconquistato il
ruolo intellettuale del docente, che va accompagnato a una didattica
che non può essere più solo quella frontale. I</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">n
una situazione di crisi dell'educazione è necessario rivolgersi
verso una pluralità di strumenti, dalla didattica in compresenza
alla didattica laboratoriale, all'uso educativo delle nuove
tecnologie comunicative.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Da
questo punto di vista, l’uso dei diversi media deve essere
insegnato e integrato con quello tradizionale. Come insegnante di
storia e filosofia in un liceo nutro seri dubbi sul fatto che il
canone letterario-filosofico tradizionale nella sua integrità
conservi un potenziale significativo per l’oggi, troppo ancorato
all’Ottocento e al primo Novecento nei suoi paradigmi di
riferimento rispetto a svolte culturali più recenti;
indipendentemente da questo credo che insegnando contenuti, anche
questi contenuti, simultaneamente si insegni a imparare e decifrare
la realtà; la difficoltà, la distanza, l’urto con la cultura e la
complessità, vanno mantenute e si deve insegnare a superarle e a
rispettarle. Di più, credo al valore di contraddizione, di utopia e
di riscatto dell’opera d’arte e nell’importanza di mostrarlo
attraverso una educazione estetica, oggi più mai completamente
assente. Così come sono convinto del potenziale emancipativo del
sapere e del suo valore ricreativo, senza la ricerca dell’immediata
spendibilità del mondo del lavoro, che troppo spesso si trasforma in
miraggio e ricatto.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Si
tratta piuttosto di riconfermare a più generazioni che senza
impegno, fatica e dedizione non si riesce a raggiungere risultati,
quali che essi siano; di condurre una battaglia politica contro la
dismissione dell’educazione pubblica, forti dell’idea che come
docenti si ha un ruolo cruciale nella salute del Paese e che si possa
essere contagiosi senza intraprendere crociate o missioni, e
soddisfatti di poter indicare vie per la felicità della mente o
anche solo di aver avvicinato i propri studenti a qualcosa di diverso
da ciò che da cui sono partiti.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Troppi
discorsi fatti sulla scuola, anche in buona fede e spesso da chi non
ne sa più nulla, si reggono su implicite premesse logiche che di
fatto negano la possibilità di cambiamento e di uscita dalla crisi,
stabilendo che la cultura buona è una sola, è quella dei padri e va
imparata come hanno fatto loro. Esiste una retorica sulla scuola che
la pensa come se ci fossero ancora la Famiglia e il Sacro di cui
deplora la fine (se mai ci sono state fuori dalla finzione che ne ha
fatto la borghesia storica), senza il rumore di fondo e il bagliore
disturbante dei media e senza il virus dell’accumulazione
feticistica. Come se nel frattempo la sur-modernità e l’alienazione
che </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>tutti</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
subiamo quotidianamente, e chi è nell’età dello sviluppo ancora
di più, non esistessero o fossero l’invenzione di qualche astruso
filosofo post-moderno che crea problemi inutili quando bastava
Aristotele a dirci cosa dovevamo fare per essere felici.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Alla
fine di ogni discorso che si voglia politico sulla scuola rimane il
dato ineliminabile che dentro una classe si stabiliscono relazioni
educative decisive per lo sviluppo di giovani soggetti in crescita
entro un campo di regole prefissate, costitutivamente autoritarie e
gerarchicamente ordinate, continuamente soggette a tensioni e
rinegoziazione, in un ambito di variabilità enorme. Non si può non
esserne consapevoli.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Personalmente
credo che il sistema educativo nel suo insieme non riesca a uscire
dalle logiche della metafisica tradizionale, tanto nei programmi
quanto nelle pratiche. Ripensare la scuola di oggi significa anche
rinunciare a pensare che l’identità di un soggetto – sapere </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>chi
si è</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>cosa
si vuol fare</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>cosa
si vuol diventare</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
– sia un’ipostasi che sta al di sotto di tutto; come conferma il
ruolo primario della scuola nella memoria di qualsiasi adulto,
l'identità personale sembra piuttosto essere il risultato di un
percorso di costruzione e ricostruzione, a volta lungo una vita, che
prevede errori, sviste, cadute, fratture, ripensamenti, oltre che
successi e soddisfazioni. Quasi sempre, tutto succede a partire da
una scuola.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Un
docente</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
non sa niente di quello che è maturato nei suoi allievi dopo che li
ha lasciati</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Non gli è dato saperlo e se ne dimentica sempre. Quale che sia la
scuola che verrà, penso che si debba recuperare la fiducia nel fatto
che la scuola possa trasformare gli studenti, dando loro più
strumenti per la loro personale via al mondo adulto. Questo significa
rinunciare a voler riprodurre una nozione idealizzata di noi stessi.
E fare in modo che il cambiamento, anche verso qualcosa che non
conosciamo, possa non essere così male.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><br />
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">4.
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Agenda per
una rinascita della scuola</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: x-large;"><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Recentemente
la crisi attuale, che è frutto del neoliberalismo consapevolmente
adottato ed è aggravata dal degrado etico della classe dirigente, ha
portato moltissimi soggetti pensanti a ridiscutere il tema del </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>bene
comune</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">:
la scuola è un tema trasversale a esso, poiché come mostrano tutti
gli indicatori, l'istruzione è la miglior risorsa per il benessere e
la stabilità di un paese che abbia la </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>giustizia</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
come obiettivo primario. Chiunque metterà piede nel nuovo ministero
si trova di fronte una situazione critica e una serie di risoluzioni
già avviate fallimentari. </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Di
seguito alcune cose che andrebbero fatte se si crede che il futuro
dell’Italia dipenda dall’istruzione dei suoi cittadini:
promuovere l’immagine del lavoro dell’insegnante come
intellettuale e funzionario pubblico. Eliminare l’idea che il
sapere sia addestramento a superare prove. Aumentare gli stipendi dei
docenti. Ripristinare gli organici funzionali e le compresenze e
smetterla con l’ossessione del completamento cattedre di diciotto
ore. Abbassare il numero di allievi per classe a venti studenti (oggi
sono fino a trenta) a fronte delle nuove richieste educative.
Ritornare alla programmazione individuale e alle offerte formative
con modalità meno rigide rispetto alle indicazioni ministeriali.
Aprire una riflessione sui contenuti minimi e condivisi delle
discipline incentrando i programmi sul Novecento e riformulando
canoni oramai consunti. Incentivare l’informatizzazione e la
formazione multimediale del personale segnato dal </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>digital
divide </i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">rispetto
agli studenti. Migliorare biblioteche e risorse informatiche (pc e
Lim, aule multimediali). Abbassare l’età pensionabile riconoscendo
la delicatezza del ruolo del docente. Fare in modo che gli insegnanti
si dedichino alla ricerca e alla formazione incentivando part-time e
congedi. Aprire un osservatorio sulla sindrome del Burn Out per
prevenire il crescente disagio della categoria. Organizzare nuove
immissioni in ruolo ed eliminare il precariato. Stabilire regole
chiare e canali realistici per la formazione dei futuri insegnanti.
Affrontare le esigenze dei nuovi studenti migranti con appositi
progetti in vista di una reale inclusione. Tutelare la disabilità in
un’ottica non solo custodialista. Trovare forme di riconoscimento
del merito condivise e premianti. Rilanciare una vera autonomia
didattica con criteri di uniformità territoriale. Eliminare la
logica della certificazione della qualità secondo modelli tratti dal
mondo dell’industria e ispirati all’impossibile misurazione
oggettiva basata sui test. Semplificare la burocrazia interna e
potenziare le segreterie senza che i lavori gravino sui docenti.
Monitorare gli edifici scolastici dal punto di vista della sicurezza
e della vivibilità. Sostenere l’apertura delle scuole al
territorio con la promozione di attività pomeridiane. Rivedere
statuto e responsabilità del personale non docente considerandolo a
tutti gli effetti personale educativo. Aumentare le risorse e le
agevolazioni alle scuole tanto più difficile è il contesto
socio-culturale in si trovano. Il tutto all’interno di un processo
costituente che ridia centralità ai lavoratori della scuola, agli
studenti e alle famiglie e li includa nei processi decisionali.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;">Qualsiasi
provvedimento che non tenga conto di tutto questo non potrà avere
efficacia reale.</span></span><br />
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;"><br /></span></span>
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;"><br /></span></span>
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;"><br /></span></span>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://3.bp.blogspot.com/-TCKpkmaq5O8/Ucn912ZCt5I/AAAAAAAAAR8/iTWumc1GOgE/s1600/albero_canfora.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="480" src="http://3.bp.blogspot.com/-TCKpkmaq5O8/Ucn912ZCt5I/AAAAAAAAAR8/iTWumc1GOgE/s640/albero_canfora.JPG" width="640" /></a></div>
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;"><br /></span></span>
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">albero di canfora</span></span><br />
<span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif; font-size: x-large;"><br /></span></span></div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-75619602108207293572013-05-06T21:09:00.002+02:002018-02-17T19:57:24.084+01:00jesiana<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div>
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<span style="font-size: large;"></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<span style="font-size: large;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-OuuZhAz512M/UYf-_mhtYlI/AAAAAAAAAQM/94l6RZiAjGo/s1600/festa_cati.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="402" src="https://4.bp.blogspot.com/-OuuZhAz512M/UYf-_mhtYlI/AAAAAAAAAQM/94l6RZiAjGo/s640/festa_cati.jpg" width="640" /></a></div>
<div>
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div>
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div>
<br /></div>
Le feste di ieri</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">A partire dai primi anni settanta Jesi affronta il problema della scienza della mitologia relativamente ai problemi epistemologici che lo studio del mito pone, a partire dai saggi gemelli Conoscibilità della festa e La festa e la macchina mitologica, risalenti rispettivamente al 1972 e al 1973 (lo stesso periodo di Mito) e uniti nel volume antologico La festa. Antropologia, etnologia, folkore (1977), come attestabile anche dal più breve e immaginifico Gastronomia mitologica (1975)</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote1sym" style="font-size: x-large;">1</a><span style="font-size: large;">; trovano inoltre posto diversi frammenti postumi (poi pubblicati come appendice alla nuova edizione dei Materiali mitologici, 2001), databili a non oltre il 1975-76, a confermare l’arco cronologico della più intensa riflessione teoretica.</span><br />
<span style="font-size: large;">Nei saggi La festa e la macchina mitologica</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote2sym" style="font-size: x-large;">2</a><span style="font-size: large;"> e Conoscibilità della festa</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote3sym" style="font-size: x-large;">3</a><span style="font-size: large;"> la nozione di «macchina mitologica» è inserita nella riflessione antropologica sulla festa, ‘fatto sociale totale’ proprio in virtù della centralità che il mito ha in essa. La scelta di accostarsi al tema con un’antologia di testi deriva solo in parte dal fatto che la letteratura sull’argomento sia immensa: più che fornire un excursus sul rapporto tra festa e mito l’intento è quello di avanzare una critica alla possibilità di comprendere ‘oggettivamente’ i fenomeni sociali e culturali del mondo antico e delle società non-occidentali. Questo obiettivo si manifesta nell’organizzazione dell’antologia, la quale intende «porre in luce come un filone tradizionale, composito ma riconducibile ad alcuni elementi di fondo delle cosiddette scienze umane vincolate alla cultura borghese, risulti incapace di giungere ad una conoscibilità della festa che non sia soltanto il riconoscimento dell’inconoscibilità delle festa stessa»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote4sym" style="font-size: x-large;">4</a><span style="font-size: large;">.</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">Nelle preliminari Considerazioni metodologiche viene dichiarata la fecondità di un procedimento «micrologico» in base al quale «il documento apparentemente più trascurabile può divenire punto di partenza, stimolo per riflessioni e indagini preziose»: si insiste così sull’«aspetto soggettivo della scelta antologica» tale da «fare dell’antologia uno strumento di conoscenza per composizione»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote5sym" style="font-size: x-large;">5</a><span style="font-size: large;">. L’intento principale è l’«illustrare per composizione alcuni aspetti di una crisi, che è appunto la crisi di metodi e impegni inscindibili da una precisa realtà sociale, culturale e politica, dinanzi al fenomeno della festa»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote6sym" style="font-size: x-large;">6</a><span style="font-size: large;">: la composizione è la scelta di «singoli modelli gnoseologici» fatti interagire per giustapposizione e ricondotti «alle modalità di non-conoscenza»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote7sym" style="font-size: x-large;">7</a><span style="font-size: large;"> di cui sono testimonianza, in modo tale da svelare la loro parzialità, soggettività ed erroneità «senza gli schemi di apparati di falsa oggettività»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote8sym" style="font-size: x-large;">8</a><span style="font-size: large;">. «Ognuno di tali modelli è una creazione concettuale autonoma, obbediente a proprie leggi intrinseche, proprio perché corrisponde a determinate e autonome modalità di non-conoscenza»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote9sym" style="font-size: x-large;">9</a><span style="font-size: large;"> le quali derivano da una situazione inevitabile in cui, a sottrarsi alla conoscenza, è l’attualità dell’«altro per eccellenza»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote10sym" style="font-size: x-large;">10</a><span style="font-size: large;">.</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">La conoscenza vera della festa è per i moderni impossibile e solo la ricostruzione della scienza rende possibile la sua delineazione, necessariamente parziale e incompleta: come già per Kerényi le feste sono un «momento sublime», pervaso di «calore di vita» e di «idee commoventi», realtà spirituali a cui però è interdetto ogni accesso ai moderni: dichiarare l’impossibilità di conoscere le «“feste di ieri”»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote11sym" style="font-size: x-large;">11</a><span style="font-size: large;">, degli antichi e dei ‘diversi’, da parte della nascente etnografia significa mostrare il momento in cui appare chiara l’impossibilità di cogliere il mito, l’elemento vivificante della festa, come qualcosa di vivente.</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">L’indagine etnologica, che a partire dal Settecento studia i ‘primitivi viventi’ postulando la loro somiglianza con gli antichi, per Jesi sconta l’impossibilità dell’osservatore di vedere ciò che vede una collettività in stato festivo: per Jesi la festa è il cuore dell’indagine etnologica e antichistica perché è pensata come un momento di «evidenza di immediata commozione» e di esperienza vissuta; ma poiché l’incapacità di partecipare alla condizione festiva è costitutiva dell’osservazione moderna e riflessiva, allora «tutta la festa acquista qualche cosa di morto, di grottesco perfino, come i movimenti di chi danza per chi improvvisamente perde l’udito e non ode più la musica»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote12sym" style="font-size: x-large;">12</a><br />
<span style="font-size: large;">Scrive Jesi, portando alle estreme conseguenze la differenza tra emic/etic</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote13sym" style="font-size: x-large;">13</a><span style="font-size: large;">, che gli etnografi «videro le feste dei diversi, non videro ciò che i diversi vedevano. Li videro vedere, non videro l’oggetto della visione, o almeno non lo videro con gli occhi dei veggenti ma solo con gli occhi dei voyeurs»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote14sym" style="font-size: x-large;">14</a><span style="font-size: large;">. Tipica del moderno è la contrapposizione dell’epifania alla gnosi, frutto dello smarrimento del senso festivo della vita che rende imbarazzanti le proprie feste di oggi e folcloristiche quelle degli altri. La forma paradossale per cui non-entriamo in rapporto con la festa e il mito, se non mediante una forma di conoscenza esteriore e ricostruttiva, è «il contrasto fra un oggetto che è, per eccellenza, materiato di collettività, e un complesso di attività gnoseologiche che sono, per eccellenza, per loro vicenda storica, estranee o sempre più estranee ad esperienze collettive»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote15sym" style="font-size: x-large;">15</a><span style="font-size: large;">.</span><br />
<span style="font-size: large;">L’inaccessibilità della festa significa dunque impossibilità di conoscere il passato e l’alterità, se non a partire dal soggetto che ricostruisce modificando il suo oggetto: in questo processo si dispiega il funzionamento della macchina mitologica, figura teoretica la cui genesi e formulazione è strettamente intrecciata con quella di macchina antropologica.</span><br />
<span style="font-size: large;">Jesi definisce «macchina antropologica […] il meccanismo complesso che produce immagini di uomini, modelli antropologici riferiti all’io e agli altri, con tutte le varietà di diversità possibili (cioè di estraneità all’io)». Si tratta di una serie concatenata di concetti, immagini mentali e rappresentazioni della realtà che ‘produce’ i modelli di io e altro celando al suo interno l’ipotetico uomo vero – «simbolo riposante in se stesso dell’uomo universale» – grazie alla «impenetrabilità della pareti della macchina stessa»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote16sym" style="font-size: x-large;">16</a><span style="font-size: large;">.</span><br />
<span style="font-size: large;">La macchina antropologica può essere concepita come il «motore del divenire storico dell’uomo»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote17sym" style="font-size: x-large;">17</a><span style="font-size: large;">, il processo di elaborazione concettuale che definisce nel tempo l’immagine che gli uomini hanno di se stessi. La sua formulazione è fatta risalire alla «crisi del principio di identità, che è tratto peculiare dell’antropologia e dell’etnologia rousseauiane» e che «si radicalizza dinanzi all’esperienza festiva e diviene qualità porosa della superficie che l’antropologo e l’etnologo offrono alle esistenze e alle culture diverse»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote18sym" style="font-size: x-large;">18</a><span style="font-size: large;">. Per Jesi, come per Lévi-Strauss, la festa osservata dallo studioso, in una sorta di «osmosi emozionale»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote19sym" style="font-size: x-large;">19</a><span style="font-size: large;"> attraverso un flusso di commozione e comprensione, diviene il luogo dell’‘invenzione dell’altro’. La descrizione delle feste dei “selvaggi”, scena primaria per l’etnologia moderna, è «operazione di autoampliamento e di autogiustificazione dell’io»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote20sym" style="font-size: x-large;">20</a><span style="font-size: large;">.</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">Se all’origine della ricerca etnografica ed etnologica vi è, a livello più o meno cosciente la necessità di affrontare gnoseologicamente il proprio io e i rapporti del proprio io con i propri simili, le indagini circa le feste dei “selvaggi” offrono soddisfazione a tale necessità nella misura in cui permettono all’io di entrare in relazione gnoseologica con altri i quali fungono da controfigure sia dell’io sia dei simili di chi dice io</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote21sym" style="font-size: x-large;">21</a><span style="font-size: large;">.</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">In un altra formulazione, di poco successiva, Jesi ribadisce l’impianto teorico traendo spunto da un autore ‘eversivo’ e al limite dell’antropologia scientifica come Carlos Casteneda di cui traduce negli stessi anni Tales of power (1974)</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote22sym" style="font-size: x-large;">22</a><span style="font-size: large;">:</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">Nella grande maggioranza dei casi, e fin dai primordi dell’etnologia o dell’etnografia moderne, lo studioso si è accostato alle credenze e alle esperienze esoteriche dei cosiddetti «primitivi» con l’intenzione più o meno esplicita (particolarmente esplicita in tempi recenti) di conoscere gli aspetti più segreti di forme di vita collettiva diverse da quelle europee, e spesso con il proposito o la speranza di contribuire così ad una sorta di rigenerazione della socialità del proprio gruppo, alla scoperta o riscoperta di potenzialità umane latenti, la cui conoscenza contribuisse a liberare o arricchire la coscienza di animale sociale propria e dei membri della propria collettività. Qui, invece, quanto più Castaneda si inoltra nel suo apprendistato, si ha l’impressione che egli ritrovi come in uno specchio, nelle dottrine e nelle pratiche dei suoi stregoni, la caratteristica asocialità degli esoteristi europei, il loro individualismo esclusivo, la loro povertà di sensi di solidarietà umana di gruppo, la loro apologia del potere personale. Questa impressione è poi confermata da particolari non trascurabili, da coincidenze di dottrina apparentemente sconcertanti. Ci si trova di fronte, insomma, a uno stregone indio che parla come un discepolo di Heidegger.</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">La festa permette all’etnologo di incontrare gli altri e di rinnovare la propria identità allentando la distanza tra i due poli: strutturalismo ed ermeneutica, in quanto filosofie della scrittura e del limite, portano a compimento la fase critica della metafisica occidentale mostrando come l’identità non sia qualcosa di dato ma si determini «in relazione ad altro nel differire da sé»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote23sym" style="font-size: x-large;">23</a><span style="font-size: large;">, ovvero nel processo di costruzione dell’immagine dell’altro. La crisi del cogito è completa: il rinvio all’altro è condizione dell’identità, è irriducibile e non passibile di superamento o risoluzione hegelianamente intesa; la relazione all’altro è condizione dell’essere presente a sé, che in quanto tale non si dà mai.</span><br />
