martedì 18 ottobre 2011

ancora immaginazione



non avevo fatto in tempo a pensare la questione dell'estetizzazione della politica, come fatto dirimente, per quanto riguarda la giornata della violenza estetizzante di chi realizza la sua apocalisse personale per vedersi filmato nelle manifestazioni, credendo peraltro di fare gesti politici, che il corpo dell'ennesimo dittatore viene esposto alla visione dell'occhio assoluto mediatico: quello di chi crede di aver visto tutto perché ha visto una immagine.
la violenza è prima di tutto nei nostri desideri, di vedere sempre di più.








Sulla funzione immaginativa in Culianu studioso e narratore 

Le vrai realisme en histoire, c’est de savoir que la realité humaine est multiple
M. Bloch

0.
Premetto che non sono né un romenista né uno storico delle religioni e mi sono avvicinato all’opera di Culianu recentemente e in relazione ad altri interessi specifici: l’opera di Eliade, di Jesi (il mio vero oggetto di ricerca) e studi sui viaggi dell’anima e su Giordano Bruno. Recentemente la pubblicazione de Il rotolo diafano è stata il punto di partenza di alcune riflessioni, che condivido con voi.
Quello che farò è un intervento in chiave di teoria della cultura, che permetta di inquadrare metodo e cornice epistemologica in cui Culianu ha esercitato la sua opera di studioso e, in particolare, di scrittore.
Il tema centrale da cui vorrei partire è dunque l'immaginazione:
a. come vettore di esperienza del sacro; e quindi come oggetto degli studi storici di Culianu;
b. come fattore antropologico di creatività umana, capace di attraversare le epoche nella storia delle idee;
c. come elemento di continuità tra studio storico e produzione letteraria, nel momento in cui fiction e non-fiction sono due momenti di una medesima attività intellettuale che trova nei ‘fantasmi’ il loro soggetto comune;
d. Da questo emerge un’ipotesi di interpretazione complessiva dell’opera di Culianu, per la quale mi rifaccio a Moshe Idel e Umberto Eco, entrambi suoi estimatori, e anche a lui legati da rapporti personali.
1. Immaginare l’alterità
Partirei dalla questione dell’immaginazione, intesa come facoltà cognitiva, per come è posta in Eros et Magié à la Renaissance (1984, ed. it. 1986). Qui nell’introduzione Culianu dichiara di volersi occupare di una costellazione rinascimentale, ma di derivazione antica e tardo antica, di scienze dell’immaginario in cui rientrano eros fantastico, arte della magia, memotecniche.
Eros è inteso nel senso platonico del termine: come attrazione e legame capace di mettere in comunicazione soggetti e mondi diversi, è quindi qualcosa in cui rientrano anche i viaggi dell’anima, le esperienze di estasi e di oltretomba, che sono al centro degli studi di Culianu.
Nella tradizione rinascimentale che riscopre l’antico il rapporto tra anima è corpo è garantito dalla stessa sostanza pneumatica di cui sono fatte le stelle: Phantasia è dunque la produzione dello spirito sidereo che trasforma i messaggi dei sensi in fantasmi percebili dall’anima: il pensiero è dunque attività fantasmatico, ha carattere immaginale ed è questa sua natura che garantisce la solidarietà tra il microcosmo e il macrocosmo. Si tratta di una considerazione di tipo storico che Culianu assume come propria premessa teoretica.
Eros è dunque sempre phantastico. Ogni desiderio è suscitato da fantasmi ed è appagato dai fantasmi, con una decisa attribuzione di importanza all’immagine e al potere visivo che avvicina molto Culianu a Warburg, e alla sua teoria delle «formule di pathos» cristalizzate nelle immagini.
Questo porta ad affermare che in Culianu c’è una vera e propria antropologia dell’immagine. In senso diacronico e comparatistico vale l’idea che l’immaginazione, la funzione di ritenere e produrre idee, sia operante a livello antropologico e in modo costante nella storia: così i sistemi di idee di un’epoca possono ritrovarsi nelle successive perché le idee, in virtù del loro carattere fantasmatico si trasmettono, e hanno carattere ricorrente. La trasmissione della tradizione, il cambiamento e l’iinovazione, prevede passaggi attraverso un «filtro ermeneutico», che è «una volontà selettiva e deformatrice» (Eros e Magia, p. 26) che ciò che caratteristizza ogni epoca.
Culianu parla di «ispirazioni involontarie provenienti dalle profondità dell’inconscio collettivo» (EM, p. 30). È una dinamica che va ben oltre la semplice idea di ripresa della tradizione: ne è un esempio il rapporto tra antico, ellenismo e rinascimento riguardo alla magia, che poi supera la cesura razionalistica imposta dalla Riforma (protestante e cattolica), sopravvivendo in forme alterata; o meglio, rispetto al concetto di sopravvivenza e alterazione (che si ritrova da Tylor, Cornford, Propp in poi) qui la differenza rispetto alla ripretizione avviene attraverso la diversa combinazione dei loro elementi. Come ha mostrato Patapievici la fonte di questa concezione ermeneutica è nella cultura rumena mutuata dal concetto di ‘cesura trascendente’ formulato da Blaga.
Colpisce il teorico della cultura che nell’introduzione di EM Culianu insista sull’attualità dell’eros magico e sulla continuità sugli aspetti erotico-poietici dell’immaginazione umana: in particolare: magia/scienza, comunicazione a distanza, trasporti rapidi, viaggi interplanetari sono idee ricorrenti che epoche differenti pensano e attualizzano in modi diversi.
La stessa immaginazione creativa è alla base delle scienze fisiche e l’eredità della magia è nelle psicologiche e sociologiche e contemporanee.
