venerdì 6 settembre 2013

Lotto settembre


Nell'estate del 2001 iniziai a lavorare presso il service editoriale Alicubi e uno dei primi importanti lavori fu uno speciale per l'Unità, direzione Colombo, dedicato all'estate '43, sotto la direzione di Augusto Cherchi e con altri collaboratori. Attraverso un cut-up di documenti e fonti raccontavamo giorno per giorno l'Estate dei 45 giorni del Governo Badoglio. Venne un interessante esperimento di narrazione storica, nel fare il quale giorno per giorno imparai molte cose. Negli anni successivi scrissi molto in quel contesto.
A distanza di oltre 10 anni c'è ancora tutto. Qui ne mostro qualcosa. É ora di riportare alla luce i files archiviati.

7TantaResistenza inizia qui.

Versione originale dell'8-9-10 settembre 2001
qui


http://archivio.unita.it/risric.php?key=enrico+manera&ed=&ddstart=08&mmstart=09&yystart=2001&ddstop=10&mmstop=09&yystop=2001


sotto la trascrizione della prima giornata
da l'Unità. 8 settembre 2001, p. 29-30, poi in Cherchi e Manera, Estate 1943. Il crollo di una dittatura, 2 vv., Nuova iniziativa editoriale, Roma, 2002.


Mercoledì 8 settembre 1943
A cura di Augusto Cherchi, Enrico Manera, Gian Luca Caporale

Il governo Badoglio tenta di dilazionare l'annuncio dell'Armistizio e decide all'ultimo l'annullamento dello sbarco alleato su Roma. Gli Alleati, irritati, apostrofano duramente il governo italiano, dichiarano di aver perso ogni fiducia e di voler procedere ugualmente: viene annullata l'operazione Giant II ma nel pomeriggio viene comunicato attraverso Radio New York, prima che lo faccia il governo italiano, l'avvenuta firma dell'armistizio. I tedeschi si apprestano a occupare il territorio italiano denunciando il tradimento. Con loro, fino all'ultimo, il governo nega di essersi arreso agli Alleati. Gli antifascisti annunciano al Paese la mobilitazione contro i tedeschi e la Resistenza armata: ricevono dal governo armi che la polizia sequestrerà poco dopo. Dopo aver addirittura pensato di ritrattare l'armistizio, il Re finalmente decide di andare avanti. Badoglio dà l'annuncio ufficiale al Paese alle 19,42. La notizia si diffonde, come un'onda che travolge tutto. La guerra fascista è finita. Ma ne comincia un'altra. La Guerra di Liberazione. Da quel momento l'Italia non sarà più la stessa.

Ore 2 Il maresciallo Badoglio spedisce un telegramma al quartier generale alleato in Nordafrica, nel quale la prospettiva dell'attacco alleato, concordato e organizzato in concomitanza dell'annuncio dell'armistizio, viene completamente rimessa in discussione:
"Dati cambiamenti et precipitare situazione et esistenza forze tedesche nella zona di Roma non è più possibile di accettare l'armistizio immediato dato che ciò dimostra che la Capitale sarebbe occupata e il Governo sopraffatto dai tedeschi. (...). Operazione Giant 2 non è più possibile dato che io non ho forze sufficienti per garantire gli aeroporti. (…) Il generale Taylor è pronto a ritornare in Sicilia e rendere noto il punto di vista del governo ed attendere ordini. Comunicate mezzi e località che voi preferite per questo ritorno. Fine telegramma. Firmato Badoglio".

