Il 17 febbraio 1600 Giordano Bruno veniva arso sul rogo in quanto filosofo spregiudicato “d’ogni legge nemico e di ogni fede”, condannato come “eretico pertinace e ostinatissimo”. Bruno non è mai stato un precursore della scienza quanto piuttosto «uno degli ultimi accaniti difensori della cultura fantastica» (Culianu), esponente di un pensiero magico rinascimentale che si può tranquillamente considerare un ermetismo gnostico.
Benché filologicamente e storicamente sia anacronistico, similmente a Spinoza e in Italia ancora di più, Bruno è diventato trecento anni dopo la sua morte un martire del libero pensiero e simbolo del pensiero laico. La scuola in cui insegno è a lui dedicata anche per questo.
Di seguito un mio intervento sul senso del copernicanesimo come gesto culturale di autoaffermazione.
Abstract:
L'ideologia è lo sfondo intellettuale comune a più ambiti della cultura di una società o di un'epoca: anche i saperi scientifici, lungi dall'essere neutri, incorporano visioni del mondo e si configurano come modelli teorici mutevoli il cui successo deve essere letto in rapporto al potere dominante. Ogni sapere, funzionale o antagonista a un potere, riproduce in forma larvata il campo sociale in cui è prodotto servendo implicitamente o esplicitamente gli interessi conflittuali dei gruppi che costituiscono la società. Da questo punto di vista la contrapposizione tra eliocentrismo copernicano e geocentrismo aristotelico-tolemaico è stata anche lo scontro tra la concezione dell'uomo propria della Chiesa e quella avanzata dalla nascente rivoluzione scientifica. L'idea bruniana di un universo infinito, strettamente solidale al suo panteismo, è allora un atto di rivolta contro l'antropologia cristiana e, rientrando nel progetto moderno di liberazione dell'uomo dalla soggezione teocentrica, lo consegna a nuova dimensione di libertà e responsabilità.
1. Nel 1962 Thomas Kuhn, storico e filosofo americano pubblicava un testo molto importante:
La struttura delle rivoluzione scientifiche, nel quale ha sostenuto la teoria dei paradigmi. Paradigma, dal greco 'esempio', indica un modello teorico: una concezione scientifica del mondo come complesso organizzato di saperi che implica teorie e pratiche.
La storia è susseguirsi di visioni del mondo di cui le teorie scientifiche sono un aspetto fondamentale:
teorie e concezioni della realtà vivono periodi di stabilità ('scienza normale') a cui fanno seguito momenti di 'rottura rivoluzionaria'; per Kuhn la rottura rivoluzionaria si crea quando un modello esplicativo della realtà, sotto la pressione dell'emergere di nuovi fatti o scoperte, non è più in grado di rispondere alla esigenze e alle nuove domande che sorgono.
Un paradigma corrisponde a un quadro concettuale che interagisce con altre forme di sapere parallele alla sua epoca e soprattutto con il modo in cui saperi sono collegati al potere dominante e di cui difendono gli interessi: in questo senso il filosofo francese Michel Foucault (Le parole e le cose, 1966 Archeologia del sapere, 1969) ha definito episteme di un'epoca l'insieme di conoscenze e tecniche di un'epoca legate tra loro (scienza, storia, economia, medicina, letteratura) dalle quali emergerà un tratto comune e caratterizzante quel mondo.
Hans Blumenberg, La legittimità dell'età moderna (1966), ha sostenuto ad esempio che i saperi scientifici e filosofici vanno considerati come 'metafore assolute', ovvero come immagini del mondo da cui si può comprendere come gli uomini concepiscono la loro realtà e il loro mondo.
In questa nozione più ampia ideologia va intesa come immagine della realtà che un determinato gruppo umano condivide e non solo nel senso più stretto di 'falsa coscienza' o 'rappresentazione falsa per scopi di potere':
a. la scienza emerge da una base di idee extrascientifiche che ne forma il sostrato umano e lo stimolo esistenziale;
b. la concezione dell'uomo e del mondo è funzionale a un certo tipo di forma di potere; la sua forma opposta diventa quindi cultura di opposizione.
c. la lotta per le idee scientifiche e per la cultura è anche una lotta politica.
2. Usciamo dalla teoria e veniamo al caso dei rapporti tra geocentrismo e eliocentrismo: la raffigurazione aristotelico-tolemaica della Terra al centro dell'Universo, oltre a essere una dato ingenuo e intuitivo che deriva dall'osservazione si è rivelata funzionale al potere dell'Ancien Régime e della Chiesa cattolica in particolare: ciò non è solo giustificato dalla cristianizzazione di Aristotele e dalla conformità del testo biblico.
Raffigurare la Terra al centro dell'Universo voleva dire riconoscere l'unicità della Creazione umana e della storia come storia della Salvezza: se la Terra è al centro dell'Universo l'uomo è il fine del creato e di un progetto di senso che inizia con la Creazione passa attraverso l'Incarnazione di Cristo, resa necessaria dal bisogno di salvare l'Umanità dopo il Peccato originale.
