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Furore
Il termine ha origine dal latino furor,
sostantivo derivato da furere ‘essere fuori di sé,
impazzire’; indica lo stato di sconvolgimento della personalità
che si manifesta come passione scomposta, delirio, ira, tipico
dell’individuo che perde il controllo delle sue azioni e si
abbandona alla gioia, alla collera, all’aggressività o alla
violenza, con un impeto dai tratti animaleschi o estremi,
assimilabili alle forze della natura.
Nell’antichità classica il furore era considerato
di orgine divina: derivava dall’invasamento, ovvero la possessione
della volontà dell’individuo da parte di un dio che ne dirigeva le
azioni (entusiasmo, dal greco en e theos significa
letteralmente “pieno di un dio”) ed era un aspetto
dell’esaltazione profetica e sacerdotale. Anche l’amore era
considerato causa di delirio, uscita da sé e oltrapassamento del
senso della misura, secondo una concezione radicatasi poi nel tempo
(si pensi all’Orlando furioso o alla cultura romantica).
Il filosofo rinascimentale Giordano Bruno (1548-1600) esprimeva la
sua etica dell’azione con il nome di “eroico furore”(il primo
termine veniva ricavato da eros). Immerso in un universo
panteista e animato da forze vive, l’uomo è “arso d’amore”
per l’infinito; la vita deve essere sforzo appassionato verso il
superamento di ogni limite, spinta all’azione attiva e consapevole
per la trasformazione della realtà, tensione verso l’unità con la
natura divina.
In età moderna il termine perde il significato
riferito alla trascendenza per designare aspetti negativi del
comportamento individuale o collettivo che trovano la loro origine
nella dimensione sociale, con particolare riferimento alle
manifestazioni dell’ira. Recuperando un significato presente già
nel latino, “furore” ricorre nella descrizione dell’agitazione
e dello scompiglio che caratterizzano i tumulti e le sollevazioni
popolari, che le classi dirigenti percepiscono come disordine e
discordia interne al corpo sociale.
Tra Otto e Novecento, alimentato dalle ideologie, il
termine è connesso alla dimensione politica: può essere tanto il
“furore nazionalista” diffuso negli stati europei durante la
Grande guerra, quanto il risentimento antiautoritario e antiborghese
che accompagna le manifestazioni socialiste e le lotte del movimento
operaio e sindacale.
In Vittorini il furore nasce come rabbia sociale per
l’umanità schiacciata dal predominio delle forze trionfanti del
fascismo europeo e, contestualmente, per gli orrori della guerra di
Spagna, la prova generale del secondo conflitto mondiale. La
repressione in Italia impedisce ogni sfogo di tali “furori”,
definiti quindi “astratti”, responsabili dello stato di malessere
e di prostrazione psicologica del protagonista di Conversazione in
Sicilia.
Furore è il titolo italiano del capolavoro
di John Steinbeck The Grapes of Wrath (1939, letteralmente
“L’uva dell’ira”): esso narra del tragico esodo
attraverso gli Stati Uniti di una famiglia durante la Grande
depressione degli anni trenta, quando il mito della prosperità
americana fu distrutto da una crisi economica di proporzioni
inaudite. Milioni di persone persero il lavoro e si ritrovarono a
lottare per sopravvivenza: nel romanzo un’umanità disperata si
trascina da uno stato all’altro, trovando paghe miserabili, lavori
semi-schiavili e un padronato feroce, alla ricerca di una redenzione
che si manifesta in piccoli gesti di solidarietà.
Una differente accezione del termine, utilizzato in
un’espressione risalente alla società dello spettacolo, sembra
testimoniare la rottura con la cultura dell’impegno, avvenuta nel
secondo dopoguerra: “fare furore” significa suscitare grande
entusiasmo e riscuotere successo. A perdere il senno sono i
consumatori di cultura pop nel testimoniare il loro apprezzamento
verso i divi del cinema, della musica e della televisione, di
cui si dichiarano fan (fanatic). L’intera sfera
linguistica, proveniente dal sacro, viene risemantizzata nel profano,
testimoniando la sostituzione del divino con l’effimero nei
meccanismi di produzione dell’entusiasmo.
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