Angeli dagli occhi neri nuotavano con me
Una luna piena di stelle e macchine astrali
Tutte le figure che ero solito vedere
Tutte le mie amanti erano lì con me
Tutto il mio passato ed il futuro
E andammo tutti in paradiso su una piccola barca a remi
Non c'era nulla da temere e niente di cui dubitare
Mi sono tuffato nel fiume
Angeli dagli occhi neri nuotavano con me
Una luna piena di stelle e macchine astrali
Tutte le figure che ero solito vedere
Tutte le mie amanti erano lì con me
Tutto il mio passato ed il futuro
E andammo tutti in paradiso su una piccola barca a remi
Non c'era nulla da temere e niente di cui dubitare
Non c'era nulla da temere e niente di cui dubitare
Non c'era nulla da temere e niente di cui dubitare
Radiohead, Pyramid song, Amnesiac
1.
Dalle carte di Niccolò Steno. Egitto, 4 ottobre 1582
L’aria è cupa e densa di tenebra, mi sembra di essere sul fondo limaccioso di un pozzo, fa freddo e ho paura. C’è qualcosa fuori dal mio campo visivo che mi paralizza: credo di essere sveglio, provo a muovermi ma non ci riesco, provo a parlare ma non succede niente. Avverto la presenza, il suo odore di terrore si avvicina lentamente, fino a quando mi sveglio con un senso di angoscia inesplicabile. è il mio sogno ricorrente, mi accompagna come gli uccelli marini hanno seguito la nave che mi ha portato fin qui.
L’ho sentita la prima volta, bambino, in un paese della Provenza, in viaggio con mio padre verso il convento. Durante una processione per scongiurare la peste, un vecchio - lo dicevano cataro - aveva avuto la sconsiderata idea di uscire di casa. La folla rumorosa, scomposta, furibonda aveva dato fuoco alle sue vesti tra insulti rabbiosi, risate volgari e battute oscene. Corsi via, scosso dai conati di vomito, per perdere i sensi in un fosso poco fuori dal centro abitato. E nel regno delle ombre l’avevo incontrata. Risvegliarsi per gli scrolloni di mio padre, ritrovare il sole e l’odore sgradevole e familiare degli uomini, degli animali e dell’erba e delle strade sporche, scoprire di essere ancora vivo e in questa dimensione, mi era sembrato meraviglioso. Da allora la sua ombra ha sempre camminato non troppo lontano. Per questo posso dire che ho sempre avuto paura e dubitato di tutto. L’ho intravista così tante volte che con il tempo ha cominciato a far parte dello sfondo della mia vita. In ogni paese, ogni luogo, ogni stanza. Così ho iniziato a ignorarla. È come recitare il rosario fino a quando stremato non ti addormenti, avendo cura di non lasciare spazi tra una parola e l’altra e senza mai aprire gli occhi né sporgere testa, mani e piedi fuori dalla coperta. Funziona. Allora la sua immagine si è ripresentata sotto forma di sogno. Sogno di sognare di sognare, svegliarmi è come chiudere alle spalle le porte di tanti ambienti che sembrano non finire mai. La sento avvicinarsi, allora comincio ad agitarmi e poi mi sveglio. L’ho evitata. Ma so che da qualche parte c’è qualcosa che mi aspetta per fare a pezzi la mia anima, trascinarla negli abissi del buio e del dolore, dove è pianto e stridore di denti.
Per questo adesso sono qui: avere il coraggio di rimanere immobile e aspettare che la Presenza manifesti il suo volto. Altri sono stati con me, ma oggi sono solo. Oggi è il 4 ottobre 1582. Domani per i Signori del tempo sarà il 15 ottobre. Da mesi si prepara la riforma del nostro calendario per rimediare agli errori di calcolo degli equinozi. Miserabili. Come se fossero questi gli errori da emendare. Nei Dieci-giorni-che-non-sono, io ho la possibilità di essere: mi aspetta l’ingresso della Piramide. Dieci giorni per scendere le scale degli Arconti e stare da solo a solo con il Rettile la cui testa è Paura e la coda Dubbio.
2.