Badoglio convoca nelle prime ore del mattino il Ministro degli interni Ricci e gli da ordine di "preparare un piano per il trasferimento degli organi essenziali del governo fuori Roma", sovrapponendosi così alle iniziative già precedentemente organizzate dal generale Rossi, vice di Ambrosio.
Ore 8 Il telegramma del capo del governo italiano, giunto alle 5.30 viene decodificato e spedito a Biserta dove nel frattempo si è trasferito il generale Eisenhower. Tra le 11.30 e le 12 il testo arriva anche nelle mani del generale Castellano, che rimane sbigottito; dirà in seguito:
"Non potevo supporre nemmeno lontanamente che si potesse non ottemperare agli impegni presi con la firma dell'armistizio, né potevo ammettere che a Roma non si fosse capita l'enorme importanza del concorso americano alla difesa della capitale e lo si fosse rifiutato".
Ore 11.35 Il generale Taylor spedisce un breve messaggio a Eisenhower: "Situation innocuous", è il segnale convenzionale di sospensione dell'operazione Giant II. Badoglio telefona al generale Roatta per avere conferma delle deficienze di carburante segnalate da Carboni e addotte come motivo dell'impreparazione italiana. Roatta si reca immediatamente al Viminale. Decidono insieme al generale Ambrosio, finalmente tornato da Torino dopo due giorni d'assenza, di inviare al comandante Eisenhower "un messaggio di primo piano" per mano del vice capo di stato maggiore, generale Rossi. Questo è il testo di quel memoriale:
"La parte italiana aveva la netta impressione che lo sbarco nella zona Salerno-Napoli avvenisse verso il 12 settembre. In conseguenza aveva preso le disposizioni per rafforzare per tale data la difesa della capitale, e per ricevere e proteggere la divi- sione aviotrasportata americana. Non è perciò pronta alla data dell'8 settembre. Ma, a parte questo, sono intervenute le seguenti circostanze:
- Considerevole aumento delle forze germaniche a nord ed a Sud- Ovest di Roma (divisioni 3° panzer granadiere e 2 ° paracadutisti);
- Distruzione di depositi munizioni e carburanti causa i bombardamenti aerei;
- Fortissima diminuzione da parte germanica nei rifornimenti di carburanti;
- Afflusso in Toscana, a Nord dell'Arno, di due divisioni germaniche (65° - 305°) e di aliquote di due divisioni corazza- te (Hitler-24°) che erano prima situate ad Ovest di La Spezia ed a Nord dell' Appennino.
In conseguenza le forze italiane destinate alla difesa della Capitale ed alla protezione della divisione aviotrasportata, si sono trovate a corto di munizioni e di carburante e non ancora rinforzate da due divisioni provenienti dal Nord; e perciò non nella situazione di assolvere efficacemente i loro compiti, mentre d'altra parte le forze tedesche a portata erano molto più forti di prima. Ne sarebbe derivato, qualora si fosse attuato il primitivo programma:
- Rapida occupazione di Roma da parte germanica ed insediamento di un governo tedesco-fascista;
- Conseguente pericoloso disorientamento dell'opinione pubblica e delle truppe;
- Grave situazione per le forze aviotrasportate americane man mano sbarcate.
Allo stato attuale delle cose la parte, italiana considera come la più opportuna la condotta seguente:
1. Rafforzare secondo il programma già previsto, ed accumulando proprie scorte di munizioni e carburanti, la difesa della Capitale e la protezione della divisione paracadutisti.
2. Pubblicare la richiesta di armistizio al momento in cui sia iniziato il secondo grosso sbarco, ed esso abbia già fatto progressi tali da impegnare le truppe germani- che a portata. Il chè permetterebbe di ridurre al minimo il periodo di tempo in cui le truppe italiane si troverebbero a dover fronteggiare da sole le truppe germaniche (le quali - nel frattempo - potrebbero ancora aumentare attorno a Roma).
3. Questo secondo grosso sbarco dovrebbe avvenire il più vicino possibile a Roma, allo scopo di attirare le truppe germaniche situate a portata della Capitale, ed a quello di tagliare fuori le truppe tedesche situate più a Sud. Se la necessità di far proteggere detto sbarco dall'aviazione da caccia, non permettesse di effettuare lo sbarco attorno a Roma, esso dovrebbe almeno essere attuato nella zona di Formia, Gaeta, Terracina, Littoria sulla quale potrebbe concorrere la caccia partente dalla zona di Salerno. Si potrebbe anche considerare il caso di un'occupazione dei campi di aviazione della Corsica orientale (Borgo-Ghisonaccia). Ma questa operazione preventiva non è semplice, perché avvenendo prima dell'armistizio, le truppe italiane potrebbero bensì ritirarsi sulle montagne ed astenersi da attacchi ai campi predetti ed alle truppe alleate che li proteggerebbero, ma non potrebbero ancora impedire che tali attacchi fossero attuati dalle truppe germaniche dell'isola (brigata SS. Reichsfuhrer).
4. Non fare seguire immediatamente l'armistizio da atti di ostilità italiani contro le truppe germaniche. È importante, infatti, che la iniziativa di tali ostilità sia presa, come quasi sicuramente avverrà, dalla parte germanica, perché in questo caso non ci sarebbe la minima incertezza da parte della popolazione e delle truppe nel combattere i tedeschi. Si tratterebbe, perciò di fare arrivare la divisione aviotrasportata solo diverse ore dopo la proclamazione dell'armistizio (nella notte successiva, se l'armistizio è proclamato al mattino - nella seconda notte, se 1'armistizio è annunciato alla sera). Naturalmente, se (cosa improbabile) la parte germanica non prendesse lei l'iniziativa delle ostilità, la parte italiana le prenderebbe ugualmente al momento dell'arrivo della divisione in parola.
