domenica 6 gennaio 2013

dicono di lui







Hanno scritto su di lui e i suoi libri:

Ci sono almeno tre buone ragioni per leggere Furio Jesi. Prima di tutto (ed è una ragione teorica), Jesi porta tutta la sua attenzione sulla nascita linguistica del mito. Secondariamente (ed è una ragione poetica), Jesi permetterà di evitare le ingenuità che non mancano di accompagnare il versante mitologico degli studi francesi. Infine (ed è una ragione politica), Jesi ci obbliga a interrogare il rapporto tra mito e credenza. Il rito poetico sarebbe una forma di “preghiera demitificata”?i

Jesi è una figura singolare di saggista e studioso, probabilmente uno dei maggiori del dopoguerra, l’unico capace di legare insieme in una scrittura davvero originale temi filosofici e letterari, scienza del mito e germanistica, egittologia e traduzioneii.

Con la publicazione di Germania segreta (1976) e di Letteratura e mito (1968), l’enfant prodige che aveva attraversato quindicenne gli impervi sentieri dell’egittologia, si era ormai imposto come il più intelligente studioso di mitologia e scienza delle religioni e, insieme, come una delle personalità più originali della cultura di quegli anni, difficile da rubricare nei limiti di una disciplina accademicaiii.

La prima verità da dire su di lui (e da ricordare a tutti noi) è che Jesi era un intellettuale di razza rara: un intellettuale anomalo per natura e per vocazione, uno studioso che si era impegnato nei più diversi campi della cultura, un uomo che anche nella vita personale aveva modificato non poche regole del giocoiv.

Esploratore del sottosuolo dell’anima individuale e collettiva, egli è capace di renderne l’oggettivazione nella catabasi nelle viscere della cittàv.

Apparteneva a quel raro genere di intellettuali che concepiscono la loro stessa esistenza come un testo nel quale fluiscono e magari anche si scontrano, in onde sempre più alte, i pensieri pensati e le immagini vissute fino a comporsi in una distesa variegata e compatta che se può sembrare pacificata, pur continua ad essere il cristallino equilibrio di tensioni segrete, quasi la trasfigurata armonia di profonde inquietudini e occulte dissonanzevi.

Furio se ne andò a 39 anni, l’età di Pascal e di Leopardi. E non sembri esagerato l’accostamento: se nella mia vita ho provato mai la sensazione di trovarmi davanti a un genio fu quando conobbi Furio. Non ti colpiva soltanto la sua erudizione, che non temeva confronti; né la qualità brillante della sua conversazione, connotata da un’ironia finissima che spesso diventava pungente sarcasmo; si coglieva in lui davvero la rapidità del cerebro, ossia la capacità di andare immediatamente all’essenza delle questioni, e l’ampiezza di visione, ossia il saper collocare i singoli problemi all’interno delle categorie generali. [...] In lui la voglia di studiare e di scrivere diventava quasi bisogno di lasciare una traccia di un passaggio sulla terra, prima della fine; e i suoi interessi erano così vasti e l'attitudine con cui vi si gettava così totalitaria da lasciare senza fiato i suoi interlocutori e forse lui stessovii.

Irriverente verso le regole del gioco e le convenzioni (non soltanto culturali ma anche personali e private), aperto – per indole e per scelta – alle più diverse discipline della moderna cultura europea. Un intellettuale che intendeva la critica letteraria come una sorta di scorribanda (sui versanti maggiormente al limite) durante la quale adunare – come in vista di un incendio purificatore – materiali di cui fiutava le potenzialità sulfureeviii.

È difficile immaginare qualcosa di più sconcertante del percorso di Jesi: dipanatosi via via, in un ventennio vertiginoso, attraverso una estrema varietà di paesaggi culturali esso attesta congiuntamente, nel viaggiatore, l’ansia del moto e l’appagamento della staticità, l’allargarsi della superficie e lo scavare nel profondoix.

Mente inquieta e lucida, Jesi aveva la capacità di saper creare metafore intellettuali, ossia di lavorare intorno a una intuizione aforismatica. “Vagare” è forse l’azione che più si addice alla sua riflessione. [La sua scrittura sul mito] è intrisa di un mitologema continuo, ovvero è caratterizzata da un linguaggio mitico. Ciò che l’attraversa è una prassi intellettuale che si irrora di mito, ma che nell’abbrancarlo [...] non può delimitarlo, stringerlo e dunque chiuderlo. Può solo girarci intornox.

È stato uno degli ultimi grandi studiosi di mitologia. Per un certo periodo, come allievo di Karl Kerényi, si collocò nella tradizione di una mitologia scientifica. A Benjamin era unito spiritualmente dal riserbo cabalistico e dall’eredità ebraica, che li accomunava di diritto nel movimento illuminista europeo. La sua opera e le sue idee costituivano la sua forza dinamicaxi.