Roma, gennaio 1600
Il freddo buio e silenzioso che pungeva e trafiggeva le sue ossa fu per un attimo interrotto dalla lama di luce che filtrava attraverso la porta. Dopo una lenta esitazione lo riconobbe sotto il pesante mantello con il cappuccio, il suo portamento era sicuro e rapido, silenzioso e circospetto. Gesti scolpiti come nella pietra, scatti perentori di chi da lungo tempo non si permette indecisioni, attutiti e sommessi nel fruscio delle vesti: «Abbiamo poco tempo, tieni questo. È tutto quello che sono riuscito a fare.»
Nonostante la lunga permanenza al buio e gli occhi ridotti a strette fessure, Niccolò vide il nuovo venuto tenere in una mano un lume ad olio dal fioco bagliore, alto sopra la testa, l’altro braccio ospitava una coperta. La mano gli porse un involucro.
«Signore benedetto, come sei ridotto», commentò Zenone, «pazzo incosciente che non sei altro.»
Con la lentezza delle membra provate dalla tortura, ma che pure in piena salute non avevano mai conosciuto il guizzo e la rapidità, Niccolò trasse fuori un soffio di lente e faticose parole: «strano vederti, frater, sono anni.»
La figura, solenne come un Arconte del Settimo cielo, lo zittì rapido sussurando: «Lascia perdere, non siamo fratelli. Sei spacciato e lo sai, la tua autodifesa ha irritato anche quei pochi che avrebbero voluto evitarti la morte. Non posso fare nient’altro che portarti queste poche cose. La coperta la riprendo, la sua presenza qui desterebbe troppi sospetti.»
«Sei venuto solo per dirmi questo?» fluì lento Niccolò.
«Non farmi perdere le staffe anche quando stai per morire», staffilò Zenone. Avvolgendosi dentro la coperta, rimanendo sdraiato sull’asse di legno, il prigioniero rispose: «questa mi serve, ti ringrazio, del cibo non me ne faccio niente. Quanto alla mia sorte, non mi dici nulla di nuovo. Ho incominciato a camminare verso questo momento fin dai primi giorni delle nostre letture».
«Taci!» Interruppe secco l’altro. «Se ti sono stato compagno nell’errore è stato per un istante, e sono passati lustri. Ho rimediato ai miei errori da tempo.»
Il ridestarsi di Niccolò era completo e le parole uscirono maliziosamente insinuanti anche nel suono, ma senza rabbia: «Questo è vero, visto che sei tu che decidi quali libri devono essere bruciati.»
Occhi di collera avvamparono perforando il buio. Si percepiva un enorme sforzo di autocontrollo: «Sentiamo che cosa avrei dovuto fare? Offendere i sacramenti, irridere i fondamenti dell’ordine come hai fatto tu negli ultimi quindici anni – e qui la voce si fece un sussurro appena udibile - o andarmene in Oriente a praticare culti blasfemi e demoniaci?»
Niccolò, dopo una lunga pausa che sottolineò lo scarto tra la formulazione delle parole nel pensiero e la loro espressione, disse: «Ho celebrato Colui-che-forse-È e spinto la mia osservazione fin dove si poteva, cercando il sapere che viene dalle cose. Pietre, metalli, fuochi e acque – sembrava intonare una struggente litania – materie e forme, pesci e uccelli, rettili e quadrupedi, epoche trascorse e vizi sempre uguali. Ho fatto come Talete che ha misurato l’ombra della Piramide dopo avere osservato l’ombra del suo corpo nell’ora in cui è uguale alla sua altezza.»
L’impazienza e il nervosismo dell’altro erano sempre più difficili da trattenere, un sibilo tra denti stretti: «Me lo dicevano che eri completamente pazzo. Parli come uno stregone.»
«Amo quello che tu e i tuoi amici calunniate, assassini di animali migliori di voi. Sei tu che hai dimenticato il geroglifico vegetale che nutre l’animale universo e metti i tuoi sigilli al fondo di documenti che invitano a crocefiggere i gatti…»
La furia di Zenone ormai era evidente in ogni gesto: «Miserabile pazzo, la tua poesia non ha mai sfamato nessuno, né potrà fermare gli eserciti. L’unico Dio Uno e Trino garantisce l’ordine, gli incolti sono feccia incapace di capire. Il nostro dovere è arginare la marea. Ora devo andare. Sei perduto. Di te non resterà traccia.»
Niccolò si lasciò lentamente cadere, senza più guardare il suo interlocutore; mentre la guardia armeggiava con la serratura, disse con voce ferma: «Ma come può a Malta un dente di pescecane trovarsi dentro uno strato di roccia?»
