Assurdo
Il termine latino absurdus significa
‘dissonante’, ‘stonato’ ed è composto da ab
(particella che indica allontanamento) e surdus, forse dalla
radice sanscrita svar/suar (suonare). Già
nell’antichità in senso figurato assume il significato che ha in
italiano: ‘assurdo’ è ciò che è in contrasto con l’evidenza
logica, intrinsecamente contraddittorio, privo di fondamento
razionale e di riscontro nel senso comune. Metafora musicale, è una
‘stonatura’ che diverge rispetto all’armonia interna a un
discorso.
Nel linguaggio comune il termine è usato tanto come
aggettivo che come sostantivo, (riscontrato anche nella forma
‘assurdità’) per designare un fenomeno (atto, evento,
ragionamento) che contrasta con le opinioni consolidate e si presenta
come sconveniente, stravagante, inopportuno.
In filosofia l’assurdo è stato utilizzato nei
ragionamenti come strumento dialettico fin dai tempi dei sofisti,
maestri di retorica e professionisti dell’argomentazione che hanno
elaborato nell’Atene democratica le regole della dimostrazione: per
difendere la validità di una tesi si mette in luce l’impossibilità
dell’affermazione contraria. Tale proposizione viene respinta
mostrando l’assurdità delle conseguenze a cui si andrebbe incontro
qualora venisse accettata.
Esso compare nelle forme di irrazionalismo o di
parziale rifiuto della ragione che hanno caratterizzato diverse
teorie filosofiche di matrice religiosa. Nel cristianesimno è
opzione a favore della priorità della fede sulla ragione: credo
quia absurdum era una formulazione del cristianesimo delle
origini (Tertulliano, II sec.) volto a negare compromessi con la
ragione e la cultura filosofica (“bisogna cercare Dio in semplicità
di cuore”); verrà ripresa dalla tarda teologia medievale (XIV
sec.) secondo cui, Dio, potentia absoluta dalla volontà
imperscrutabile, è in grado di agire in qualsiasi modo, persino
violando le leggi di natura, come avviene nei miracoli. In tal senso
la Rivelazione e la pratica liturgica devono essere accettate come
mistero della fede, irriducibili all’esperienza alla ragione e
incomprensibili dalla ragione umana.
L’assurdo come irrazionalità è riscontrato anche nella
filosofia moderna. Nel pensiero, profondamente religioso, di Soren
Kierkegaard (1813-1855) l’esistenza dell’individuo si rivela
incompatibile con la dimensione sociale e con ogni forma di
ottimismo: il senso della vita si rivela nella solitudine e nella
radicalità richieste da una fede assoluta. Ne sono la prova la
scandalosa e paradossale richiesta di Dio ad Abramo di sacrificare il
proprio figlio Isacco e la stessa Passione di Cristo, misteriosa
umiliazione del divino nell’umano.
Nel Novecento esperienze artistiche come il Teatro
dell’assurdo mettono in luce le contraddizioni della realtà,
nascoste sotto la loro parvenza di linearità; le avanguardie
letterarie come il futurismo, il dadaismo e il surrealismo esprimono
l’estraniamento e lo sgomento a cui la modernità, dalle
devastazione delle guerre alla pervasività del sistema di fabbrica,
sottopone gli individui cresciuti nell’ottocentesco mito
ottimistico del progresso. L’esistenzialismo ripropone il tema
dell’assurdo su un piano teorico che nega ogni trascendenza e la
presenza di una ragione interna alla storia e al mondo: la vita è
per Sartre gratuita, priva di senso e non riconducibile ad alcuna
razionalità (“Esistere è essere lì semplicemente. Gli esistenti
appaiono, si lasciano incontrare ma non li si può dedurre”).
L’essere è un puro dato materiale, fattuale ed opaco che non
prevede alcun fondamento extraumano e sovrastorico. Il divino
scompare dall’orizzonte dell’essere umano che deve assumere su di
sé la responsabilità della determinazione del senso e del divenire
della società e della storia.