<span style="font-size: large;">Così Jesi scrive: «l’uomo, che può essere io o un altro, [...] è un altro anche quando è io»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote24sym" style="font-size: x-large;">24</a><span style="font-size: large;">. L’etnologo non inventa l’alterità di ciò che gli sta di fronte, ma è l’arbitro di un gioco di cui ha scritto le regole, «una spia entro una sfera che egli stesso ha organizzato»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote25sym" style="font-size: x-large;">25</a><span style="font-size: large;">; il «ritmo gnoseologico percepibile dallo studioso» è «il ritmo di funzionamento della macchina antropologica»:</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">In mancanza di esperienze epifaniche, privo di immagini che siano davvero rivelazioni, l’etnologo può avere a che fare unicamente con macchine, con modelli gnoseologici funzionanti – la macchina mitologica, la macchina antropologica – i quali lascino intendere di contenere al loro centro, come nucleo inaccessibile, primo motore immobile, le immagini epifaniche</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote26sym" style="font-size: x-large;">26</a><span style="font-size: large;">.</span><br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote1anc">1</a>F. Jesi, Gastronomia mitologica. Come adoperare in cucina l’animale di un bestiario, poi inserito in Materiali mitologici è una versione rielaborata della conferenza La machine mythologique, pronunciata in francese il 14 luglio del 1975 al Colloque sur l’analyse mythologique del Centro internazionale di semiotica di Urbino.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote2anc">2</a> Originariamente in «Comunità», n. 169, aprile 1973, pp. 317-347, poi come Epilogo a La festa. Antropologia, etnologia, folklore, Torino, Rosenberg & Sellier, 1977, pp. 171-201 e infine ripreso nei Materiali mitologici (1979). Le citazioni fanno riferimento all’edizione 2001), pp. 81-120.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote3anc">3</a> Il saggio è l’Introduzione a La festa, cit., pp. 4-29. Jesi lavorò all’antologia dal 1972, anno durante il quale svolse un viaggio di studi a Ginevra. L’Indice, oltre alla sua introduzione e postfazione, prevede il testo Religione e festa di Kerény (un estratto da Die Antike Religion); una sezione intitolata Feste presso culture di interesse etnologico (con brani di André Thevet, Joseph-François Lafitau, Sigfrid Rafael Karsten, Josef Haekel; una sezione Feste nel folklore (testi di Giuseppe Pitré e Arnold van Gennep); un’Appendice di «spazi paralleli» sul concetto di festa in senso ampio che contempla il Rousseau de La nouvelle Héloïse e pagine de l’Histoire de la rèvolution française di Adolphe Thiers.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote4anc">4</a> F. Jesi, La festa, cit., p. 2.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote5anc">5</a> Ivi, p. 1.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote6anc">6</a> Ivi, p. 3.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote7anc">7</a> F. Jesi, Materiali mitologici, Einaudi, 2001, p. 84.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote8anc">8</a> F. Jesi, La festa, cit. p. 2.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote9anc">9</a> F. Jesi, Materiali mitologici, cit., p. 84.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote10anc">10</a> Ivi, p. 85.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote11anc">11</a> Ivi, p. 116. Si tratta di un verso di Cesare Pavese: «Ci saranno altri giorni, ci saranno altre voci. Sorriderai da sola. I gatti lo sapranno. Udrai parole antiche, parole stanche e vane come i costumi smessi delle feste di ieri»,The cats will know, in Id., Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Einaudi, Torino, 1951, p. 51.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote12anc">12</a> K. Kerényi, La religione antica, cit., p. 48.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote13anc">13</a> Jesi porta alle estreme conseguenze l’opposizione emic/etic introdotta nel linguaggio antropologico da Marvin Harris (The Nature of Cultural Things, 1964) per distinguere il punto di vista interno, o ‘nativo’, e esterno, etnografico, a una data cultura. Percezioni uditive, visive, spazio-temporali e concetti delle persone oggetto di studio assumono significati diversi da quelli di chi compie lo studio: in tal senso per comprenderli veniva indicato come necessario uno sforzo conoscitivo oltre i propri modelli di riferimento. La svolta impressa da Clifford Geertz nel 1973 (Interpretazioni di culture), con la comparazione tra la pratica etnografica e l’interpretazione di testi, ha delineato il concetto di cultura come un concetto semiotico, per cui la pratica antropologica si situa in una dimensione mobile risultante dalla fusione delle correnti sociali dell’indagato e dell’indagatore. L’opera di Jesi è l’applicazione in ambito storico-culturale moderno e contemporaneo della stessa metodologia.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote14anc">14</a> F. Jesi, Materiali mitologici, cit., pp. 94-95.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote15anc">15</a> F. Jesi, La festa, cit., p. 3.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote16anc">16</a> Ivi, p. 15.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote17anc">17</a> G. Agamben, L’aperto. L’uomo e l’animale, Bollati Boringhieri, Torino, 2002, p. 82.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote18anc">18</a> F. Jesi, Materiali mitologici, cit., p. 88.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote19anc">19</a> Ivi, p. 91.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote20anc">20</a> Ivi, p. 88.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote21anc">21</a> F. Jesi, La festa, cit., p. 13.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote22anc">22</a> Id., Introduzione a C. Castaneda, L’isola del Tonal, trad. it di F. Jesi, Rizzoli, Milano, 1975, pp. 5 ss.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote23anc">23</a> F. Vitale, Decostruzione, in M. Cometa, Dizionario degli studi culturali, (a cura di R. Coglitore, F. Mazzara), Meltemi, 2004, Roma, pp. 164-; in una vastissima letteratura cfr.: T. Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’«altro» (1982), ed. it. Einaudi, Torino, 1984, pp. 5-6; P. Ricoeur, Sé come un altro (1990), ed. it., Milano, Jaka Book, 2005.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote24anc">24</a> F. Jesi, La festa, cit., p.15.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote25anc">25</a> Ivi, p. 13.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote26anc">26</a> Ivi, p. 27.<br />
<br />
<br />
<br />
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-lbwklAWv6Ww/UYf_f0RdjkI/AAAAAAAAAQU/Ep9Ifdreob4/s1600/BES_tamburo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: center;"><img border="0" height="640" src="https://2.bp.blogspot.com/-lbwklAWv6Ww/UYf_f0RdjkI/AAAAAAAAAQU/Ep9Ifdreob4/s640/BES_tamburo.jpg" width="364" /></a><br />
<br />
<br />
<br />
<span style="font-size: large;">La festa di domani</span><br />
<div>
<span style="font-size: large;"><br />La macchina mitologica permette di «vedere le tracce di una visione»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote1sym" style="font-size: x-large;">1</a><span style="font-size: large;"> perduta, tale da suscitare «commozione» e nostalgia i cui risultati sono politicamente regressivi e coservatori. Se l’operare della macchina può riguardare ogni epoca storica, di fatto ciò che ‘oggi’ prevale è un funzionamento a vuoto particolarmente pericoloso:</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">è lecito in una ricerca scientifica dar credito a quanto le macchine dicono o tacitamente lasciano intendere circa il loro presunto motore immobile e invisibile? [...] Sorge il sospetto, d’altronde, che questa conclusione sia l’obiettivo recondito e camuffato delle macchine stesse, dunque il punto a cui mirano le forze sociali che dominano le situazioni culturali entro le quali le macchine sono vere e funzionanti. Le macchine sembrano lasciar intendere di contenere realtà inaccessibili: ma non possiamo escludere che questa sia proprio la loro astuzia (cioè la forza di conservazione delle dominanti sociali che consentono l’esistenza delle macchine): alludere a un primo motore immobile, proprio per non essere credute, e dunque indurre a credere unicamente in loro, nelle macchine, vuote, barriere costituite da meccanismi produttivi che isolano da ciò che non produce, tanto da renderlo apparentemente inesistente</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote2sym" style="font-size: x-large;">2</a><span style="font-size: large;">.</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">Per Agamben il «vuoto al centro della macchina-linguaggio coincide con quello in cui le forze di conservazione insediano il loro dominio»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote3sym" style="font-size: x-large;">3</a><span style="font-size: large;"> in modo tale che il credere/non credere nel mito sia la falsa alternativa di fronte alla quale le macchine pongono, come «due maschere sospese sul vuoto del linguaggio».</span><br />
<span style="font-size: large;">Scrive Jesi:</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">occorre non distruggere le macchine in sé, le quali si formerebbero come le teste dell’idra, bensì la situazione che rende vere e produttive le macchine. La possibilità di questa distruzione è esclusivamente politica; il suo rischio, dal punto di vista gnoseologico, è che la macchine siano davvero vuote e che dunque, dimostrata la loro vacuità essa stessa si imponga come una paradossale macchina negativa che produce il nulla dal nulla. [...] Distruggere la situazione che rende e vere e produttive le macchine [...] significa, d’altronde, spingersi oltre i limiti della cultura borghese, non solo cercare di deformarne le barriere confinarie</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote4sym" style="font-size: x-large;">4</a><span style="font-size: large;">.</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">La politicizzazione del discorso investendo il costituirsi della soggettività postula una rivoluzione prima di tutto teoretica. La soluzione politica di Jesi sarebbe dunque una «esposizione risolutiva del vuoto della macchina-io, iniziazione all’assenza di mistero dell’uomo»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote5sym" style="font-size: x-large;">5</a><span style="font-size: large;">: un approccio di critica dell’ideologia che affianchi alla demitologizzazione una concezione della realtà, della storia e dei rapporti di classe. Il discorso sulla festa è dunque da leggere alla luce della produzione jesiana da Letteratura e mito in poi, nel clima intellettuale della cultura europea degli anni settanta, caratterizzato dalla convinzione della «possibilità di una trasformazione politica radicale condotta attraverso la teoria, in cui l’intellettuale sarebbe il leader di una rivolta che non è fatta tanto in nome di altre istituzioni quanto piuttosto [...] contro ogni istituzione, e dunque contro ogni tradizione»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote6sym" style="font-size: x-large;">6</a><span style="font-size: large;">. Si tratta di una visione che riflette l’«esperienza liberatoria del maggio parigino», in cui il «rovesciamento carnevalesco, il modello di “rivoluzione permanente” descritto da Michail Bachtin»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote7sym" style="font-size: x-large;">7</a><span style="font-size: large;"> si fonde con la politicizzazione dell’estetica di Benjamin e con la letteratura come utopia secondo Marcuse.</span><br />
<span style="font-size: large;">In discussione è nuovamente la possibilità di una specificità della cultura antagonista: scrive Bidussa che</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">dentro il meccanismo festivo si cela forse l’epifania più tragica del mito [...]: potente perché la necessità di ritrovare un fondamento di sé nel mito delle origini obbliga a continuare le tradizioni, anche quelle coltivate e create storicamente dai propri avversari politici, pur cambiandole di segno in nome di una continua prova di forza tra governo e governati in cui la posta in gioco è la capacità di controllo dei primi sui secondi. Tragica perché la sollecitazione cui vogliono rispondere le coreografie festive [...] è la verifica del successo di quella pedagogia</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote8sym" style="font-size: x-large;">8</a><span style="font-size: large;">.</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">Per Jesi peculiare della società borghese era «l’impossibilità della festa come vero istante collettivo»: a essa bisognava contrapporre una «festa come tempo festivo»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote9sym" style="font-size: x-large;">9</a><span style="font-size: large;"> non mera iterazione della tradizione ma «coscienza di far saltare il continuum della storia [...] propria delle classi rivoluzionarie dell’attimo della loro azione»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote10sym" style="font-size: x-large;">10</a><span style="font-size: large;">, festa di uomini che sparano contro gli orologi delle torri «pour arrêter le jour»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote11sym" style="font-size: x-large;">11</a><span style="font-size: large;">. Per Benjamin la fine della «coscienza storica [...] in Europa»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote12sym" style="font-size: x-large;">12</a><span style="font-size: large;"> significava anche la perdita del legame sociale che la società illuministico-borghese ha introdotto nel mondo moderno. Un nuovo legame sociale poteva però nascere con la logica di classe: in Benjamin la «solidarietà è l’atto che trasforma la folla in classe», rompendo «i vincoli dell’antagonismo» che sono alla radice della frattura e dell’atomizzazione che caratterizzano la società borghese</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote13sym" style="font-size: x-large;">13</a><span style="font-size: large;">. Nella lotta di classe il tratto panico della ‘festa crudele’ e ‘guerresca’ (che Benjamin vedeva nella piccola borghesia e che si esprime nell’«entusiasmo bellico, odio contro gli ebrei o istinto di conservazione»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote14sym" style="font-size: x-large;">14</a><span style="font-size: large;">) muta di segno e si apre al futuro. Contro il potere ipnotico del ‘mito’ in questi termini Jesi pensa un «modello gnoseologico che implica come condizione sine qua non la collettività e l’autoaffermazione nell’esperienza festiva»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote15sym" style="font-size: x-large;">15</a><span style="font-size: large;">. Nella voce di enciclopedia dedicata a Benjamin si legge:</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">La redenzione dell’uomo può giungere soltanto da una rottura radicale con il passato improntato dal dominio e da un recupero della tradizione sacra, messianica. Ma in mancanza di elementi di fede come i presupposti della liberazione-redenzione non sono dati, così anche la soggettività liberante attende di essere istituita</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote16sym" style="font-size: x-large;">16</a><span style="font-size: large;">.</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">La festa rivoluzionaria della classe solidale rappresenta l’«oggi dell’eternità»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote17sym" style="font-size: x-large;">17</a><span style="font-size: large;"> e l’apocatastasi la reintegrazione di un tempo ‘edenico’ futuro e lontano dai mali della storia: in questa prospettiva oltre il significato della distruzione in termini tragici si colloca quello di «rivolgimento, cambiamento di direzione. Catastrofe come “svolta”, ovvero come trasformazione, metamorfosi»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote18sym" style="font-size: x-large;">18</a><span style="font-size: large;">.</span><br />
<span style="font-size: large;">Nel saggio Zur Kritik der Gewalt</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote19sym" style="font-size: x-large;">19</a><span style="font-size: large;"> (1921) Benjamin distingue la «violenza che impone il diritto dalla violenza che conserva il diritto: questa è la violenza legittima che viene esercitata dagli organi dello stato; quella è la violenza strutturale, tratta fuori nella guerra e nella guerra civile, latente in tutte le istituzioni»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote20sym" style="font-size: x-large;">20</a><span style="font-size: large;">, violenza che si manifesta nella stessa conflittuale struttura della società di classe. In quello scritto si prefigura «l’ipotesi di una società liberata in cui il lavoro non sia più quello di prima sotto padroni diversi, bensì un lavoro interamente mutato o non imposto dallo stato»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote21sym" style="font-size: x-large;">21</a><span style="font-size: large;">: la violenza rivoluzionaria ‘pura’ creatrice di nuovo diritto è la festa futura in cui riluce il «riverbero della giustizia divina nella sfera umana»</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote22sym" style="font-size: x-large;">22</a><span style="font-size: large;"> contro la violenza conservatrice delle democrazie liberali e del fascismo. Così come mito e festa, se rivolti al passato, diventano strumenti reazionari, alternativamente possono diventare la lingua dell’utopia. Accanto alla rivoluzione politica l’esperienza creativa della scrittura, della filosofia e della critica ha così un compito strategico e preparatorio:</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">Jesi presuppone che la festa permetta “alle realtà incombenti sulla vita quotidiana di trasformarsi nella materia stessa del mito”. Se dunque manca la festa, l’artista avvertiva “l’obbligo morale di determinare egli stesso quella trasformazione nell’unico modo oramai lecito, e cioè superando il rimpianto e agendo, creando, narrando le vicende dell’oggi affinché attraverso il suo impegno morale l’oggi privato di festa tornasse ad essere il luogo ed il tempo del mito”</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote23sym" style="font-size: x-large;">23</a><span style="font-size: large;">.</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">Contro la tecnicizzazione la mitopoiesi assume un aspetto positivo: attraverso il sapere critico, l’ironia e la parodia si tratta di salvare il meglio della tradizione umanistica, rilanciando una mitologia-narrazione (che implica anche la sua critica) e che sia discorso dell’immaginazione che lega senza fondare e ponendosi come regolativo</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote24sym" style="font-size: x-large;">24</a><span style="font-size: large;">.</span><br />
<span style="font-size: large;">Lontano da toni profetici o entusiasmi ingenui Jesi metteva in guardia dall’uso del mito politico che può trasformarsi in nuova dominazione dogmatica. Nella già citata lettera a Schiavoni del 26 giugno 1972 si legge:</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">Quanto alla sovversione collettiva non trarrà sicuramente le sue riserve dal mito collettivo, posto che essa accada in un tempo non troppo futuro. Dato che, per ora, sembra molto lontana, non so da che cosa trarrà le sue ‘riserve’ , ma penso che il ‘mito collettivo’ sia soltanto una maschera (una parete della macchina mitologica) di realtà che si dovrebbero chiamare più precisamente se si conoscessero: io, ripeto, non le conosco. So che ci sono, ma non le conosco [...]. Miti non sono. [...] E quanto ne so, quanto quotidianamente vivo, quanto pertiene alla mia esperienza dell’esistere, dell’essere ecc. mi induce a escluderne un’identificazione con il mito. Che cos’è quanto ne so? Puoi trovarne una traccia in ciò che scrivo, e non nel contenuto dei miei scritti, bensì nella loro architettura, nei loro criteri compositivi, in ciò che li fa essere composizioni</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote25sym" style="font-size: x-large;">25</a><span style="font-size: large;">.</span><br />
<br />
<span style="font-size: large;">Una eventuale ‘tecnicizzazione di sinistra’ non è la risorsa capace di realizzare un cambiamento: il rinvio al criterio compositivo chiarisce come la vera metamorfosi da realizzare sia la critica a ogni forma di mitologia del fondamento. Nei confronti del discorso scientifico il suo intento sembra essere quello di ‘minare’</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote26sym" style="font-size: x-large;">26</a><span style="font-size: large;"> il linguaggio scientifico tradizionale, destinando alla pubblicistica il compito della riflessione, dell’analisi concreta e della ‘pedagogia’ rivoluzionaria su argomenti urgenti e attuali</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote27sym" style="font-size: x-large;">27</a><span style="font-size: large;">.</span><br />
<span style="font-size: large;">Il rischio che Jesi prefigurava – la «paradossale macchina negativa che produce il nulla dal nulla» –, si è invece realizzato oltre gli scenari che egli stesso immaginava</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote28sym" style="font-size: x-large;">28</a><span style="font-size: large;">. Nel 1980 si potevano già cogliere in Italia i segni della mutazione delle forme del potere e della percezione intersoggettiva della realtà nelle società avanzate, l’«apocalisse quotidiana» prodotta dall’ininterrotto flusso di immagini e informazione gestite dai media che caratterizza il mondo contemporaneo</span><a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote29sym" style="font-size: x-large;">29</a><span style="font-size: large;">. La pervasività dell’industria culturale e dell’intrattenimento costituisce un tema di indagine al quale, si può immaginare, Jesi avrebbe rivolto la propria attenzione applicando l’idea di macchina mitologica all’estrema contemporaneità.</span><br />
<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote1anc">1</a> MM, p. 116.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote2anc">2</a> F, pp. 27-28.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote3anc">3</a> G. Agamben, Sull’impossibilità di dire Io. Paradigmi epistemologici e paradigmi poetici in Furio Jesi, in «Cultura tedesca», cit., p. 19.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote4anc">4</a> F, p. 28.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote5anc">5</a> G. Agamben, Sull’impossibilità di dire Io, cit., p. 19.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote6anc">6</a> M. Ferraris, Introduzione a Derrida, Roma-Bari, Laterza, 2003, p. 52.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote7anc">7</a> M. Belpoliti, Settanta, cit., p. 87; cfr. F. C. Rang, Psicologia storica del carnevale (1928), ed. it. Bollati Boringhieri, Torino, 2008; cfr. l’Introduzione di Fabrizio Desideri, pp. 7- 43.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote8anc">8</a> D. Bidussa, La ricerca storica e la questione del mito, in «Nuova corrente», n. 143, 2009, p. 160; cfr. Id. Mito e storia in Furio Jesi, «Humanitas», n. 4. 1995, p. 601-602.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote9anc">9</a> F, p. 22.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote10anc">10</a> F, p. 21; cfr. W. Benjamin, Angelus Novus, cit., p. 80-81<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote11anc">11</a> F, p. 22.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote12anc">12</a> W. Benjamin, Angelus Novus, cit., p. 81.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote13anc">13</a> «La coscienza di classe proletaria, che è la più studiata, modifica radicalmente la struttura della massa proletaria. Il proletariato dotato di coscienza di classe forma una massa compatta solo dal di fuori, nella rappresentazione dei suoi oppressori. Nell’istante in cui inizia la sua lotta di liberazione, la sua apparente massa compatta si è in verità già allentata. Essa smette di essere dominata dalla semplice reazione; passa all’azione. L’allentamento della massa proletaria è l’opera della solidarietà. Nella solidarietà della lotta di classe proletaria viene soppressa la morta, adialettica contrapposizione tra individuo e massa; per il compagno essa non esiste». Si tratta di un passo di W. Benjamin de L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, nella trad. di Andrea Cavalletti, in Classe, Bollati Boringhieri, Torino, 2009, p. 38.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote14anc">14</a> A. Cavalletti, Classe, cit., p. 37.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote15anc">15</a> F, p. 22.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote16anc">16</a> F. Jesi, Walter Benjamin, in Enciclopedia Garzanti di Filosofia, Milano, 1981, p. 84<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote17anc">17</a> A. Cavalletti, Note al «modello macchina mitologica», cit., pp. 39-40; «Poiché eternità è proprio questo, che tra l’istante presente ed il compimento non c’è tempo che possa reclamare un posto, bensì già tutto il futuro è afferrabile nell’oggi». (F. Rosenzweig, La stella della redenzione, ed. it. Marietti, Genova, 1985, p. 351.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote18anc">18</a> M. Belpoliti, Crolli, Einaudi, Torino, 2005, pp. 131.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote19anc">19</a> W. Benjamin, Per la critica della violenza, in Id., Angelus Novus, cit., pp. 5-30.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote20anc">20</a> J. Habermas, Attualità di Walter Benjamin, in «Comunità», n. 171, 1974, pp. 211-245, p. 239-40. Traduzione di Jesi.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote21anc">21</a> G. Schiavoni, Walter Benjamin. Il figlio della felicità, Einaudi, Torino, 2001, p. 79.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote22anc">22</a> Ibidem.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote23anc">23</a> M. Belpoliti, Settanta, p. 95; cfr. LM, pp. 167-168.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote24anc">24</a> MM, pp. 246-252 e pp. 253-271 dedicate a Thomas Mann e all’«umanizzazione del mito» compiuta nei romanzi del ciclo di Giuseppe e i suoi fratelli.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote25anc">25</a> Lettera a Giulio Schiavoni, 26 giugno 1972, in Carteggio Jesi/Schiavoni, a cura di G. Schiavoni, in «Immediati dintorni», cit., pp. 330-331.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote26anc">26</a> In una lettera a Giulio Schiavoni datata 4 agosto 1970 Jesi scrive: «Non ho alcuna fiducia nella validità dei miei saggi graditi al prossimo che tiene le redini del potere editoriale-intellettuale». E sulla necessità di pubblicare su riviste «in cui non si entra senza stile e tono e note per bene: «si accettano stile tono e note, e si adoperano per combattere chi vi attribuisce un valore. È pur vero che io conservo sempre una sorta di marranismo programmatico e che voglio insegnarlo al prossimo. Ma è anche vero che si tratta di una tattica, a mio parere indispensabile per tutti. Se non altro perché scalza davvero dalle radici quello che non crediamo giusto», in «Cultura tedesca», cit. pp. 177-178.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote27anc">27</a> Cfr. la bibliografia del l periodo 1968-1971 per gli scritti politici: tra i temi affrontati il Vietnam, la Grecia, Israele, le stragi di stato, le repressione poliziesca, il sindacalismo di base, l’industria culturale.<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote28anc">28</a> G. Agamben, Sull’impossibilità di dire Io, cit., p. 19: «è la politica in cui viviamo, la forma del dominio spettacolare che sta davanti ai nostri occhi. Essa isola e blocca il cuore di non-essere del linguaggio, fa del silenzio delle sirene la sua più temibile arma, l’arcano di un nuovo potere che governa esibendo il suo vuoto»; S. Givone, Furio Jesi. Lectio magistralis, Roma, 12 maggio 2007, cit., (<a href="http://www.auditorium.com/dwnld/podcast/4898264/audio.mp3">http://www.auditorium.com/dwnld/podcast/4898264/audio.mp3</a>): «Jesi, dopo aver analizzato il mito nelle mani della tecnicizzazione fascista poteva intravvedere qualcosa di analogo nello Star System e nella società di massa, ovvero la simulazione, la finzione e la costruzione di altri miti. La mitologia senza eidola non può che condurre a emozioni strumentali e condurre alla futilità e alla corrività dell’immaginario contemporaneo».<br />
