nelle quali ho (ri)scoperto l'importanza di Bourdieu,
fondamentale, perché l'avevo- come dire - dimenticato e non è tra le priorità metodologiche di chiunque si occupi di scienze umane?
è Lévi-Strauss + Foucault senza svolazzi,
meglio è Bourdieu
partire da qui:
Pierre Bourdieu, Il campo religioso
con due saggi dei curatori, Roberto Alciati e Emiliano R. Urciuoli (grazie)
aAccademia UP, 2012
e poi per una indispensabile metasociologia, che indaghi le ragioni e le posture di chi studia qualcosa
Pierre Bourdieu,
Questa non è un'autobiografia, Feltrinelli, 2005
questo invece sono io: 5.6.1 La
critica del linguaggio
L’ideologia è lo sfondo intellettuale
comune a più ambiti della cultura di una società o di un’epoca:
ogni forma di sapere, lungi dall’essere neutre, incorporano visioni
del mondo e si configura in termini storici come paradigma il cui
successo deve essere letto in rapporto al potere dominante, il quale
potrà servirsi del monopolio di quel sapere come forma di
legittimazione del proprio dominio. Mentre
Lévi-Strauss e Dumézil hanno costruito sistemi teorici separando la
morfologia della cultura dalla sua genesi e dalla sua funzione di
dominio, in un approccio marxista forma, origine e funzione di
un’ideologia appaiono sovrapposte e coincidenti: uno dei
presupposti della «teoria della riproduzione socio-culturale» è
che gli elementi ideologici riproducano in forma larvata il campo
sociale in cui sono prodotti, servendo gli interessi dei gruppi che
costituiscono la società1.
Si è già visto come nell’indagine
sul mito svolta da Jesi siano presenti: la ricerca di una genesi
storica dei fenomeni dal dichiarato valore anti-metafisico; la
delineazione di una teoria metapsicologica che implica la
rielaborazione di materiali cognitivi da parte di soggetti culturali
immersi nel dinamismo storico; l’individuazione di una storia della
ricezione che ne privilegia la funziona politica. In
questo senso Jesi ha elaborato la sua via personale alla sintesi di
marxismo e di antropologia che ha caratterizzato i suoi anni
sfociando in una semiolinguistica critica il cui intento è stato
quello di costruire una «controcultura»2.
L’analisi del linguaggio significa critica al pregiudizio
naturalistico e conservatore che assuma come ipostasi extrastoriche
quelle che sono istituzioni culturali specifiche di una determinata
organizzazione sociale3:
congiungendo Marx con Sapir e Benveniste la stessa canonizzazione
della cultura europea diventa il luogo di trasformazione della
metafisica classica in volto necessario della verità. Lo studio
della significazione
mette
capo al valore d’uso dei saperi
che
si
determina
storicamente e quindi alla loro decostruzione ideologica: obiettivo è
lo svelamento dei presupposti materiali per i quali alcuni
significati si sono sedimentati nel codice linguistico di una
comunità istituzionalizzandosi attraverso il linguaggio. Contro il
sapere che limitandosi alla descrizione della realtà amplifica
l’ideologia dominante la teoria critica mette in evidenza i
processi di costruzione ideologica associandola alle strutture
economico-sociali che ne spiegano la diffusione.
Con il concetto di
‘logotecnica’ Barthes ha designato le categorie costituenti
l’impalcatura di un determinato sistema culturale, trasformando
tutti i fatti significanti in oggetti della semiotica4:
il sistema sociale si regge sugli individui, i parlanti nella cui
lingua e nel cui agito i codici prendono vita e si modificano,
all’interno di rapporti comunicativi, permettendone la
riproduzione. Barthes teorizza una «nuova scienza linguistica»
volta a indagare «il progresso della solidificazione»,
«l’ispessimento lungo il discorso storico» delle parole, che
sarebbe stata «sovversiva» nella misura in cui avrebbe mostrato
«molto più che l’origine storica della verità: la sua natura
retorica, di linguaggio»5.