La magia è qui scienza dell’immaginario come «metodo di controllo dell’individuo e delle masse basato su una profonda conoscenza delle pulsioni erotiche individuali e collettive». Oltre alla primogenitura della della psicanalisi quindi il rinascimento anticipa la psicosociologia applicate e di massa: scienza della comunicazione ante-litteram e qualcosa che ha a che fare con la gestione dell’economia degli affetti e del desiderio, un tema ultra-contemporaneo che dalla critica dell’ideologia alla riflessione sulla sur-modernità più recente parla dell’oggi e dell’homo videns.
«Il mago del Rinascimento è sì psicoanalista e profeta, ma anticipa anche professioni moderne come quelle di capo delle relazioni pubbliche, propagandista, spia, uomo politico, censore, direttore dei mezzi di comunicazione di massa, agente pubblicitario» (Eros e magia, p. 9)
«il mago del De Vinculis è il prototipo dei sistemi impersonali dei mass-media, della censura indiretta, della manipolazione globale e dei brain-trusts che esercitano il loro controllo occulto sulle masse» (ivi, p. 145)
La magia è l’applicazione dell’eros, manipolazione di fantasmi, scienza dei bisogni immaginari e forza attiva in grado di determinare mutamenti dell’immagine del mondo. Magia è la capacità di suscitare impressioni persistenti sull’immaginazione altrui. Scrive Culianu: la «magia è reale?». In qualche modo sì, attraverso la «manipolazione attraverso l’immagine e il linguaggio».
Se ci spostiamo a prendere in considerazione l’ultimo Culianu, quello di Out of this world, 1991 (ed. it. I viaggi dell’anima) che precede di poco la morte, siamo di fronte di nuovo a una ripresa della tematica del viaggio dell’anima e dell’immaginazione, con una marcatura accentuata sugli aspetti teorici e sulla cornice epistemologica. Il lavoro di ricerca comparatistica su sogni, visioni, estasi che dallo sciamanesimo abbraccia esperienze letterarie moderne, è solo un momento di una più generale teoria della «trasmissione cognitiva» che spiega diffusione di idee e comportamente simbolici. Se Eros e magia ha quindi un sottotesto politico, in Out of this word la raggiunta stabilità dello studioso in America si avverte nel progetto di esplorazione di universi mentali e di definizione di un’ontologia dello spazio mentale: «infinito perché non vi è limite al nostro immaginare sempre più spazio» (VA, p. 5).
Ogni viaggio nell’alterità e nell’ulteriorità, del passato, dell’oltretomba, della letteratura, è in definitiva un viaggio dell’immaginazione.
Essa segue le regola della intertestualità: ovvero reciproca interazione tra passato e presente e predisposizione mentale a plasmare ogni nuova esperienza sui modelli precedenti (VA, p. 9). Modello complesso di trasmissione, è un’ermeneutica che implica ripetizione e innovazione: «l’uomo produce pensieri e, se possiede un modello per il suo pensare, i suoi pensieri sono prevedibili fin dall’inizio». Conviene sottolineare che l’intertestualità è un fenomeno mentale, in una nozione di testo allargata che implica anche testi non scritti. Coulianu allude a «pensieri umani stampati in eterno su qualche sorte di sostanza», come si legge nel racconto La sequenza segreta. Come non pensare alla nozione di «testo» di Derrida e a quella di «traccia» e «archi-scrittura»?
Inoltre qui è esplicito il rifiuto del modello, eccessivamente vago, dell’immaginario collettivo junghiano. Coincidente con l’immaginale (cfr. Corbin) la tradizione culturale è pensata in termini cognitivi come il risultato di un semplice insieme di norme tale da produrre, nelle menti umane e in un arco di tempo infinito, gli stessi risultati.
Questa «riconsiderazione attiva della tradizione» spiega la persistenza di pratiche e credenze attraverso la porosità dei tempi. «Ognuno infatti pensa una parte di tradizione, e talore viene da questa pensato; e in questo processo si raggiunge l’autoconsapevolezza cognitiva che ciò che è pensato è sperimentato, e tutto ciò che è sperimentato ha un riscontro in ciò che è pensato».
Patapievici ha mostrato in modo esauriente le fonti teoriche matematiche, fisiche, epistemologiche di Culianu, su cui non mi soffermo. Mi limito a rimarcare scelte delle citazioni di altri autori che Culianu trova affini.
Non è un caso che ritorni più volte tra gli autori citati Carlo Ginzburg, sia nei Benandanti che nella Storia notturna, con il suo modello di tradizione e reiscrizione dei saperi tradizionali in una lunghissima durata dei tempi, fin dal preistorico. Anche Ginzburg considerava la storiografia come viaggio all’inferi, alla stregua dei viaggi ultraterreni che studiava: Culianu annovera la pratica storiografica tra i viaggi nell’alterità nel senso che la stessa funzione teoretica dell’immaginazione che in alcuni momenti di storia della cultura è diventata esperienza di alterità, nel nostro codice epsitemologico opera attivamente nel sapere scientifico.
Non è qualcosa di diverso rispetto all’affermazione condivisa da Lévi-Strauss, da Blumenberg, da Detienne, da Jesi, che lo studio della mitologia sia la continuazione dell’elaborazione del mito stesso.
In Culianu il tema del fantastico è però svolto in modo originale: nel primo capitolo di I viaggi dell’anima si parla apertamente di quarta dimensione, con riferimenti matematici e fisici che mettono a dura prova il lettore e che chiamano in causa il movimento quadrimensionalista che da Hinton a Lewis Carrol a Abbot a Borges definisce e apre una pagina di storia delle idee che disgraziatamente spesso è diventata occultismo e si è squalificata dal punto di vista scientifico. Ma la tesi è chiara: l’immaginazione coincide con l’iperspazio o quarta dimensione, nel quale valgono differenti regole spazio temporali rispetto al mondo 3-D.