<a href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote29anc">29</a> «Siamo fuori dalla storia e dentro la ripetizione, la fotografia, la reiterazione di massa, l’obliterazione di distinzioni, di ogni differenza. [...] L’aura si crea con il passaggio dei flash dei fotografi, dei registratori. Non c’è che l’aura, che si sta sostituendo alla realtà». D. DeLillo, in Colloquio con Anna Detheridge, in «Il sole-24 ore», 24 gennaio 2003. Riportato in M. Belpoliti, Quella’apocalissi warholiana di Don DeLillo, in «Alias», 19 luglio 2003; ora in Id., Diario dell’occhio, p. 210; cfr. Id., Crolli, cit, p. 67-68.<br />
<br />
<br />
<br /></div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-14022312832668657722013-04-30T17:50:00.000+02:002013-04-30T18:28:28.757+02:001 ° maggio<span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond; font-size: x-large;"><i>Ballata del lavoro</i></span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond; font-size: x-large;">Edoardo Sanguineti</span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond; font-size: large;"><br /></span>
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond; font-size: large;">(1982, </span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond; font-size: large;">per Gino Guerra)</span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">Con le due mani nati a lavorare,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">nati con i due piedi a camminare</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">con lavorare si va per salire</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">per una scala che va a proseguire:</span></span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">questa è una scala che sale a spirale,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">e che qui ci significa la vita:</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">quando ci sali ti è già incominciata,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">quando finisci non ti è mai finita:</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">e prima i padri, e poi salgono i figli,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">che così vanno le generazioni:</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">questa scala significa la storia,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">che chi è passato resta per memoria:</span></span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">se te la guardi come fosse ruota,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">vedi che gira come la fortuna,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">che ti trascina come vecchia giostra,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">e fa le fasi come fa la luna:</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">ma la luna sparisce e ti ritorna,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">te, la tua giostra, ti fa un solo giro.</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">che se ti guardi la tua vita sola,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">ci vedi il primo e l’ultimo respiro:</span></span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">se poi la guardi come fosse torre,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">vedi Babele, che fu confusione:</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">fu in Babilonia, dove si confusero</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">tutte le lingue in tutte le persone:</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">ma quella torre si sognava un cielo,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">te, la tua torre, qui in terra ti tiene:</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">che se guardi lì, muscoli e ossa,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">un grattacielo, ci vedi una fossa:</span></span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">ma questa, che è la vita, sale a vite,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">che come sta un martello ci sta dura,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">e ci sta curva come sta una falce,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">ma che ci trovi lì la tua ventura:</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">per questa scala ci trovi i compagni,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">salire insieme, insieme lavorare:</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">così sta scritto in qualunque scrittura,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">chi non lavora, niente da mangiare:</span></span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-size: large;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">con le due mani nati a lavorare,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">nati con i due piedi a camminare,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">con tutto il corpo nati qui a sudare,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">e ancora nati a ruscare e a sgobbare,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">e nati a faticare e a travagliare,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">per questa scala ci impari a lottare,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">e fare fine a tutto il dominare,</span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;">e, te con gli altri, tutti liberare.</span></span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span>
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-ICeT2z4661o/T560o_7dKoI/AAAAAAAAAKE/j_RH-WE0-Jk/s1600/6a0134885b6044970c014e882b241f970d-800wi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="http://1.bp.blogspot.com/-ICeT2z4661o/T560o_7dKoI/AAAAAAAAAKE/j_RH-WE0-Jk/s320/6a0134885b6044970c014e882b241f970d-800wi.jpg" width="320" /></a></div>
<span class="Apple-style-span" style="font-family: Garamond;"><br /></span>arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-52099402039769620502013-04-16T09:38:00.003+02:002013-04-16T09:38:50.532+02:00Difendere la Resistenza<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-aJL7qoo85hY/UWz_zpWBu1I/AAAAAAAAAPw/UzPZ9IRsxJk/s1600/i-partigiani-il-25-aprile-a-roma.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="426" src="http://1.bp.blogspot.com/-aJL7qoo85hY/UWz_zpWBu1I/AAAAAAAAAPw/UzPZ9IRsxJk/s640/i-partigiani-il-25-aprile-a-roma.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<br />
<br />
<br />
<div style="color: #333333; font-family: 'Lucida Grande', Verdana, Arial, sans-serif; font-size: 1.05em; line-height: 16px; text-align: justify;">
<strong>Partigia</strong></div>
<div style="color: #333333; font-family: 'Lucida Grande', Verdana, Arial, sans-serif; font-size: 1.05em; line-height: 16px; text-align: justify;">
<strong><br /></strong></div>
<div style="color: #333333; font-family: 'Lucida Grande', Verdana, Arial, sans-serif; font-size: 1.05em; line-height: 16px; text-align: justify;">
Dove siete, partigia di tutte le valli,<br />Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse?</div>
<div style="color: #333333; font-family: 'Lucida Grande', Verdana, Arial, sans-serif; font-size: 1.05em; line-height: 16px; text-align: justify;">
Molti dormono in tombe decorose,<br />quelli che restano hanno i capelli bianchi<br />e raccontano ai figli dei figli<br />come, al tempo remoto delle certezze,<br />hanno rotto l’assedio dei tedeschi<br />là dove adesso sale la seggiovia.</div>
<div style="color: #333333; font-family: 'Lucida Grande', Verdana, Arial, sans-serif; font-size: 1.05em; line-height: 16px; text-align: justify;">
<span id="more-47988"></span></div>
<div style="color: #333333; font-family: 'Lucida Grande', Verdana, Arial, sans-serif; font-size: 1.05em; line-height: 16px; text-align: justify;">
Alcuni comprano e vendono terreni,<br />altri rosicchiano la pensione dell’Inps<br />o si raggrinzano negli enti locali.<br />In piedi, vecchi: per noi non c’e’ congedo.</div>
<div style="color: #333333; font-family: 'Lucida Grande', Verdana, Arial, sans-serif; font-size: 1.05em; line-height: 16px; text-align: justify;">
Ritroviamoci. Ritorniamo in montagna,<br />lenti, ansanti, con le ginocchia legate,<br />con molti inverni nel filo della schiena.<br />Il pendio del sentiero ci sarà duro,<br />ci sarà duro il giaciglio, duro il pane.</div>
<div style="color: #333333; font-family: 'Lucida Grande', Verdana, Arial, sans-serif; font-size: 1.05em; line-height: 16px; text-align: justify;">
Ci guarderemo senza riconoscerci,<br />diffidenti l’uno dell’altro, queruli, ombrosi.<br />Come allora, staremo di sentinella<br />perché nell’alba non ci sorprenda il nemico.</div>
<div style="color: #333333; font-family: 'Lucida Grande', Verdana, Arial, sans-serif; font-size: 1.05em; line-height: 16px; text-align: justify;">
Quale nemico? Ognuno e’ nemico di ognuno,<br />spaccato ognuno dalla sua propria frontiera,<br />la mano destra nemica della sinistra.<br />In piedi, vecchi, nemici di voi stessi:<br />La nostra guerra non e’ mai finita.</div>
<div style="color: #333333; font-family: 'Lucida Grande', Verdana, Arial, sans-serif; font-size: 1.05em; line-height: 16px; text-align: justify;">
<em><br /></em></div>
<div style="color: #333333; font-family: 'Lucida Grande', Verdana, Arial, sans-serif; font-size: 1.05em; line-height: 16px; text-align: justify;">
<em>(23 luglio 1981)</em></div>
<div style="color: #333333; font-family: 'Lucida Grande', Verdana, Arial, sans-serif; font-size: 1.05em; line-height: 16px; text-align: justify;">
<span style="font-size: 1.05em;"><br /></span></div>
<div style="color: #333333; font-family: 'Lucida Grande', Verdana, Arial, sans-serif; font-size: 1.05em; line-height: 16px; text-align: justify;">
<span style="font-size: 1.05em;"><br /></span></div>
<div style="color: #333333; font-family: 'Lucida Grande', Verdana, Arial, sans-serif; font-size: 1.05em; line-height: 16px; text-align: justify;">
<span style="font-size: 1.05em;">[Da:</span><span style="font-size: 1.05em;"> </span><strong style="font-size: 1.05em;">Primo Levi</strong><span style="font-size: 1.05em;">,</span><span style="font-size: 1.05em;"> </span><em style="font-size: 1.05em;">Ad ora incerta</em><span style="font-size: 1.05em;">, 1984,</span></div>
<div style="color: #333333; font-family: 'Lucida Grande', Verdana, Arial, sans-serif; font-size: 1.05em; line-height: 16px; text-align: justify;">
<span style="font-size: 1.05em;"><br /></span></div>
<div style="color: #333333; font-family: 'Lucida Grande', Verdana, Arial, sans-serif; font-size: 1.05em; line-height: 16px; text-align: justify;">
<span style="font-size: 1.05em;">ora in</span><span style="font-size: 1.05em;"> </span><em style="font-size: 1.05em;">Opere</em><span style="font-size: 1.05em;">, Torino, Einaudi, 1997, vol. II, p. 525]</span></div>
<div>
<br /></div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-45647660512620406032013-03-22T09:48:00.004+01:002013-03-22T09:58:21.917+01:00<br />
<div align="CENTER" class="western" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; page-break-before: always; widows: 0;">
<br />
<br />
<br />
<span style="font-size: large;">oggi parlo di me e del mio lavoro,</span><br />
<span style="font-size: large;">è bello rileggersi e vedere come il testo si è levigato e ha assunto l'aspetto di un pezzo finito, che agli altri apparirà vero,</span><br />
<span style="font-size: large;">nel farsi della scrittura, nel lavoro della riscrittura continua.</span><br />
<span style="font-size: large;">a noi stessi, nel migliore dei casi, un pezzo onesto, solido, equilibrato.</span><br />
<span style="font-size: large;">qualcosa che rimane e dirà domani - questo sei tu.</span><br />
<span style="font-size: large;">scrivere serve per riconoscersi</span><br />
<br />
<br />
<br /></div>
<div align="CENTER" class="western" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; page-break-before: always; widows: 0;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-gVsZE7AN00w/UUwa4a2AzeI/AAAAAAAAAPg/EKq2ClSdqR4/s1600/Rothko---Red-on-Red-8067-86031.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="http://4.bp.blogspot.com/-gVsZE7AN00w/UUwa4a2AzeI/AAAAAAAAAPg/EKq2ClSdqR4/s640/Rothko---Red-on-Red-8067-86031.jpg" width="532" /></a></div>
<div align="CENTER" class="western" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; page-break-before: always; widows: 0;">
<br /></div>
<div align="CENTER" class="western" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; page-break-before: always; widows: 0;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: x-large; line-height: 200%;"><b>Scienza
della mitologia e mitopoiesi</b></span></div>
<div align="CENTER" class="western" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; page-break-before: always; widows: 0;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: x-large; line-height: 200%;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: x-large;">Dopo il 1969 l’attività intellettuale di Jesi diventa sempre più
intensa. Dopo aver abbandonato la città di Torino e il lavoro di
iconografo presso la Utet egli si trasferisce sul Lago d’Orta e poi
in diverse località di campagna tra Piemonte e Lombardia; il tempo
per la concentrazione, la radicalizzazione dell’impegno politico e
la volontà di mantenersi con il lavoro <i>free lance</i> lo portano
alla realizzazione di un numero elevato di saggi e di progetti
editoriali.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: x-large;">Matura
in questi anni la scrittura folgorante, capace di inanellare temi
diversi in pagine di grande nitore e momenti di densa argomentazione,
che ha portato la critica a vedere nell’autore un genio poligrafo
di non facile comprensione: originale, eclettico, affascinante, non
rubricabile, prismatico, vulcanico, irriverente, antiaccademico, in
anticipo sui tempi ed eccezionale in tutti gli aspetti della breve
esistenza.
Rapido nei passaggi
e ricorsivo nelle argomentazioni, predilige il momento analogico a
quello filologico, che pure non ignora, basandosi su interpretazioni
e connessioni capaci di suscitare nel lettore rimandi tematici e
testuali e mostrandosi più interessato alla rielaborazione personale
che non all’edificazione di una teoria. Uno degli aspetti più
interessanti del metodo jesiano e della sua pratica testuale, che
mostra la vicinanza con la coeva decostruzione teorizzata da Derrida,
consiste così «nel rovesciare il più esplicito orizzonte di senso
di un testo cercando al suo interno quei marcatori testuali che
permettono di “adoperare” la loro lettera fino al punto in cui
inizia a parlare ciò “che nel testo è taciuto”» (Ferrari,
2007, p. 124).</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: x-large;">Le
digressioni, che spostano il fuoco dall’asse principale per poi
ricomporre l’argomentazione con il palesarsi di inattesi legami,
sono una caratteristica della programmatica<span style="color: black;">
«tecnica di “composizione” critica di dati e dottrine, fatti
reagire tra di loro, il cui modello metodologico si trova nella
formula del conoscere per citazioni (che divengono schegge
interreagenti), di W. Benjamin» (Jesi, 1973, pp. 8-9)</span>.
Come si è detto, il critico berlinese è un riferimento importante
per la fusione di interessi culturali e politici, per la concezione
illuminista del lavoro intellettuale, per l’originalità della
scrittura e per una comune matrice ebraica, diasporica e laica, che
ha influito sul rapporto con la tradizione e sul concetto di
interpretazione. Rafforzato da questa affinità, il metodo
‘compositivo’ jesiano nasce dalla convergenza di spirito
iconoclasta e della situazione materiale di immersione totale nel
mondo della cultura. Jesi affrontava il lavoro intellettuale in modo
febbrile e con ritmi molto intensi, occupandosi di più argomenti
nello stesso periodo. Gli scritti mostrano<span style="color: black;">
continui rimandi interni, rivelando l’appartenenza a una stessa
fase di riflessione e la persistenza di idee e intuizioni; il ricco
archivio, custodito dalla famiglia, documenta l’esistenza di
differenti versioni dei testi, il riutilizzo di materiali per
destinazioni differenti e conserva scambi epistolari con molti
studiosi che spesso erano banco di prova per i lavori in corso.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: x-large;"><span style="color: black;">La
pratica di scrittura si sovrappone alla teoria della quale mostra i
segni, rispondendo alla spinta centripeta di uno sguardo capace di
collegare argomenti altrimenti destinati a non incontrarsi. </span>Il
«conoscere per composizione, consistente nel disporre sul telaio
della pagina un gruppo di frammenti in modo che dalla loro
interazione reciproca nasca il momento gnoseologico» è
«un’operazione esegetica grazie alla quale ciascun frammento è
strumento esegetico dell’altro; e ogni operazione esegetica è
un’operazione ideologica» (Jesi, 2001, p. 215). Ovvero parziale,
situata e arbitraria, consapevole del coinvolgimento del soggetto che
compie l’esperienza conoscitiva.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: x-large;">In
<i>Scienza del mito e
critica letteraria</i>
(1976, poi 2002) si leggono alcune delle pagine più belle di Jesi
che mostrano la rilevanza autobiografica dei suoi scritti.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: large;">Il
vero luogo di nascita del mio approccio al mito e alla mitologia è
una stanza, per la precisione la grande anticamera di una vecchia
casa. Una parete è occupata da armadi a vetri di libri, che sono
sempre chiusi a chiave. Sulla parete di fianco, in cornice nera, è
appesa la storia nelle sembianze del decreto di un re di Sardegna che
autorizzava con la sua firma la costruzione della casa, anno 17**.
Sulla terza parete, dirimpetto ai vetri delle librerie, c’è un
quadro, un <i>trompe-l’oeil</i>:
biglietti semiaperti, schizzi, piccoli oggetti, che sembrano
appoggiati su un’assicella con tutte le venature del legno. Sotto
il quadro, un tavolino con un cassetto. E forse, una volta, il
contenuto sarà stato quello del <i>trompe-l’oeil;</i>
ma adesso ci sono dentro ferri diversi, pinze, tenaglie, succhielli,
e un ferro speciale, o meglio le due parti staccate di un ferro, di
un arnese, di una macchina lucida dai mille usi che, a seconda delle
necessità, dovrebbe poter servire da pinza, cacciavite, levachiodi,
martello, piccola scure. Le due parti sono, appunto staccate; per
unirle, come i pezzi di un paio di forbici, ci vorrebbe una vite
centrale che s’è perduta. Così un pezzo è ad un’estremità
cacciavite, dall’altre scure, e per giocare può servire molto bene
da pistola: la testa a scure fa da calcio, il corpo sottile a
cacciavite fa da canna. L’altro pezzo può servire allo stesso
scopo, ma meno bene: la testa a martello è un perfetto calcio di
pistola, ma il corpo sottile è un po’ curvo e si biforca
all’estremità per strappare i chiodi. Nella quarta parete,
dirimpetto alla storia, c’è la porta: la porta d’entrata con il
campanello, sulle scale, sul fuori. – In quest’ambiente, che
lascia fuori dalla porta un presente, il quale però ad ogni momento
può suonare il campanello ed entrare; in questo ambiente in cui la
storia è appesa ai muri e i libri stanno dietro a pareti di vetri
chiusi a chiave; in questo ambiente, da bambino, ho incominciato a
conoscere il mito. Il mito mi si è poi presentato, dopo molti anni,
come quell’arnese dai mille usi, che siccome s’era persa la vite,
era ridotto in due parti: due parti ancora usufruibili, certo, per
chi volesse fare del <i>bricolage</i>,
ma soprattutto usufruibili al bambino come arma da gioco. Da allora è
passato molto tempo; questo mio “modello” del mito è anche il
risultato di una ricerca nell’ambito della scienza della mitologia,
durata circa vent’anni (Jesi, 2002 a, pp. 19-20).</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: x-large;"><span style="color: black;">Sulla
base del gesto che trasforma il limite in risorsa, la chiave
personale diventa la peculiarità di </span><span style="color: black;"><i>un</i></span><span style="color: black;">
possibile accesso al mito, oggetto misterioso come l’«arnese dei
mille usi» del ricordo d’infanzia. Riconoscendo come</span>
il ‘mito’ sia difficilmente definibile, Jesi sancisce
l’impossibilità di conoscerne l’essenza nel deliberato intento
di non ricondurlo a una realtà originaria. Attorno al bisogno di
circoscrivere la questione si articola il <span style="color: black;">momento
di intensa riflessione teorica, antropologica e politica</span>
<span style="color: black;">durante
</span>il quale viene
messo a fuoco il paradigma della «macchina mitologica», <span style="color: black;">coincidente
con</span> la «funzione
mitopoietica, [...] la più importante delle modalità costitutive di
ciò che fonda, contemporaneamente, il politico e il potere, che è
il carattere costitutivamente relazionale della soggettività»
(Franchi, 2005, p. 161). L’edificio teorico che gli ruota intorno
si articola in alcuni punti essenziali, che conviene anticipare.
Poiché il mito in quanto tale è inconoscibile, tentarne un’indagine
vuol dire: a) studiare le modalità di costruzione del sapere
mitologico nelle sue forme storiche anche recenti; b) prendere in
esame la storia della storiografia relativa alla scienza del mito,
l’unica scienza della mitologia possibile; c) postulare una
struttura complessa di significazione, la «macchina mitologica»,
che produce ‘miti’ in ambiti quali il sacro, l’agire politico,
la scienza del mito, la letteratura; essa risulta di natura
linguistica e strettamente legata ai processi di ricezione e
interpretazione caratterizzanti la conoscenza in generale.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: x-large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif; font-size: x-large;">E. Manera, <i>Furio Jesi, Mito, violenza, memoria</i>, Roma, 2012, pp. 63-65</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="line-height: 200%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; widows: 0;">
<br /></div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-30674699084498788222013-03-02T16:45:00.000+01:002018-02-17T19:56:56.298+01:00post elezioni. Ancora questione di mito.<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-DB8PLkleBpM/UTJvH0Wr5SI/AAAAAAAAAPU/QyVK2xC_WtM/s1600/Immagine+2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="https://4.bp.blogspot.com/-DB8PLkleBpM/UTJvH0Wr5SI/AAAAAAAAAPU/QyVK2xC_WtM/s640/Immagine+2.jpg" width="480" /></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif;"><br /></span>
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: large;">spesso gli studiosi tendono a essere ombelicali, credono che ciò che studiano sia IL problema principale da cui tutto dipende. Eppure. I recenti risultati elettorali che sono stati da più parti commentati testimoniano che l'approccio dei cittadini/elettori al voto è tutt'altro che razionale.</span><br />
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: large;">In altri termini: bisogna studiare il mito, che è sempre politico, in funzione critica, per disinnescarne l'effetto incantatorio.</span><br />
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: large;">Su Doppiozero GG Ricuperati (<a href="http://www.doppiozero.com/materiali/david-bowie/elezioni-fare-caos-ovvero-accendere-la-luce">http://www.doppiozero.com/materiali/david-bowie/elezioni-fare-caos-ovvero-accendere-la-luce</a>) sostiene che il berlusconismo/leghismo (incomprensibile e incondivisibile) e il grillismo (comprensibile ma incondivisibile) sono accomunati da «<span style="background-color: white; line-height: 21px;">una visione cieca e manichea della realtà»; il M5S in particolare avrebbe un'«</span><span style="background-color: white; line-height: 21px;">aura seduttiva», «particolare tipo di piede di porco che ha scatenato energie formidabili nella fragile democrazia italiana».</span></span><br />
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: large;"><span style="background-color: white; line-height: 21px;">Si pensa in termini </span><span style="line-height: 21px;">palingenetici ma è un «</span><span style="background-color: white; line-height: 21px;">manipolo di istintivi di massa».</span></span><br />
<span style="background-color: white; font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: large; line-height: 21px;">Ecco questo è quello che io chiamo 'mito politico', che va combattuto con gli strumenti della ragione; ma poiché senza miti non si vive, bisogna che la mitologia politica sia sostituita da una narrazione dell'immaginario sociale in grado di parlare e unire.</span><br />
<span style="background-color: white; font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: large; line-height: 21px;">Come non so,non così come è stato fatto ora, di certo.</span><br />
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: large;"><span style="background-color: white; line-height: 21px;">Molto bello il film di Roberto Andò, Viva la libertà, con un consueto magistrale Servillo. </span><span style="background-color: white; line-height: 21px;">Che parla di questo.</span></span><br />
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: large;"><span style="background-color: white; line-height: 21px;"><br /></span>
<span style="line-height: 21px;">Di seguito un Malera, entry level sul tema, recentemente a grande richiesta a Palazzo Nuovo per un intervento.</span></span><br />
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: large;"><span style="line-height: 21px;"><br /></span></span>
<span style="font-family: "verdana" , sans-serif; font-size: large;"><span style="line-height: 21px;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://2.bp.blogspot.com/-iqRBOJL_1w0/UTImDT5d6hI/AAAAAAAAAO0/ageSMNAS5gw/s1600/burri.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="https://2.bp.blogspot.com/-iqRBOJL_1w0/UTImDT5d6hI/AAAAAAAAAO0/ageSMNAS5gw/s640/burri.jpg" width="544" /></a></div>
<br />
<br />
<br />
(non questo, che è un Burri, quello sotto)<br />
<br />
<br />
<br />
<b><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Funzioni pratiche del mito nel Novecento.</span></b><br />
<b><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Tecnicizzazione del discorso mitico e macchine identitarie</span></b><br />
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><b>0</b><i><b>.
