domenica 13 giugno 2010



seconda puntata della metaarcheologia del sé.

piove spesso, ma per fortuna the national hanno fatto uscire il nuovo disco, e bloodbuzz ohio è straordinaria.



2. Anni ottanta. Ci sono piumini e jeans corti e stretti intorno a me, Snoopy è l'icona dominante, le sciarpe fluorescenti sono gran moda nella scuola media dove cerco di costruire le basi della mia socialità tra la Scilla del teppismo giovanile e la Cariddi della cattolicizzazione integrale, soprattutto cercando di non farmi pestare ed elaborando strategie di popolarità alternative, la principale delle quali, oltre lo studio, sarebbe stata la musica. Quello che conta in quell'epoca di tagli di capelli che gridano vendetta è che qualcosa sta succedendo e lo percepisco. Tra noi ragazzi la televisione è una presenza decisiva, le parole chiave sono dettate dai programmi culto, solo un attimo prima i puffi e ti ritrovi poi il Drive-In, Hazzard ma anche General Hospital, DJ Television e i film dell'orrore in seconda serata (anatema su chi volle trasmettere l'esorcista in tivvù nel 1985, chiedete agli analisti). Al centro di tutto c'è la pubblicità: la vedo e nelle immagini della vita che si manifesta nello spot, in mezzo a tutto il Mulino bianco, sento che c'è qualcosa che non va in me e nella mia famiglia. C'è una nettezza, una distinzione in quei corpi e nei cibi che rifulgono di luce perfetta che fa li sembrare più puliti più sani e perfetti, in contrasto a una sorta di pesantezza e lordura che riveste invece le nostre pastesciutte e fettine con il burro. Lì in quelle immagini c'è un mondo in cui io non ci sono, fatto di leggerezza, fragranza e grandi sentimenti, che mi dice tutta la mia grevità e inadeguatezza che ci costuituiscono contrapposta al nitore e alla finezza delle ragazze più belle della mia classe (come S*****a che divenne uno struggente simbolo di chissà che cosa nel suo negarsi), che invece appartengono a quel mondo. All'epoca soffrivo – come si fa ad accedere a quella sfera? – e sentivo il richiamo della produzione di quella mitologia che sta alla base dell'analisi della civiltà borghese di Barthes, ma avrei dovuto aspettare Marx e Nietzsche diversi anni dopo per trovare il varco che mi consentisse di capire. Il varco verso l'uso politico dell'immaginazione che ha bruciato il cervello di questo paese moltiplicando i processi di mutazione antropologica di cui il berlusconismo è risultato e nuova causa. Il cui principio teoretico, l'estetizzazione della politica, è alla base delle culture dell'identità. Se questa è una costante dell'antropopoiesi, ovvero di come ogni forma di umanità autocostruisce le proprie strutture connettive naturalizzandole con il nome di realtà, forme di religione e forme politiche sono il luogo di osservazione privilegiato di queste dinamiche intensificate: fondamentalismi e totalitarismi appaiono al microscopio dello studioso paradigmatici per l'osservazione su scale di evidenza assai ampia di un modo elementare di darsi nella cultura. Nella tarda o surmodernità con il combinato disposto di cultura dell'immagine insistita e narcisismo prometeico di massa si rendono apprezzabili modalità simili di costruzione della realtà, che oltre la tecnicizzazione triviale e scoperta del mito, sono ideologia pervasiva in termini microfisici e a bassa intensità, macchina di costruzione della realtà attraverso la miticizzazione, in cui l'essere collassa sotto l'imperativo sociale di un dover essere. Che è conformismo, omologazione, apparire, voler essere visti, implosione della critica e assorbimento dell'utopia, che può sopravvivere solo come nuova estetizzazione. Gli anni 80, insomma.


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