2. Studiare e raccontare, fiction e non-fiction
Ne viaggi dell’anima, un unico mondo narrativo unisce magia antica e rinascimentale, tradizione alchemica, fantascienza, scienza, immaginazione poetica.
Il Culianu narratore continua il lavoro dello studioso con mezzi solo apparentemente diversi. Le rouleau diaphane (1986 e 1989, ed. it. 2011) è un romanzo composto da una prefazione e undici capitoli che combina il fascino della propria forma narrativa, per tasselli analogici ma non isomorfi che rinviano agli altri in modo ricorsivo e che appartengono a un medesimo discorso generale, con suggestioni erudite e arcane di un sapere magico-iniziatico che attraversa i secoli e mostra vie di conoscenza segrete.
Erede dei racconti di Borges, di Eliade, che al lettore italiano ricordano anche l’Eco de Il pendolo di Foucalt, tocca tutte le corde della fiction per palati fini: intellettuale e coltissimo per scrittura e temi, ha una scrittura magistrale nell'incedere per allusioni e suggestioni. Inoltre l'insistenza sul rapporto tra fenomeni cognitivi e religiosi è continua, in modo tale che la letteratura parte integrante dell’attività di studioso.
Coulianu ha un ché di malinconico struggente e sottilmente inquietante, oltreché visionario. Jesi ed Eco – solo per citare esempi di studiosi-narratori – sono più ironici, leggeri, euforici, giocosi. In Culianu c’è il tratto melanconico del filologo dilaniato per aver perso mondi migliori e qualcosa che ha a che fare con l'individuazione, la razionalità e la segmentazione dello spazio-tempo.
É stato già detto molto: mi limito a riprendere qualche aspetto tratto dai racconti le memorie del prof. William H., studioso controfigura, che ricorda la visione multipla dell’Aleph («uno dei punti dello spazio che contiene tutti gli altri punti»), esperienza di un tempo unitario, indiviso e contratto. Si tratta di un’allegoria dell’attività scientifica che implica stati di coscienza superiori, in cui la tensione al sapere assoluto si colloca nella sfera del misterioso e dell’inquietudine, per la propria impossibilità, o meglio per i costi che essa comporta.
O il racconto della fine di Al Kindî come passaggio dalla presenza a sé alla assenza, intesa come forma superiore di consapevolezza ulteriore alla soggettività limitata al principium individuationis.
Su tutta svetta la presenza ricorrente della Dea che è bellezza, Grazia, bellezza Gioia, Miss Emeralds, Mekor Hayym, incarnazione femminile della sophia e dell’eros, allusiva e sfuggente come la teologia dello smeraldo, in cui rientrano Afrodite, il verde, la spuma del mare e il sapore del sale. Il gioco dello smeraldo è un racconto breve perfetto, degno di antologia: qui lo stile narrativo è metanarrazione di uno stato estatico, che cela anche una felice autobiografica storia d’amore e la trasfigura.
Nel continuo gioco dell’autobiografia dell’intellettuale il tema della politica in rapporto alla religione entra con l’ironia, ad esempio sulla saggezza di Tozgrec, che incarna i saggi tutti i tempi e anche il rapporto con i media nella nostra epoca di risacralizzazioni a volte isteriche. Così come il racconto, del 1986, L’intervento degli zorabi in Jormania, e poi Jormania libera, capolavoro di allegoria politica che prefigura il crollo del regime di Ceausescu e dipinge in modo impietoso la violenza e la mancanza di libertà del socialismo reale: molti hanno letto la fine tragica dell’autore in connessione con le sue prese di posizione politiche.
Ma c’è anche spazio per la teoria della cultura attraverso il racconto come ne La sequenza segreta, in cui la propria visione della coscienza multidimensionale è narrata con un falso eresiologico di Giovanni di Cappadocia, (che è poi l’intelletto separato di Averroè): Giovanni è «il pazzo somaro» che aveva una griglia
«che gli permetteva di predire tutti pensieri futuri, perché il mondo non è che un pensiero fra gli altri ed è stato creato unicamente per dare agli uomini l’opportunità di pensare. Quando tutti i pensieri saranno stati pensati, il mondo cesserà di esistere».
Qui Culianu entra nella sua teoria della storia, sulla questione dell'anacronia e della porosità dei tempi. Il tempo non è immobile; l’accesso al passato lo ricrea; lo svolgimento del passato è adesso. Siamo oltre l’ermeneutica della fusione di orizzonti: come si è già detto la fisica relativistica e dei paradossi temporali (di Eistein, Podolski e Rosen) è in grado di spiegare questa concezione, ma mi sembra che Culianu ricordi (e esorbiti oltre) Benjamin, nella critica dell’illusione spazio-temporale, che il critico berlinese, in una sintesi di neokantismo, messianismo ebraico e marxismo soreliano, considerava «superstizione del continuum storico delineata dallo storicismo».
Certo la tensione scientista e sur-positivista di Culianu, soprattutto dell’ultimo, attento alla cibernetica e all’informatica lo distanziano da questo.
Lo si vede nella questione della lingua, che potrebbe avvicinarlo a Benjamin, attraverso le comuni fonti cabbalistiche e la mediazione di Scholem, in Sul linguaggio della creazione, in cui il protagonista – ancora una volta professore, controfigura dell’autore – entra in possesso di una misteriosa scatola contenente il segreto della lingua con cui Dio ha creato il mondo. Qui è raccontata la macchina di Lullo che interessava così tanto lo studioso negli ultimi mesi di vita, precursore dei personal computer, come ha appena mostrato Patapievici.
Al di là delle differenze in entrambi i pensatori l’immaginazione è il luogo dell’«attualità» del passato.
Questo per ribadire ulteriormente come Coulianu sia estraneo alla tradizione occultista, come anche Umberto Eco ha sottolineato (1997, un nota recensione su «Repubblica» del famoso libro di Ted Anton Eros, Magic and the Murder…).
Scrive Eco: «Il fatto è che Culianu non ha mai asserito che il mondo sia governato da forze magiche, ma semplicemente che esiste un universo delle idee che si sviluppano in modo quasi autonomo, attraverso una combinatoria astratta, e queste combinazioni interferiscono con la storia, con gli eventi materiali, in modi spesso imprevedibili, provocando effetti diversi. (…) Culianu riteneva che "le idee formano sistemi che possono essere visti come oggetti ideali" e che questi oggetti ideali si uniscono e si separano attraverso una combinatoria di tipo matematico (più che una alchimia, una chimica o forse una fisica delle idee). La sua concezione era in gran parte affine a quella dello strutturalismo di Lévi-Strauss, che Culianu rileggeva alla luce di una teoria morfodinamica di tipo quasi biologico.»
Il fascino per l’irrazionale non porta mai all’abbandono del piano razionale, al limite all’eccesso di iper-razionalismo. Non c’è occultismo ma scienza complessa, alternativa e antiriduzionista, che al limite i più possono giudicare spericolata.
L’immaginazione rimane sempre e comunque sul piano umano: è interessante come le spiegazioni di Culianu siano sempre demistificanti. Ad esempio nello studio dell’estasi oltre al momento fenomenologico c’è anche quello eziologico: all’origine delle credenze della mobilità dell’anima e volo, come si legge nelle Appendici di Eros e Magia, vi sono tradizioni sedimentate, tecniche di potenziamento dell’immaginazione, pratiche rituali, leadership carismatiche, fenomeni di gruppo, uso di allucinogeni.