Ma l’altro era gia fuori e il sinistro clangore della porta richiusa si portò via le ultime parole. Nel buio il silenzio faceva compagnia al respiro di Niccolò. La coperta, comunque, era rimasta lì. Ormai la Paura e il Dubbio non potevano nulla contro di lui.
3.
Roma, 16 febbraio 1600.
Quando Niccolò Steno entrò con le catene ai polsi, rivestito di una tunica bianca e accompagnato da un drappello di guardie armate e preceduto dal crocefisso, l’aula del palazzo arcivescovile era già gremita di prelati in abito talare, notai con i loro scranni per la cancelleria, nobili e dame con i loro seguiti e armigeri ai lati per tenere a bada una folla di borghesi e popolani che erano riusciti a entrare. Molti altri attendevano fuori vociando scompostamente, sotto lo sguardo severo di soldati duri e legnosi come stoccafissi. La magrezza estrema, dovuta ai patimenti subiti durante la carcerazione e al rifiuto di prendere cibo, la cerchiatura violacea degli occhi e l’aspetto da animale ferito che caratterizzava quell’eretico lunare e curvo suscitava non poca compassione tra gli astanti di ogni rango. Un lusso che da anni pochi si potevano permettere. Nessuno osava tenere il suo sguardo, dolce, liquido e febbrile al tempo stesso. Il cardinal Zenone **********, costantemente incappucciato tra i membri del Collegio inquisitoriale, serrò involontariamente la mandibola, pensando alla distanza e alla posizione che lo separava dall’accusato; il suo giudizio sui testi di Steno aveva confermato le richieste di una condanna severa. La lunga cantilena iniziale in latino e la serie di locuzioni in volgare che elencavano le accuse rivolte al condannato, perché di fatto lo era già per tutti e da tempo, era per tutti priva di qualsiasi significato, considerato che le accuse, le testimonianze e anche le logiche retrostanti la denuncia erano false. Servì solo per aumentare la tensione fino a quando il tono stesso sembrò suggerire una conclusione. Niccolò udiva il suono remoto della voce come se fosse la medesima di Ade, solo meno fragorosa.
Per il che essendo stato visto e considerato il processo contra di te formato e le confessioni delli tuoi errori ed eresie con pertinacia e ostinazione, benché tu neghi essere tali, tutte le altre cose da vedersi e considerarsi: proposta la tua causa nella Congregazione nostra generale e quella votata e risoluta, siamo venuti all’infrascritta sentenzia. Invocato dunque il nome di Nostro Signore Gesù Cristo e della sua Gloriosissima Madre Sempre Vergine Maria, per questa nostra definitiva sentenzia, quale di consiglio e parere dei Reverendi Padri Maestri di Sacra Teologia e dottori de l’una e l’altra legge, nostri consultori, proferiamo in questi scritti, diciamo, pronunziamo, sentenziamo e dichiariamo te fra’ Nicolaus Steno predetto essere eretico impenitente pertinace ed ostinato e perciò essere incorso in tutte le censure ecclesiastiche e pene dalli sacri canoni, leggi, costituzioni. E come tale te dichiariamo dover essere scacciato, si come ti scacciamo dal foro nostro ecclesiastico e dalla nostra santa e immacolata Chiesa della cui Misericordia ti sei reso indegno; e dover essere rilasciato alla corte secolare per punirti delle debite pene. Di più condanniamo e proibiamo tutti gli sopradetti ed altri eresie ed errori, ordinando che tutti quelli che sin d’ora si sono avuti, e per l’avvenire verranno in mano del Santo Officio, siano pubblicamente guasti ed bruciati sulla pubblica piazza, e come tale che siano posti nell’indice de libri proibiti, sì come ordiniamo che si faccia’.
La lettura della lista dei firmatari del documento, si perse mentre il brusio aumentava di volume, fino a diventare protesta per la strada, mentre gli armigeri serravano le alabarde con cui trattenevano la folla, le dame sussurravano concitatamente tra loro e alle orecchie delle damigelle, i cardinali rigidie seduti muovevano solo gli occhi gli uni alla ricerca di quelli degli altri, i segretari assorti nell’inchiostro delle loro pagine.
