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Ma di altro parlerò, ed è di un libro che mi ha molto confortato, non solo perché mi ha fatto ridere come non mi capitava da mesi, ma ha una rara finezza e delicatezza nel mostrare che «ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne sogni la filosofia», da cui traggo la conseguenza che solo prendendone atto e sovvertendo sistematicamente la routine ciò che faccio quotidianamente acquisti senso.
Parliamo del libro di Maurizio Blatto, L’ultimo disco dei Mohicani, Castelvecchi, 2010, qui una bella recensione di Sandro Moiso su 'Carmilla':
http://www.carmillaonline.com/archives/2010/11/003684.html.
Maurizio è socio di un negozio di dischi, uno dei più noti di Torino e il più 'cult' nell'ambiente underground, e fa il suo lavoro in modo straordinario. Non vado oltre, perché probabilmente leggerà queste righe e si imbarazza, ma oltre a una cultura enciclopedica e una grandissima capacità di scrittura ha grande sensibilità umana. Vi basti sapere che mi ha dato molti buoni dischi nel momento giusto, su tutti, vado a memoria, Sea and the cake quando avevo bisogno di leggerezza, oppure Jim Yoshii Pile-Up quando avevo bisogno di oscurità, Early day miners quando cercavo bellezza, Fugazi quando invocavo potenza e distruzione. Ma con lui puoi parlare di qualsiasi cosa, dai minori dei Sonic Youth alla Zorniana, dai Beatles alla Motown dal pop inglese alla scena italiana, e se cerchi di rivalutare Ryan Adams o di ridimensionare Sufjan Stevens lui ha buoni argomenti, conosce la critica e ti guida. Ma è così con praticamente ogni gruppo e ogni sottogenere la cultura giovanile abbia prodotto dai Fifties. E se diciamo sei con la tua compagna che ne approfitta per chiedergli “qualcosa di jazz francese anni trenta” lui capisce che lei sta cercando le canzoni di Charles Trenet, e in particolare Boum, che la colonna sonora di Toto l’hero ha rilanciato tra le giovani donne degli anni Novanta. Per non parlare dei bellissimi dischi selezionati da lui, che il mio amico Luca riceve a ogni compleanno dalla sua compagna da ormai quasi dieci anni, gemme di pop alternativo adult-post-folk per ex rocker incalliti, che i maligni amici punkettoni machisti e fallocrati chiamano gay-rock. E in genere sono davvero i dischi migliori dell’anno. Insomma, la sua è davvero una funzione sociale per molte persone. Forte di una conoscenza raffinatissima della storia della musica rock e di un gusto critico altrettanto lucido e vorace, il nostro autore è una sorta di psicanalista della musica che pratica da dietro i bancone di un negozio di musica alternativa specializzato in vinile.
Il suo libro racconta anni di fesserie, storpiature ascoltate e stranezze dei clienti più bizzarri che si possa immaginare, e il negozio è in effetti uno dei posti più simile al bar di Guerre Stellari, dove si possono incontrare tutte le specie di alieni possibili. Ci descrive i dannati che incontra e cha ha aiutato negli anni nel loro personale 'vizio assurdo', con uno sguardo di incredibile indulgenza e tenerezza su una passione come quella per la musica e soprattutto quella alternativa, con tutta l'umanità che questa si porta dietro. Ma è qualcosa di più un bestiario: anch'io ho sentito nella mia vita gente parlare dei dischi dei Megadent o guardare con desiderio i dischi di Cash, quelli delle American recordings, commentando 'certo che Combat rock è proprio un disco della madonna'. Ma questo libro va oltre e raggiunge vertici unarrestabili, certe cose riportate dischiudono un mondo. Il mio scambio di battute preferito del libro è questo: 'Li conosci i Baba Yaga?". "Francamente no". "Sì, ma credo che non esistano. Solo che ho 'sto cazzo di nome in testa e mi sono detto-stai a vedere che...”. Direi che non ha bisogno di commenti.