Non credo di andare lontano dal vero se dico che Jesi fu il Benjamin italiano. [...] Entrambi ebrei, ebbero un’uguale morte precoce e drammatica, ambedue unirono interessi scientifici e culturali politici a una vivace passione politica. Jesi riprese dallo studioso berlinese la tecnica del cosiddetto “comporre per citazioni”, ma soprattutto lo rendono affine a Benjamin la volontà e la capacità di scandagliare la poesia e il pensiero moderni alla ricerca del mito inteso come “realtà fondamentale e perduta che può essere rivelata, anche se ogni volta inadeguatamente, dalla forza dell’interpretazione”xii.

Mi ha spinto a scrivere di Jesi lo stupore che un lavoro così fecondo e pionieristico, unico nel panorama della critica recente, abbia avuto scarsa circolazione nella nostra cultura. Forse egli era in anticipo su i tempi, forse non è ancora venuto il momento propizio per una giusta comprensione della sua grandezzaxiii.

Incurante di mode critiche avventuristiche, Jesi, oltre che germanista di prim’ordine, fu un ardito, razionale investigatore dell’animo umano, di quel sostrato culturale che resta e vige dietro l’occasionalità, l’estemporaneità degli argomenti e dei metodi à la page. [... ] Le sue ricerche e le sue conquiste sono un testamento che ancora non possiamo valutare appieno, che soltanto un giorno potremo finalmente leggere e capirexiv.

Sono contento che sia arrivata l’estate, così posso leggere tutti i libri che mi piacciono e soprattutto La casa incantata di Furio Jesi. [...] A me il romanzo è piaciuto non solo per i personaggi simpatici e fiabeschi, ma anche per il modo accattivante in cui è stato scritto. Il lettore ha, infatti, la sensazione di essere dentro alla storia. [...] Il momento più buffo del racconto è stato quello del mago con i piedi di falce che si arrampica sul palo della luce. Quello che mi ha colpito di più è stato invece l’episodio fiabesco dei poeti che mangiano le rose. Proprio un bel libro da leggere tutto d’un fiatoxv.



i M. Rueff, in Furio Jesi, Rilke et la poétique du rituel, presenté et traduit de l’italien par Martin Rueff, in «Po&sie», 121, 2007, Belin, Paris, p. 10 (trad. nostra).
ii M. Belpoliti, Settanta, Einaudi, Torino, 2001, p. 93.
iii G. Agamben, “Il talismano di Furio Jesi”, in F. Jesi, Lettura del Bateau Ivre di Rimbaud, Quodlibet, Macerata, 1999, p. 5.
iv S. Moravia, “Jesi, l’interprete del mito”, «Tuttolibri» de «La Stampa», Torino, 1980, p. 4.
v C. Cases, “Tempi bui per i vampiri”, in «L’indice dei libri del mese», Torino, aprile 1987; ripubblicato in «L’indice dei libri del mese», fascicolo speciale dedicato a Cases, maggio 2008, p. 19.
vi F. Masini, “Risalire il Nilo”, in F. Masini e G. Schiavoni (a cura di), Risalire il Nilo, Sellerio, Palermo, 1983, pp. 16-17.
vii A. d’Orsi, “Il volo di Spartakus, il ricordo di un geniale intellettuale scomparso”, in «La Stampa», Torino, 3 gennaio 2001, p. 20
viii G. Schiavoni, “L’uomo segreto che è in noi”, in «Immediati dintorni», 1, 1989, Lubrina, Bergamo, p. 286.
ix G. Cusatelli, “Un difensore della ragione”, «L’indice dei libri del mese», cit., n. 4, 1987, pp. 4-5.
x D. Bidussa, “La macchina mitologica e la grana della storia”, in F. Jesi, L’accusa del sangue, Morcelliana, Brescia, 1993, pp. 94, 98.
xi G. van de Moetter, “Furio Jesi. Von Hildesheim bis zu Ufern des Nils”, in «Zibaldone», Stauffenburg Verlag, Tübingen, n. 4, november 1987, p. 81 (trad. nostra).
xii L. Piantini, “La mente critica di Furio Jesi”, in «Studi filosofici», XVI, Bibliopolis, Napoli, 1993, pp. 396 (la citazione interna è: F. Jesi, “Walter Benjamin”, in Enciclopedia Garzanti di Filosofia, 1981, p. 83).
xiii L. Piantini, “Furio Jesi: tempo del segreto e tempo della storia”, in «Il ponte», n. 6, giugno 1990, p. 89.
xiv F. La Polla, “Furio Jesi, l’ultimo mitteleuropeo”, in «Il resto del Carlino», Bologna, 16 luglio 1980, p. 3.
xv E. M. Sebastiano, lettore di 9 anni, in «Bibliolà... ragazzi», recensione a La casa incantata, «Bibliolà... ragazzi», periodico della biblioteca civica di San Donà di Piave, n. 1, settembre, 2003.

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