pezzi di lavori che ritornano, questa serie era per un manuale di letteratura per licei.
a volte ci si racconta anche così.
Nostalgia
Il termine francese
nostalgie, dal greco nostos (ritorno) e algia
(dolore, sofferenza), è un neologismo coniato dal medico
dell’Università di Basilea Johannes Hofer nel 1688 per indicare lo
stato psicologico e patologico diffuso tra i soldati svizzeri in
servizio all’estero: il “male del ritorno” colpisce chi è
lontano dal proprio paese, con sintomi quali febbre, allucinazioni e
delirio, che scompaiono al rientro a casa. Ogni riferimento al
desiderio di Ulisse, che soffre nelle sue peregrinazioni lontano da
Itaca, o al neoplatonismo, che considerava l’Essere divino come
patria dell’anima esiliata in terra, sono quindi costruiti a
posteriori, mediante l’‘invenzione’ di un termine che designa
un sentimento antico.
Nostalgia è lo stato di
tristezza e rimpianto per la lontananza di persone o luoghi cari, il
desiderio struggente di ritornare a casa, all’infanzia e agli
oggetti importanti del proprio passato, di cui è vittima il
migrante, costretto alla lontananza per cause di forza maggiore.
Nella Dissertatio
medica Hofer classifica la nostalgia
come una malattia dell’immaginazione: per quanto siano le
condizioni materiali (clima, paesaggio, abitudini alimentari) a
creare sofferenza, il malato richiama ossessivamente una
rappresentazione ideale della patria d’origine che non è mai
reale, in un vissuto che fonde memoria e desiderio, processi
cognitivi ed emotivi.
Il
concetto di nostalgia perde progressivamente la connotazione medica
per entrare nella sfera del sentimento e dalla metà dell’Ottocento
il termine viene fatto proprio dalla letteratura: si pensi a Carducci
nelle Rime nuove,
che vagheggia una vita all'insegna della solarità mediante la
celebrazione della natura e del passato, o all’opera di Ungaretti,
in cui il termine assume sfumature che tengono insieme biografia (la
nascita in Egitto), condizioni materiali (la guerra) ed esistenziali
(la condizione umana).
Sovrapponendosi alla
malinconia, dolce inquietudine non disgiunta da un certo
compiacimento, la nostalgia diviene propensione a chiudersi in se
stessi, atmosfera spirituale del desiderio inappagato o
dell’aspirazione irraggiungibile a cui sono cari i paesaggi
autunnali e le ore del crepuscolo. Quali che siano le sue ragioni
(emigrazione, esilio politico, persone perdute…) la nostalgia è
sempre il rimpianto di una situazione percepita come migliore
rispetto a quella attuale, che comporta l’idealizzazione del
passato e dell’origine (da qui anche la definizione di nostalgico,
per chi rimpiange un momento storico, un assetto politico trascorso e
concluso).
In termini psicanalitici,
Freud chiama “sentimento oceanico”la
sensazione di unità illimitata con l’universo derivata dalla
condizione del neonato che non distingue tra se stesso e la madre,
immerso in un’unione simbiotica e indifferenziata. La nostalgia, o
meglio la sua radice, diviene il correlato del distacco
originario dalla madre, l’archetipo di ogni processo di crescita e
cambiamento, che significa sempre allontanarsi da qualcuno o
qualcosa: fare i conti con una primigenia
beatitudine ormai perduta, vorrebbe dire, in definitiva imparare a
vivere.
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