5. La data del secondo grosso sbarco e la distanza di tempo dell'arrivo della divisione aviotrasportata dalla proclamazione dell'armistizio, debbono essere chiaramente prestabilite, e comunicate il più presto possibile.
6. Non è nell'interesse alleato che Roma e il Governo Italiano cadano in mano germanica, e che le truppe italiane dell'Italia Centrale siano messe fuori causa.
Il disorientamento della Nazione e delle rimanenti truppe sarebbe grave, e l'aiuto da parte italiana nella susseguente lotta in comune ne sarebbe decisamente compromessa. È interesse invece per gli angloamericani che la Capitale rimanga in mano italiana, che rimanga in funzione lo stesso Governo che ha richiesto l'armistizio, che tutto il Paese e le truppe, italiane siano concordi al cento per cento, nella lotta contro i tedeschi (Iniziativa delle ostilità da parte loro) e che tutto l'organismo governativo e militare italiano sia subito in condizioni di intraprendere una collaborazione attiva, organizzata, ed in forze colle truppe alleate".
Ore 12 Il re riceve l'ambasciatore tedesco Rudolf Rahn, il quale ricorderà l'incontro e le parole del sovrano:
"L'Italia non capitolerà mai"(...) Al termine della conversazione, il re ha sottolineato di nuovo la decisione di continuare sino alla fine della lotta a fianco della Germania, con la quale l'Italia è legata per la vita e per la morte".
Ore 12.30 Castellano ritenendo di poter ancora persuadere il governo a mantenere fede agli impegni, spedisce il seguente telegramma:
Mancanza nell'annunciare per radio l'armistizio alle ore 18.30 di questo pomeriggio sarebbe considerata dal comandante in capo come mantenere l'impegno solenne già firmato stop Se l'annuncio dell'armistizio non venisse fatto all'ora fissata tutti gli accordi verrebbero a decadere alt Comandante in capo dichiara che mancato annuncio potrebbe avere conseguenze disastrose per l'avvenire dell'Italia stop".
Dopo una rapida consultazione con Roosevelt e Churchill, Eisenhower decide "che quanto era stato previsto per l'annuncio doveva essere attuato". Un aereo viene inviato per prelevare Castellano e portarlo al quartier generale alleato a Cartagena. Dopo mezz'ora di attesa in piedi nel cortile della palazzina, Castellano e l'interprete Montanari sono introdotti in una grande sala dove sono presenti Eisenhower, Alexander e Cunnigham e un imponente numero di generali e ammiragli. Al saluto dell'inviato italiano nessuno risponde. Eisenhower legge il comunicato di Badoglio, afferma di non poter accettare quella richiesta - l'annuncio dell'armistizio sarebbe stato dato ugualmente - e sottolinea il suo fermo disappunto nel caso in cui il capo del governo italiano non avesse fatto lo stesso; in quel caso, aggiunge apostrofando Castellano, riterrebbe che "il governo italiano e voi abbiate giocato una brutta parte". Viene dato a Castellano un messaggio per il governo italiano. Giungerà a Roma solo alle 16.30.
Ore 15 Giunge il telegramma di Eisenhower che autorizza i generali Rossi e Taylor, incaricati di gestire l'operazione militare su Roma, a raggiungerlo alle ore 19 a Tunisi.
Ore 16.30 Radio New York anticipa la notizia dell'armistizio italiano. Le truppe tedesche iniziano i rastrellamenti dei soldati italiani e l'occupazione dei punti strategici, delle aree industriali e delle vie di comunicazione. Giunge al governo a Roma il telegramma di risposta di Eisenhower, intimante l'annuncio dell'armistizio. Il testo afferma quanto segue:
"Dal comando in capo alleato al maresciallo Badoglio. 8 settembre 1943 N. 45
Intendo trasmettere alla radio l'accettazione dell'armistizio all'ora già fissata. Se Voi o qualsiasi parte delle Vostre forze armate mancherete di cooperare come precedentemente concordato io farò pubblicare in tutto il mondo i dettagli di questo affare. Oggi è il giorno X ed io aspetto che Voi facciate la Vostra parte. Io non accetto il vostro messaggio di questa mattina postici- pante l'armistizio.
Il Vostro rappresentante accreditato ha firmato un accordo con me e la sola speranza dell'Italia è legata alla Vostra adesione a questo accordo.
Secondo la vostra urgente richiesta le operazioni aviotrasportate sono temporaneamente sospese. Avete intorno a Roma truppe sufficienti per assicurare la momentanea sicurezza della città, ma io richiedo esaurienti informazioni secondo le quali disporre al più presto per l'operazione aviotrasportata. Mandate subito il Generale Taylor a Biserta informando in anticipo dell'arrivo e della rotta dell'apparecchio. I piani sono stati fatti nella convinzione che Voi agivate in buona fede e noi siamo stati pronti ad effettuare su tale base le future operazioni militari. Ogni mancanza ora da parte Vostra nell'adempiere a tutti gli obblighi dell'accordo firmato avrà le più gravi conseguenze per il Vostro Paese. Nessuna Vostra futura azione potrebbe più ridarci alcuna fiducia nella Vostra buona fede e ne seguirebbe di conseguenza la dissoluzione del Vostro Governo e della Vostra Nazione. Generale Eisenhower".