</b></i><b>termini</b></span></div>
<div class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Mito e mitologia, sono parole familiari, ma in
realtà vaghe e polisemiche. La prima cosa che ci viene in mente è
il grande patrimonio della tradizione epica dell’antichità, greca
in particolar modo: quella che riguarda le «opere di uomini e dèi
degne di ricordo» <span lang="en-US">(Odissea I, 338). Una
definizione di ‘mito’, che si trova in Esiodo, Platone e Plutarco
è quella di «racconto che riguarda </span>dèi, demoni, eroi, cose
dell’Ade» (<i>Repubblica</i>, 392 a, 3-8).</span></div>
<div class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Alla domanda che tutti i mitologi evitano come il
fuoco - «Che cos’è il mito?» - si può rispondere con le parole
di un importante studioso contemporaneo:</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">«esso
si presenta sotto forma di racconto venuto dalla notte dei tempi e
che esisteva già prima che un qualsiasi narratore iniziasse a
raccontarlo. In questo senso il racconto mitico non dipende
dall’invenzione personale né dalla fantasia creatrice, ma dalla
trasmissione e dalla memoria» (Vernant 1999).</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Tale
definizione mette in luce la provenienza remota, pre-istorica di un
patrimonio culturale che si è conservato per via orale e trasformato
nei millenni ed è venuto a costituire una memoria culturale, cioè
una <i>summa</i>
di conoscenze e pratiche omogenee e note a tutti, articolate in
varianti e versioni multiple, mai definitive e anzi spesso
contraddittorie, che si definiscono per contrasto con il racconto
storico (di cui non hanno l’esattezza) e che mantengono un ambiguo
rapporto con dimensione letteraria (perché non c’è una dimensione
autorale).</span></div>
<div class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Occorre non dimenticare che, se tutti questi
racconti ci sono noti, è perché sono stati scritti, ovvero
snaturati nel loro essere flusso continuo e mutevole e fissati in
modo arbitrario dalla scrittura, congelati nella consegna alla
tradizione dalla filologia ellenistica che aveva bisogno di
canonizzarli e unificarli in una biblioteca.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Nei
racconti mitologici lo storico ricerca in una mitologia lo <i>sfondo
intellettuale</i> di cui la
narrazione è testimonianza: in essi sono depositate tracce di quella
che Georges Dumézil chiama «ideologia», intesa come una concezione
delle grandi forze dominano il mondo, gli uomini, la società e li
rendono «ciò che essi sono». In questo senso ‘ideologia’
significa concezione del mondo, della storia, della vita, che non
sono valutabili in termini di vero o falso, ma esprimono interessi,
bisogni, aspirazioni dei diversi gruppi sociali.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">La
mitologia, come patrimonio di narrazioni mitiche, appare così come
l’articolazione narrativa di una forma di pensiero, declinato nella
storia, nella quale si incontrano forme sociali arcaiche, politiche,
giuridiche, religiose e rituali come riflesso dell’immagine del
mondo di chi le ha espresse. Una sorta di pensiero sociale di
carattere obbligatorio, che agisce a livello inconscio: «una maglia
di tela di ragno» (Mauss, 1923), che innerva di significato la vita
di una comunità.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Noi non
incontriamo mai il ‘mito’ al singolare: ma piuttosto alcune
concrete manifestazioni della mitologia, miti al plurale, o meglio
«materiali mitologici» (racconti, figurazioni, simboli, resti di
culto, citazioni letterarie ma anche teorie che li spiegano).</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Il
singolare ‘mito’ è piuttosto usato dagli studiosi per indicare
la funzione che può assumere: il mito come fattore culturale
efficace e unificante, sul terreno dell’immaginario collettivo
«serve, non solo a vedere, leggere e interpretare, ma anche a
ordinare e perfino a costruire la realtà» (Di Donato, <i>Un
mondo mitico</i>, p. 81).</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><i>Una
mitologia nel mondo antico è costituita da racconti e immagini,
espressioni di una visione del mondo che si riverbera in riti e
pratiche quotidiane. L’immaginario collettivo di un gruppo umano
costituisce il nucleo simbolico fondamentale che innerva di
significato la totalità della vita delle comunità che in essa si
riconosce.</i></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">1.
<b>funzioni</b></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">L’incontro
di oggi vuole mettere in luce la funzione sociale del mito, partendo
dal presupposto che prima di chiedersi ‘cosa’ il mito ‘è’,
bisogna chiedersi ‘a cosa serve’: in quanto modalità di
conoscenza veicolata dal linguaggio e dalla scrittura, forma di
razionalità pre-scientifica e pre-filosofica, assolve funzioni
teoretiche di orientamento generale, nello spazio e nel tempo. Il
patrimonio di racconti mitologici, storia sacra, già per gli antichi
aveva un valore di fondazione, permetteva di spiegare in modo
elementare la genesi del mondo (ad esempio in Esiodo il fatto che le
cose derivino dal Chaos e da lì arrivino fino all’epoca degli
uomini in una vicenda di ordine progressivo e orientato); servivano a
riconoscere antenati comuni che fossero eroi fondatori di una casata
o di una famiglia reale (es Teseo per Atene, Cadmo per Tebe); ogni
realtà locale aveva suoi ‘patroni’ e storie capaci di collocare
il luogo e la comunità in un <i>epos</i>
più complesso, divino e umano al tempo stesso.</span></div>
<div class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Soprattutto la memoria mitologica permetteva ai
Greci di sentirsi tali: i cicli omerici, mediante la grande
narrazione di una guerra degli Achei, costruirono l’unificazione
culturale e religiosa oltre la dimensione politico-amministrativa
delle città stato. La loro forma di memoria culturale fu
scritturale, e funzionò per unire tutti i popoli che si sentivano
greci, parlanti la stessa lingua e devoti alle stesse figure divine.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">La
rete della mitologia, riflesso della vita religiosa, permetteva a
ogni individuo<i> di costruire
la propria ‘identità’</i>:
ovvero di riconoscersi consapevolmente in un cosmo, in un popolo, in
una comunità, in una famiglia, mediante il riferimento a un sapere
condiviso, a una storia comune, e al patronato che diverse divinità
gli offrivano a seconda del suo mestiere, del suo ruolo sociale,
della sua età e del suo genere.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Le
funzioni che il mito svolge sono simultaneamente teoretiche
(riguardano il <i>cosa</i>
del sapere), pratiche (riguardano <i>come</i>
<i>agire</i>)
e coesive (riguardano il <i>noi</i>),
sviluppano cioè il legame sociale, senza cui l’individuo non può
essere ciò che è.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Roger
Caillois, sviluppando gli insegnamenti del suo maestro Marcel Mauss,
sociologo e antropologo, propone una interessante etimologia della
parola ‘religione’. Il termine deriva da <i>religere</i>,
‘tenere insieme, collegare’: anticamente <i>religiones
tramenta erant</i> (Festo),
letteralmente «le religioni erano dei nodi di paglia», ovvero con
quel termine si indicavano i nodi di paglia che tenevano le travi dei
ponti. Dai tempi di Numa Pompilio il sacerdote più importante di
tutti era il <i>pontifex</i>,
il pontefice, letteralmente colui che supervisionava la costruzione
dei ponti, una violazione dell’ordine di natura immane (unire ciò
che è separato), un sacrilegio che richiedeva quindi la celebrazione
di rituali esorcistici adeguati per placare gli dei e rimettere ‘le
cose al loro posto’.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Così
il pontefice è colui che veglia sull’<i>ordo
rerum</i>, sull’ordine delle
cose, la disposizione dell’ordine dell’universo, mediante il
controllo sulle pratiche rituali, dai sacerdoti alle preghiere, dalle
feste agli oggetti liturgici. Perchè per gli antichi il sacro non è
separabile dal profano, è ciò che tiene insieme tutti i pezzi
altrimenti dispersi e frammentati del mondo naturale e sociale. Da
questa importante funzione deriva il fatto che il mito continui
ancora oggi a presentarsi come la voce del sacro. Qualcosa del mito,
nuovi modi di pensarlo e nuovi significati continuano a funzionare
nel legare insieme le persone intorno qualcosa, simile ai nodi che
tengono le travi.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><i>Un
patrimonio mitologico, teologico prima e narrativo poi, assolve
funzioni fondamentali per gli individui e le comunità, ripondendo a
bisogni di conoscenza e di azione, di coesione sociale e di
legittimazione dell’ordine e del potere che lo rappresenta.</i></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><b>2.
mito, voce del verbo ‘naturalizzare’</b></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">La
condivisione di una mitologia ha una importante funzione nella
fondazione di un legame sociale e nella legittimazione del potere: in
virtù del suo <span lang="en-US">potenziale
emotivo e della sua capacità comunicativa può fornire risposte alle
domande generali sulla realtà e plasmare, in modo inavvertito, le
coordinate elementari di senso del mondo in cui si vive. </span>Fin
dall’antichità il <i>mythos</i>
è qualcosa che si presenta con l’autorevolezza della verità,
realizza e consolida delle autoevidenze altrimenti arbitrarie
facendole apparire ‘naturali’: esso significa «parola, discorso»
ma anche «progetto, macchinazione, rivolta», è parola concreta,
efficace che evoca il tempo trascorso ed ha l’autorevolezza di un
passato consacrato (Jesi, 1973).</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Come
mostrano le teoria antropologiche, ogni cultura opera in modo da
occultare quanto di arbitrario c’è nel nostro modo di vivere,
presentandolo come il modo naturale di vivere, l’unico possibile.
Non ci dice che tra tutti i possibili modi di vivere noi ne abbiamo
uno qualunque: lo stato elementare di una cultura naturalizza e rende
ovvi norme, valori, istituzioni, interpretazioni del mondo e della
vita: le rende invisibili, trasformanandole in ordine intrinseco e
senza alternative.</span></div>
<div class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Così opera la cultura, tanto quella antica quanto
quella moderna, in base a una doppia finzione: prima ‘finge’,
modella, gli uomini in un certo modo, poi finge che quella non sia
una costruzione culturale, ma sia vero. (Remotti, <i>Prima lezione di
antropologia</i>, pp. 135-136).</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Per
fare questo il mito diventa progressivamente nella storia la voce del
sacro, qualcosa di indispensabile alle religioni organizzate man mano
che aumenta la complessità politica delle comunità di riferimento:
il monoteismo sembra comportare in questo senso un salto di qualità
nella legittimazione del potere tramite il riferimento al sacro
quando nasce lo ‘stato’. Le religioni dell’antico Egitto e del
mondo semitico vicino orientale sembrano aver elaborato forme di
teologizzazione dell’ordine sociale (Assmann), mediante
l’istituzione di un asso verticale tra terra e cielo: il faraone,
figlio e sacerdote del sole, è il garante dell’ordine universale e
della giustizia (<i>Maat</i>).
Duplicare in cielo l’ordine terrestre significa oggettivarlo,
riprodurlo mediante una riflessione mimetica, garantire la tenuta di
un ordine politico immanente. <span lang="en-US">Una
‘religione politica’ è nella storia delle idee politiche quel
tipo di religione costituito da una proiezione delle strutture di una
comunità politica nella realtà divina: ogni comunità politica è
sempre incorporata nel contesto dell’esperienza del mondo e di Dio
da parte degli uomini. (Vögelin).</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><span lang="en-US">Semplificando,
si possono portare differenti esempi che avallano questo schema
elementare di connessione tra etnogenesi e politica tanto nel
politeismo (</span>Numa Pompilio
a Roma, gli Oracoli di Delfi e Dodona nell’Ellade<span lang="en-US">),
quanto nel monoteismo (Akenaton in Egitto, </span>Jahwe
in Israele, il cristianesimo per Costantino, la diffusione dell’Islam
nella penisola arabica<span lang="en-US">).</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><i>Il
mito è un dispositivo sociale che produce cultura, ovvero struttura
connettiva che garantisce identità: per fare questo si presenta come
discorso di verità efficace, perché si mostra come ‘vero’ da
sempre, ponendosi come origine e fondazione si sottrae a ogni domanda
su di sé e occulta la sua artificialità, arbitrarietà e
infondatezza.</i></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">3.
<b>mitodinamica e macchina
mitologica</b></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Ogni
cultura, indipendentemente dai contenuti delle proprie narrazioni
mitologiche, si costruisce sul mito, racconto di storia sacra
variamente inteso: esso ha un potere performativo molto elevato,
genera significato e significatività, produce ‘senso’. Così
ogni società, antica o moderna,<span lang="en-US">
comporta una qualche forma di mitologia: </span>il
‘mito’, o meglio la <i>circolazione
di materiali mitologici</i>
svolge una funzione fondamentale nella tessitura e nel funzionamento
della struttura connettiva di una società.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Nell’ambito
della teoria della cultura Jan Assmann (n 1938), studioso
contemporaneo di mondo antico, ha elaborato in modo particolarmente
chiaro il concetto di <i>mitodinamica
</i>(Mythomotorik): il mito è un
ricordo del passato che produce immagine di sé e speranza per
obiettivi dell’agire, ha un riferimento narrativo al passato che
lascia cadere luce sul presente e sul futuro.</span></div>
<div class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Esso ha:</span></div>
<div class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">- <i>funzione fondante</i>, pone il presente sotto
la luce di una storia che lo fa apparire dotato di senso, necessario
e immutabile. (Es: il mito di Osiri in Egitto, l’Esodo per l’antico
Israele, il ciclo troiano per Roma; il Golgota per il Cristianesimo
originario).</span></div>
<div class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">- <i>funzione controfattuale</i>, a partire da
carenze del presente evoca un passato eroico, che rende palese la
frattura tra ‘un tempo’ e ‘adesso’: il presente è
relativizzato rispetto a un passato migliore. In epoca di oppressione
e impoverimento si possono sviluppare forme di messianismo e
millenarismo. (Es: il ciclo omerico viene canonizzato con la
decadenza di un sistema cavalleresco che si trasforma nella <i>polis</i>,
celebra un tempo eroico precedente a quello della comunità
democratica e dei sui rischi; la Repubblica romana nell’età
imperiale, come regno della <i>virtus</i> e dei <i>boni mores</i>; il
libro di Daniele per i Maccabei, immagine della purezza religiosa
come resistenza a motivazione religiosa contro i tentativi
ellenistici di assorbire il giudaismo).</span></div>
<div class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">La definizione del mito diviene così pertinente
al suo significato e alla sua funzione in un determinato contesto di
ricezione e di uso politico, ovvero quella di formare l’immagine di
sé e guidare l’agire nel presente: la mitodinamica è la forza
orientatrice per un gruppo a partire dai suoi bisogni, in particolare
le emergenze che richiedono un ‘di-più’ di significato. «Il
mito non ‘è’ qualcosa. Qualsiasi cosa può diventare un mito».
(La memoria culturale, p. 51-52).</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Più
che di miti si parlerà allora di una ‘macchina’ che genera i
significati condivisi sotto forma di «materiali mitologici», i
quali operano nella stabilizzazione delle identità individuali e
collettive, ovvero le appartenenze consapevoli a un gruppo o a una
società.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Nella
teoria di Furio Jesi (1941-1980) la «macchina mitologica» è il
dispositivo risultante dall’incrocio di relazioni di sapere e di
potere, che fabbrica mitologie, produce forme di conoscenza come se
fossero verità indiscutibili: essa è articolata in funzioni (il
ruolo svolto nel processo di elaborazione e ricezione), mediatori (i
soggetti attivi in tale processo) e depositi (i luoghi e il
‘patrimonio’ di idee e immagini veicolate).</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">I
«materiali mitologici» sono i prodotti delle macchina in forma di
racconti, opera letteraria, documenti, monumenti e qualsiasi forma di
testo o traccia riconducibile all’operare della macchina. Di per sé
neutri, essi sono resi mitologici dalla circolazione linguistica.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Assistiamo
così a uno spostamento dell’asse, nella definizione del ‘mito’
dal contenuto dei racconti, il ‘cosa’, alla modalità del
raccontare, il suo ‘come’. Il verbo <i>mythologheuein</i>
(= mitologizzare, in Detienne, p. 107) era già presente nell’Odissea
con il significato di «raccontare di nuovo»: questo dettaglio
suggerisce il carattere ripetitivo del luogo comune, del <i>cliché</i>,
come pratica mnemotecnica. La ripetibilità è un requisito
fondamentale di ogni immagine mitica e simbolica (Bachofen, 1859 e
Blumenberg, 1979): stabile e immobile appare sovratemporale e come
tale in grado di essere riattivata in ogni circostanza, producendo a
seconda dei casi la rinascita periodica che si verifica nel rito e
quell’effetto di rassicurante stabilità e di naturalizzazione del
mondo.
</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Perciò
‘mitologie’ sono le storie raccontate da sempre e riprese di
continuo: «le raccontavano una volta e le racconteranno ancora»
(Platone, <i>Politico,</i>
268 e 4-10). Vecchi e bambini adorano ripetere e sentire ripetere le
storie: se i primi hanno bisogno di stabilizzare la memoria di una
vita che se ne sta andando, i secondi hanno bisogno di fermare e
rendere coerenti una massa multiforme di sensazione, pensieri e
immagini che diventeranno la realtà che condividiamo. Con la stessa
dinamica, dai tempi più antichi e <i>mutatis
mutandis</i> fino all’età
contemporanea, a forza di sentire ripetere qualcosa gli esseri umani
adulti finiscono per considerarla ovvia, come un pezzo di natura.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><i>La
mitologia è frutto di una macchina identitaria che non funziona da
sola, ma come strumento di comunicazione efficace al servizio delle
idee. Tutte le narrazioni e i saperi pubblici hanno sempre un
contenuto ideologico e vivono nella ricezione, sempre storicamente
situata. La loro presunta autonomia è sempre relativa e negoziata: i
miti non sono mai non-pensati.</i></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">4.
<b>mito tecnicizzato: la
modernità e le masse</b></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">All’origine
della riflessione sul mito come modalità di conoscenza vi sono le
riflessioni portate dall’uso del mito fin dal primo Novecento.
L’età contemporanea ha conosciuto il volto oscuro del «mito
tecnicizzato», quell’elaborazione strumentale di immagini che<span lang="en-US">
punta al conseguimento di determinati obiettivi servendosi del mito
come strumento di incantamento.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Il
padre nobile di tali studi può essere considerato Karoly Kerényi
(1896-1973) che ha proposto la distinzione tra «mito genuino» e
«mito tecnicizzato»: il primo è forza che «afferra e plasma» la
coscienza dell’uomo arcaico, forma spontanea e disinteressata della
psiche, sorta di griglia trascendentale e di facoltà immaginativa
costituente dentro la quale si compongono gli elementi della realtà
di un gruppo sociale. Esso riguarda l’antico, è perso per sempre e
non ci è dato conoscerlo.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Viceversa
il «mito tecnicizzato» utilizza <i>e
strumentalizza</i> un processo
mitodinamico per ottenere degli effetti concreti di azione o
mobilitazione politica, quando nell’età contemporanea, a partire
dalle riflessioni sulla società di massa, si pone il problema di
riconsolidare forme di dominio e di comunicazione.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Il
<i>Doctor Faustus</i>
di Thomas Mann elabora esplicitamente la questione, così come era
posta nelle <i>Riflessioni sulla
violenza</i> di Georges Sorel
1906: «nel secolo delle masse la discussione parlamentare doveva
risultare assolutamente inadatta a formare una volontà politica (…),
bisognava sostituirvi un vangelo di finzioni mitiche destinate a
scatenare e a mettere in azione le energie politiche come primitivi
gridi di battaglia. La rude ed eccitante profezia del libro era in
sostanza: che i miti popolari, o meglio fabbricati per le masse
sarebbero diventati il veicolo dei moti politici: fiabe, fantasie e
invenzioni che non occorreva contenessero verità razionali o
scientifiche per fecondare, per determinare la vita e la storia, e
dimostrarsi in tal modo realtà dinamiche».</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Il
libro di Sorel ebbe un’enorme diffusione e effetti notevoli.<span lang="en-US">
Il fascismo europeo del Novecento ha fatto largo uso del mito in
Germania con la razza ariana, il germanesimo, la lotta e la potenza,
il sangue e il suolo. Ma se estendiamo il ragionamento alle modalità
di propagazione e all’uso sistematico della persuasione anche in
Italia possiamo parlare di mitologia, con la romanità o con la
giovinezza, la prolificità e l’impero, o più banalmente con il
mussolinismo. Analoghi ragionamenti possono essere fatti per
esperienze simili di cui i fascismi europei sono stati veri e propri
laboratori.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">George
L. Mosse ha chiamato «nazionalizzazione delle masse» (1974) questo
processo di direzione dell’agire collettivo delle masse, il nuovo
soggetto emergente tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del
Novecento, sulla base dell’ideologia come «arte di dirigerne
l’immaginazione», per creare una comunità di fede e di sentire.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Furio
Jesi in <i>Cultura di destra</i><span lang="en-US">
(1979) </span>identifica nelle
«idee senza parole» (espressione di Spengler, l’autore de <i>Il
tramonto dell’Occidente</i>) il
fulcro di un sistema di tecnicizzazione del mito, ovvero di quella
strumentalizzazione politica del linguaggio volta a costruire un
apparato rituale per coinvolgere gli individui nella comunità
vivente della nazione all’interno di un progetto totalitario.
