lunedì 28 giugno 2010



quarta puntata della metaarcheologia del sé, autoanalisi attraverso la tesi di dottorato. mi dicono di scrivere meno che sono lungo. Come fanno i pensieri a stare dentro le parole?

Caldo afoso, Caterina dice - mamma gli occhi belli, papà anche -, qualche giorno fa' ho trovato una camicia integra che sembra venire direttamente dal 1973, nuova.



4. Terzo millennio


Succedono diverse altre cose, mentre io cresco e il paese peggiora: sarà che sono nato nel 1973 ma ho come l'impressione che i ventisette siano gli anni decisivi in cui la vita cambia, nei termini di un salto di soglia.

Certo incominci a anche a perdere i capelli e a dimezzare quello che mangi, ormai hai solo più metà bolismo, credo, la barba diventa blu fissa anche dopo che ti sei rasato e due birre ti buttano giù per terra, sfigurandoti il profilo per sempre. Ma ne vale la pena, rispetto all'inferno di prima.


Il 2000, suona come una promessa dopo che: la mamma non c'è più, gruppo musicale imploso, il servizio civile mi ha tolto quel poco di entusiasmo che mi rimaneva dopo la laurea, non male ma dal retrogusto da assurdo. Tutto qui? Tutto quel lavoro serviva solo a questo nulla?

Rapporti tagliati e ponti tagliati alle spalle. Ma dopo poco c'è qualcosa di bello, che per me continua ad avere del miracoloso: continuo a studiare, fuori città e occuparmi di libri, addirittura per lavoro, compro un portatile quasi nuovo, il mio vero primo computer.

Specializzazione in Scienze della cultura. Palazzo del seicento, mantenuto per studiare con altri quindici coetanei più o meno increduli di non stare ancora cercando un lavoro come baristi la notte. Anche un posto insensato come una piccola e borghesissima città del centroitalia diventa un buon posto in cui stare se l'hortus conclusus che ti sei scelto è ben frequentato. Mentre l'Italia segue il grande fratello noi fumiamo lo stesso numero di sigarette ma parliamo di Dante, Mann, Curtius, Ginzburg, Welles, Mosè e Gesù di Nazareth, spesso con ordinari di (o)rango internazionale, e (per fortuna?) non ci vede nessuno. In più quando torni rivaluti Torino, che improvvisamente sembra Gnuiorch. Preparo il concorso per l'insegnamento della storia della filosofia in un anno di allenamento da otto ore al giorno di seminari specialistici e lo vinco bene. Metto da parte mentalmente che nel giro di poco potrei fare il lavoro che ho sempre desiderato e smettere di essere sottopagato in ritenuta d'acconto. Succederà, altrimenti non sarei qui a scrivere.

Torno a Torino. Il 2000 è la mia estate dell'amore, ma questa è un'altra storia troppo privata. Ci sono altri gruppi da ascoltare e mettere su, altre persone e nuovi amici mi indicano libri giusti da cui si aprono altre porte. Scopro nuovi maestri e strade alternative, di cui riconosco una linea sotterranea che riconnette tutto. Da quando ho cominciato a raccogliere sistematicamente articoli di giornale e riviste, l'archivio sta divendo voluminoso. Sbatto le ali contro i vetri della cattiva conoscenza delle lingue straniere, altro peccato da scontare. Quando trovo un testo di Jesi con una postfazione folgorante di David Bidussa, capisco che avevo visto bene, e che posso lavorare lì sopra.

Facciamo un gioco. Adesso mi chiama Radio tre, con l'acca in mezzo, e mi chiedono di fare una puntata di Damasco. Per cinque giorni devo scegliere cinque autori fondamentali che ho usato come fari in una navigazione incerta. Scelgo Roth, Pamuk, Blumenberg, Assmann, e ovviamente Jesi.

Sono passati altri anni, ho insegnato, scritto, lavorato, la mia biblioteca è diventata imponente e mi ci specchio: ho moltissimi materiali archiviati, so come rintracciare tutto perché ho soggettato per chiavi in ordine alfabetico e con il tempo la mia memoria e il mio gusto per le connessioni si è raffinato. Oltre a un sistema informatico di ricerca, come scrive Melandri in La linea e il circolo,'ho una memoria che funge da schedario trascendentale'.

Il mio lavoro di questi anni è anche il risultato di tutto questo, sebbene sia più quello che ho taciuto di quello che ho dichiarato. Senza quell'edizione dell'Accusa del sangue la mia tesi non ci sarebbe, e questo vale per il numero di letture da cui ho distillato l'autorità per affermare quello che ho scritto. Poiché credo in una dimensione collettiva dell'autorialità, mi piace pensare che ci sia anche il loro lavoro nel mio, e le loro pagine risuonino nelle mie. A Marco Belpoliti vorrei riconoscere soprattutto il coraggio per scegliere le connessioni, grazie.

Sono nato lo stesso anno in cui Jesi pubblicava il suo libro più importante, in un quartiere di periferia della stessa città. Ho frequentato una scuola intitolata a Gobetti, in una zona delimitata da vie e piazze intolate a Salvemini, Carlo Casalegno e Roberto Crescenzio. Il mondo è disseminato di segni, lo è sempre stato. Avevo bisogno di capire e di ricomporre i frammenti in una sintassi dotata di senso: è quello che ho fatto. Questa storia mi appartiene.



«Mi sento intriso di un'intellegibilità profonda

dentro la quale i secoli e gli spazi riecheggiano,

comunicando tra loro con un linguaggio

finalmente comune».

C. Lévi-Straus




4 commenti:

  1. i pensieri non stanno mai dentro le parole, perché le parole semplicemente somigliano ai pensieri senza contenerli...

    Ehi, la camicia del 1973 deve essere mia!

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  2. semper mens est potentior quam sint verba

    quintiliano

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  3. e cosa dice Quintiliano della mia camicia? :-)

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  4. naturalmente mi riferivo a Sperber, il quale pone chiaramente che tra le rappresentazioni mentali e le rappresentazioni pubbliche delle rappresentazioni mentali non c'è una trasmissione perfettamente codificata ma un rapporto di somiglianza più o mmeno stretta...

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