Ore 17. 45 L'ambasciatore tedesco Rahn, dopo aver ascoltato l'annuncio della radio sta- tunitense, telefona immediatamente al generale Roatta per chiedere spiegazioni. Questi risponde:
"Questa comunicazione di New York è una sfacciata menzogna della propaganda inglese, che io devo respingere con indignazione".
Ore 18 A Roma i rappresentanti del Comitato delle opposizioni sono riuniti a casa Bonomi. Giunge la notizia che gli Alleati sono sbarcati a Salerno e che la radio alleata ha dato l'annuncio della resa italiana e della conclusione dell'armistizio. Gli antifascisti vengono colti di sorpresa: nei giorni precedenti si era sparsa la voce che l'annuncio dell'armistizio sarebbe stato dato verso il 15 settembre. "L'avevamo tanto atteso che quando venne non ce l'aspettavamo", ricorda Giorgio Amendola. La riunione viene immediatamente sospesa e riaggiornata per le ore 8 del giorno successivo. I militanti, - tra loro Amendola, Longo, Trombadori, Forti, Boccanera, Secchia, Scoccimarro - si mobilitano immediatamente per preparare sedi più sicure, ritirare le armi promesse dal governo, preparare giornali e stampati. Per le strade della capitale i tedeschi sono in agitazione.
Ore 18, 15 Comincia la riunione del Consiglio della corona, a cui partecipano il Re, Badoglio, il ministro della Real casa Acquarone, il ministro degli Esteri Guariglia, i ministri della guerra e delle tre armi, Sorice, Ambrosio, Roatta, Carboni, Castellano e Marchesi.
Ore 18, 30 Il Servizio informazioni militari (SIM) comunica di aver intercettato un messaggio da Radio Londra, che notifica la richiesta d'armistizio da parte dell'Italia e l'accettazione delle medesime dei comandi alleati. Il messaggio intercettato è quello del generale Eisenhower inviato da Radio Algeri che recita:
"Qui il generale Dwight Eisenhower, Comandante in Capo delle Forze Alleate.
Le Forze Armate italiane si sono arrese incondizionatamente. Come Comandante in Capo Alleato io ho accordato un armistizio militare i cui termini sono stati approvati dai Governi del Regno Unito e della Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. In questo modo ho agito nell'interesse delle Nazioni Unite. Il Governo italiano ha accettato questi termini senza riserve. L'armistizio è stato firmato da un mio rappresentante e da un rappresentante del maresciallo Bado- glio e diviene effettivo da questo istante. Le ostilità fra le Forze Armate delle Nazioni Unite e quelle dell'Italia sono adesso terminate. Tutti gli italiani che col nuovo accordo aiuteranno a cacciare l'aggressore tedesco fuori dal suolo italiano avranno l'assistenza e l'aiuto delle Nazioni Unite".
Il messaggio viene seguito da un proclama del primo ministro britannico Churchill:
"Le Nazioni Unite informano che l'armistizio concluso dal generale Eisenhower con l'Italia è strettamente militare e non com- prende nessuna clausola di natura politica, economica o altra. Queste clausole verranno determinate a suo a suo tempo. Di conseguenza, gli articoli dell'armistizio non verranno per ora pubblicati e nemmeno comunicati al parlamento inglese. Si può dire, comunque, che, per effetto dell'armistizio, il maresciallo Badoglio si obbliga a respingere con le sue forze qualunque attacco da qualsiasi parte provenga".
Dopo aver preso conoscenza dell'annuncio alleato la riunione del Consiglio della corona riprende con un breve riassunto della situazione fatto dal generale Castellano; subito il generale Carboni e il ministro Sorice definiscono inqualificabile l'atteggiamento degli alleati e propongono la denuncia dell'armistizio. Prende la parola il maggiore Marchesi che sostiene invece con forza l'opportunità di procedere con quanto previsto dalla firma, supportato anche da Castellano e Guariglia. Sentite le posizioni il Re toglie la seduta, trattenendosi con Badoglio. Dopo pochi minuti il capo del governo esce dalla sala. Il sovrano ha scelto l'armistizio.
Si legge nei Taccuini di Benedetto Croce:
"Alle 18.30 tornavo a casa da una piccola passeggiata quando Adelina mi ha detto di aver udito alla radio che è stato concluso l'armistizio con gli angloamericani".
Ore 19 L'ambasciatore Rahn si reca al Ministero degli esteri su invito di Guariglia che gli comunica:"Devo dichiararvi che il Maresciallo Badoglio, vista la situazione militare disperata, è stato costretto a chiedere un armistizio". L'ambasciatore tedesco risponde: "Questo è tradimento della parola data". Guariglia ricorderà in seguito: "Io sono convinto che, se anche Rahn riteneva inevitabile l'uscita dell'Italia dal conflitto, egli fu sorpreso dalla notizia dell'armistizio perché sperava di poter assecondare per parecchio tempo ancore il giuoco di quei capi militari tedeschi, che intendevano guadagnare tempo per rafforzare maggiormente il loro dispositivo difensivo in Italia". Alla stessa ora Rossi, accompagnato da Taylor, giunge a Tunisi e conferisce con Eisenhower, ripor- tando il punto di vista di Badoglio: "Il maresciallo giudica impossibile l'aviosbarco della divisione per la notte fra l'8 e il 9 e chiede di ritardare di pochi giorni l'armistizio per rendere possibile detta operazione. Rassicura il comando alleato dei suoi sentimenti di collaborazione e di lealtà e prega di voler richiamare il gen. Taylor per rendere meglio edotto il Comando alleato della situazione".
Ore 19,30 Giunge a Roma il telegramma del generale Eisenhower a cui Badoglio risponde:
"La mancata ricezione del segnale d'azione convenuto per radio e il dilazionato arrivo del vostro n ̊ 45 non ha consentito di radiodiffondere la proclamazione all'ora convenuta. La proclamazione avrebbe avuto luogo come richiesto anche senza il vostro messaggio, essendo per noi sufficiente l'impegno preso. L'eccessiva fretta ha effettivamente trovato i nostri preparativi incompleti e causato ritardo".