</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><span lang="en-US">Tale
abuso del sistema di ‘produzione della verità’ serve realizzare
l'omogeneizzazione culturale di un gruppo attorno alla dicotomia
‘amico/nemico’, ‘noi/loro’, con la santificazione di un
modello di dover-essere a cui tendere e la demonizzazione dell'</span><span lang="en-US"><i>altro</i></span><span lang="en-US">,
il diverso, il nemico interno, sul quale vengono proiettati tutti gli
aspetti negativi: così l’uniformazione della cultura, l’uso dei
sistemi di comunicazione di massa e l’inquadramento della
popolazione mediante gruppi omogenei di età e ruoli possono servire
i progetti di edificazione dell’ ‘uomo nuovo’.</span></span></div>
<div lang="en-US">
<span style="color: black; font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">La tecnicizzazione fascista
mostra in maniera macroscopica ed evidente come i contenuti della
propaganda fossero una mitologia, artificiale e fraudolenta, capace
di surrogare la violenza nelle fasi di consolidamento del regime con
la mobilitazione della cosiddetta ‘zona grigia’: in una
costruzione ideologica ciò che è importante non è il suo grado di
verità, ma il suo livello di integrazione e omogeneità, in altri
termini la sua efficacia performativa, che deriva la sua forza
dall’immediatezza del simbolo e dalla sua capacità di semplificare
la realtà. Oltre alla violenza della repressione esiste la capacità
di creare consenso attraverso la persuasione, grazie all’ideologia
come forza motrice dei sistemi totalitari. Il culto del leader nella
stabilizzazione del potere dei regimi totalitari avviene con il salto
di qualità dovuta alle nuove tecnologie di massa e all’uso sempre
più spregiudicato della dimensione fabulatoria, pensata per un
«popolo bambino» (Gibelli) che, fin dai soggetti in più tenera
età, aveva ‘bisogno’ di rude paternalismo, sapiente menzogna e
continua blandizia.</span></div>
<div lang="en-US">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><i>Tecnicizzare
il mito significa intensificare consapevolmente un processo
mitodinamico, partendo da una posizione di potere, per ottenere degli
effetti concreti di azione o mobilitazione politica </i><span lang="en-US"><i>servendosi
del dispositivo della comunicazione, modulandone ritmo e intensità,
contando sulla reiterazione dei cliché e sulla capacità di
costruire luoghi comuni e parole d’ordine in forza della sola
frequenza e pervasività, come avviene nella gestione totalitaria dei
mezzi di comunicazione di massa.</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">5.
<b>tarda modernità: economia e
politica</b></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Ci
allontaniamo sempre di più dall’antichità per una breve e
impressionistica panoramica delle direzioni che lo studio della
mitologia ha preso nel Novecento. A partire dalla necessità di
demistificare l’ideologia, dalla riflessione sulla <span style="color: black;">fotografia,
sull’immagine, sull’illusione di verità e sulle strategie di
persuasione,</span> Roland
Barthes (1915-1980) ha inaugurato una fortunata stagione di studi
sulla mitologia come <span style="color: black;">modo
di espressione e come processo continuo di semiotizzazione: con
</span><span style="color: black;"><i>Mythologies</i></span><span style="color: black;">
(1957) </span>ha mostrato che
ogni cosa può diventare un ‘mito’, arrivando a individuare nuove
forme di mitologia in territori completamente desacralizzati.</span></div>
<div class="western" lang="en-US">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Si può parlare di mitologia
all’interno delle moderne democrazie, con la pianificazione di
campagne ideologiche e pubblicitarie. Gli Stati Uniti fin dagli inizi
del XX secolo sono stati i pionieri del modello economico capitalista
e di sviluppo fordista, e quindi dell’industria culturale, che ha
dato luogo a nuovi modelli culturali.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Come
non vedere almeno un pallido riflesso della funzione di creazione
delle identità in tutte quelle forme di narrazione di consumo o di
genere di cui gli esseri umani sembrano non stancarsi mai? Dai
fumetti alla letteratura di genere, dai <i>colossal</i>
cinematografici fino alle <i>fiction</i>
televisive, il nostro mondo, i nostri pensieri e la nostra cultura
sarebbero impensabili senza questa nuova dimensione mitologica.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">I mass
media sono da tempo riconosciuti come potenti fattori di
socializzazione: producono informazione e modelli di pensiero,
veicolano rappresentazioni collettive, omologano stili di pensiero e
di vita, naturalizzano la realtà e come si è visto, possono
renderla funzionale al potere. Qualsiasi critica dei mass media non
può essere separata da considerazioni sul mercato, sulle logiche
dell’induzione al consumo, che a partire dalla pubblicità sono
inseparabili dall’industria culturale. In tutto il mondo
‘occidentale’ dal secondo dopoguerra in poi la propaganda, un
tempo definita persuasione occulta, ha accompagnato la storia del
costume e dell’immaginario, dando vita a quella situazione in cui
dimensione politica e di consumo appaiono sempre più inseparabili.
La macchina mitologica contemporanea da tempo è quella del potere
dell’immaginazione pubblicitaria: le mitologie del quotidiano vanno
ricercate ad esempio nell’estetizzazione e nell’ossessione
stilistica che accompagna i nostri consumi. Automobili, abiti, creme
di cioccolato, zainetti, prodotti per l’hi fi e dispositivi
tecnologici, ma perfino cibi biologici e libri, sono merci corredate
da un sovrappiù di significato che celebra e rende onore al dio del
mercato, il vero trionfatore dell’epoca della globalizzazione.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">La
critica di origine marxista e di impronta francofortese si è spinta
ancora oltre, e le stesse categorie possono tornare a essere utili
per una riflessione sulla politica contemporanea e sulla crisi di
legittimazione della democrazie parlamentari.</span></div>
<div class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Diversi osservatori contemporanei sostengono che
la stessa nozione di ‘cultura’ è usata in modo mitologico: il
recente dibattito sul relativismo culturale e sul cosiddetto ‘scontro
di civiltà’ teorizzato da Huntington sembrano confermarlo. Le
differenze tra gruppi umani vengono esasperate fino a far sparire gli
individui per servire politiche economiche e strategie globali
(quelle dell’amministrazione repubblicana degli Usa) che
necessitano di accettazione pubblica, dimenticando però che le
culture non sono sostanze che sovradeterminano gli individui, ma sono
descrizione idealtipiche “buone per pensare” continuamente
mutevoli e rinegoziate (Aime).</span></div>
<div class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Nella stessa direzione va il potente ritorno alla
legittimazione localistica e alle comunità inventate: è ormai
diventato un <i>case study</i> significativo l’uso retorico che la
Lega Nord fa della cosiddetta Padania, una vera e propria «invenzione
della tradizione» pensata per servire gli interessi regionalistici
ed economici di alcune fasce di comunità regionali. Ma non è che un
esempio di una costellazione di fenomeni in cui l’identità
culturale, con annesse mitologie, viene brandita come una clava per
servire interessi politici. L’integralismo islamico si serve
sostanzialmente delle stesse logiche, additando la purezza di un
Islam ideale e immaginario, che nella storia non si è mai dato, ma
il cui potenziale di riscatto si dimostra nella forza di propagazione
in aree geografiche che versano in situazione di grave crisi
politica, culturale ed economica.</span></div>
<div class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Con l’età della globalizzazione i movimenti di
spossessamento dell’identità (integrazione transnazionale
politica, economica, culturale) sembrano provocare per reazione una
chiusura di segno uguale e contrario che spinge a una torsione sulle
pratiche identitarie, intese come miti unificanti e riti di legame
per servire dinamiche politiche bisognose di legittimazione.</span></div>
<div class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><i>Studiare le teorie contemporanee del mito può
fornire spunti di analisi dei meccanismi di definizione delle
appartenenze e delle pratiche condivise nelle società globalizzate e
aiutare a svelare le tecniche di retorica della manipolazione
veicolate dai </i>mass media.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">6<i>.
</i><b>Mitologia della ragione</b></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Un
altro aspetto del dibattito filosofico recente viene dalla Germania
negli anni settanta ed è noto come <i>Mythos
Debatte:</i> riguarda la
possibilità di ‘salvare il mito’, a partire dal suo potenziale
umanistico, emancipativo e rischiaratore, non necessariamente
compromesso con l’irrazionalismo ma anzi portatore di una forma
propria di razionalità.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Platone
era stato il primo a voler usare miti educativi e funzionali allo
stato ideale (<i>Repubblica</i>,
<i>Leggi</i>)
contro la degenerazione della talassocrazia ateniese, così come il
movimento dei pre-romantici di Tubinga e Jena sognava una nuova
«mitologia al servizio delle idee» (<i>Das
älteste System-programm des deutschen Idealismus</i>)
in grado di risanare la frattura tra Stato e Società tipica del
moderno.<i> </i>Fin
dall’antichità è noto il valore del mito e la sua capacità
umanistica di «guarigione» dalle crisi di senso che il nichilismo,
il «più sgradevole degli ospiti», sembra portare con sé.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Nei due
esempi citati vi sono sullo sfondo due differenti crisi
etico-politiche, l’Atene del IV secolo o l’Europa
post-rivoluzione francese: in entrambi i casi vecchie fedi subiscono
erosioni e perdono legittimità sotto gli effetti di nuove dinamiche
economiche e nuove prospettive culturali, così le antiche memorie
vengono riattivate e rinnovate da filosofi che vogliono usare il mito
come ‘utopia della ragione’. Ma è stato osservato che in
entrambi i casi vi sia il rischio di fornire idee alla
tecnicizzazione del mito: Platone è stato accusato di essere il
padre dei totalitarismi e il romanticismo tedesco la culla del
nazismo. Al di là della radicalità o della effettiva validità di
certe ipotesi storiografiche, la conquista del potere è
effettivamente in grado di sfigurare e rendere mostruose anche la più
sincera della intenzioni, e ciò che sembra buone per gli
intellettuali nella prassi politica si trasforma in un precipitato
differente, sfigurato e semplificato.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Sembra
così, secondo autori come Blumenberg, Frank, Marquard, che l’unico
modo di far valere la mitologia nel novecento sia nella letteratura e
nelle varie forme di narrazione.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Che
la letteratura sorga da forme di secolarizzazione di contenuti
mitologici è noto ed accettato: dai tempi di Apuleio e del romanzo
ellenistico, fino alla modernità occidentale e al romanzo borghese,
la narrazione dell’interiorità, quella dell’autore che si
rivolge alla riflessione sull’interiorità percorre questa strada.
La creazione diviene sempre più la ricezione articolata e poietica
di un flusso continuo di topoi, figure e tematiche in continua
ridefinizione. Parlare di mitologia in senso di alleggerimento dal
legame con il sacro e dalla funzione fondazionale significa allora
fare appello a quel <span lang="en-US">potenziale
liberatorio e intrinsecamente illuministico del mito, il suo essere
luce dell’utopia, che proprio perché mai venuto alla luce ha
ancora il vantaggio di non essere corrotto. Come il racconto nella
notte dei tempi liberava dalla paura del buio e dall’assolutismo
della realtà, sconosciuta e incontrollabile, così la funzione del
mito sembra essere quella di poter ancora emancipare da nuove forme
di terrore e assolutismo e di rendere più facile la vita per gli
uomini.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><span lang="en-US">Privo
di una dimensione di fondazione metafisica o politica il mito non si
oppone specularmente e in modo ingenuo alla ragione, ma </span><span lang="en-US"><i>si
fa ragione</i></span><span lang="en-US">
esso stesso» (Cometa, </span><span lang="en-US"><i>Mitocritica</i></span><span lang="en-US">).
Le cosidette </span><span lang="en-US"><i>mitologie
della ragione</i></span><span lang="en-US">
appartengono alla ragione, in quanto indagano e riconfermano la
soggettività e l’umano all’interno del discorso mitico che
altrimenti tenderebbe a dissolverla. Si tratta in sintesi di far
valere la contrapposizione tra la </span><span lang="en-US"><i>Urmythologie</i></span><span lang="en-US">
(mitologia dell’origine) e dall’altro la </span><span lang="en-US"><i>Dichtermythologie
</i></span><span lang="en-US">(mitologia
poetica), ovvero la rivalutazione del mito come «sostanza
dell’essere e del suo inveramento nella storia» contro le
mitologie della ragione come riscrittura poetologica delle </span><span lang="en-US"><i>fabulae</i></span><span lang="en-US">
con valenza comunicativo-sociale» (Frank 1982, Cometa 1989).</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><span lang="en-US">Rifiutando
il mito come legame con l’essenza religiosa dell’universo e al
già-stato, e come fonte di fondazione di ogni accadere, la
narrazione può essere ancora una sorta di utopia estetica come
occasione d’avventura in territori non strettamente riducibili alla
razionalità, ma altrettanto umani e necessari allo sviluppo armonico
dell’umanità. </span>Così va
inteso l’uso della mitologia, del rapporto con una tradizione
culturale, che viene fatto ad esempio nell’opera di Thomas Mann,
che nel ciclo di Giuseppe si rivolge al mito biblico in modo ironico
o, nell’opera di Brecht, che rilegge le tragedie ma inserisce
l’estraniamento: sono forme che mantengono un equilibrio tra il
veicolare significati forti e la necessaria distanza tra opera e
lettore.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Credo
che vadano in questo senso le riflessioni di Calvino sul romanzo nel
Novecento nelle <i>Sei lezioni
per il terzo millennio</i>, in
modo tale da poter salvare attraverso la qualità della letteratura
il mito. È lo spazio che separa la realtà dalla finzione che
salvaguardia la caduta dell’allegoria in idolatria.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Ogni
opera d’arte (letteratura, cinema, teatro etc) in quanto discorso
comunicativo dovrebbe cercare di stare in equilibrio tra i due
diversi e opposti rischi, quello della caduta nell’irrazionalità
emotiva e nell’immedesimazione che non fa distinzioni e quello
della razionalizzazione didascalica e moralistico-ideologica che
fornisce ricette semplificate. Tale insomma da permettere a chi
ascolta di essere capace di ascoltare le narrazioni, senza mai
smettere di riflettere, in stato di veglia, sull’emozione che il
mito genera. E di lì partire per arrivare altrove, per un modo di
essere alternativo all’agire strumentale della società tecnica,
strategico e subordinato a economia ed amministrazione, come
correlato di una teoria multiculturale della democrazia basata
sull’accordo discorsivo degli interessati, nello spazio pubblico
del dialogo e nelle forme del pluralismo, del rispetto e
dell’ascolto.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">La
«macchina mitologica» guidata in modo non ideologico non potrà
generare valori, ma almeno li potrà solo servire. I valori sono già
nella storia e nelle vicende umane che li hanno forgiati: diritti
umani, costituzioni, protocolli sull’ambiente e a favore degli
animali, per una prospettiva democratica e progressiva in senso
ecologico e planetario. Ora si tratta di salvaguardarli.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Si
tratta insomma di pensare che la mitologia possa ancora affermare il
primato del <i>non essente</i>
su <i>ciò che è</i>,
nelle forme di un’etica dell’irrealtà che dice <i>ciò
che potrebbe essere.</i></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="western" style="orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="western">
<i><span style="font-family: "times" , "times new roman" , serif; font-size: large;">Se il mito è dappertutto è perché non
possiamo farne a meno. Nel rifiuto della dimensione metafisica che
sottostava al mito, l’unico modo possibile per accostarsi alle sue
forme contemporanee e forse servirsene sembra essere riconoscerne la
sua significatività, per farla vivere in modo leggero, ironico e
critico: come materiale per la produzione di arte ‘dell’uomo
sull’uomo’ allora il mito potrà ancora conservare una dimensione
critica, mostrando nel presentarsi quanto di costruito c’è al suo
interno, opera e backstage al tempo stesso.</span></i></div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7454319403885485762.post-61928003500309201482013-01-22T20:43:00.000+01:002014-06-07T15:01:57.277+02:00Sugli scritti giovanili di F.J.<span style="font-size: large;"><br /></span>
<em style="background-color: white; border: 0px; color: #2a2a2a; font-family: Georgia, 'Times New Roman', Times, serif; line-height: 21px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><span style="font-size: large;">#pdftribute</span></em><br />
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<a href="http://4.bp.blogspot.com/-XI75p3fqpxs/UP7ruMozpHI/AAAAAAAAAOA/DzHGMz0VtlE/s1600/frammenti+infantili.tif" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/-XI75p3fqpxs/UP7ruMozpHI/AAAAAAAAAOA/DzHGMz0VtlE/s1600/frammenti+infantili.tif" /></span></a><span style="font-size: large;"><br /></span><br />
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm; margin-top: 0.9cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm; margin-top: 0.9cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif;"><span style="font-size: large;"><i><br /></i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm; margin-top: 0.9cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif;"><span style="font-size: large;"><i><br /></i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm; margin-top: 0.9cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif;"><span style="font-size: large;"><i><br /></i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm; margin-top: 0.9cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">Se
penetriamo nelle grandi caverne, osserviamo gli affreschi
meravigliosi che colmano le pareti, ci soffermiamo sulle antiche
testimonianze di devozione verso i morti, non possiamo sottrarci ad
un’emozione profonda e a un sentimento di incondizionata
ammirazione.</span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">La commozione che coglie gli uomini di oggi di
fronte alle opere dei loro più remoti predecessori è la forza viva
che consente all’uomo di riconoscere se stesso, di là dalle
barriere del tempo</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote1sym" name="sdfootnote1anc"><sup>1</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">Tutto
quanto io ho scritto è poesia. Poesia, infatti, significa porsi in
contatto mediante le parole, o le note, i colori ecc, la bellezza.
Come è possibile farlo? Solo amando. Ma in particolare, amando e
facendo la cronaca del proprio amore. Per riuscirci, occorre invocare
l’aiuto di una forza estranea all’uomo che renda le parole, o i
colori, le note, strumenti magici: atti, cioè, a penetrare
volontariamente nel regno della distruzione. Questa forza è il
demoniaco. [...]</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Dunque,
con l’aiuto del demonico che fornisce le parole magiche, si fa la
cronaca del proprio amore. Ciò significa usare le parole magiche in
modo da distruggersi in esse, come in chi si ama. </span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Distruggersi
in chi si ama significa gettare via tutte le limitazioni dei propri
sensi – che costituiscono la propria identità – e quindi morire
nell’emozione di amore e rinascere nella persona che si ama. Tutto
ciò è possibile nell’ambito del solo amore, e porta
all’immortalità ambedue gli amanti che si sono autodistrutti (come
mortali) l’uno nell’altro, per rinascere in una sola persona
immortale</span></span><span style="color: black;"><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote2sym" name="sdfootnote2anc"><sup>2</sup></a></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-right: 1.25cm; margin-top: 0.9cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"> Noi
lo sappiamo insieme, nella tua bellezza ed in quella che io posso
creare è il segno della distruzione, ci unisce in un lento delirio
che è amore perché questa distruzione è immortale, vita estatica
nel dolore di questa notte che si spezza, e sulle gambe immerse nel
mare si aggrappano le conchiglie. Una per una le proviamo
sull’unghia fino a sentirne il sangue</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote3sym" name="sdfootnote3anc"><sup>3</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span><br />
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-top: 0.9cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">1.1 </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Morfologia
della cultura</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">La prima monografia di Jesi è dedicata
a </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>La ceramica egizia. Dalle
origini al termine dell</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>età
tinita</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> (1958)</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote4sym" name="sdfootnote4anc"><sup>4</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">:
tale risultato di un lavoro di ricerca presso le collezioni del
«Pelizaeus-Museum» di Hildesheim, «ineccepibile da un punto di
vista storico-filologico»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote5sym" name="sdfootnote5anc"><sup>5</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">,
prende in considerazione reperti di ceramica della valle del Nilo
dall’età neolitica all’età tinita, un arco cronologico
preistorico che dal VI millennio giunge al III millennio e
all’unificazione dei regni che diede vita all’Egitto dinastico.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">«Il discorso critico-archeologico è
però da subito attento a cogliere le trasformazioni iconografiche e
morfologiche dei reperti presi in esame, traendo da queste
manifestazioni delle inferenze di carattere più ampio, appartenenti
alla semantica religiosa e mitologica»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote6sym" name="sdfootnote6anc"><sup>6</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">:
in questo senso vale la pena di notare come il libro sia intitolato
alla memoria di Leo Frobenius, corredato di due introduzioni, una di
Boris De Rachewiltz</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote7sym" name="sdfootnote7anc"><sup>7</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">
e una dello stesso Jesi.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Frobenius, autore della </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Kulturgeschichte
Afrikas</i></span><i><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote8sym" name="sdfootnote8anc"><sup>8</sup></a>
</i><span style="font-family: Garamond, serif;">intellettuale conservatore
dalla grande influenza nella Germania guglielmina, è presente nel
testo come punto di riferimento teorico, sia per il contesto
specifico (sua la tesi per cui l’Egitto è il «vero punto di
contatto dell’Africa nera con il Mediterraneo»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote9sym" name="sdfootnote9anc"><sup>9</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">)
sia per la «</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Kulturmorphologie</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">»
e la connessa teoria del «paideuma, il sorgere e trasformarsi di
tutte le esperienze della coscienza commossa, secondo l’intimo
orientamento delle forme di una civiltà»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote10sym" name="sdfootnote10anc"><sup>10</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Sviluppando in modo autonomo la teoria
dei cicli culturali, l’etnologo ipotizzava ogni civiltà come
complesso organico dotato di una propria vita, la cui origine andava
ricercata in una matrice «oscura e profonda» responsabile dello
sviluppo umano e tale da “afferrare” l’uomo in senso non
razionale spingendolo verso la trasformazione; tale processo
evolutivo si articolava in stadi caratterizzati dallo stato
cognitivo, dal</span><span style="font-family: Garamond, serif;">l’intuizione
attraverso la maturità razionale fino alla fase meccanica e
materialista della decadenza di una civiltà. </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Paideuma</i></span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote11sym" name="sdfootnote11anc"><sup>11</sup></a>
<span style="font-family: Garamond, serif;">(ciò che si acquisisce nella
cultura) era il principio dell’esperienza conoscitiva primordiale,
principio dinamico e attivo di cui l’uomo partecipa passivamente
subendo l’azione del mito: questo così era pensato come l’emento
produttivo della civiltà, le cui tracce possono essere colte nella
dimensione</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i> </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">culturale
di cui l’arte è l’espressione più alta. Per Jesi il «paideuma»
è il «nucleo attivo» della «commozione», «determinante prima
della civiltà, trascendente l’uomo», concetto appartenente alla
«metafisica tedesca di quegli anni» e derivante dal «tentativo di
attingere alle fonti della civiltà attraverso l’oggettivazione
dell’esperienza psichica collettiva, così come in un altro campo
fu la dottrina dell’inconscio collettivo di C.G. Jung»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote12sym" name="sdfootnote12anc"><sup>12</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.