Facendosi garante del geocentrismo, con la sua immagine di ordine e regolarità di cui l'Uomo è beneficiario, la Chiesa al tempo stessa garantisce l'oridne e la regolarità del Progetto di salvezza e di legge natuale che implica ordine politico, stratificazione sociale, gerarchia e gestione dell'economia così come avviene nell'Europa moderna e nelle società di Antico regime.
Quando si fa strada la teoria di Copernico nella seconda metà del '500 (contro la stessa volontà di Copernico) l'effetto sulle menti più lucide è un primo radicale disincanto del mondo: se la Terra è un pianeta come un altro, una scheggia di roccia lanciata nello spazio insieme ad altre, l'uomo perde la sua centralità, trovandosi a essere un frutto del caso; la Terra non è più centro di simpatie, energie e influssi cosmici, l’uomo non è più il suo centro. L'astro in movimento nell'infinità degli spazi è dunque uno specchio dell'autorappresentazione dell'uomo dell’età moderna.
La Terra viene neutralizzato diviene un corpo celeste come tutti gli altri e l’uomo di conseguenza viene detronizzato: Pascal ha scritto che l'uomo è un «re decaduto» illustrando la miseria di fronte al mistero dell'essere; Freud ha scritto che la Rivoluzione copernicana è stata la prima grande ferita narcisistica degli uomini, il prima ferita al nostro orgoglio e al nostro amor proprio, la prima grande verità che ci umilia e ci offende ma con cui dobbiamo fare i conti: le altre due saranno la teoria dell'evoluzione e la scoperta dell'Inconscio.
L'uomo copernicano si trova lontano dalle concezioni tradizionali del divino, di cui incomincia a dubitare seriamente e simile all'orfano abbandonato, trova la strada per un'«autoaffermazione» garantita dalle sue sole forze, il sapere e la sua capacità di imporsi sulla natura (secondo il progetto umanistico di Homo faber) che sono alla base della Rivoluzione scientifica.
Se il cosmo tolemaico è ideologicamente funzionale al potere della Tradizione, il cosmo copernicano esprime una nuova interpretazione del ruolo dell’uomo nel mondo: il mondo copernicano è l’operazione critica che toglie legittimità al principio della teleologia della causa finale e afferma la teoria dell'uomo che costruisce da sé il suo mondo.
3. In Bruno l'eliocentrismo copernicano viene portata alle estreme conseguenze e radicalizzato, sfocia in un panteismo naturalistico non solo anticlericale ma anche anticristiano.
Vediamo brevemente gli aspetti caratteristici della cosmologia di Bruno:
1. abbattimento delle mura esterne dell'Universo
2. pluralità dei mondi e loro abitabilità
3. identità di struttura e materia tra cielo e terra
4. omogeneizzazione e geometrizzazione della spazio cosmico
5. infinità e a-centricità dell'universo
Per Bruno l'Universo è infinito nello spazio e illimitato nel tempo: ovvero vi è molteplicità di sistemi solari, inesauribilità di mondi e creature. In più la concezione del cosmo è inseparabile da quella etica: astronomia, filosofia e immaginazione sono strettamente collegate.
Fino alla fine Bruno distoglie lo sguardo dal Crocefisso che gli viene posto e rifiuta qualsiasi riconciliazione; in questo noi non dobbiamo leggere solo la rabbia di un uomo imprigionato e condannato a morte contro i simboli di chi lo ha condannato, ma anche una professione filosofica.
L'incarnazione è proprio ciò che Bruno non intende accettare, perchè significherebbe accettare la conclusione dell'opera creatrice del Divino fattosi uomo.
Se il mondo ha la sua causa in un essere infinito il mondo deve per forza essere infinito.
Bruno rifiuta l'incarnazione di Cristo e l'evento di salvezza incentrato sull'uomo in nome di una nozione diversa di divinità, immanente e naturalistica che non si esaurisce una volta per tutta ma continua in ogni processo di trasformazione della materia dell'Universo.
Le azioni degli uomini costituiscono la continuazione di questo processo: Bruno dimostra alla sua epoca che l'abbandono del geocentrismo non significa annientamento dell'uomo di fronte all'universo; scoprendo la propria finitezza l'uomo scopre piuttosto la sua grandezza morale.
Essere umano è fatica, ingegnosità, lavoro, le mani e l'ingegno sono la vera redenzione, continuazione dell’opera creatrice dell’energia divina.
Al farsi uomo di Dio (in Cristo) Bruno contrappone una partecipazione dell'uomo al divino nel concetto di metamorfosi all'interno di un eco-sistema aperto. La responsabilità dell'uomo consiste nell'essere parte di un sistema più complesso che include forme di vita animali, vegetali e extra-terrestri: divina è l'energia misteriosa che produce il mondo ma anche ogni elemento che lo costituisce.
Da qui l'infinito rispetto per ogni forma di vita e l'interesse per cambiare il mondo.
Post scriptum:
quello che Bruno può significare oggi per chi lo incontri la prima volta
Autenticità.
Anticonformismo.
Irregolarità.
Disincanto.
Qualcosa a cui aspirare