Ore 19, 42 Dagli altoparlanti delle radio di tutta Italia - nei locali pubblici, nelle piazze, nelle strade, nelle case - si diffonde la voce del capo del governo. Il maresciallo Badoglio legge l'armistizio:

"Il Governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell' intento di risparmiare ulteriori e più gravi danni alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze anglo-americane. La richiesta è stata accettata. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza".

Il nome del comandante alleato pronunciato da Badoglio suona "Aisenover".
Ore 21 Il re Vittorio Emanuele III, la regina Elena, il figlio Umberto, l'aiutante Puntoni, gli ufficiali di ordinanza, un cameriere e una cameriera, giungono al Ministero della guerra entrando dall'ingresso secondario.

La reazione dell'ex duce. Mussolini, custodito a Campo Imperatore, sul Gran Sasso, viene informato dal maresciallo Antichi dell'armistizio. Secondo la testimonianza del militare, alla notizia
"era scattato in piedi gesticolando; aveva scaraventato via, lontano da sé il libro che stava leggendo, poi si era messo ad accusare Badoglio di tradimento. Subito aveva preannunciato rappresaglie tedesche. "Questo è un gran brutto giorno per l'Italia" urlò "vedrete ora i tedeschi cosa faranno!" poi scuotendo la testa aveva aggiunto: "non tollereranno mai questo tradimento!".
Si prepara la repubblica di Salò. Nella notte su un treno speciale allestito appositamente, in Prussia orientale, vengono radunati i gerarchi fascisti presenti in Germania. Göbbels spiega:
"Pavolini, Ricci e il figlio del duce sono ora al quartier generale a prepara- re un appello al popolo italiano e alle forze armate italiane. Sono stati scelti per formare un Governo neofascista che agisca in no- me del duce. Dovranno prendere residenza nell'Italia settentrionale non appena le condizioni si siano là consolidate (...) Farinacci deve arrivare nel corso del pomeriggio per integrare l'opera di questo triumvirato".
La situazione delle forze alleate. In Calabria le forze Alleate si trovano, dopo cinque giorni dallo sbarco, a 160 Km a nord di Reggio Calabria e non hanno praticamente incontrato resistenza.
L'ambivalenza del governo. A Roma nella notte il generale Carboni, sulla base di accordi presi in precedenza con il Comitato delle opposizioni per armare la popolazione contro i tedeschi, fa consegnare a Luigi Longo due autocarri contenenti delle armi, che sono scaricate e immagazzinate in luoghi diversi da Guido Carboni, figlio del generale, Felice Dessì, monarchico e confinato politico, da Longo stesso e da altri militanti comunisti. Poco dopo la polizia, evidentemente ben informata, circonda alcuni depositi e sequestra gran parte delle armi, fucili e bombe, e delle munizioni.
Le reazioni popolari. Andrea Damiano, sfollato da Milano, si trova a Montalto Pavese; nel suo diario racconta come ha vissuto la notizia:
"Oggi verso sera due ragazzotti che passavano per la strada dissero alla mezzadra, uscita ad attingere acqua: "Hanno fatto la pace". Mia cognata, che era fuori anche lei, mi guardò con due occhi tramortiti. "Hai sentito?" Corremmo alla radio. Un disco inciso ripeteva le parole con le quali Badoglio comunicava la notizia dell'armistizio. Mia moglie era giù nella vigna con mio suocero e i figli. Corsi giù a dar loro la nuova. Trovai mio suocero che saliva su per l'erta, appoggiato a una lunga canna, seguito dagli altri. Gli grido da lontano: "Armistizio, la guerra è finita!" Egli sostò appoggiato alla canna, facendo gli occhi piccoli e aggrottando la fronte per intendere le parole che gli gridavo. Poi capì, e riprese a salire a capo chino. Mi dissi: "Guarda come è apatico". Poi mi avvidi che ero apatico come lui. Mia moglie accolse la nuova con una faccia grave. Risalimmo tutti e tre il pendio fino alla costa, in silenzio. Badoglio ha concluso il suo messaggio con parole oscure, o fin trop- po chiare: "Qualunque tentativo di aggressione, da qualunque parte venga, sarà respinto con le armi". Da chi può venire questa aggressione, se non dalla Germania? Chi giubila è l'uomo dei campi. Mentre scrivo giungono dal paese echi di canti: sono tutti all'osteria. Il popolino è felice, noi no. Perché? Non volevamo la pace anche noi? Ma stasera la plebe non ha coscienza dell'abisso nel quale siamo precipitati. O forse ce l'ha fin troppo, ma non gliene importa. Pace, tutti a casa, ciucche alla domenica, e regni chi vuole. "A Nadal se spusamma!" mi gridò uno, sfrecciando in bicicletta, giubilante. In questo giubilo c'è la rivoluzione di domani. Brucia più scorie questa gioia, pronta a tramutarsi in furore rivoluzionario, che le nostre benpensanti doglie. Notte calma. Poc' anzi sono uscito sull'aia e ho guardato il cielo, vuoto sotto le stelle. Non più rombi di apparecchi incursori. Attorno al cadavere della patria è un gran silenzio".

Il priore di San Giusto a Montalbini, in Toscana descrive l'evento così:
"La sera dell'8 settembre 1943 si vedono in lontananza tanti fochi come per la vigilia di S. Giovanni. E poi comincia da tutte le chiese uno scampanio a festa che riempie l'aria di un'insolita allegria. Cosa c'è? Dopo poco "la galena" ci annunzia l'armistizio. Io non suono le campane. Sulle sciagure della patria non si gioisce, ma si piange. Io non suono le campane. Comprendo che la guerra non è finita, comprendo che i tedeschi sono "diavoli"; sono ostinatamente tenaci e quindi, avendoli in casa, la guerra non è finita ".
L'«Avanti!», giornale del Psiup, prepara il comunicato ufficiale dal titolo: "La guerra fascista è finita. La lotta dei lavoratori continua". Un sintetico articolo informa sui fatti e sull'annuncio dell'armistizio; "Nel nome dei morti i vivi promettono" una rinascita del paese nel nome di chi ha combattuto. Un Appello ai soldati tedeschi in Italia invita alla diserzione e all'"affratellamento" con gli italiani, a "rendersi indipendenti dal fascismo, dall'oppressione nazista, da Hitler" per una "pacifica ricostruzione dell'Europa". Il foglio si chiude con La parola d'ordine del partito:

"Lavoratori. L'Armistizio con le Nazioni Unite è stato firmato. (...)Difendete la Pace contro chiunque e con ogni mezzo! Via i nazisti dall'Italia! (...)Via il re fascista! (...). Esigete un governo popolare che ridia la libertà e che avvii alla vostra suprema aspira- zione: la repubblica Socialista!". 

