martedì 28 gennaio 2014

Lemmario - Memoria





Memoria


“Senza una notevole facoltà di memoria nessun ingegno può né divenire né essere grande”.
(Leopardi, Zibaldone, nn. 1508-9)

Dal latino memoria, sostantivo derivato da memor, is (colui che ricorda), a sua volta connesso alla radice Mer (preoccupazione, ricordo).
Cicerone (De oratore) scrive che il poeta Simonide, unico sopravvissuto al crollo del soffitto durante un banchetto, ricordando l’esatta posizione di tutti i commensali, riconobbe i corpi per dar loro degna sepoltura. Così l’arte memotecnica connette ricordi a luoghi e immagini, configurando la memoria come archivio che riproduce esattamente il dato immagazzinato.

In Platone la conoscenza è anamnesis, ricordo delle idee intuite prima di reincarnarsi (Menone, Fedone); l’anima conserva le sensazioni provate come la tavoletta di cera conserva l’impressione del sigillo o come la colombaia ospita gli uccelli (Teeteto).

Con Aristotele la memoria è indispensabile perché si formi il concetto: nel De Anima la ritenzione della sensazione permette di costituire un’immagine mentale che è rappresentazione di una cosa. La memoria, madre di tutte le Muse, trattiene e riaggrega, crea il nuovo rielaborando ciò che esiste.

In Agostino (Confessioni) si trovano “campi e vasti palazzi della memoria, ove sono tesori di innumerevoli immagini” e fino a Tommaso d’Aquino (De memoria et reminiscentia) la memoria diventa una sorta di cava da cui gli scrittori estraggono materiale da costruzione.


Sulla base di tali concezioni Dante utilizza la metafora del libro (anche in Paradiso, XXIII, 54), riprendendo la tradizione della memoria come scrittura. Il termine è anche sinonimo di mente, intelletto o coscienza, intendendo il complesso delle facoltà psichiche. 

In età moderna la memoria non è ars ma diventa vis, forza che fonda l’identità personale nella vividezza del ricordo temporale, secondo una linea che da Montaigne attraverso Vico, giungerà fino a Nietzsche e Bergson, per poi innervare la psicologia, la psicanalisi e le teorie della personalità in tutto il Novecento.

In altra accezione è fama e ricordo che una persona lascia di sé, ma anche monumento o epigrafe che perpetua un avvenimento; in tale senso dal secondo dopoguerra si diffonderà la concezione della memoria come valore in senso educativo e democratico. Si moltiplicano gli studi sulla memoria collettiva come fenomeno sociale, costituito da processi comunicativi in base ai quali il riferimento al passato promuove un’identità culturale fondata su valori condivisi, come avviene nella celebrazione di importanti ricorrenze civili.

lunedì 6 gennaio 2014

Lemmario - Desolazione





http://www.flickr.com/photos/breakdennis/3187231639/


una voce scritta per un libro di letteratura per licei, che oggi scriverei diversa, parlando di rovine, stracci e bottoni, via Benjamin e Pamuk.

"così nel momento in cui un oggetto diventa obsoleto, come accade per lo straccio, proprio nell'incontro con la sua obsolescenza, che lo rende inutile, esso trova lì la sua vera destinazione. Libero dall'uso, da esso si sprigiona l'epifania di quanto era promesso ed era rimasto occultato dal valore d'uso"

(G. Solla, Memoria dei senzanome, 2013, p. 23)


Desolazione (2006) 


Il termine deriva dal latino tardo desolatio, da desolatus, participio passato del verbo desolare (da de e solus), che significa “lasciare solo, abbandonare, disabitare, rendere deserto”, in particolare con riferimento a luoghi devastati da guerre, invasioni, saccheggi o calamità naturali.
Con lo sviluppo di una sensibilità storica, a partire dall’età umanistica, “desolazione” indica anche il senso di decadenza, squallore e rovina che può trasmettere un luogo a causa della sua trascuratezza e degrado: l’abbandono si carica di nostalgia nella celebrazione di un antico splendore di cui non è rimasta che la memoria, come avviene per gli inquieti viaggiatori europei del Settecento nel loro Grand tour, stregati dal fascino della consunzione alla ricerca di segni del passato.
Il termine, per via analogica, indica anche uno stato interiore di profonda tristezza, in quanto l’anima è vista come un luogo deserto e devastato; in particolare nella mentalità cristiana la desolazione spirituale descrive quello stato di tenebra interiore in cui l’essere umano si sente abbandonato da Dio e disgusto, tedio, dolore vengono percepiti come vuoto dell’anima.
Nel contesto di progressiva laicizzazione che caratterizza l’età moderna il paesaggio solitario e remoto simboleggia l’afflizione di un’anima priva di ogni conforto e una profonda solitudine, in una gamma di sfumature della sofferenza interiore che, dal dispiacere e dalla prostrazione prodotti da fatti contingenti negativi, si spinge fino alla disperazione e all’angoscia, come sentimenti diffusi nel clima culturale della prima metà del Novecento.
Nella cultura contemporanea il termine “desolazione” assume caratteristiche sempre più esistenziali e sociali: nella poesia di Montale viene espressa una profonda sensibilità nei confronti della sofferenza che tormenta ogni essere vivente e del mistero insolubile che avvolge l’esistenza; ma la desolazione ricorre anche nella letteratura straniera per le descrizioni dell’umanità dolente che abita le città colpite dalle guerre mondiali e dalle grandi trasformazioni postbelliche.

Per il pensiero critico del Novecento, espresso ad esempio nelle teorie della Scuola di Francoforte, il termine assume una nuova accezione e può essere usato per designare gli effetti di una frattura che si apre tra l’ “essere” e l’ “avere”, tra l’interiorità e il modo di vivere nelle società tardo-capitaliste: desolante è il quadro che si viene a creare nelle relazioni umane a partire dalla strutture economico-sociali. In una prospettiva marxista il lavoro è segnato dall’alienazione, ovvero dalla perdita del rapporto con se stessi, e nuove forme di povertà hanno moltiplicato i conflitti tra le classi svantaggiate, ceti lavoratori e immigrati in particolare. La desolazione è diventata una caratteristica di tante periferie urbane nel mondo globalizzato, cementificato e sempre identico a se stesso: esse sono spazi in cui è tangibile il fatto che la società di massa tenda a ridurre ogni cosa a oggetto e strumento. Da qui un nuovo pensiero “apocalittico”, che all’alba del Terzo millennio considera la civiltà occidentale nel suo insieme ormai esausta e incapace di rigenerarsi, destinata a disgregarsi sotto il peso delle sue stesse contraddizioni.