Niccolò dal canto suo era già altrove da tempo. Pensava, se può essere pensiero uno stato di coscienza così diverso da quello che l’aveva fatto grande, tagliente e rapido come una lama nel buio, caldo e generoso come un fuoco nella notte, all’incontro con la Presenza notturna da cui non si era mai più separato dopo il viaggio in Egitto. Al silenzio, alla ricerca, alla notte oscura, alla catena dei maestri, alle scale e alle soglie. Al Rettile la cui testa è Paura e la coda Dubbio davanti a lui nel cerchio tracciato intorno a sé, che gli sussurra insistente e crudele: «Sei come me.»
Al fondo della Piramide aveva scoperto che l’orrore non era niente più delle forme con le quali gli pareva di averlo intravisto. Non aveva conosciuto sua madre, morta di parto, e il padre, un banchiere al servizio del duca di §§§§§§§, non aveva tardato molto ad affidarlo al convento domenicano per la sua educazione. La Presenza l’aveva sentita in paesi spettrali stando vicino ai malati di peste, riducendo fratture e cucendo ferite senza chiedere come erano state procurate, nei bambini malnutriti che se andavano via senza un lamento, nelle bestie stremate rese pazze dalla fatica, nella figlia del conte aiutata a sbarazzarsi di un fardello che le sarebbe costato la vita. Nelle tonache luride dei conventi, nelle storie oscene dei viaggiatori, negli sguardi privi di espressione dei villani, negli zibellini e nelle dita inanellate, nella sale gremite di pedanti delle università, nelle piazze solenni e tremanti, eccitate e oscene delle pubbliche esecuzioni. Era stato come essere davanti a uno specchio e avere davanti a sé tutti i giorni di tutti gli uomini di tutti i tempi. Ora infine i rapporti tra le cose e l’ombra si erano invertiti. Adesso era quest’ultima a dominare la scena, e il mondo era un paesaggio distante e incolore con molteplici forme indefinite che si agitano senza posa parlando lingue sconosciute.
Quasi solo il cardinal Zenone, membro eminente del Collegio inquisitoriale, lesse sulle labbra esangui dell’eretico, parole distinguibili in una frase, che peraltro sarebbero risultate incomprensibili ai più in ogni circostanza. Le stesse che risuonavano da qualche parte nella sua mente, come provenienti dall’oltretomba, rimbalzando dalla memoria di segreti scambiati vent’anni prima. Dopo le lezioni, poi sussurrati tra piacere, timore e sorpresa, all’alba in boschi brumosi e poi ritrovati su pagine meravigliose e terribili stampate all’estero da qualche editore coraggioso.
Di come i denti di pescecane possano trovarsi nella roccia e cosa leghi ombre delle piramidi alle ombre umane sarebbe stato il fuoco a decidere.
4.
Per tutta la giornata i martelli avevano scandito il tempo, con il loro sinistro rintoccare. Tutti sapevano che quello che era stato montato con energica solerzia era un palco per il rogo previsto. Inutilmente le acque del cielo avrebbero ostacolato le fiamme ravvivate dalla pece. La notte del carcere era popolata di silenzi pesanti, nell’ora che precede la morte. La cella sembrava più piccola rispetto all’ultima volta. Due uomini e il condannato la occupavano.
Mi sono tuffato nel fiume, cosa ho visto?
I nostri cuori saranno due grandi fiaccole
Ma tu chi sei?
«Ha la febbre alta, magister.» La voce del giovane speziale era rotta dall’emozione. «Non siamo qui per curarci della sua salute», rispose la figura incappucciata, famigliare a quei sotterranei, incapace nonostante tutto di pensare agli insetti che si agitavano nel buio senza provare un doloroso senso di nausea.
Negli animali le loro parti sono in continua alterazione e moto, ed hanno un certo flusso e reflusso, dentro accogliendo sempre qualche cosa dall’estrinseco e mandando fuori qualche cosa dall’intrinseco.
«Ho paura magister», ed era vero; le mani tremavano nel cercare di aprire il sacchetto nascosto sotto lo scapolare.
«Avrai la tua assoluzione, se è quello che temi.»
«Non è quello, sapete voi cosa è opportuno, non sono uso a discutere con un gigante di Nostra Madre Chiesa cosa è cristiano e cosa non lo è. Il posto… mette i brividi.»
«Ora taci e fai in fretta», intimò severo Zenone.