3. Alle scoperta dell’Incognita
Culianu ha dichiarato apertamente le premesse implicite del suo lavoro, non solo in tanti passi nelle opere ma nell’ultimo periodo anche in articoli come System and History in «Incognita», 1990, la rivista che fondò e diresse.
Qui leggiamo che storia è la risultanza di interazione sequenziale di sistemi di pensiero, che sono extratemporali, compiuta dalle menti umane mediante processi che avvengono nel tempo. «Intersezione sequenziali di sistemi che mostrano 3 caratteristiche:
1) derivano un insieme di idee logiche di base
2) esistono nella loro dimensione che non è la dimensione della storia
3) sono attivati dalle menti umane in una sequenza imprevedibile.
In breve i sistemi possono essere definiti come logici, sincronici e mentali allo stesso tempo».
Un’ottima sintesi critica si ritrova in Moshe Idel (Ascensions on high in Jewish misticism, 2005 ) che si è confrontato con l’opera di Culianu, di cui condivide molti aspetti di metodo: un eclettismo metodologico, al crocevia tra fenomenologia, strutturalismo, storia delle idee. Nell’amico e collega individua una visione della religione e della creatività umana basata su differenti combinazioni di elementi basilari. Si tratta di elementi cognitivi: categorie della mente umana che condizionano la comprensione delle esperienze o delle rivelazioni.
Idel, storicizzando il percorso delle scienze religiose, parla di un’evoluzione da forme di spiegazione di tipo trascendente a forme di tipo immanente, di cui l’approccio di Culianu è solo il più recente. Si parva licet mi sembra si possa intravvedere una dialettica tra maestro e allievo e persino ipotizzare una correlazione tra giovani studiosi come Coulianu e Jesi nel rapporto con i loro maestri, Eliade e Kerényi. Entrambi si muovono su una eredità metafisica che rielaborano in senso metapsicologico in un diverso quadro epistemico.
Originate da un approccio teologico e metafisico, spiegazioni storiche divengono sociologiche, psicologiche e poi cognitive, fino a quelle post-moderne che attribuiscono priorità al testo, rispetto all’autore e alle sue intenzioni.
In più rispetto a Eliade, Culianu è un intellettuale urbano, sradicato e mondialista che ritrova se stesso negli stati Uniti, dopo aver transitato tra Romania, Italia, Olanda, differente dal maestro che veniva da un mondo rurale dominato dalle nozione di ‘naturale’ e ‘organico’. La sua vicenda personale di fine millennio, per di più negli anni ottanta americani, implica una diversa nozione dello spazio e della società in termini di psicologia individuale: da qui l’idea che l’intera sfera della creatività sia data da differenti combinazioni di elementi basilari che ritornano in varie forme di interazione.
É stato già ampliamente detto prima di me: per Culianu è un dato di fatto che la trasformazione sia dovuta all’organizzarsi e all’adattamento di medesimi elementi in sempre nuove forme di ricombinazione in senso post-strutturalista. I problemi che poneva riguardavano piuttosto il modo in cui dagli stessi elementi basiliari emergano i sistemi; o l’individuazione dei fattori che determinano l’attualizzazione delle possibilità latenti; o è il ruolo dei soggetti individuali nei processi culturali. L’attualizzazione è il risultato di circostanze storiche indipendenti da individui o gruppi? O è il risultato di scelte umane che uniscono alcuni elementi e li proiettano nella storia?
Idel suggerisce che quest’ultima possibilità sia la meno congruente con la visione generale di Culianu, per cui il sistema è più forte dell’individuo. In sintonia con gli anni ottanta e con la forte influenza post-strutturalista di Foucault e di Derrida in particolare negli ambienti accademici degli Stati Uniti, Culianu attribuisce priorità alla struttura e la concepisce capace di sovradeterminare la creatività umana.
Nel rifiuto di ogni determinismo sociale politico o economico, gli elementi ricombinanti attraversano i tempi storici in base a logiche imprevedibili: una visione non diversa dal neo-nietzschianesimo foucaultiano di Paul Veyne negli anni ottanta, relativismo estremo che parla di pluralità e analogie dei mondi di verità in base a programmi di verità retti da logiche e discorsi omologhi e sovrapponibili e giudica impossibile una vera scoperta delle cause del divenire storico; ma con un forte componente logico-cognitivista e una tendenza al sapere assoluto neo-hegeliana.
La soggettività è dunque un fattore derivato e non primevo, un prodotto dell’immaginazione benché ne sia il luogo. Qualunque cosa essa sia, come scrive Culianu «un misterioso meccanismo del mio cervello o una cospirazione divina» (RD, p. 177).