La demistificazione ideologica traccia la specificazione storica dei
codici culturali: tematizzare le produzione sociale che li ha
originati, mostrandone gli elementi di interesse attraverso
l’individuazione dei motivi di canonizzazione. Nonostante tutte le
prese di distanza da ogni corrente o prospettiva metodologica e le
dichiarazioni di volersi attenere a un basso profilo, la teoria
jesiana appartiene al suo tempo. La miticità in un sistema di segni
è l’aura di valore prodotta dalla macchina mitologica in virtù
della sua circolazione, secondo un processo che politicizza e porta
alle estreme conseguenze quanto era implicito nel programma
strutturalista: «Tutte le opere individuali sono miti in potenza, ma
è la loro assunzione in chiave collettiva che attualizza
all’occorrenza la loro “miticità”»6.
Così Jesi in uno degli ultimi scritti:
La
scienza del mito nella mia prospettiva tende ad attuarsi come scienza
delle riflessioni sul mito, dunque come analisi delle diverse
modalità di non-conoscenza del mito. La scienza della mitologia, per
il fatto di consistere nello studio dei materiali mitologici in
quanto tali, tende ad attuarsi innanzitutto come scienza del
funzionamento della macchina mitologica, dunque come analisi della
intera e autonoma circolazione linguistica che rende mitologici quei
materiali. Uso la parola mitologia per indicare appunto tale
circolazione linguistica e i materiali che la documentano. [...]
Sono invece convinto che, per me oggi, il modo migliore di collocarmi
di fronte ai meccanismi e alle produzioni mie e degli altri, antichi
o contemporanei, consista nel riconoscere in alcune di quelle
proposizioni un linguaggio non riducibile ad altri, assolutamente
autonomo “riposante in se stesso” (Bachofen), dotato di alcune
caratteristiche definibili con approssimazioni estremamente vaghe se
– com’è inevitabile per definirle
– si ricorre ad altro linguaggio7.
–––––––––––– note______________
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1
Bourdieu, che in tal senso può essere considerato paradigmatico,
scrive: «I sistemi ideologici che gli specialisti producono
attraverso e in vista della lotta per il monopolio della produzione
ideologica legittima, riproducono sotto una forma irriconoscibile,
attraverso la mediazione dell’omologia tra il campo di produzione
ideologica ed il campo delle classi sociali, la struttura del campo
della classi sociali [...]. La funzione propriamente ideologica del
campo di produzione ideologica si svolge in forma quasi automatica
sulla base dell’omologia di struttura fra il campo di produzione
ideologica ed il campo della lotta delle classi». P. Bourdieu, Sur
le pouvoir symbolique,
«Annales E.S.C.», 1977, 3, pp. 409-410. Cfr. D. Dubuisson,
Mitologie del XX secolo,
cit., pp. 74 ss.
2Cfr.
M. Solimini,
Scienza
della cultura e logica di classe,
Dedalo, Bari, 1974, pp. 10 ss. La premessa teorica di questo
progetto diffuso e dai vasti contorni consiste nella concezione per
cui la funzione politica della lingua è individuata nel «realizzare
una particolare organizzazione del mondo naturale-sociale, di
ordinarlo in categorie di oggetti, di distinguerlo in maniera
specifica [...] in azioni, funzioni, ruoli, istituzioni» (p. 135).
3
F. Rossi Landi, Il linguaggio
come lavoro e come mercato,
Milano, 1968, p. 215-216: «Sostenere che in un soggetto c’è
qualcosa di extrastorico significa operare un privilegiamento
fondato sul passato» che è il «punto essenziale per
l’interpretazione di qualsiasi ideologia conservatrice, o
reazionaria. [...] Gli oggetti che vengono detti oggi extra-storici
altro non possono essere che oggetti costituiti dall’umanità in
qualche fase precedente del suo sviluppo sociale. Sono questi
oggetti che si vogliono difendere e conservare – e tanto meglio se
il processo storico del momento ha istituito una macchina sociale che
li conserva automaticamente».
4
Cfr. R. Barthes, Elementi di
semiologia (1964), ed. it.
Einaudi, Torino, 1966.
5
R. Barthes, Il piacere del
testo (1973), ed. it.
Einaudi, Torino, 1975, p. 42.
6
C. Lévi-Strauss, L’uomo
nudo (1971), cit., p. 590.
7
F. Jesi, «Così Kerényi mi
distrasse da Jung»,
(auto)intervista su un
itinerario di ricerca, in
«Alias», n. 30, luglio 2007, p. 21 (Testo inedito parzialmente
pubblicata in MM, pp. 365, 367-369).