</span>
</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Come si legge in un frammento autografo
«nella sua fase originaria il </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>mito
è verità inesprimibile</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
accessibile soltanto tramite la commozione che permette di entrare in
contatto con un mondo super-umano. In tale fase il mito è la </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>cosa
dinanzi alla quale</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> la parola
si arresta»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote13sym" name="sdfootnote13anc"><sup>13</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">In questo senso, la filosofia della
storia è sostanzialmente quella del</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">‘tramonto dell’occidente’
e l’antropologia presupposta è un primitivismo tipico
dell’etnologia ottocentesca e proto-novecentesca: le stesse
concezioni che de Rachewiltz professa scrivendo che «la vitalità
della coscienza africana si manifesta nel processo
zoo-cefalo-antropomorfico </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>che
si oppone al pensiero razionale</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote14sym" name="sdfootnote14anc"><sup>14</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.
In qualità di prefattore questi presenta il lavoro di Jesi come lo
sviluppo originale della teoria della «commozione» (</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ergriffenheit</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">)
nel rapporto uomo-ambiente («sottratta alla legge di causalità e a
quelle del determinismo») con la teoria delle «connessioni
archetipiche, che in forma irrazionale si stabiliscono nella psiche
dell’individuo», definendola una sorta di «psico-analisi» che
consente di riportare «la simbologia decorativa e la morfologia
delle ceramiche agli elementi archetipici»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote15sym" name="sdfootnote15anc"><sup>15</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Dal canto suo Jesi esprime uno spirito nettamente antipositivista
spiegando che «la forma di espressione cosciente di determinati
fenomeni inconsci è rappresentata da una serie di concetti, legati
fra di loro in base ad affinità elettive dichiaratamente </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>estranee
ai rapporti logici</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote16sym" name="sdfootnote16anc"><sup>16</sup></a>
<span style="font-family: Garamond, serif;">e dichiarando che «in un gioco
che non sia regolato dall’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>illusione</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
spazio temporale, espressione significa mettersi in </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>rapporto
di commozione</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> con determinate
realtà»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote17sym" name="sdfootnote17anc"><sup>17</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">In altri termini, sposando alcuni
aspetti della morfologia della cultura di Frobenius, Jesi accetta la
teoria della ‘commozione’, presupponendo, in modo analogo a
quanto sostenuto da Lévi-Bruhl sul carattere pre-logico della
mentalità primitiva, che la coscienza arcaica fosse sottratta allo
spazio-tempo</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote18sym" name="sdfootnote18anc"><sup>18</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">;
inoltre afferma che «tutto il volume rappresenta un piacevole
esercizio – e non a caso questo termine corrisponde all’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>exercice</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
poetico di Valery – una forma di adattamento al gioco,
un’approssimazione ad un inesistente “vero scientifico”»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote19sym" name="sdfootnote19anc"><sup>19</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Posto che la sua resistenza allo
storicismo non sarebbe mai venuta meno, benché differente nella sua
formulazione – almeno quanto Benjamin lo è da Frobenius –, Jesi
è ancora lontano da quanto avrebbe sostenuto con forza anni dopo:
ovvero che la lotta contro il razionalismo è uno dei sottotesti
dell’opera di molti intellettuali reazionari che videro proprio
nella razionalità e nel materialismo la causa di una decadenza
dell’Europa e dei suoi valori spirituali, pensando di richiamarsi
al mito come garante di una genuinità del senso della vita</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote20sym" name="sdfootnote20anc"><sup>20</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">De Martino, particolarmente attento alla
salvaguardia della ragione storica, commentando i presupposti della
scuola di Frobenius, ha scritto che «distribuzione nello spazio,
seriazione cronologica e identificazione dei nessi causali
appartengono al momento euristico dell’anamnesi storiografica»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote21sym" name="sdfootnote21anc"><sup>21</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">:
intendeva così distinguere la teoria dal suo oggetto e riconoscere
l’importanza dell’approccio volto a comprendere la specificità
del mondo culturale dei ‘popoli di natura’ certamente diverso da
quello europeo. Ma allo stesso tempo avvertiva come la teoria della
«morfologia della civiltà» presupponesse un’«assenza di logos»
e delineasse «un quadro statico di entità [...] rigide, senza
sviluppo, ciascuna chiusa in se stessa da contemplarsi ciascuna nella
sua essenza gratuita», in modo tale che la storia si risolvesse «in
una serie di destini culturali che si consumano in se stessi. [...]
Percorrendo questa strada sino in fondo si mette capo al relativismo,
al fatalismo, al pessimismo e al dilettantismo di Oswald Spengler»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote22sym" name="sdfootnote22anc"><sup>22</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Com’è noto in base a un
severo criterio di matrice marxista e antifascista l’antropologo
napoletano includeva Frobenius, Rudolf Otto, Walter F. Otto e anche
Kerényi in una medesima temperie intellettuale politicamente
sospetta</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote23sym" name="sdfootnote23anc"><sup>23</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">;
eppure in questo primo tentativo teorico di Jesi</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote24sym" name="sdfootnote24anc"><sup>24</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">
si possono cogliere elementi di discontinuità che configurano uno
sviluppo differente dall’‘irrazionalismo metafisico’, nel senso
di un’indagine </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>razionale</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
su forme</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">di
razionalità diverse da quella strettamente logico-discorsiva: sulla
scorta della psicologia analitica di Jung nella teoria delle
connessioni archetipiche l’associazione simbolica infatti è
collegata ai ritmi biologici e contaminata con elementi formalistici
di stampo storico-semiotico come quelli di Propp</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote25sym" name="sdfootnote25anc"><sup>25</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Tale eclettismo ha anche una giustificazione di ordine materiale
visto che le prime fonti di Jesi si trovano nella Collana Viola di
Einaudi, la </span><span style="font-family: Garamond, serif;">«Collezione
di studi religiosi, etnologici e psicologici»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote26sym" name="sdfootnote26anc"><sup>26</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">:
in essa prospettive differenti e perfino antitetiche sul sacro
rischiavano di apparire come coerenti e organiche, come avvertivano
gli stessi curatori, i quali, nella battaglia culturale nel
dopoguerra italiano, manifestavano opinioni differenti sulla
necessità di orientare il pubblico per arginare l’irrazionalismo
di alcuni libri; mentre De Martino riteneva necessario che ogni testo
fosse introdotto da saggi ‘pedagogici’, per Pavese tale
operazione risultava irritante e invadente</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote27sym" name="sdfootnote27anc"><sup>27</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Per la prima formazione di </span><span style="font-family: Garamond, serif;">Jesi
la questione, che sarebbe riemersa con forza ancora maggiore nella
cultura europea alla fine degli anni sessanta, è fondamentale:</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">È
come se, appartenente alla generazione che su questi libri si formò,
nel suo lavoro Jesi abbia ereditato e rimeditato alcuni aspetti del
dibattito su una serie di autori ritenuti “pericolosi”, con il
rischio che la profilassi nei loro confronti risultasse
ideologicamente contraddittoria quanto la materia “irrazionale”
da cui ci si voleva difendere</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote28sym" name="sdfootnote28anc"><sup>28</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-top: 0.9cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">In questa fase lo studioso, non ancora
ventenne, pur non avendo in mente quali saranno gli esiti della sua
ricerca e non dominando ancora completamente le sue fonti dimostra
comunque di aver scelto il suo ambito di interesse: il dibattito
degli anni in cui l’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Anthropologie
Structurale </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">e altri caposaldi
del Novecento rovesciavano il modo di guardare l’uomo.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-top: 0.9cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">1.1.1</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
Rapporti tra cose</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Il saggio teorico </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Le
connessioni archetipiche</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
(1958) parte dalla constatazione della «presenza costante di
immagini affini, di “luoghi comuni”» che solcano la storia della
cultura, in particolar modo per ciò che riguarda la tradizione
letteraria popolare e il patrimonio mitico religioso che con questa è
imparentata. Si tratta di «motivi che si ripetono nelle differenti
forme in cui noi veniamo a conoscenza di ciascuna vicenda,
mantenendosi a volte inalterati formalmente, a volte subendo
modifiche relative alla natura apparente dei personaggi ed al
procedere dell’azione»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote29sym" name="sdfootnote29anc"><sup>29</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Le varie metamorfosi, a volte così
estreme da rendere irriconoscibile il collegamento tra due elementi
imparentati, sono da mettere in relazione con il ‘regime sociale’
nel quale i racconti prendono forma: in questo modo nella ricezione
attraverso il tempo, quando i legami diretti e conoscibili tra
‘motivo’ e ‘istituto sociale’ si siano persi si apre uno
spazio di «libertà della creazione di ciascun narratore»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote30sym" name="sdfootnote30anc"><sup>30</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Nell’impossibilità di cogliere l’origine di un racconto, in ogni
tempo la narrazione modificata può avere una sua ‘attualità’ e
risultare significante per i parlanti e i contemporanei che la
condividono, i quali posseggono le chiavi contestuali per la
comprensione del significato rielaborato.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Su questo presupposto marxiano (la
struttura condiziona la sovrastruttura, la quale si modifica meno
rapidamente della prima), la ricostruzione del processo genetico
delle alterazioni formali e contenutistiche dei racconti mette in
luce forme invarianti («universalità di particolari motivi») che
sono il «risultato di un processo spirituale»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote31sym" name="sdfootnote31anc"><sup>31</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Tale universalità per Jesi «risulta chiarificata dal punto di vista
psicanalitico dalle indagini parallele di Jung e Kerényi» i quali
la definiscono in termini di «archetipi» come «automanifestazione
dell’inconscio» di natura collettiva</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote32sym" name="sdfootnote32anc"><sup>32</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Jung, nel 1924, scrivendo di uno
«spirito primitivo dimenticato» considerava l’inconscio
collettivo come «complesso di immagini, che si esprimono nelle
mitologie di tutti i tempi e tutti i popoli» e che «ogni individuo
riceve in potenza in virtù dell’eredità», in modo tale che «le
immagini mitologiche possono sempre, in modo spontaneo e concordante
ritornare non solo in tutti gli angoli della terra ma anche in tutti
i tempi» in virtù di un «medesimo cervello umano, che funziona nel
medesimo modo ovunque con varianti relativamente piccole»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote33sym" name="sdfootnote33anc"><sup>33</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Nel noto libro scritto a quattro mani con Kerényi</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote34sym" name="sdfootnote34anc"><sup>34</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">
comparivano gli archetipi principali (ombra, vecchio, fanciullo,
madre, fanciulla etc.) che costituirebbero le componenti originarie
del sé di un uomo universale.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">Così Jesi scriveva:</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">La
mia critica ai concetti tradizionali nel campo della mitologia
procede inizialmente dalla constatazione che soltanto le connessioni
fra due elementi possono ritenersi archetipiche. Se, a proposito
della connessione fra tali elementi, si può parlare di una forma
della “partecipazione” di Lévy-Bruhl, non si deve pensare che le
“essenze comuni” in funzione delle quali vengono “sentiti” i
singoli individui, corrispondano alle nostre rappresentazioni di
figure archetipiche. La forma di maggior approssimazione all’immagine
di “essenza comune” è rappresentata dalla natura stessa,
dall’essere di due concetti fra cui sussista una connessione
archetipica</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote35sym" name="sdfootnote35anc"><sup>35</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Un connessione può avere luogo tra
immagini astratte e concrete, le quali attraverso le relazioni
reciproche creano un senso: si intende qui che è impossibile
separare una immagine dal suo significato, come se l’una fosse
concetto esemplificato e l’altro un concetto astratto</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>.
«</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">Relazione reciproca» vuol
dire, per esempio, che «il concetto ctonico-oracolare è il
significato, il valore dell’immagine del serpente, così come il
serpente è il significato, il valore del concetto
ctonico-oracolare»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote36sym" name="sdfootnote36anc"><sup>36</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Questa concezione del simbolo, per cui
significato e significante coincidono nel mito è una costante
dell’intera produzione jesiana che troverà riscontro nella
continua e successiva ripresa del concetto bachofeniano di «simbolo
riposante in se stesso»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote37sym" name="sdfootnote37anc"><sup>37</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Ed è una formulazione più articolata di ciò che Sigfried Giedion
affermava quando scriveva che in età preistorica «il simbolo stesso
fu realtà, mezzo di possesso del potere magico, tale da influenzare
direttamente il corso degli eventi»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote38sym" name="sdfootnote38anc"><sup>38</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Il tipo di conoscenza che ne deriva è
quello di «creazione fittizia, puramente formale ed estranea al
senso o al non-senso delle connessioni», ma capace di significare la
realtà: l’esame delle connessioni, indipendentemente dal contesto,
può rivelare qualcosa circa la concezione del mondo che esse
esprimono. La capacità cognitiva degli uomini della preistoria
sarebbe dunque caratterizzata da una identità della
conoscenza-espressione come partecipazione all’inconscio
collettivo, in modo tale che in ogni «fenomeno espressivo si ritrova
una personalità umana e una realtà»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote39sym" name="sdfootnote39anc"><sup>39</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Secondo
la teoria delle connessioni archetipiche il concetto di spazio-tempo
si presenta nella coscienza dei primitivi successivamente al
frazionarsi dell’inconscio collettivo e in base ad una esigenza di
distinzione e di comparazione tra gli oggetti</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote40sym" name="sdfootnote40anc"><sup>40</sup></a></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Sottratto alla catena causale il
pensiero, come mostrerebbero le serie prese in esame di motivi
riportati sulla ceramica egizia (piante, animali, battelli, grafismi
geometrici), manifesterebbe una «presa di contatto con il mondo»
espressa mediante «simbolismo reciproco»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote41sym" name="sdfootnote41anc"><sup>41</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">,
«ogni elemento è in rapporto con gli altri: lo si può considerare
un significato degli altri o viceversa»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote42sym" name="sdfootnote42anc"><sup>42</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">:
una sorta di flusso privo ancora di un «”senso”, di una
direzione»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote43sym" name="sdfootnote43anc"><sup>43</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">
che mantiene ogni possibile intellegibilità nei limiti della sola
associazione. Compare qui la stessa precedente definizione di
«affinità elettive decisamente estranee ai rapporti logici» che
viene presentata come ciò che caratterizza il «gioco della
mitologia»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote44sym" name="sdfootnote44anc"><sup>44</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">In un altro scritto dello stesso periodo
(</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Studi cosmogonici</i></span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote45sym" name="sdfootnote45anc"><sup>45</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">)
Jesi descrive come le insegne dei battelli egizi fossero simboli di
clan e segni di nomi, posti in rapporto con divinità locali e
soggetti a diffusione come elaborazioni successive di materiale
«totemico»: elementi formali indissolubili non più compresi
ricevevano nuovo significato in un periodo successivo. Anche qui ciò
che in uno strato arcaico è connesso cambia di segno sulla base di
una riattivazione, e in tal senso la «realtà mitologica» delle
figure divine poteva spiegarsi come «trasposizione costante del
medesimo schema di immagini in innumerevoli “leggende”, quasi che
in ciascuna funzione delle immagini della divinità si rinnovi un
dubbio umano»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote46sym" name="sdfootnote46anc"><sup>46</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Le connessioni sono ciò che è
potenzialmente nella «psiche di ciascun individuo» in uno stadio di
latenza che può passare in atto in presenza di una determinante
fisiologica, sotto l’effetto della commozione. Jesi parla qui di
una catena ‘archetipica’ tra ambiente
ritmologico-biotipo-immagini</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote47sym" name="sdfootnote47anc"><sup>47</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">:
il fenomeno è accostato da Jesi al principio di Pavlov dei riflessi
condizionati ma in assenza di concezione consapevole del rapporto di
causalità da parte degli uomini:</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">la
connessione archetipica descrive il comportamento psichico
determinato da stimoli sensori condizionatamente alle potenzialità
psichiche di realizzazione delle connessioni stesse, risultanti a
loro volta manifestazioni coscienti di fenomeni inconsci. La
connessione archetipica informa il successivo comportamento
fisiologico: anzi è giusto dire che intuitivamente è esattamente
comprensibile il concetto di connessione archetipica da un punto di
vista dinamico e non statico, come un fenomeno nel suo corso. Si
ricade così nella mitologia vissuta</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote48sym" name="sdfootnote48anc"><sup>48</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">La radicale differenza tra realtà
dinamica indeterminata e successiva strutturazione logica è
sostanzialmente impensabile a causa di una «inevitabile deficienza
del linguaggio riguardo alle cosiddette “rappresentazioni
intuitive”»: la sua descrizione non può che configurarsi come
quella di «uno dei tanti elementi di un meccanismo»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote49sym" name="sdfootnote49anc"><sup>49</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-top: 0.9cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Ma continua Jesi, sarebbe errato leggere
tale teoria «trasferendo sul piano metafisico la natura intrinseca
dell’adattamento» ovvero l’equilibrio di un sistema complesso
uomo-ambiente: se teniamo conto che siamo partiti da Frobenius,
questo vuol dire che dal cuore di un pensiero ad alta significatività
metafisica Jesi cerca di tradurre elementi archetipici in componenti
di un sistema nervoso centrale su basi genetiche</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote50sym" name="sdfootnote50anc"><sup>50</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-top: 0.9cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">1.1.2 </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Condizionamenti,
indizi</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Se non si può negare una certa oscurità
nell’argomentazione di questi primi testi, in un inedito dal titolo
l’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Archeologia e i riflessi
condizionati </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">la teoria e i
suoi presupposti sono riformulati in modo più chiaro e diretto:</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Pavlov
aveva spiegato il fenomeno dei riflessi condizionati con la presenza
di una specie di grande circuito: dalle superfici sensibili partono
degli stimoli che confluiscono a centri d’attenzione (quasi campi
magnetici) posti nei grandi emisferi del cervello; di qui, altre
correnti muovono in varie direzioni, provocando azioni in apparenza
non connesse con gli stimoli (apparizione d’una luce: stimolo che
parte dall’occhio, giunge al centro di raccolta, mette in moto una
corrente che suscita la salivazione)</span><span style="font-family: Garamond, serif;">»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote51sym" name="sdfootnote51anc"><sup>51</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Dando prova di un approccio che sembra
anticipare un procedimento ermeneutico di natura indiziaria</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote52sym" name="sdfootnote52anc"><sup>52</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">,
Jesi afferma di voler trasporre il principio per via analogica
nell’ambito degli studi archeologico-antropologici, nel senso che
«anche l’uomo in presenza di un certo stimolo sensorio (una
temperatura, un dolore, una difficoltà fisica), che condizionava uno
stato di benessere [...] era portato a ad associare l’idea di tale
sensazione a quella della sua conseguenza benefica»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote53sym" name="sdfootnote53anc"><sup>53</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">La teoria della connessioni
archetipiche, «basandosi sulle conquiste della moderna psico-analisi
così come della fisiologia, si ripromette di indagare il fenomeno
del pensiero e dell’attività umana, partendo dello studio delle
creazioni di civiltà»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote54sym" name="sdfootnote54anc"><sup>54</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">:
l’analisi della cultura materiale è il sintomo, la traccia o
l’indizio tale da permettere allo scienziato di risalire alla
«scintilla creatrice» che presiede alle varie fasi di realizzazione
dei fenomeni culturali. Questa è la «commozione» a partire dalla
quale si verifica «la connessione di due immagini, le quali erano
latenti nella psiche» e che, in questo testo, sono esemplificate con
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>figure</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
tratte da miti, leggende, favole: uomini e animali, leone e sole,
sangue e vita, primavera e nascita, autunno e morte. Poiché l’essere
umano «associa di volta in volta l’una o l’altra immagine a
seconda delle condizioni materiali in cui si trova» una cultura
agricola «giungerà a connettere il nascere e il morire della natura
con la nascita e la morte di un dio»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote55sym" name="sdfootnote55anc"><sup>55</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Jesi afferma l’inevitabilità
nell’essere umano della domanda metafisica di senso, che anni dopo
chiamerà </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>fame di mito
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">giungendo a considerare la
mitopoiesi come fatto costitutivo della cultura umana in tutte le sue
fasi, compreso quelle più avanzate e recenti:</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Ma
perché [un popolo] non può accontentarsi di mangiare pane di grano
senza collegare la nascita di un grano a quella di un dio? [...]