Angeli dagli occhi neri nuotavano con me
Essendo che ogni cosa partecipa della vita molti ed innumerevoli individui vivono non solamente in noi ma in tutte le cose composte.
Una sera di rosa e azzurro mistico ci scambieremo un unico bagliore simile a un lungo singhiozzo risonante di addii
Io sono l’Intelletto della Sovranità Assoluta
Gli occhi del prelato alla fioca luce del lume cercarono di abbracciare la figura del condannato, simile alla sua in giorni in cui i destini sembravano intrecciati. Erano tempi diversi, pensò Zenone, in cui il fossato che separa l’errore dalla verità non era ancora stato scavato, e in cui giocare agli infiniti mondi e leggere libri proibiti si poteva ancora fare.
Tutte le figure che ero solito vedere, al di sopra degli stagni, delle valli, delle montagne, dei boschi, delle nubi, dei mari, oltre il sole e l’etere, al di là dei confini delle sfere stellate
Chi ben considera saprà che giovani non abbiamo la medesima carne che avevamo quando eravamo fanciulli e vecchi non abbiamo quella medesima quando eravamo giovani, perché siamo in continua trasmutazione
So quello che tu vuoi e sono con te dappertutto
«Non ci sente, magister. È dalla condanna che le guardie riferiscono uno stato catatonico e nessuno dei confessori mandati a parlargli è riuscito a cogliere lumi di intelletto.» Zenone aveva profondamente amato quel corpo, la lingua tagliente e lo spirito arguto, altrettanto sottile ma diverso da quello proprio, incline alla mediazione e poco avvezzo al conflitto. Li aveva uniti il disprezzo per la mediocrità, la passione per le lettere, la fede sentita come impegno e ricerca interiore. L’abbandono di quella vita gli era costato non poco, ma non si rinuncia a una sede vescovile e a una carriera di inquisitore se porti il nome che porti.
Fuggi lontano da questi miasmi pestiferi
Una luna piena di stelle e macchine astrali
Il principio ordisce la tela, intesse le fila, digerisce e distribuisce gli spiriti, infibra le carni, stende le cartilagini, salda l’ossa, ramifica li nervi, incava le arterie, infeconda le vene, fomenta il core, inspira i polmoni.
Guarda bene nel tuo intelletto tutto quello che vuoi sapere
Io ti istruirò
Bisogna pur sapere crescere, Signore Iddio, e riconoscere le sacre verità della fede dalle schermaglie dialettiche e dagli incantamenti del maligno che suole irretire le menti migliori facendo leva sull’orgoglio che scatena le menti. Lo aveva amato, ma era un altro tempo, decisamente.
«Procedi allora Teofilo, abbiamo poco tempo. Sarà difficile giustificare alla Congregazione quanto sta per accadere.» Dopo aver fissato intensamente il superiore, lo speziale estrasse dalla sacca un cucchiaio. Lentamente lo immerse nel sacchetto che teneva con l’altra mano.
Tutte le mie amanti erano lì con me
Gli egizi sanno che sono nel grembo della natura, la quale come dal mare e fiumi dona i pesci, da gli deserti gli animali selvatici, da le miniere li metalli, dagli alberi le poma.
La fonte da cui procede il corpo individuale è la somma oscurità, da cui viene la natura umida
Niccolò continuava a essere privo di coscienza, immerso in un sonno scosso da brividi e brevi schiocchi delle labbra e contrazioni involontarie. Non sentì il cucchiaio che lo speziale Teofilo, sotto lo sguardo vigile e attento di Zenone, gli appoggiò alle labbra socchiuse, aiutandosi con l’altra mano per far arrivare il contenuto alla gola. «Non soffrirà magister, se ne andrà senza svegliarsi, come avete chiesto», la voce di Teofilo era un sussurro.
Tutto il mio passato ed il futuro
Ciò che era seme si fa spiga, da che era spiga si fa pane, da pane chilo, da chilo sangue, da questo seme, da questo embrione, da questo uomo, da questo cadavere, da questa terra.