Appendici:
Qui si apre una pagina che riguarda la filosofia della storia di Coulianu: già in EM si parla della censura dell’immaginazione operata da Riforma e Controriforma, cesura che coincide con la nascita della modernità: oggi, in un mutato rapporto tra conscio e inconscio, la capacità di controllare i processi immaginari è nulla, e questo spiega anche il potere mitologico dei totalitarismi.
Viviamo in un mondo «senza cultura e senza verità», in cui il ‘disagio della civiltà’ è al massimo grado e le nevrosi croniche: prodotto della civiltà della Riforma che con orientamento unilaterale rifiuta il valore dell’immaginario.
Da qui la speranza di un nuovo Rinascimento con restituito ruolo dell’immaginazione, rinascimento della scienza psichica o pneumatica che possa invertire regressione psico-sociale e reazionarismo politico (EM, pp. 324 ss.).
Ecco un altro aspetto della epistemologia post-illuminista di Coulianu, in cui
«Tutte le visuali del mondo sono valide, che esse sono parimenti distanti dalla Verità e che tra esse non c’è continuità» (p. 9); «tutte le rete di idee e o programmi collettivi e individuali si valgono l’un altro» (p. 11). Nel ridimensionamento delle cause economiche e militari, ogni sistema culturale è basato sui miti.]