Perché la connessione dell’elemento materiale – il grano – con
l’immagine, la nascita e la morte del dio – porta l’uomo ad un
equilibrio fisico e psichico quasi assoluto, ad </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>uno
stato di benessere primitivo </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">la
cui mancanza determina lo squilibrio e l’angoscia</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote56sym" name="sdfootnote56anc"><sup>56</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">Il bisogno di armonia psichica e fisica
è necessario per il mantenimento di un equilibrio nella conduzione
materiale dell’esistenza singola e collettiva, un «pieno sviluppo
della vita», per garantire il quale primitivi, antichi e moderni,
mettono in atto analoghe risorse da un punto di vista formale,
intrecciate tra di loro da un punto di vista contenutistico. In
questo senso lo sviluppo straordinario della capacità simbolica
(«abisso tra l’animale e l’uomo») è considerata in termini
antropologici come la straordinaria specificità dell’essere umano,
rendere ragione della quale è il compito della scienza che verrà.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">A confermare questa linea interpretativa
è un testo del 1966, il saggio divulgativo </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>L</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>origine
dell</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>uomo
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">(scritto per «Storia
illustrata») che ripercorre la teoria dell’evoluzione, in senso
fedelmente darwiniano, da Talete a Oparin, e corredato di una
bibliografia aggiornata. Qui l’uomo, già in epoca preistorica,
appare caratterizzato dalla sua «capacità simbolica», con
esplicito riferimento a Cassirer, coincidente con una «fase della
graduale complessificazione degli organismi considerati
dall’evoluzionismo»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote57sym" name="sdfootnote57anc"><sup>57</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Facendo riferimento alle raffigurazione pittoriche del paleolitico, a
cui i numeri dell’AIEP dedicavano ampio spazio, le immagini
parietali delle grotte di Altamira e Lascaux sono descritte come
capaci di attraversare tempi e generazioni: «ogni generazione
aggiungeva figure, e tutte le figure – quelle tracciate dagli
antenati, dai padri e dai figli – vivevano simultaneamente della
medesima vita sacrale»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote58sym" name="sdfootnote58anc"><sup>58</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">Per concludere con la grazia del
narratore consumato:</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm; margin-top: 0.9cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Ma
l’evoluzione era in atto, e con essa il fenomeno della conoscenza.
Se in un’epoca primordiale l’uomo aveva potuto dire “in me si
pensa”, giunse un giorno in cui egli disse “Io penso”. Ed
allora egli prese coscienza di sé, e invece di abbandonarsi alle
emozioni che gli giungevano dal mondo esterno, cercò di imporsi su
quel mondo: di imporvi la sua volontà</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote59sym" name="sdfootnote59anc"><sup>59</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0.6cm; margin-top: 0.9cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">1.2.4 </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Chiarimenti</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">La prima produzione jesiana presenta
diversi elementi di criticità per i riferimenti e le teorie che vi
confluiscono, le quali oltre a essere di complessa interpretazione
vengono rielaborate talvolta in modo arbitrario. Da questo punto Jung
è emblematico: più che essere oggetto di studio sistematico è una
sorta di pretesto vicino ai propri interessi per disporre le proprie
proposte teoriche entro un quadro di riferimento coerente. Tanto più
se si pensa che su di lui l’accusa di cripto-fascismo pesava in
modo significativo, congiunta alla critica di oscurità.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Il concetto junghiano di archetipo nella
sua fase più matura, prevede una distinzione tra archetipo e
immagine archetipica, e conseguentemente l’idea di una trasmissione
della potenzialità rappresentativa e non della rappresentazione </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>tout
court</i></span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote60sym" name="sdfootnote60anc"><sup>60</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in modo tale da giustificarne il dispiegamento nella storia: ancora
nel 1973 Jesi attribuisce alle «strutture psichiche universali e
identiche»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote61sym" name="sdfootnote61anc"><sup>61</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">
una sostanziale affinità da un lato con le dottrine della destra
tradizionale che vedono negli elementi primordiali una sostanza
metafisica e sacrale e dall’altro con lo strutturalismo di
Lévi-Strauss, per il quale archetipali sarebbero le «epifanie
obbligate delle norme di logica interna dei miti»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote62sym" name="sdfootnote62anc"><sup>62</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Tale interpretazione risulta strumentale
nella misura in cui entrambi gli autori divengono studiosi di un
‘</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>mito</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’
impossibile da conoscere, da contrapporre a Kerényi che nella
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>mitologia</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
ha indicato, invece, ciò che è conoscibile in quanto umano e in
quanto oggetto di una possibile comprensione ‘commossa’.
Determinante in Jesi sarebbe l’influenza </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>indiretta</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
che la ricezione di Jung ha esercitato sul surrealismo, con la
concezione della conoscenza in quanto «stato di sogno»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote63sym" name="sdfootnote63anc"><sup>63</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">,
e sul Benjamin dei </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Passages</i></span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote64sym" name="sdfootnote64anc"><sup>64</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.
In tale senso autori-fonte, con un procedimento che risulterà
tipico, vengono sostanzialmente ridotti a ‘formule’ che potranno
essere utilizzate in senso originale e non senza consapevole
arbitrarietà</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote65sym" name="sdfootnote65anc"><sup>65</sup></a>.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Per cercare di mettere ordine converrà
chiarire alcuni punti, a costo di anticiparli. A partire dalle sue
fonti e poi nel suo metodo, Jesi manifesta la contraddittoria volontà
di scegliere un procedimento scientifico e antimetafisico, salvo poi
declinarlo con un antistoricismo che altri chiamerebbero
irrazionalista. In ciò Jesi riflette la cultura di diversi suoi
maestri, appartenenti a una fase degli studi sul sacro in cui –
scrive Dubuisson – una serie di «pregiudizi primitivisti» si
fonde con altri «riflessi intellettuali», quali «l’ossessione
costante, in parecchi studiosi della fine del secolo scorso, di
mettere insieme delle arbitrarie esperienze psicologiche originarie,
la potenza dell’immaginazione, l’origine delle religioni e di
meccanismi del linguaggio, come se questi elementi disparati
costituissero un insieme omogeneo»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote66sym" name="sdfootnote66anc"><sup>66</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Ancora più radicale è la
critica, avanzata da Edmund Leach a tutte le posizioni accomunate da
un «postulato ‘vichiano-roussoviano’» ovvero l’idea che la
poesia sgorghi naturalmente nell’uomo in quanto espressione
immediata di emozioni costituendo la base del processo di
«simbolizzazione» che sarebbe la dote specifica dell’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Homo
sapiens</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">:
tale postulato</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">ammette
una progressione evolutiva dell’uomo dallo stato naturale, senza
artifici né linguaggio, allo stato culturale, con artifici e con
linguaggio, ma scopre la causa efficiente di tale progresso nella
stessa potenza inventiva della natura umana. Ma ciò equivale a dire
che l’attività intrinsecamente razionale dell’astratta
previsione immaginativa potrebbe essere l’attributo di una creatura
che non abbia ancora quello strumento primario per simili operazioni
mentali umane che è il linguaggio.</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">Bisogna dunque presupporre
come specifici del processo evolutivo una</span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">serie
di mutamenti che agli inizi ebbero luogo casualmente</span><span style="font-family: Garamond, serif;">
[…] e c</span><span style="font-family: Garamond, serif;">he
in seguito in qualche modo divennero una caratteristica geneticamente
determinata, condivisa da tutti i membri della specie umana in
seguito all’adattamento selettivo. Uno sviluppo evolutivo di questo
tipo è un processo storico totalmente diverso da quello
dell’invenzione cosciente</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote67sym" name="sdfootnote67anc"><sup>67</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Si può individuare il tratto comune di
queste posizioni nel mito dell’origine, che un teorico del mito in
senso estetico-antropologico come Hans Blumenberg riscontra ancora
nell’opera di </span><span style="font-family: Garamond, serif;">Cassirer. Questi,
nonostante il progetto di abbattere la dicotomia tra </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>mythos</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
e </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>logos,</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
non abbandona una prospettiva evolutiva in cui il mito, filosofia e
scienza si presentano allineate in una genealogia progressiva. La
concezione “ingenua” del mito come </span><span style="font-family: Garamond, serif;">‘</span><span style="font-family: Garamond, serif;">essere
dell</span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;">origine</span><span style="font-family: Garamond, serif;">’
deve essere secondo Blumenberg</span><span style="font-family: Garamond, serif;">
rovesciata con l’interesse non per la </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>ricezione</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
storicamente situata di ogni mito:</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">le </span><span style="font-family: Garamond, serif;">«teorie
sulle origini dei miti sono oziose [...], in genere noi non sappiamo
niente delle origini»</span><sup><span style="font-family: Garamond, serif;"><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote68sym" name="sdfootnote68anc"><sup>68</sup></a></span></sup><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Jesi rimane affascinato dalla vertigine
dell’originario fino a quando – questa è la tesi che intendo
mostrare – a metà degli anni settanta matura uno stile saggistico
con il quale</span><span style="font-family: Garamond, serif;"> ha rinunciato a
essere storico delle religioni e teorico dello spirito umano:
attraversando il dibattito sullo strutturalismo e approdando a una
critica letteraria che è anche critica dell’ideologia. M</span><span style="font-family: Garamond, serif;">i
sembra che il ‘primo’ Jesi possa essere considerato come studioso
ancora in transito tra la scienza del mito ‘classica’ gravata di
ipotesi metafisiche e una più complessa costellazione di scienze
storiche e della cultura che si andava definendo in quegli anni con
progressive specializzazioni, la cui matrice è principalmente
l’antropologia: benché estremamente erudito i</span><span style="font-family: Garamond, serif;">l
giovane studioso non può che apparire oggi estremamente avventuroso
nelle sue interpretazioni, nella quali non mancano forzature
interpretative e imprecisioni; il che è spiegabile dal fatto che i
dati gli servivano per formulare teorie antropologiche e psicologiche
di più ampio respiro.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; text-indent: 1.25cm; widows: 0;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">Negli anni settanta con l’adesione a
un approccio al mito storico-storiografico, gli elementi velleitari e
capziosi sarebbero scomparsi, risolti grazie a una certa disciplina
della scrittura, prima intellettualistica e barocca; ma anche grazie
a una serie di studi e letture che hanno impresso una differente
direzione alla sua attività, in un ambito quale quello delle
trasformazioni del mito nella cultura moderna.</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; text-indent: 1.25cm; widows: 0;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">1.2.5
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Il rapporto con lo
strutturalismo</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; orphans: 0; text-indent: 1.25cm; widows: 0;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;">In uno dei primi tentativi di
individuare le influenze dell’opera di Jesi, in un dolente articolo
scritto a ridosso della prematura scomparsa, Sergio Moravia scriveva:</span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Una
delle porte aperte nel nostro paese a un certo tipo di approccio alla
dimensione del sacro l’ha spalancata proprio Jesi: negli anni
Sessanta, quando in Europa dilaga lo strutturalismo e tutti (o quasi
tutti) giurano sulla sofistica delle modellistiche logico-matematiche
di Lévi-Strauss, Jesi continua a guardare a un’altra metodologia,
ad un un’altra procedura, che si apriva verso l’ermeneutica, si
agganciava a Mircea Eliade per poi tornare ai prediletti Kerényi e
Dumézil</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote69sym" name="sdfootnote69anc"><sup>69</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Se molto di questo è vero, il giudizio
sembra eccessivamente </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>tranchant</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
e dettato dalla mancanza di prospettiva: è vero che Jesi criticò lo
strutturalismo come genere codificato e lo stesso Lévi-Strauss</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote70sym" name="sdfootnote70anc"><sup>70</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">,
ma è altrettanto vero che le opere del maestro francese, in
particolare i </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Mythologiques</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
influenzarono molto e in senso fecondo un’intera generazione di
studiosi, tra cui Jesi</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote71sym" name="sdfootnote71anc"><sup>71</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Già il Lévi-Strauss di </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Antropologie
Structurale</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> (1958) con lo
spostamento dello studio dei fenomeni linguistici coscienti a livello
delle «infrastrutture incoscienti», facendo proprio il metodo della
linguistica, metteva alla base delle sue analisi le relazioni tra i
termini di un sistema. Anche nelle opere tarde di Jesi – nelle
quali rifiutando la formalizzazione matematica e dubitando della
possibilità di individuare il sistema trascendentale di
funzionamento dell’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>ésprit</i></span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote72sym" name="sdfootnote72anc"><sup>72</sup></a><i>
</i><span style="font-family: Garamond, serif;">– il paradigma
ricombinatorio è fondamentale come elemento delle genesi di nuovo
senso: ogni cultura elabora il proprio sistema di classificazione
della realtà basandosi su regole che danno vita a un’infinita
varietà di rappresentazioni incrociando elementi invarianti, che si
trasmettono nel tempo e costituiscono la sua storia. Le critiche che
lo storicismo marxista ha avanzato verso Lévi-Strauss accusandolo di
aver neutralizzato la storia, rifiutato contenuti e negato valore ai
fatti che nella loro contingenza sarebbero inferiori alla forma</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote73sym" name="sdfootnote73anc"><sup>73</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">,
sembrano oggi eccessivamente severe. A conferma di ciò sta il
connubio di strutturalismo e marxismo: a proposito del «potere
polemico del metodo strutturale, derivato da Saussure, e applicato
fuori della linguistica, soprattutto da C. Lévi-Strauss e J. Lacan»
valgano le parole di Roland Barthes. «La descrizione sincronica
delle strutture, condotta in un certo modo, può risultare anch’essa
armata di un efficace potere contro ogni mistificazione: come la
Storia, l’idea di Cultura non è forse l’antidoto all’idea di
Natura?»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote74sym" name="sdfootnote74anc"><sup>74</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Nelle </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Mythologiques
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">(1964-1971) Lévi-Strauss ha
proposto un’analisi dei patrimoni mitologici in modo che sia
possibile tornare da un certo mito verso un altro da cui si erano
prese le mosse: l’analisi strutturalista permette cioè di </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>smontare</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
e </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>rendere criticamente</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
apprezzabile i miti presentandoli in forma di elementi nel loro stato
disaggregato. Si tratta del procedimento inverso all’uso politico
dei miti, il caso estremo di manipolazione di un materiale
linguistico o iconografico: in esso è ravvisabile l’intervento in
virtù del quale elementi sintagmatici sono resi operativi dalla
violenza esecutiva che separa il linguaggio dalle pratiche sociali in
cui era inserito in un determinato punto della sua storia e diviene
altro, simbolo caricato di un aumentato potere performativo in un
momento della sua ricezione</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote75sym" name="sdfootnote75anc"><sup>75</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Moravia ha ragione nel sostenere che
«Jesi non era nato per limitarsi a divulgare il pensiero altrui»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote76sym" name="sdfootnote76anc"><sup>76</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">:
nella sua rielaborazione ha cercato di rendere ‘caldo’,
storicamente dinamico, quello che Lévi-Strauss ha inteso raffreddare
fino a ipotizzare che dietro a una serie mitologica si potesse
individuare il mito come stuttura</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">nella forma fantasmatica
dell’algebrizzazione.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Se per quanto riguarda il mito antico si
ritrova in sintonia con Dumézil, la cui opera non a caso
Lévi-Strauss considerava analoga alla propria per l’approccio
storico-morfologico, Jesi ha verticalizzato in senso diacronico gli
elementi statici, orizzontali e sincronici che lo strutturalismo
illustra nella loro disponibilità, in conformità alle indicazioni
di de Saussure</span> <span style="font-family: Garamond, serif;">che
vedeva nella linguistica tanto lo studio della coesistenza simultanea
dei fenomeni, quanto il mutamento dei valori da una fase storica
all’altra: su questa via Jesi ha sviluppato l’interesse per il
mito, prima con tentativi teorici e poi con un modello minimo che
potesse essere operativo per cogliere la continuazione della
mitopoiesi nella storia della storiografia, nella letteratura e nella
costruzione degli immaginari culturali tramite la monumentalizzazione
dei documenti e la canonizzazione dei saperi.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Interviene poi un ulteriore elemento a
mutare l’orientamente generale del lavoro intellettuale di Jesi:
un’umanesimo intensamente sentito che diviene quasi un ‘misticismo
senza religione’ a partire dal quale egli ha trasformato la
‘commozione’ in una teoria dell’immaginario fino a delineare un
naturalismo che pare il portato della riflessione sulla propria
origine ebraica e dall’influenza di Benjamin, sia per il modo
militante di intendere la critica che per l’affinità con l’idea
della redenzione profana e della cultura come utopia</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote77sym" name="sdfootnote77anc"><sup>77</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Nel suicida di Port-Bou lo studioso torinese poteva trovare un
modello per l’appropriazione e la restituzione in chiave personale
dei suoi interessi più disparati, ma anche il coraggio di scegliere
collegamenti e riconoscere analogie, non senza una certa
arbitrarietà</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote78sym" name="sdfootnote78anc"><sup>78</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.
Per questo Jesi, come aveva scritto un editor americano nel
respingerne un testo, può apparire «estremamente soggettivo e [...]
difficile da seguire»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote79sym" name="sdfootnote79anc"><sup>79</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-family: Garamond, serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">1.2.5.1
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Fenomenologia della cultura</i></span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Quando
ho cominciato a studiare materiali mitologici, simboli, prove
metodologiche di scienza del mito alle fine degli anni ‘50 i testi
di Jung mi emozionavano moltissimo, più di quelli di Kerény.
“Inconscio collettivo”, “archetipo”, “mandala”, mi
sembravano parole di sapienza. [...] i miei primi scritti in questo
ambito (...) sono per molti aspetti junghiani, anche se fin da allora
provavo un certo disagio verso l’”archetipo” come forma in cavo
di una figura a tutto tondo, e cercavo di rimediarvi con il modello
delle “connessione archetipiche”: costanti – direi oggi –
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>linguistiche</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
norme obbligate della composizione anziché figure organiche di una
galleria di ritratti</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote80sym" name="sdfootnote80anc"><sup>80</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Così l’autore si
presentava in uno degli ultimi scritti: prendendo in considerazione
l’opera giovanile in questa prospettiva, gli elementi datati</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">sono
comunque minori rispetto alle istanze di innovazione che emergevano.
Per Bidussa le connessioni archetipiche sono elementi per la
«costruzione di sistemi di classificazione simbolica basati su una
complementarità o anche un’opposizione resi paradigmatici dalla
loro riproposizione costante»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote81sym" name="sdfootnote81anc"><sup>81</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">,
e in questo senso andrebbero prese in considerazione nel contesto
della svolta semiotica degli studi della cultura, sulle indicazioni
dello stesso Jesi rispetto all’importanza del formalismo</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote82sym" name="sdfootnote82anc"><sup>82</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">L’invarianza
dell’iconografia, ottenuta dalla serie di trasformazione e
combinazioni configura una idea di «sovrapposizione» come «via
intermedia tra persistenza e ripetizione»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote83sym" name="sdfootnote83anc"><sup>83</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">
che induce a formulare ipotesi sulla porosità dei tempi nella loro
stratificazione, ovvero forniscono elementi per la comprensione delle
modalità di «reiscrizione del sapere tradizionale dopo che si sia
persa la sua origine», ovvero la rielaborazione dei patrimoni
mitologici in ambito letterario e il loro inserimento nei differenti
contesti ideologici «che prepara la questione dell’uso politico
dei materiali sacri e mitologici». In questo senso la teoria
giovanile contiene le condizioni per lo sviluppo di una fenomenologia
della cultura e anticipa la riflessione sulla metastoria</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote84sym" name="sdfootnote84anc"><sup>84</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">:</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%; margin-left: 1.25cm; margin-right: 1.25cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">L</span><span style="font-family: Garamond, serif;">e
connessioni archetipiche sono solo il primo passo verso una
grammatica dell’immaginario, non forniscono la sua sintassi. Perché
questo sia evidente, o almeno ricostruibile, occorre che si
considerino altri documenti che si determini una serie, o comunque si
correlino tra loro più serie, che si valuti come quelle connessioni
archetipiche agiscano all’interno di materiali verbali e
iconografici che si strutturano [...] con l’impalcatura del mito.
Ovvero con qualcosa che non è più il mito, ma che non è nemmeno la
sua memoria o il suo significato. Questo qualcosa che ancora non ha
un nome, che non giunge ancora a concettualizzarsi è “la macchina
mitologica”</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote85sym" name="sdfootnote85anc"><sup>85</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="line-height: 150%;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 150%; margin-bottom: 0cm; text-indent: 1.25cm;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">In altri termini studiare il mito
diventa oggetto di interesse per una storia della storiografia tale
da cogliere la vicenda dialettica di demitologizzazione e
rimitologizzazione che caratterizza la modernità: all’interno di
essa il mito assume un ulteriore valore di nostalgia e concide con la
mitizzazione del mondo antico nella storia culturale europea, pensato
e presentato nelle storiografie nazionali come fondativo e migliore
del presente, corrotto e decaduto. «La dimensione “altra” del
mito determinata dalla sua assenza» è ciò che costituisce il suo
fascino, che risiede nel suo «campo magnetico»</span><a class="sdfootnoteanc" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote86sym" name="sdfootnote86anc"><sup>86</sup></a><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;">________________________________________________</span></span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><br /></span></span></div>
<div id="sdfootnote1">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote1anc" name="sdfootnote1sym">1</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
F. Jesi,</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i> L</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>origine
dell</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>uomo</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
cit., p. 95.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote2">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote2anc" name="sdfootnote2sym">2</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
M</span><span style="font-family: Garamond, serif;">anoscritto di Jesi
datato 10 febbraio 1961; riportato in A. Cavalletti, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Il
metodo della scrittura indiretta</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in K, pp. 216 ss.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote3">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote3anc" name="sdfootnote3sym">3</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
Foglio sparso e senza titolo, risalente ai primi anni sessanta.