un articolo

da l'Unità 25 aprile 2003

Resistenza, la disobbedienza come responsabilità civile


Enrico Manera

Ha scritto Claudio Pavone nella sua fondamentale opera del 1991 Una guerra civile, ancora oggi non correttamente recepita dai più, che con la scelta resistenziale “per la prima volta nella storia dell’Italia unita gli italiani vissero in forme varie una esperienza di disobbedienza di massa”. Il senso di tale affermazione investe l’intero assetto della Resistenza nella molteplicità delle sue manifestazioni, assumendo il senso di un clima generale che accompagna interamente quei circa venti mesi che separano l’Armistizio dalla Liberazione.
Proprio dall’8 settembre bisogna partire per ritrovare le tracce di un primo significato di ‘libertà’ nella scelta resistenziale: il suo essere un atto di disobbedienza, non «a un governo legale, perché proprio chi detenesse la legalità era in discussione», ma «a chi aveva la forza di farsi obbedire» (Pavone).
Il totale vuoto di potere creato dall’abbandono di ogni responsabilità da parte del Re e dei generali in fuga verso Brindisi, aprì uno spazio di libertà che per tutti si trasformò nell’esigenza di scegliere da che parte stare. Massimo Mila descrive questa situazione parlandone come di una “rivelazione a se stessi”, una nuova possibilità di vita scaturita da scelte che venivano compiute spesso in solitudine e la cui radicalità veniva modulata in base alla situazione contingente, alla possibilità e alla determinazione. Nei testi di Mila, di Ada Gobetti, di Franco Venturi, di Roberto Battaglia, di Pietro Chiodi, emergono a questo proposito espressioni come ‘gioia’, ‘infanzia’, ‘incoscienza’, ‘entusiasmo’, ‘fervore’, ‘energia’. Parole che testimoniano, oltre la tragicità degli eventi, l’ebbrezza della libertà. Una realtà di grande rilevanza educativa per una generazione, cresciuta negli apparati totalitari del regime, che nella scuola elementare aveva dovuto imparare a memoria queste parole del libro unico di Stato: “quale dev’essere la prima virtù di un balilla? L’obbedienza! E la seconda? L’obbedienza! E la terza? L’obbedienza”.
Connessi alla recuperata libertà furono, da subito, il senso di responsabilità a cui si era chiamati e la dimensione collettiva del fenomeno. Fin dal settembre 1943 si assistette a manifestazioni di solidarietà e di aiuto della popolazione offerto agli sbandati e ai fuggiaschi, in un clima diffuso di ‘resistenza passiva’. I macchinisti rallentavano i treni o si fermavano per permettere ai soldati di scappare; contadini e ragazze portavano cibo a ragazzi in fuga e senza le idee chiare, tutti offrivano abiti borghesi. Cominciava da lì quella resistenza civile che Anna Bravo ha definito un “maternage di massa”, una gigantesca mobilitazione soprattutto di donne tale da configurare un “enorme lavoro di tutela e trasformazione dell’esistente – vite, rapporti, cose – che si contrappone sia sul piano materiale sia spirituale alla terra bruciata perseguita dagli occupanti”.
Una tale rete di supporto fu la base su cui si erse la “resistenza attiva”, i cui primi nuclei si sarebbero venuti a formare di lì a pochissimo. Uomini di diverso orientamento politico, vecchi antifascisti liberati o tornati dal confino, militari sbandati, giovani renitenti alla leva, studenti e contadini, fecero la scelta, collettiva e non individualista, di diventare “banditi”. Una scelta fatta nella consapevolezza di essere portatori di una legittimità e di una giustizia ormai scomparse dall’orizzonte storico del tempo.
La disobbedienza è, di per sé, il primo atto di una scelta responsabile, nata all’interno di un ripristinato ‘stato di natura’, in cui tutti, potenzialmente, sono contro tutti. Eppure nei luoghi della Resistenza tra il 1943 e il 1945, sulle montagne, nelle città, nelle fabbriche, nei campi di concentramento, nelle case e nelle cantine, nelle osterie dopo l’orario di chiusura, si ridefinivano i ruoli e i rapporti tra le persone. Rinasceva la democrazia come confronto diretto e dialogo aperto, beninteso anche con scontri e divergenze drammatiche di natura politica e organizzativa. Non si dimentichino la fame, la povertà e le condizioni proibitive in cui versava la popolazione di un paese in guerra, frequentemente bombardato e con una rete di spionaggio e di repressione durissima e violenta.
In questa situazione la facoltà di critica e il rimpadronirsi di sé si riaffacciavano nella vita degli individui per diventare lo spazio mentale e sociale su cui si sarebbe rifondato il Paese. La disobbedienza della Resistenza diventa dunque sinonimo di responsabilità civile, capacità di ridare dei significati alle azioni e alle scelte dopo un ventennio di eterodirezione delle coscienze e di un apparato totalitario retorico, pacchiano e tronfio che aveva reso ridicolo il senso stesso delle istituzioni. Mentre le maiuscole del littorio romano e dell’impero si sprecavano, i soldati al fronte male armati ed equipaggiati erano stati i primi a scoprire quanto ci fosse di drammaticamente falso nelle trite formule del credere-obbedire-combattere e in difesa della patria a guardia dei bidoni di benzina.
Se le drammatiche condizioni della ritirata di Russia avevano spazzato via ogni dubbio, così l’8 settembre fu il momento, percepibile da tutti, del vuoto di potere assoluto e del crollo delle isituzioni. Non “morte della patria”, come vuole certo revisionismo nostrano, ma crollo definitivo del misero edificio costruito da una dittatura che in vent’anni aveva eroso le già fragili fondamenta di uno Stato in cui il processo di Nation Building era tutt’altro che compiuto. Moriva la patria monarchica e fascista, bisognosa di fondarsi su valori altisonanti e ideologici perché incapace di esprimerne di autenticamente umani. Ma lo Stato italiano era morto ben prima, nel 1938, quando Mussolini con l’avallo della monarchia aveva instaurato le leggi razziali, stabilendo la fine dei diritti più elementari per i cittadini italiani di origine ebraica. O, addirittura nel 1924 insieme a Giacomo Matteotti, senza che i senatori liberali del Regno avessero fatto alcunché per ripristinare lo stato di diritto; o il 28 ottobre 1922 quando con la passeggiata romana in camicia nera, l’incapacità delle élites liberali di rapportarsi con le emergenti masse popolari decretò l’affidamento del potere a Mussolini da parte della monarchia.