1 commento:

  1. L'articolo di Cortellessa è pessimo, tutto sbagliato, zeppo di ottusità e inutile arroganza neomarxista. I letterati comunisti hanno paura della violenza (i bellicosi gli sfuggono sberleffandoli) ma non sanno che cos'è la nonviolenza. Si preoccupano dell'Immaginario e di cos'ha detto Zizek, e della questione morale di Youtube.
    Anche il tuo punto di vista mi sembra logocentrico, lontano dalla realtà della rabbia militante (che non approvo ma comprendo benissimo): "chi realizza la sua apocalisse personale per vedersi filmato nelle manifestazioni, credendo peraltro di fare gesti politici".
    Non "credono" ma FANNO GESTI POLITICI, quasi certamente sbagliati e controproducenti. Ma politici, e nel vuoto di altri gesti politici.
    Mi sembri lontano dalla realtà: in piazza c'erano militanti bellicosi ben contenti di mettere la città a soqquadro, mostrando allo stesso tempo la debolezza degli indignati e la debolezza delle forze di polizia, il cui blocco sociale clericofascista di riferimento è ormai allo sbando, come i poliziotti in fuga.
    Appiccicare Benjamin alla violenza dei bellicosi non è un bel goal per noi intellettuali. L'intervento culturale è ridotto a tifoseria e sdegno piccoloborghese ("forza indignados, black bloc merda!").
    Gli intellettuali italiani non hanno più il potere di dire che cosa succede e commentano se stessi. Non hanno preparato la pace e ora si subiscono in pieno la guerra sociale.
    Triste e per nulla necessario.

    E ora posso leggere che dici di Coulianu.

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