Archivio di famiglia.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote4">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote4anc" name="sdfootnote4sym">4</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
Così il frontespizio: F. Jesi, Direttore dell’archivio
internazionale di Etnografia e preistoria, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Le
ceramica egizia dalle origini all</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>età
tinita</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">. Con 32 fotografie -
29 delle quali riproducono oggetti inediti - e 14 disegni. Con un
capitolo di Pierre Gilbert. Professore di Egittologia all’Università
di Bruxelles. Prefazione di Boris de Rachewiltz, S.A.I.E., Torino,
1958 (CE).</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote5">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote5anc" name="sdfootnote5sym">5</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
M. Cottone, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Scienza del mito
e critica letteraria: conoscere per composizione</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in «Studi filosofici», n. XVI-XVI, cit., p. 229.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote6">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote6anc" name="sdfootnote6sym">6</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
R. Ferrari, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Saggio e romanzo
in Furio Jesi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, cit., p. 21.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote7">
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote7anc" name="sdfootnote7sym">7</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;">Boris de
Rachewiltz, studioso e aristocratico, celebre per una discussa
traduzione del cosiddetto </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Libro
dei morti</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
e marito di Mary Pound, figlia dello scrittore.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote8">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote8anc" name="sdfootnote8sym">8</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
L. Frobenius, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Storia della
civiltà africana </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">(1933),</span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
ed. it. </span></span><span style="font-family: Garamond, serif;">Einaudi, Torino,
1950.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote9">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote9anc" name="sdfootnote9sym">9</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
B. De Rachewiltz, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Prefazione</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in CE, p. 9.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote10">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote10anc" name="sdfootnote10sym">10</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
CE, p. 10.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote11">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote11anc" name="sdfootnote11sym">11</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
Il “paideuma” indica «la capacità di abbandonarsi
spiritualmente e in piena “realtà” a un altro mondo fenomenico,
poiché l’ometto o l’uomo si lasciano improvvisamente commuovere
da un fenomeno fuor delle loro relazioni naturali e delle loro
cagioni evidenti». L. Frobenius, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Storia
della civiltà africana</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
cit., pp. 52-53.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote12">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote12anc" name="sdfootnote12sym">12</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
F. Jesi, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Frobenius</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
voce firmata in </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Grande
dizionario enciclopedico,</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
Utet, Torino, 1968, vol. VIII, pp. 431. Nella stessa voce l’autore
sottolinea la vicinanza teorica con la concezione del simbolo in
ambito estetico di George, Gundolf e Klages, e la grande stima che
l’imperatore Guglielmo II aveva di lui, «nel quale cercava un
appoggio scientifico alle proprie elucubrazioni misticheggianti»
(p. 430).</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote13">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote13anc" name="sdfootnote13sym">13</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
F. Jesi, inedito della serie </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Mito
e linguaggio</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, in «Cultura
tedesca», cit., p. 84, c. n.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote14">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote14anc" name="sdfootnote14sym">14</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
CE, p. 10, c. n.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote15">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote15anc" name="sdfootnote15sym">15</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
CE, p. 12.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote16">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote16anc" name="sdfootnote16sym">16</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
CE, p. 17.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote17">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote17anc" name="sdfootnote17sym">17</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
CE, p. 21.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote18">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote18anc" name="sdfootnote18sym">18</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
L. Lévi Bruhl, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Les fonctions
mentales dans les sociétés inférieures</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
(1910); </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>La mentalité
primitive</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> (1922); </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>L</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>âme
primitive</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> (1928): è il caso
di ricordare che Malinowski, Cassirer e Lévi-Strauss, a cui Jesi si
sarebbe rifatto successivamente, criticarono apertamente questa
idea.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote19">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote19anc" name="sdfootnote19sym">19</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
CE, p. 22.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote20">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote20anc" name="sdfootnote20sym">20</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
Cfr. Jesi nel 1979 proprio su Frobenius, CD, pp. 14-17.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote21">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote21anc" name="sdfootnote21sym">21</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
E. De Martino, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Prefazione
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">(1965)</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">in A. E. Jensen, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Come
una cultura primitiva ha concepito il mondo</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
(1948), ed. it. Bollati, Boringhieri, Torino, 1992, p. 10.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote22">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote22anc" name="sdfootnote22sym">22</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 11.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote23">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote23anc" name="sdfootnote23sym">23</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
Cfr. MM, p. 36 ss. Si veda la sintetica ricostruzione che Marcello
Massenzio, sulla scorta dell’opera di De Martino, propone in </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Sacro
e identità etnica. Senso del mondo e linea di confine</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
Franco Angeli, Milano 1997, pp. 24-25. L’epoca moderna degli studi
è inaugurata dal </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Il sacro </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">di
Otto (1917) e caratterizzata dalla definzione di un’«autonomia
categoriale del sacro», del mitico e del simbolico di ordine
esistenziale nel quadro di un movimento complesso di influenze,
convergenze e differenze di provenienze culturali, metodi e
prospettive in cui trovano spazio etnologia (Frobenius, Jensen,
Malinowski, Leenhardt), fenomenologia (R. Otto, Kerényi, Eliade,
Van der Lew, W. F. Otto), sociologia (Lévi-Bruhl, Lévi-Strauss,
Callois), filosofia (Cassirer, Bergson, Bachelard, Gusdorf),
psicologia (Jung, Neumann).</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote24">
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote24anc" name="sdfootnote24sym">24</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
Per il rapporto tra Jesi e la storia delle religioni, in particolare
per quanto riguarda l’ambito italiano cfr. P. Angelini, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Il
guardiano della soglia</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in «Studi filosofici», XIV-XV, 1991-2, cit., pp. 222-3: almeno
fino ai primi anni settanta Jesi</span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
«</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>evita</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
di prendere posizione» disertando il dibattito italiano in
particolare le posizioni di Brelich, De Martino; cfr. N. Spineto,
</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Kàroly
Kerényi e gli studi storici religiosi in Italia</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Studi
e materiali di storia delle religioni,</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
69, 2003, pp. 385-410</span></span><span style="color: maroon;"><span style="font-family: Garamond, serif;">:</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
se già Kerényi, con il suo stile poetico ed evocativo, metaforico
e di complessa intepretazione in un clima storicistico come quello
italiano era considerato un «dissidente» (Pettazzoni), Jesi,
autodidatta, privo di titoli e filiazione accademica,
antistoricista, critico letterario e di ancora più difficile
lettura non poteva avere migliore fortuna.</span></span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote25">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote25anc" name="sdfootnote25sym">25</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;">V. J. Propp, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Le
origini storiche dei racconti di fate </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">(1946),
ed. it, Einaudi, Torino, 1949 poi Bollati Boringhieri Torino, 1972.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote26">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote26anc" name="sdfootnote26sym">26</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
O</span><span style="font-family: Garamond, serif;">ltre a Frobenius e Propp Jesi
citava spesso i </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Prolegomeni
allo studio scientifico della mitologia</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
di Jung e Kerényi, la </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Religione
greca</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> di Petazzoni.</span><span style="font-family: Garamond, serif;">
Cfr. ELM, p. 21.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote27">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote27anc" name="sdfootnote27sym">27</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
C</span><span style="font-family: Garamond, serif;">fr. MM, pp. 36 ss.: «Parlare
di “mentalità primitiva” come di “facoltà creatrice”
siginificava far puntare il fucile non solo a De Martino, ma anche a
Bianchi Bandinelli»; cfr. C. Pavese - E. De Martino, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>La
collana viola. Lettere 1945-1950</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
Bollati Boringhieri, Torino, 1991, con </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Introduzione</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
di P. Angelini; di Angelini vedi anche: </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>La
collana viola</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, in AA.VV.,
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Studi antropologici italiani
e rapporti di classe</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, Franco
Angeli, Milano, 1980. </span>
</span></div>
</div>
<div id="sdfootnote28">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote28anc" name="sdfootnote28sym">28</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
R. Ferrari, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Saggio e romanzo
in Furio Jesi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, cit. pp. 34
ss.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote29">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote29anc" name="sdfootnote29sym">29</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
F. Jesi, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Le connessioni
archetipiche</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, in «Archivio
internazionale di Etnografia e Preistoria», vol. I, 1958, ed.
S.A.I.E., Torino, pp. 35.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote30">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote30anc" name="sdfootnote30sym">30</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 36.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote31">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote31anc" name="sdfootnote31sym">31</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 37.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote32">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote32anc" name="sdfootnote32sym">32</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ibidem</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote33">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote33anc" name="sdfootnote33sym">33</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
G. G. Jung, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Prefazione</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
(1924) a </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>La libido. Simboli e
trasformazioni</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> (1911), ed.
it. Bollati, Boringhieri, Torino, 1965, p. 10.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote34">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote34anc" name="sdfootnote34sym">34</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
C.G. Jung - K. Kerényi, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Prolegomeni
allo studio scientifico della mitologia</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
(1942), Bollati Boringhieri, Torino, 1972,</span><span style="font-family: Garamond, serif;">
pp. 224-5, (che Jesi conosceva nella </span><span style="font-family: Garamond, serif;">edizione
Einaudi del 1948).</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote35">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote35anc" name="sdfootnote35sym">35</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
F. Jesi, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Le connessioni
archetipiche, </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">cit., p. 37.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote36">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote36anc" name="sdfootnote36sym">36</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
CE, p. 19.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote37">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote37anc" name="sdfootnote37sym">37</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
LM, p. 26 dove affermava la concezione di un simbolo significante
che esclude la trascendenza, non rinviando ad alcun senso ulteriore
se non a quello della sua immanenza.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote38">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote38anc" name="sdfootnote38sym">38</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">S.
Giedion</span></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>L</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>eterno
presente. Uno studio sulla costanza e sul mutamento: vol. 1. Le
origini dell</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>arte</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
trad. it</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i> </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">di
F. Jesi,</span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">Feltrinelli,
Milano, 1965, </span></span><span style="font-family: Garamond, serif;">p. 94. A p.
83 Sartre (</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>L</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>imaginaire</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">)
è indicato come una delle fonti per una teoria autorefereziale del
simbolo.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote39">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote39anc" name="sdfootnote39sym">39</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
F. Jesi, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Le connessioni
archetipiche, </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">cit., p. 38.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote40">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote40anc" name="sdfootnote40sym">40</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
F. Jesi, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>La nozione di
spazio-tempo nella lingua egizia classica</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
(1959), p. 2. Archivio privato. Testo inedito conservato in più
versioni, di cui una inglese inviata al «Jounal of Near Eastern
Studies».</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote41">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote41anc" name="sdfootnote41sym">41</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 39.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote42">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote42anc" name="sdfootnote42sym">42</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
CE, p. 19.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote43">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote43anc" name="sdfootnote43sym">43</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
F. Jesi, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Le connessioni
archetipiche</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, p. 40.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote44">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote44anc" name="sdfootnote44sym">44</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
pp. 40-41; cfr. CE, p. 17-19.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote45">
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote45anc" name="sdfootnote45sym">45</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
F. Jesi, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Studi
cosmogonici</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in «Archivio internazionale di Etnografia e Preistoria», Torino,
vol. I, 1958, ed. S.A.I.E., Torino, pp. 46-47. Cfr. 54 ss.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote46">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote46anc" name="sdfootnote46sym">46</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 56.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote47">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote47anc" name="sdfootnote47sym">47</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 55.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote48">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote48anc" name="sdfootnote48sym">48</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
F. Jesi, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Le connessioni
archetipiche, </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">cit., p. 37;
cfr. p. 42-43.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote49">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote49anc" name="sdfootnote49sym">49</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 43-44.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote50">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote50anc" name="sdfootnote50sym">50</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 44.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote51">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote51anc" name="sdfootnote51sym">51</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
F. Jesi, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>L</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>archeologia
e i riflessi condizionati</i></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
dattiloscritto contenuto nel raccoglitore n. 4 dell’Archivio
privato di materiali risalenti al 1958-60, p. 2. Impossibile
risalire alla destinazione dello scritto.</span></span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote52">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote52anc" name="sdfootnote52sym">52</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
«Un archeologo in azione ricorda quello Sherlok [sic] Holmes che si
riduceva a studiare la composizione delle ceneri di sigarette per
scoprire il nome dell’assassino: non vi è mezzo di indagine che
sfugga al suo lavoro», ivi, p. 3. Cfr. C. Ginzburg, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Miti,
emblemi, spie. Morfologia e storia</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
(1986), Einaudi, Torino, 2000, pp. 158 ss.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote53">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote53anc" name="sdfootnote53sym">53</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 3.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote54">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote54anc" name="sdfootnote54sym">54</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 3-4.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote55">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote55anc" name="sdfootnote55sym">55</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 4.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote56">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote56anc" name="sdfootnote56sym">56</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 4-5.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote57">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote57anc" name="sdfootnote57sym">57</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
F. Jesi,</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i> L</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>origine
dell</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>uomo</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in «Storia illustrata», anno XVI, n. 100, Milano, marzo 1966, pp.
94 ss. Il saggio affronta anche le implicazioni ideologiche del
darwinismo, connesse agli echi del noto processo Scopes (il
cosiddetto </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Scopes Monkey
Trial</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> </span><span style="font-family: Garamond, serif;">che
si svolse nel 1925 in Tennessee) e alla discussione in ambito
cattolico (Pio XII, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Humani
generis</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, 1950).</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote58">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote58anc" name="sdfootnote58sym">58</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 95. Cfr. S. Giedion, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>L</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>eterno
presente</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, vol. 1, cit., p.
4: «La ragione per cui il simbolo compare così presto, prima
ancora dell’arte, risiede nella natura stessa del pensiero
dell’uomo. Il simbolo fu l’arma umana più efficace per
sopravvivere a un ambiente ostile. In nessun campo l’immagine
dell’uomo preistorico si mostrò attiva quanto nell’invenzione
di forme simboliche». </span>
</span></div>
</div>
<div id="sdfootnote59">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote59anc" name="sdfootnote59sym">59</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 96. Jesi ri rivolge al pubblico non necessariamente colto di una
rivista come «Storia illustrata».</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote60">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote60anc" name="sdfootnote60sym">60</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
Cfr. anche la </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Prefazione
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">(1972) di Mario Trevi ai
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Prolegomeni allo studio
scientifico della mitologia</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
ed. Bollati Boringhieri, Torino, 1972, p. 6: «Si tratterà
piuttosto di mostrare come nella natura puramente formale
dell’inconscio si possano reperire le matrici universali dei temi
mitologici. [...] Il mito non è per Jung l’archetipo, è bensì
il prodotto del suo operare».</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote61">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote61anc" name="sdfootnote61sym">61</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
M, p. 88-89. La fonte citata è: C. G. Jung, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>La
libido: simboli e strasformazioni</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
ed. it. Torino, Einaudi, 1965.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote62">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote62anc" name="sdfootnote62sym">62</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
M, p. 89.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote63">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote63anc" name="sdfootnote63sym">63</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
G. Didi-Hubermann, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Storia
dell</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>arte
e anacronismo delle immagini</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
cit. p. 109.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote64">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote64anc" name="sdfootnote64sym">64</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
W. Benjamin, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>I «passages»di
Parigi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, ed. it. Torino.
Einaudi, 2007, pp. 432 sg (la sezione </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Città
di sogno e casa di sogno, sogni a occhi aperti, nichilismo
antroplogico, Jung</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">); cfr. G.
Cuozzo, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>L</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>angelo
della melancholia</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, cit., p.
212.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote65">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote65anc" name="sdfootnote65sym">65</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
Ad esempio ‘junghiano’ è il passaggio che Jesi sintetizzava con
l’epressione più volte ricorrente «dall’ in me si pensa»
all’«io penso» M, p. 69; cfr. anche </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Le
origini dell</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>uomo</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
cit., p. 96.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote66">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote66anc" name="sdfootnote66sym">66</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
D. Dubuisson, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Mitologie del
XX secolo</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, cit. p. 48.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote67">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote67anc" name="sdfootnote67sym">67</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
E. Leach, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Natura/cultura</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Enciclopedia Einaudi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
Torino, 1980, vol. 9, pp. 762-763.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote68">
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm; orphans: 0; widows: 0;">
<span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote68anc" name="sdfootnote68sym">68</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
H. Blumenberg, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Elaborazione
del mito</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, cit., p. 72; su
Cassirer cfr. pp. 78 e 212.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote69">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote69anc" name="sdfootnote69sym">69</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
S. Moravia, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Jesi,
l</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>interprete
del mito</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, «Tuttolibri» de
«La stampa», Torino, 1980, p. 4.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote70">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote70anc" name="sdfootnote70sym">70</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
In particolare M, pp. 87 ss. e MM, pp. 98, 352.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote71">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote71anc" name="sdfootnote71sym">71</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
L’ammissione di Jesi del debito nei confronti del maestro francese
è confinata in un testo dalla pubblicazione postuma, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Bachofen</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
(B), p. 61.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote72">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote72anc" name="sdfootnote72sym">72</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
Questa la critica che lo Jesi dei </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Materiali
mitologici</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> (1979)</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">avanza verso lo
strutturalismo.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote73">
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote73anc" name="sdfootnote73sym">73</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
A. Schmidt, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>La
negazione della storia</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
(1969) ed. it. Milano 1972. Cfr. S. Moravia, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>La
ragione nascosta. Scienza e filosofia in Cl. Lévi-Strauss</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
Firenze, Sansoni, 1969; F. Remotti, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Lévi-Strauss.
Storia e struttura</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
Torino, Einaudi, 1971; </span>
</span></div>
</div>
<div id="sdfootnote74">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote74anc" name="sdfootnote74sym">74</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
R. Barthes, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Introduzione</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
(1959-60) a </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Il grado zero
della scrittura</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> (1953), ed.
it. Lerici, Milano, 1960, p. 16-17. </span>
</span></div>
</div>
<div id="sdfootnote75">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote75anc" name="sdfootnote75sym">75</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
J. -P. Faye</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>, Violenza</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Enciclopedia Einaudi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
vol. </span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">XIV,</span></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
Torino, 1981, pp. 1098 ss.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote76">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote76anc" name="sdfootnote76sym">76</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ibidem</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote77">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote77anc" name="sdfootnote77sym">77</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
Nell’Archivio di Jesi vi sono pagine autografe sulla critica come
«battaglia» risalenti al periodo 1958-61 che inducano a ritenere
che già allora l’influenza fosse molto forte: cfr. </span><span style="font-family: Garamond, serif;">W.
Benjamin, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>La tecnica del
critico in XIII tesi, </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">in</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
Strada a senso unico. Scritti 1926-1927</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
(1928), ed. it. Einaudi, Torino, 1983, p. 28). «I. Il critico è
stratega nella battaglia letteraria; II. Chi non sa prendere partito
taccia; III. Il critico non ha a niente a che spartire con
l’interprete di passate epoche artistiche; IV. La critica deve
parlare la lingua degli artisti. Perché i concetti del </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>cénacle</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">
sono parole d’ordine. E solo nelle parole d’ordine risuona il
grido di battaglia; V. Bisognerà sempre sacrificare l’obiettivià
allo spirito di partigiano, se la causa per cui ci si batte lo
merita.; VI. La critica è una questione morale. [...]; VII. Per il
critico i giudici d’appello sono i suoi colleghi. Non il pubblico.
E tanto meno i posteri; VIII. I posteri dimenticano o esaltano. Solo
il critico giudica al cospetto dell’autore; IX. Polemica significa
stroncare un libro in base a un paio di sue frasi. Meno lo si è
studiato meglio é. Solo chi sa stroncare sa fare della critica; X.
La vera polemica si lavora un libro con lo stesso amore con cui un
cannibale si cucina un lattante; XI. Il critico non conosce
l’entusiasmo per l’arte. L’opera d’arte è in mano sua,
l’arma sguainata nella battaglia degli spiriti; XII. L’arte del
critico in nuce: coniare slogan senza tradire le idee; XIII. Il
pubblico deve sentirsi sempre smentito e sentirsi ugualmente
rappresentato dal critico».</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote78">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote78anc" name="sdfootnote78sym">78</a>
<span style="font-family: Garamond, serif;">In uno scambio epistolare con Raffale
Pettazzoni, Jesi aveva sottoposto alcune sue ipotesi al maestro in
merito alla figura di Bès, ricevendo come risposta le seguenti
indicazioni: «Il suo argom. è interessante, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>se
riuscirà a provarlo</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;"> -
Quanto all'onnisc. di Bès, non mi pare abbia nulla a vedere con
l'argomento», cit. in M. Gandini, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Raffaele
Pettazzoni negli anni 1958-1959</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in «Strada maestra», n. 65, 2° semestre 2008, Quaderni della
Biblioteca ‘G. C. Croce’, S Giovanni in Persiceto, Bologna, p.
36.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote79">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote79anc" name="sdfootnote79sym">79</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
«I am convinced that this article is not ready for pubblication.
The treatment appears extremely subjective and the language
difficult to follow». Lettera a F. Jesi di K. C. Seele, editor del
«Journal of Near easter studies», 2 luglio 1960, con la quale si
richiedeva una differente versione dell’articolo </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Expressions
of space and time in middle egyptian</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote80">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote80anc" name="sdfootnote80sym">80</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
F. Jesi, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Così Kerényi mi
distrasse da Jung</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>(auto)intervista su un
itinerario di ricerca, </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">in
«Alias», n. 30, luglio 2007, p. 21 (Testo inedito parzialmente
pubblicato in MM, pp. 365, 367).</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote81">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote81anc" name="sdfootnote81sym">81</a><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
D. Bidussa, Macchina mitologica e indagine storica. </i></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>A
proposito di</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">
Pasque di sangue </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>e
del «mestiere di storico»</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in </span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Vero
e falso. L</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>uso
politico della storia</i></span></span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
(a cura di M. Cafiero e M. Procaccia), Donzelli, Roma, 2008, </span></span><span style="font-family: Garamond, serif;">p.
154.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote82">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote82anc" name="sdfootnote82sym">82</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ibidem</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">;
cfr. J. M. Lotman e B. A. Uspenskji, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ricerche
semiotiche. Nuove tendenze delle scienze umane nell</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">’</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Urss</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
Einaudi, Torino, 1973.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote83">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote83anc" name="sdfootnote83sym">83</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 155.</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote84">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote84anc" name="sdfootnote84sym">84</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
Cfr. C. Miglio, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Metastoria</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
in M. Cometa, </span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Dizionario
degli studi culturali</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">, (a
cura di R. Coglitore, F. Mazzara), Meltemi, 2004, Roma, pp. 272-282
(anche in
http://www.culturalstudies.it/dizionario/lemmi/metastoria.html).</span></span></div>
</div>
<div id="sdfootnote85">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote85anc" name="sdfootnote85sym">85</a><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>
</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">D. Bidussa</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>,
Macchina mitologica e indagine storica, </i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">cit.</span><span style="color: black;"><span style="font-family: Garamond, serif;">,
</span></span><span style="font-family: Garamond, serif;">p. 155-156. </span>
</span></div>
</div>
<div id="sdfootnote86">
<div align="JUSTIFY" class="sdfootnote" style="margin-left: 0cm; text-indent: 0cm;">
<span style="font-size: large;"><a class="sdfootnotesym" href="http://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7454319403885485762#sdfootnote86anc" name="sdfootnote86sym">86</a><span style="font-family: Garamond, serif;">
</span><span style="font-family: Garamond, serif;"><i>Ivi</i></span><span style="font-family: Garamond, serif;">,
p. 160.</span></span></div>
</div>
arrigo malerahttp://www.blogger.com/profile/00084438071883717161noreply@blogger.com1