sabato 1 dicembre 2012

di un certo modo di narrare per immagini



dalla tesi di dottorato, a volte ritornano.




5.3 Potere (visivo) della letteratura

«Una grande entelechia con inclinazione mitologica, anzi con indole mitologica, che è lecito considerare come vera e propria forma fondamentale, con i tratti maliziosi di un essere ermetico»1.

L’importanza che Thomas Mann ricopre per Jesi si trova compendiata in questa descrizione del praeceptor Germaniae fornita da Kerényi, nella quale la dimensione mitologica appare centrale, e dalla quale si ricavano importanti considerazioni di ordine teorico: il romanziere è il paradigma della macchina mitologica della scrittura, capace di produrre materiali durevoli, cioè ad alto tasso di significatività, e di generare il sentimento dell’eterna presenza che costituisce la qualità principale della ‘miticità’.
Così Jesi:

La tecnica della citazione servì [...] a Thomas Mann per contrapporre alla storia [...] la sua scrittura stessa, in sé e per sé come il virtuosismo del violinista non rinvia al pezzo eseguito e tanto meno a ciò che il pezzo potrebbe comunicare, ma tende in fondo a distogliere dal pezzo per rinviare alla tecnica del suonare il violino2.

L’autore con «freddezza ascetica», «mediazione manieristica», «operata dalla scrittura di un virtuoso fra i materiali storici dell’io», diventa una macchina letteraria che ricompone e ricombina frammenti di natura eterogenea, trovati nella miniera della tradizione e della sua memoria. «Begeisterung»3 (‘ispirazione’) coincide con l’«involontaria citazione di luoghi comuni», che il critico potrà anche riconoscere, ma il cui valore e significato appaiono nuovi a partire dal contesto della loro riproposizione e dal loro accostamento. Jesi ha continuamente professato il valore della tecnica ‘per citazione’, in base alla quale la creazione si presenta come ricezione e rielaborazione inconscia e ‘automatica’: si veda questo commento sulla propria esperienza poetica, in cui è possibile riconoscere lo stesso approccio del critico.

Analoga situazione di “esilio” [ Jesi si riferisce alla «tradizione culturale e religiosa ebraica» n.d.c.] in termini di religione di cultura, di morale si configura nel linguaggio e nelle metrica di queste poesie. Nei confronti dei ritmi e degli stilemi tradizionali, l’atteggiamento del poeta ‘in esilio’ non è solo di parodia: egli si permette di usare i luoghi comuni di una tradizione composta di echi, brandelli e parole-chiave della poesia degli ultimi centocinquant’anni (o di proporne dei nuovi, coniati per imitazione e “simpatia”), al fine di entrare in contatto con l’unica poesia moralmente lecita durante l’ “esilio”: la poesia che è nella voce umana recitante secondo un determinato rituale e secondo una cadenza rituale, alcuni luoghi comuni.
A The Waste Land (per citare un esempio illustre) T. S. Elliot fece seguire sette pagine di note, denunciando almeno una parte delle innumerevoli citazioni intrecciate del poema. Lesilio non ha alcuna nota poiché l’autore intende sottolineare l’usufruibilità di ogni precedente poetico quale repertorio di anonimi luoghi comuni – i quali possono apparire bizzarrie estremamente soggettive, ma in realtà sono proprio luoghi comuni di una koiné che – in termini cronologici – principia con Ugo Foscolo e si chiude con Ezra Pound4.

In una lettera inedita ad Andrea Zanzotto, lo stesso tema emerge laddove Jesi individua per la scrittura

il dovere di esaurire la tradizione poetica fino a ridurla a una combinazione di luoghi comuni nel pieno rispetto delle sue intrinseche linee storiche di metamorfosi, e la convinzione del valore estetico del luogo comune in sé e per sé: del luogo comune lessicale, metrico, fonico, ecc. ridotto alla cosa passiva che effettivamente è. Si tratterà poi di sfruttarlo per il giusto verso5.

Se la macchina mitologica funziona nelle creazione, essa è operativa anche nella ricezione: ogni critico letterario ha di fronte sempre tutta la letteratura universale in una «sorta di solidarietà universale tra i documenti letterari»6. La macchina opera dunque nello spazio dell’immaginazione letteraria: «Bisogna supporre [...] l’esistenza di una sorta di “specchio” in cui si riflette tutta la letteratura universale per cui un critico, anche quando si occupa di una sola poesia, ha idealmente davanti tutta la letteratura prodotta nel mondo, che lo specchio gli riflette»7.
Questo mondo, che pare sovraumano e dietro il quale affiora la tentazione del tout se tient, è il più umano che ci sia: la letteratura è cosa di uomini e donne che condividono esperienze simili e che imparano a conoscere se stessi e gli altri attraverso i libri: significatività è anche trovare in un testo ciò che si è letto in altri, concependolo come luogo ideale, un altrove che mitologicamente qualcuno potrà assimilare al mondo archetipico o all’eterno ritorno dell’uguale8. Il linguaggio mitologico implica l’ipotesi della solidarietà universale tra tutti i documenti letterari e tra tutto l’avvenuto, perché l’immaginazione è indissolubile dal linguaggio mitologico, ma senza che per questo si dia il mito-sostanza, presunto «motore immobile del meccanismo del linguaggio mitologico»9.
Muovendo da questo considerazioni e in virtù della sua attenzione per l’immaginario collettivo e l’inconscio culturale, Jesi può essere ancora una volta avvicinato alla critica post-psicanalitica e post-strutturalista. In questo senso negli anni ottanta Deleuze, scegliendo il cinema come paradigma, avanzava l’idea di «automa spirituale», termine che definisce un pensiero che procede per innesco automatico su base inconscia e che mette in crisi la presunta completa autotrasparenza del soggetto10. Su questa concezione della narrazione-immagine Gianni Celati scrive che

non esiste nessuna immagine che si chiuda in sé, nella propria oggettività realistica; dietro ogni immagine ce n’è un’altra, che a sua volta si collega ad altre già viste; e ciò che forse determina la loro durata d’effetto, è la permanenza di una loro riconoscibilità, in cui si concentrano ere di figurazioni immaginative11.