Quando era nata, la Repubblica di Salò aveva ripristinato un ordine costituito con tanto di costituzione (quella carta di Verona che annoverava gli ebrei come nazione nemica) eppure per la maggior parte della popolazione era chiaro che la giustizia non stava da quella parte. Anche chi non amava i partigiani li preferiva di gran lunga ai tedeschi e ai fascisti perché sapeva benissimo chi era stato a scatenare la guerra. La rete di solidarietà di cui godettero i partigiani testimoniano al contrario una istintiva identificazione con la giustizia e con la legittimità che rendeva non solo possibile, ma anzi doveroso praticare la Resistenza.
Una delle ragioni della differente qualità etica tra la scelta resistenziale e quella fascista repubblicana (tra la ‘vita’ e la ‘bella morte’) sta nel fatto che l’opzione salodiana per la Rsi non avvenne alla luce della critica, ma in quella della continuità con un regime di cui si conoscevano i programmi e le efferatezze. Il più delle volte, nei processi dopoguerra la scelta per la Rsi e la commissione di crimini efferati furono giustificate dai fascisti con la frase: “l’ho fatto perché mi è stato comandato”. Per non parlare di quella citata da Pietro Chiodi che si sentì dire da un marò della X mas “ che gli è sempre piaciuta la marina” e che “nei partigiani non c’era”.
Le giustificazioni incentrate sulla difesa e sull’onore della patria non reggono se si pensa che oltre il 95% degli ufficiali tra gli internati militari italiani, arrestati e deportati in Germania dopo l’8 settembre rifiutarono di farsi reintegrare nell’esercito saloino, non in quanto antifascisti (o, peggio ancora, ‘comunisti’), ma proprio in quanto ufficiali dell’esercito di una patria di cui difendevano l’onore.
Come ha detto Claudio Pavone, in un ragionamento semplice e autoevidente, profonda è stata la differenza etica che ha diviso chi ha fatto la scelta resistenziale da chi ha scelto per la Rsi: da un punto di vista collettivo e politico da una parte si combatteva per la libertà e la democrazia, dall’altra si combatteva per un regime totalitario e autoritario, al di là della buona o della cattiva fede nell’uno o nell’altro campo.
A chi oggi mette in discussione l’importanza del 25 aprile e il suo valore collettivo per lo Stato e la società italiana, ricordiamo la gioia di chi cinquantotto anni fa visse la Liberazione dal nazifascismo. È Ada Gobetti, la vedova di Piero -lucidissima intelligenza stroncata dalla violenza fascista nel 1926- a ricordare l’aprile 1945 e il sentimento comune e condiviso: «Ebbene? – gridai loro – rallentando la bicicletta. E tanta era in quei giorni l’identità dei sentimenti e dei pensieri che essi intesero benissimo il senso della mia domanda e, benché non mi conoscessero come io non li conoscevo, risposero con un gesto allegro della mano: – Se ne sono andati!».

Nessun commento:

Posta un commento