Il libro risplende della consapevolezza che l'amore per la musica (rock, pop, alternativa, ma anche word, jazz, raggae, elettonica, psichedelica e qualsiasi cosa vi venga in mente) sia anche e in parte una deriva nevrotica e autistica, il modo in cui molti (di noi, o almeno parlo per me) esorcizzano i propri demoni interiori, parti irrazionali e passioni viscerali e inspiegabili che hanno a che fare con il ritmo, il rumore, la bellezza ma anche il sesso la diversità, la rabbia, l'urgenza. In parole, la vita. La sua è una finestra sul caos del mondo, in questo caso la popolare piazza Barcellona a Torino, dove alternativi di ogni genere convivono vicino ai freaks prodotti dalla metropoli sabauda con le sue contaminazione generazionali, regionali, etniche e sociali. Amare quella musica, comprare per ascoltare i dischi, ma anche conoscere discografia, storia e critica, line-up e biografie di veri e propri eroi di una mitologia moderna significa, in modo specificatamente maschile, assecondare e incanalare un'attitudine compulsiva e decisamente nevrotica, con cui molti di noi convivono. Io ad esempio.
Alcuni hanno lo stesso rapporto di catalogazione con i calciatori, partite e formazioni, i film e il registi, io l'ho sempre fatto con i filosofi e le loro opere, ma conosco un caro amico che conosce a memoria oltre a tutti le line-up dei principali gruppi post-punk dal 1977 a oggi anche le squadre di calcio fino alla serie B e i nomi dei deputati di maggioranza e opposizione, almeno fino ai sottososegretari dei ministeri dei governi degli ultimi dieci anni. Dei genii, insomma, che se avessero dedicato la stessa energia a qualcosa di redditizio sarebbero milionari, ma il punto è questo. Non lo fai per soldi, se ci fossero soldi non lo faresti. Per me è stato chiaro tutto questo quando ho sentito Alessandro dei Massimo Volume, che parla di un ragazzo autistico e ritardato (Alessandro tiene un diario/Ci scrive i punteggi delle partite/che fa al computer, il pomeriggio al bar/I record che trova sul libro del Guinnes Dei Primati/I risultati della squadra locale di basket/I canestri, giocatore per giocatore). Vertigine della lista, dice Eco. Ansia di controllo, dico io, certo non il primo per carità, i nomi evocano la stabilità, la Bibbia ne é piena, le formule magiche sono nomi. Adamo nomina le cose, e le cose diventano sue, non fanno più paura, sono il mondo. Io sono Alessandro e lo sei anche tu, ippogrifo lettore. Ma poi nel libro c’è anche la Torino tamarra, che ho conosciuto nel natio Borgo Selvaggio dove i ‘caccioni delle popolari’ prendevano a schiaffoni, rubavano i pattini e taglieggiavano noi bambini timidi e per bene, per mettere la miscela nei loro motorini, anche se avevano dodici anni. E devo dire, ho fatto di tutto per mettere quanta più distanza possibile tra me e loro, in termini di stile, linguaggio, scelte scolastiche e quant’altro.
Il libro ti conduce per mano all’Inferno senza perdere lo sguardo di delicatezza degno di un antropologo, capace di mantenere l’aplomb nelle situazioni più assurde, con lo stesso spirito del protagonista di Almost famous, che segue i suoi eroi hardrockers con la sua camicia pulita, senza dimenticarsi di fare i compiti, cercando la quadra tra un puritanesimo ossessivo e la passione per l'auto distruzione. Qualche anno fa cercando di far coincidere musica, impegno politico e passione civile mi inventai una serata in un circolo Arci, oggi diventato il Caffè Basaglia, in cui lavoravano come camerieri ex-pazienti psichiatrici dei centri diurni: il gioco era invitare dei dj per una sera, scelti tra amici interessati alla musica per motivi diversi, chi professionalmente chi ancora per gioco, che scegliessero la loro scaletta ideale o dessero sfogo alla loro vena d’oro, come se fossero alla radio, ma tutto dal vivo, si chiamava Radio True Believers. Il locale, anche grazie al validissimo lavoro di cucina e allo sbattimento di amiche/ci, girava e noi stavamo bene insieme. Ecco lì realizzai che oltre la metà di quelli con cui ho avuto a che fare in più di vent'anni di attività musicale (sempre perdente, sempre sottopagata, sempre faticosissima, sempre divertente) era borderline; inutile dire che Maurizio era tra gli invitati e la sua serata fu memorabile, musica per camionisti malinconici.
Questo libro, così come la canzoni che ancora oggi continuo ad ascoltare, mi ricordano con netta precisione e implacabile lucidità l'assurdità della vita, nella mia città come altrove, facendo collidere la razionalità e distruggendo l'illusione dell'ordine che ognuno crede governi il mondo con la dimostrazione geometrica, inesorabile, incontestabile che nessuno controlla niente. Uno sguardo sull'inferno e sulla redenzione che la musica, per ognuno in modo diverso, sembra promettere.
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