Se potessi tenerti tra queste braccia
Attraverso la natura umida il corpo è costituito nel mondo sensibile
Dove si abbevera la morte
I due uomini in piedi fissavano il terzo disteso, finalmente rilassato, per un tempo interminabile. Se c’erano rumori nel sotterraneo, loro non erano in grado di sentirli. Dopo un po’ il più giovane osò parlare: «Ormai non ci sente più. Il veleno deve essere giunto al cuore.» Insieme fecero il segno della croce, mentre una muta preghiera attraversava la mente del più anziano. Il gesto estremo era compiuto, è tutto finito. Doveva solo dimenticare. Ma la luce che filtrava come da una porta chiusa dietro cui splenda una fiamma intensa si accese nella sua mente, impedendo il buio desiderato. Lampi più luminosi dei fuochi greci che avevano progettato insieme si accesero molesti, senza che fosse possibile allontanarli. Era stato lui a iniziare tutto. Quando suo padre aveva ricevuto in dono quel prodigio da Malta, il dente di pescecane incastrato nella roccia, non sapeva che l’ossessione d'infanzia sarebbe stata condivisa con il compagno di gioventù. Insieme avevano iniziato a cercare di capire come un corpo solido possa stare all’interno di un altro corpo solido. Di lì alla prima dissezione clandestina il passo non è poi così lungo. La via era aperta e ogni cosa parlava di ogni cosa. Il segno dell’aria che bagna le geometrie arboree, il fuoco che danza e trasforma ciò che sta in basso e ciò che sta in alto, la metamorfosi che esplora i mondi. Dubitare di tutto e cercare nuove strade. Ma era stato l’altro a continuare. Lui aveva dimenticato la posizione che cambia. Aveva scelto la definizione, e di non essere più né muto pesce del mare né fanciulla. Di non avere paura e di non dubitare. Lui non c’era stato più a un certo punto, perché per lui dopo il 4 ottobre 1582 era seguito il 15. Ma sapeva che c’era un’uscita dalla Piramide.
Ave Maria, gratiae plena hoc est meum corpus
Si noi fossimo ne la luna o in altre stelle non saremmo in loco molto dissimile a questo. Non più è imprigionata la nostra ragione coi ceppi de fantastici mobili e motori otto, nove e dieci
Una la forma una la materia una la cosa
E così porta i fratelli, i suoi tesori e i suoi figli, fragoroso di gioia, in seno alla madre che attende
Angeli dagli occhi neri nuotavano con me
Zenone si rivolse a Teofilo. «Inginocchiati, ti assolvo», ordinò mentre l’altro obbediva.
«Ora te ne andrai.»
«Ma magister, non devo fare altrettanto con voi? Non venite…» proruppe stupito dal cambiamento di programma.
«Fai come ti ho detto. Ora vai via,» lo interruppe secco.
Sai Sofia sei sei Sofia
La mutazione non cerca altro essere ma è altro modo di essere
Nessun corpo nel suo luogo è assolutamente grave o lieve
Tu stai con il cuore inesplorato aperto e impenetrabile sopra il mondo attonito
Sospeso sull’acqua e sulla terra simile agli dei
Una luna piena di stelle e macchine astrali
Tutto il mio passato ed il futuro
I loro coltelli non avranno potere su di me
Perché conosco i loro nomi
Andremo in paradiso su una piccola barca a remi
Lo sapeva perché Niccolò aveva voluto raccontarglielo al ritorno dall’Egitto. Poco prima che si separassero per diciassette anni, dopo una lite furibonda. L’uscita dalla Piramide la trova solo chi ha guardato a lungo in faccia il Rettile.
Rimase a lungo in silenzio mentre la sua mente traboccava di immagini e parole che credeva cancellate, il cuore martellante in petto. Poi decise. Non volle tracciare il cerchio, né pronunciare la formule di rito. Non perché non ne avesse il tempo, ma perché lo ritenne superfluo, o forse inutile.
Come Talete misurò l’ombra della Piramide dopo aver osservato l’ombra del suo corpo nell’ora in cui è uguale alla sua altezza, prese le misure delle sua esistenza, sottratta all’infinito processo e all’ininterrotta espansione. Allora pianse, a lungo, e piangendo, non gli rimase che estrarre il rasoio nascosto nel saio. Si asciugò le lacrime e senza solennità, con gesti precisi e netti si recise le arterie all’altezza dei polsi e delle caviglie. Poi si lasciò cadere dolcemente sul giaciglio a fianco delle spoglie di Niccolò, mentre il liquido caldo sgorgava dolcemente come da una fonte stillante miele.
Non c’era più nulla da temere e niente di cui dubitare.