I testi scritti con la sistematica pratica del montaggio e della citazione creano un’analoga rete di rimandi, di rinvii e di connessioni ad alto potenziale di significato, che implica un’attivazione dell’interpretazione di grado superiore a quella presente nella comunicazione, decodificazione e lettura ‘tradizionali’. Sono qui portate alle estreme conseguenze le premesse di Benjamin, «l’attualità di Proust, Kafka, Brecht, ma anche del surrealismo e del cinema» relativamente alla riflessione sugli «effetti anacronistici di conoscenza»12: con conseguenze valide per ogni ‘testo’ nella sua nozione più ampia, nel contemporaneo l’«immagine-movimento sembra essere in se stessa un movimento fondamentalmente aberrante, anormale» ma al contempo l’unica fondazione possibile, in quanto è «il montaggio stesso a costruire il tutto e darci in tal modo l’immagine del tempo»13.
Seppure l’immagine e l’emozione siano temi centrali del suo discorso su letteratura e teatro, Jesi non fece in tempo, o non volle affrontare la questione del cinema che era e sarebbe diventata invece oggetto di riflessione sistematica della critica estetica e politica. Il cinema d’avanguardia, mostrando la sua artificialità fino a diventare meta-cinema, non fa che riprendere quella riflessione sulla letteratura: invoca la necessità di una scrittura ironica, esibisce il segno della sutura e dell’autorialità, disinnescando così l’effetto ipnotico del mito-sostanza senza soffocare l’ emozione che l’immagine suscita14.

__________________________________________________

1 K. Kerényi, Considerazioni preliminari, in Id. Felicità difficile, cit., p. 29, in Jesi, Materiali Mitologici, p. 17. Nelle stesse pagine Kerényi nel suo «ricordo» associava il «nitore dolce, quasi tendente all’oscuro» di una statua greca (un Ermes psicopompo dell’isola di Andros), alla «radiazione» o «aura» che incanta nei romanzi di Mann; Ivi, pp. 21-22; in MM, p. 9.
2 MM, p. 206.
3 MM, p. 209.
4 F. Jesi, Lesilio, nota editoriale, in «Cultura tedesca», cit., pp. 107-108. Il testo, risalente al 1969, doveva servire, su richiesta dell’editore Silva, da comunicato stampa per la raccolta di poesie Lesilio, cit.; di contenuto sostanzialmente analogo la Lettera a Piancastelli (in «Uomini e idee», nn. 23-25, Napoli, 1970, pp. 249 ss.) con cui Jesi interveniva in un ambito dibattito sulla poesia d’avanguardia suscitato dal direttore della rivista Corrado Piancastelli. Entrambi in Riga 31_Jesi, 2010.
5 Lettera a Zanzotto del 29 ottobre 1970, Archivio privato di casa Jesi.  Ora in Riga, 2010. Cfr. H. Bloom, Langoscia dellinfluenza. Una teoria della poesia (1973), ed. it. Feltrinelli, Milano, 1983, manifesto dei cosidetti Yale critics e dell’inevitabilità del mis-reading nella ricezione storica e testuale.
6 Jesi, Ermetismo e Linguaggio Mitologico, p. 189.
7 L. Piantini, Furio Jesi: tempo del segreto e tempo della storia, in «Il ponte», La Nuova Italia, Firenze, n. 6, giugno 1990, pp. 95-96.
8 Cfr. O. Pamuk, La valigia di mio padre (2006), ed. it. Einaudi, Torino, 2007, pp. 19-20, «La mia fiducia viene dalla convinzione che tutti gli esseri umani si somigliano, che altri portano ferite come le mie e che quindi capiranno. Tutta la vera letteratura nasce da questa certezza fiduciosa e infantile che tutti gli individui si somiglino. Quando uno scrittore si chiude per anni in una stanza, evoca con il suo gesto l’esistenza di un’umanità unica, un mondo privo di centro» (ora anche in Id., Altri colori, Einaudi, Torino, 2008, pp. 496-7); si vedano anche le pp. 46 ss. sul «lettore implicito» e sulla teoria di W. Iser. Cfr. MM, pp. 38-50 sulla stanza del mitologo l’hortus conclusus che apre mondi.
9 ELM, p. 190.
10 «Il movimento automatico suscita un automa spirituale, cha a sua volta reagisce su di lui», esso designa «il circuito nel quale» i «pensieri entrano con l’immagine-movimento». G. Deleuze, Cinema 2. Limmagine-tempo (1985), ed. it. Ubublibri, Milano 1989, pp. 175-176.
11 G. Celati, Quando ho visto “Nel corso del tempo”, in «Riga», 28, 2008, p. 124.
12 G. Didi-Hubermann, Storia dellarte e anacronismo delle immagini, cit., p. 27; cfr. pp. 52-53.
13 G. Deleuze, Cinema 2., cit. pp. 48, 51.
14 Cfr. il cap. 2.

Nessun commento:

Posta un commento